Félix Vernet
La Chiesa e la polemica antigiudaica
Storia, storiografia e bibliografia dalle origini agli inizi del sec. XX
A cura di Gian Pio Mattogno
INDICE
- Ebrei e cristiani
- Controversie con gli ebrei
PREMESSA
Presentiamo con il titolo di La Chiesa e la polemica antigiudaica. Storia, storiografia e bibliografia dalle origini agli inizi del sec. XX la prima versione italiana di due scritti di mons. Félix Vernet (1863-1942) sui rapporti tra la Chiesa cattolica e gli ebrei: Juifs et chrétiens, in «Dictionnaire Apologétique de la foi catholique», t. II, Paris, 1915, coll. 1651-1764; Juifs (Controverses avec les), in «Dictionnaire de théologie catholique», t. VIII, 2, Paris, 1925, coll. 1870-1914.
Docente al grande Seminario di Valence e all’Istituto Cattolico di Lione, autore di studi sulla spiritualità medievale e sugli ordini mendicanti, collaboratore della “Revue des Sciences Religieuses”, su questione ebraica e Chiesa cattolica, oltre agli scritti che compaiono nella bibliografia, mons. Vernet ha pubblicato in particolare:
Le pape Martin V et les Juifs, «Revue des questions historiques», 1892, pp. 373-423;
Le pape Innocent VII et les Juifs, «L’Université catholique», 1894, pp. 399-408;
Papes et banquiers juifs au XVIᵉ siècle, «L’Université catholique», 1895, pp. 100-111.
Quanto abbiamo scritto in occasione della prima edizione italiana del saggio di Simon Deploige su S. Tommaso d’Aquino e la questione ebraica (S. Deploige, S. Tommaso d’Aquino e la questione ebraica, Effepi, Genova, 2018) vale ancor più per questa nuova operazione editoriale. Ancorché datato, lo scritto di mons. Vernet riveste infatti un duplice interesse: da un lato ripropone all’attenzione del lettore quella che è stata l’autentica teologia cattolica degli ebrei dalle origini fino agli inizi del XX secolo, e dall’altro suona come un monito contro la deriva filogiudaica della nuova Chiesa conciliare, più attenta a compiacere i “fratelli maggiori” che non a difendere le verità della tradizione.
G.P.M.
I
EBREI E CRISTIANI
Introduzione
PARTE PRIMA. ‒ La condotta degli ebrei verso i cristiani
- Dalle origini al trionfo della Chiesa (313)
- Gli atti
III. La polemica anticristiana
- Il Talmud
- L’usura
- L’omicidio rituale
PARTE SECONDA. ‒ La condotta dei cristiani verso gli ebrei
- Lo Stato e gli ebrei
- La Chiesa e gli ebrei. Le grandi linee della condotta della Chiesa
III. La Chiesa e gli ebrei. La legislazione ecclesiastica
- La Chiesa e gli ebrei. La polemica antiebraica
Conclusione
INTRODUZIONE
- Stato della questione. ‒ Dal punto di vista apologetico, la questione dei rapporti tra ebrei e cristiani si pone in questi termini: la condotta dei cristiani verso gli ebrei fu tale da porre in stato d’accusa davanti al tribunale della storia i cristiani, e non solo quelli che agiscono a titolo personale, ma lo stesso cristianesimo? La Chiesa si è resa colpevole?
Si è preteso di sì. Si è detto che, in tutti questi secoli, gli ebrei furono irreprensibili, o quasi. Quanto ai cristiani, questi non erano ostili agli ebrei, e non vi fu antipatia reciproca né alle origini del cristianesimo, né nell’alto medio evo. L’abisso fu scavato a poco a poco e metodicamente dalla Chiesa. Non che questa abbia incoraggiato direttamente le persecuzioni o perseguito lo sterminio dei figli d’Israele. I papi hanno riprovato gli eccessi dei governanti e delle plebi. Ma, malgrado le loro proteste e per quanto essa abbia sinceramente reiterato tali proteste, è la Chiesa che, con la sua predicazione e la sua legislazione, favorì e nutrì le passioni brutali. Gli ebrei sono una nazione innocente, odiosamente perseguitata, e la Chiesa è responsabile di tutti questi maltrattamenti.
Questa è la tesi accettata e sviluppata da T. REINACH, Histoire des Israélites. Essa circola, aggravata, lungo tutti gli undici volumi della Geschichte der Juden di GRAETZ, nonché nella sua versione francese ridotta in cinque volumi, a cura del gran rabbino L. WOGUE e del rabbino M. BLOCH.
La tesi ricompare, anche se un po’ attenuata, nelle Réflexions sur les Juifs di I. LOEB, pp. 22-31. J. DARMASTETER, Les prophètes d’Israël, p. 183 la formula in questi termini: «L’odio popolare contro l’ebreo è opera della Chiesa, e nondimeno solo la Chiesa lo protegge contro i furori che essa ha scatenato». E B. LAZARE, uno dei rarissimi ebrei che ammettono che non tutti i torti erano dalla parte dei cristiani, ritiene, L’antisémitisme, p. 95, che se, a partire dall’VIII secolo, alle cause sociali vennero ad accompagnarsi delle cause religiose, «nei primi sette secoli dell’èra cristiana l’antigiudaismo ebbe cause esclusivamente religiose».
Questa tesi si ritrova, con qualche sfumatura, sotto la penna di storici non ebrei. E. RODOCANACHI, che pure talvolta si mostra equo verso i papi, così riassume la storia postbiblica degli ebrei, Le Sainte-Siège et les Juifs. Le ghetto à Rome, p. 113: «Da Nerone … fino a Costantino, gli ebrei furono perseguitati assieme ai cristiani; successivamente lo furono da parte dei cristiani».
Naturalmente la polemica anticlericale, in ogni sua forma, rappresenta volentieri gli ebrei come vittime incolpevoli dell’intolleranza cristiana. Uno studio quanto più possibile esatto delle relazioni tra gli ebrei e cristiani ci permetterà di giudicare la reale consistenza di questa obiezione.
- Suddivisione cronologica. ‒ A forza di suddividere, si finisce per separare cose che si compenetrano reciprocamente, e le suddivisioni cronologiche hanno sempre un che di fittizio e approssimativo. Nondimeno, esse offrono un mezzo per fare un po’di chiarezza su un determinato argomento, soprattutto se questo è vasto e complesso.
Il piano di lavoro che compare all’inizio di questo articolo indica gli aspetti principali della questione. In primo luogo esporremo la condotta degli ebrei verso i cristiani ed in seguito quella dei cristiani verso gli ebrei. L’una e l’altra saranno esaminate insieme trattando del Talmud, dell’usura e dell’omicidio rituale.
Quanto all’ordine cronologico, gli storici concordano nel conservare la suddivisione classica: antichità, medio evo e tempi moderni, anche se va precisato che «per il popolo ebraico il medio evo dura molto più che per gli altri popoli», come afferma HEMAN, Realencyklopädie, t. IX, p. 483, «fino alla svolta vittoriosa dei principî della politica e della civiltà che il Rinascimento e la Riforma hanno introdotto nella vita dei popoli europei», cioè fino alla Rivoluzione francese.
Combinando le suddivisioni adottate da GRAETZ, da T. REINACH e dalla Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaft des Judentums (pubblicata a Leipzig, una collezione di “Compendi” che abbracciano l’intera scienza del giudaismo), e aggiungendovi il periodo delle origini cristiane, quasi dimenticato dagli storici ebrei, e che non solo non va trascurato, ma al contrario deve essere posto in primo piano, poiché è d’importanza capitale, in quanto tutte le successive relazioni tra ebrei e cristiani ne hanno subito il contraccolpo, abbiamo la seguente suddivisione:
Dalle origini al trionfo della Chiesa (313). ‒ Si produce la scissione tra cristianesimo e giudaismo. Gli ebrei prendono parte alle persecuzioni che si abbattono sul cristianesimo nascente.
Dal 313 al 1100. ‒ Si prepara e si formula parzialmente la legislazione relativa agli ebrei; la sua applicazione è piuttosto favorevole.
Dal 1100 al 1500. ‒ È l’epoca delle violenze, delle proscrizioni generali.
Dal 1500 al 1789. ‒ È un’epoca di «stagnazione» e di prostrazione per gli ebrei, ma durante la quale fermentano i principî che trionferanno con la Rivoluzione francese e condurranno all’emancipazione.
Dal 1789 ai giorni nostri. ‒ È l’epoca della progressiva emancipazione.
C’è bisogno di precisare che noi non imputiamo alla totalità degli ebrei le malefatte registrate dalla storia?
Uno dei promotori dell’antisemitismo moderno, GOUGENOT DES MOUSSEAUX, scriveva nel 1869, Les Juifs, le judaïsme et la judaïsation des peuples chrétiens, 2ᵃ éd., Paris, 1886, p. XXXIII: «Questo ebreo il cui nome ricorre costantemente sotto la nostra penna non è il primo venuto della sua razza; non è, e noi teniamo a dichiararlo nei termini più cortesi, colui che costituisce la maggioranza della sua nazione. Per noi è l’uomo della fede talmudica, colui che è instancabilmente animato da implacabili rancori contro la civiltà cristiana».
Noi la pensiamo allo stesso modo: gli ebrei di cui parliamo sono quelli rivelati dai documenti, non gli altri.
Ancora un’osservazione sull’uso del termine «ebreo». T. REINACH, art. Juifs, nella Grande encyclopédie, t. XXI, p. 256, dice che, nei paesi dove gli ebrei sono completamente emancipati e assimilati agli altri cittadini, essi amano definirsi «israeliti» piuttosto che «ebrei», parola che ha un significato dispregiativo, per via dei pregiudizi legati al termine «ebreo». In Francia il termine «israelita» ha solo un uso ufficiale. Altrove (Romania, Russia, Grecia, Italia) sono chiamati «ebrei» e «giudei». Storicamente, la trasformazione dell’ «ebreo» in «israelita» ha un senso chiarissimo: l’israelita è l’ebreo che si snazionalizza, che si allontana dal culto e dal rituale ebraici, che «si trasforma in uomo moderno» e che, a tal fine, si «detalmudizza», si «derabbinizza». Cfr. P.-L.-B. DRACH, De l’harmonie entre l’Église et la Synagogue, Paris, 1844, t. I, pp. 197-198; A. LEROY-BEAULIEU, Israël chez les nations, pp. 158, 168, 253.
Questa evoluzione è iniziata solo da un centinaio d’anni. Il rigore storico esige dunque che si conservi l’appellativo «giudei» o «ebrei» quando si tratta dell’epoca successiva alla Rivoluzione francese. Noi lo faremo, ma senza alcuna intenzione offensiva.
Bibl. ‒ Lavori complessivi: Basnage, Histoire des Juifs, Rotterdam, 1707, 5 voll.; de Boissi, Dissertations critiques pour servir … de supplément à l’Histoire de Basnage, Paris, 1785, 2 voll.; J.-M. Jost, Geschichte der Israeliten, Berlin, 1820-1828, 9 voll. (ed. rimaneggiata con il titolo Geschichte des Judenthums und seiner Sekten, 1857-1859, 3 voll.); A. Beugnot, Les Juifs d’Occident pendant la durée du moyen âge, Paris, 1824; G.-B. Depping, Les Juifs dans le moyen âge, Paris, 1834; A. Cerfbeer de Médelsheim, art. Juifs, nella Encyclopédie catholique, Paris, 1847, t. XIII, pp. 367-385; J. Bédarride, Les Juifs en France, en Italie et en Espagne, Paris, 1859; H. Graetz, Geschichte der Juden, Leipzig, 1860-1875, 11 voll., trad. fr. abbreviata a cura di L. Wogue e M. Bloch, Paris, 1882-1897, 5 voll.; A. Geiger, Das Judenthum und seine Geschichte, Breslau, 1865-1871, 3 voll., ridotto in un solo volume, 1910; J. Darmesteter, Coup d’oeuil sur l’histoire du peuple juif, Paris, 1881, poi in Les prophètes d’Israël, Paris, 1895, pp. 153-197; T. Reinach, Histoire des Israélites depuis la ruine de leur independence nationale jusqu’à nos jours, Paris, 1884, IV éd., 1910, e art. Juifs, nella Grande encyclopédie, Paris, [1894], t. XXI, pp. 256-280; I. Lob, art. Juifs in Vivien de Saint-Martin, Nouveau dictionnaire de géographie universelle, Paris, 1884, t. II, pp. 988-1000, e in Réflections sur les Juifs, Paris, 1894; E. Drumont, La France juive, nouv. éd., Paris, s.d., t. I, pp. 141-530; B. Lazare, L’antisémitisme, son histoire et ses causes, Paris, 1894; A. Leroy-Beaulieu, Israël chez les nations, XV éd., Paris, s.d.; Heman, art. Israel, Geschichte nachbiblische, in Realencyclopädia, III ed., Leipzig, 1901, t. IX, pp. 483-511; The Jewish Encyclopaedia (dizionario storico del giudaismo), New York, 1901-1906, 12 voll. Tra i periodici cfr. soprattutto: Monatschrift für Geschichte und Wissenschaft des Judenthums, Breslau, 1852 e sgg.; Revue des études juives, Paris, 1800 e sgg.; The Jewish quarterly review, London, 1888-1908, New York, a partire dal 1910. Cfr. M. Schwab, Répertoire des articles relatifs à l’histoire et à la littérature juives parus dans les périodiques de 1783 à 1898, Paris, 1899-1900, autograph., 2 voll.
PARTE PRIMA
LA CONDOTTA DEGLI EBREI VERSO I CRISTIANI
DALLE ORIGINI AL TRIONFO DELLA CHIESA (313)
- La separazione del cristianesimo dal giudaismo. ‒ II. Gli atti. ‒ III. La polemica.
- La separazione del cristianesimo dal giudaismo
- La necessità della separazione e il pericolo del giudeo-cristianesimo. ‒ «L’espressione giudeo-cristianesimo si applica propriamente soltanto ai cristiani di origine ebraica che hanno ritenuto la Legge come non abrogata e si sono trovati con ciò in conflitto, un conflitto insanabile, non solo con s. Paolo, ma con l’intero cristianesimo». P. BATIFFOL, L’Église naissante et le catholicisme, III éd., Paris, 1909, p. 286.
Etimologicamente, i giudaizzanti sarebbero i pagani convertiti che imitavano i costumi giudaici, ma di fatto si chiamavano giudaizzanti i membri della Chiesa nascente, quale che fosse la loro origine, che ritenevano obbligatoria per la salvezza l’osservanza totale o parziale della Legge mosaica, anche se in realtà questi erano quasi unicamente i cristiani di sangue giudaico.
A prima vista, le pretese del giudeo-cristianesimo non apparivano senza fondamento. Secondo le promesse divine fatte ad Abramo, a Mosè etc. il Messia, sorto dalla loro razza, avrebbe stabilito sulla terra il regno di Dio, cioè il regno di Israele. Il Cristo era venuto a compiere la Legge. Ebreo, egli aveva scelto i suoi apostoli fra i giudei, e giudei furono i primi cristiani. Gli apostoli evangelizzarono dapprima la Giudea, e successivamente, al di fuori della Giudea, le città dove vi erano giudei, e le prime chiese cristiane erano delle comunità ebraiche. Il cristianesimo primitivo conservò le osservanze mosaiche: basti ricordare la preghiera quotidiana degli apostoli e dei fedeli di Gerusalemme nel tempio. Le tradizioni del proselitismo giudaico andavano nella stessa direzione.
C’era da temere che i primi cristiani, d’origine giudaica, volessero ricalcare la Chiesa cristiana sul giudaismo, chiedendo ai popoli e agli individui, ai quali portavano il Vangelo, di affiliarsi tramite la circoncisione alla nazione giudaica e di rinunciare dunque sia alla loro nazionalità che al loro culto, oppure, se accettavano proseliti destinati a diventare giudei, attribuendo loro un vero e proprio status di inferiorità nell’ordine della salvezza. Se il cristianesimo avesse seguito questa strada, il «muro di separazione» tra cristiani e gentili, Ef. II, 14, non sarebbe mai crollato. Il cristianesimo sarebbe rimasto una religione simile al giudaismo e non sarebbe divenuto una religione universale.
Questo è chiaro per noi moderni. Ma quale problema per i primi cristiani, giudei, patrioti e fedeli osservatori della Legge! Come comprendere la necessità di rompere il legame che univa alla Sinagoga la Chiesa nascente?
Il giudeo-cristianesimo non lo comprese. Esso si ostinò, malgrado tutto, a ritenere la Legge come non abrogata. Di qui il grande dibattito sulle osservanze legali.
- Come è avvenuta la separazione del cristianesimo dal giudaismo. ‒ Qui non possiamo entrare nel dettaglio delle questioni cronologicamente piuttosto complesse e delle discussioni di testi sollevate dai racconti degli Atti degli Apostoli e di s. Paolo. Ci limiteremo quindi a sfiorare l’argomento. Il dibattito verte su quattro fatti principali.
- Il battesimo del centurione Cornelio. Atti, X. ‒ Per ordine del Signore nella Chiesa c’è un gentile che non è passato per la Sinagoga. Dunque si può essere cristiani senza essere giudei; l’antica Legge non è più obbligatoria, il «muro di separazione» è infranto e la Chiesa si apre a tutti, giudei o gentili, senza distinzione di rito e di razza.
- Il concilio di Gerusalemme. Atti, XV; Gal., II, 1-10. ‒ Questa conclusione non piacque a tutti. «Alcuni», τινες, Atti, XV, I, non videro di buon’occhio le conversioni fatte da s. Paolo fra i gentili, poiché i convertiti non erano sottoposti alle osservanze legali; essi dichiararono che senza la circoncisione non vi è salvezza. Il concilio di Gerusalemme riconobbe la libertà dei gentili implicita nel battesimo di Cornelio. Per i nuovi convertiti esso conservò le quattro prescrizioni imposte ai proseliti in senso lato: astensione dagli idolotiti, dal sangue, dagli animali soffocati e dall’impudicizia. Nulla però fu definito sulla durata e sul valore morale di tali osservanze; ma soprattutto, non fu preteso il resto della Legge, e segnatamente la circoncisione, né i nuovi convertiti furono banditi dalla salvezza, né occuparono nella Chiesa un rango inferiore. Notiamo che, se il testo autentico del decreto del concilio fosse quello della versione occidentale, la libertà dei gentili sarebbe proclamata ancora più esplicitamente: essa conterrebbe soltanto l’obbligo di evitare l’idolatria, l’omicidio e l’impudicizia.
- La controversia di Antiochia. Gal. II, 11-12. ‒ Dopo la questione dei gentili, ecco la questione giudaica. I gentili erano salvati senza la Legge. Lo erano anche i giudei? Oppure, almeno, la pratica della Legge non assicurava loro una posizione privilegiata, ed inoltre, l’obbligo che avevano di praticare la Legge non impediva loro di comunicare con i pagani, anche convertiti, ciò che era un altro modo di considerare i pagani convertiti inferiori ai cristiani di origine giudaica? Cessando, per timore di «alcuni», τινες, secondo Giacomo venuti da Gerusalemme, di vivere in comunione con i convertiti gentili, s. Pietro sembrava condividere l’opinione di coloro che accettavano un falso principio: la necessità della Legge per la salvezza, come sostenevano i giudei. S. Paolo indicò le conseguenze di una simile condotta. Egli non insegna, in generale, che i giudei debbano rompere con le osservanze. Riconosce che queste debbano essere conservate, «purché non le si ritenga necessarie per la salvezza e non si dica che non sono nulla e non hanno alcun valore in Gesù Cristo». Cfr. J. THOMAS, Mélanges d’histoire et de littérature religieuse, pp. 100-101. La libertà dei gentili era stata riconosciuta nel concilio di Gerusalemme; l’episodio di Antiochia permise di affermare l’affrancamento dei giudei cristiani.
- Il giudeo-cristianesimo respinto fuori dalla Chiesa. ‒ Vi furono dei giudeo-cristiani che accettarono questo principio, pur non rinunciando ai loro costumi tradizionali. Si trattava degli ortodossi. La caduta di Gerusalemme (70) illuminò un buon numero di essi e li distaccò dal mosaismo. Altri persistettero in una rispettabile fedeltà, conservando la Legge senza disconoscere la verità del Vangelo. Costoro a poco a poco finirono per scomparire.
Molti giudeo-cristiani ripudiarono l’idea dell’affrancamento dai giudei. Missionari giudaizzanti seguirono passo dopo passo s. Paolo nei suoi viaggi apostolici allo scopo di screditare la sua persona, contraddire il suo insegnamento e perfino convertire i pagano-cristiani alle pratiche ebraiche. S. Paolo condusse contro di loro una lotta risoluta. La lettera ai Galati condanna senza mezzi termini l’errore giudaizzante. «Né la circoncisione è qualcosa, né l’incirconcisione, ma la nuova creatura», con la quale è da intendersi, come viene spiegato poco prima, «la fede che esercita la sua azione attraverso la carità», VI, 15; V, 6.; e a quanti incederanno secondo questa norma, pace e misericordia!
Nell’epistola ai Romani s. Paolo va ancora oltre. Egli afferma che, di fatto, ora il ruolo di Israele si è esaurito. Dio, irritato dalla sua condotta, lo ha abbandonato a se stesso. Verrà un tempo in cui i suoi resti si salveranno, ma adesso è ai gentili che spettano le promesse divine.
Così i giudeo-cristiani ostinati furono rigettati fuori dal cristianesimo. La Chiesa «aveva coraggiosamente separato la propria causa dal destino precario di una nazione. Essa aveva rifiutato di rendersi solidale con le piccole contingenze della storia per non venir meno alla sua missione universale. La barca di Pietro tagliava l’ormeggio che la teneva attaccata al porto e guadagnava l’alto mare dove certamente l’attendevano le tempeste, ma anche le pesche miracolose». G. KURTH, L’Église aux tournants de l’histoire, 1905, p. 34.
Non è nostra intenzione ripercorrere i destini ulteriori del giudeo-cristianesimo eterodosso. Esso mescolò in dosi disuguali mosaismo, Vangelo e fantasticherie estranee all’uno e all’altro, e si perse nello gnosticismo e nell’ebionismo. Il suo stato d’animo si tradusse, nel II e III secolo, in una serie di apocrifi «clementini», nei quali s. Paolo venne posto in contrapposizione a s. Pietro. È nota la tesi, oggi completamente superata, che Baur e Renan hanno escogitato per spiegare le origini del cristianesimo.
- Gli atti
In questo periodo i documenti sono rari. Informazioni incomplete, ma ugualmente preziose, sono fornite dagli Atti degli Apostoli, da alcuni atti dei martiri e dai Padri, soprattutto s. GIUSTINO, Dialogo con il giudeo Trifone.
- I giudei perseguitano i cristiani nella Giudea. ‒ Condannato dal Sinedrio, Gesù Cristo è stato giustiziato grazie alla compiacenza di Pilato. T. REINACH, Revue critique, Paris, 1898, t. I, pp. 153-154, afferma che la grande iniquità giudiziaria non fu quella commessa contro Gesù, ma quella di cui sono vittime i giudei quando li si rende responsabili della crocifissione, mentre è lo stesso Gesù che si è votato alla morte con il suo linguaggio, e i boia e i giudici furono i Romani, i giudei limitandosi al ruolo di «denunciatori ed accusatori». Ma se i giudei furono denunciatori e accusatori, la responsabilità principale non poteva che essere la loro.
I discepoli sono trattati come il Maestro. S. GIUSTINO, Dial., XVI, XCXV, CXXXIII, afferma che, se è vero che i giudei non hanno il potere di alzare le mani sui cristiani a causa di coloro che governano, ogni volta che hanno potuto o lo possono essi li hanno uccisi o li uccidono. Gli apostoli erano stati imprigionati, flagellati, minacciati di morte. La minaccia fu messa in atto nei confronti di s. Stefano, allorché i giudei approfittarono della condizione di debolezza del governatore romano Marcello. Uomini e donne vennero trascinati in prigione su ordine dei capi dei sacerdoti, e il turbamento fu tale che i fedeli si dispersero nella Giudea e nella Samaria.
Dal 41 al 44 i procuratori della Giudea vengono sostituiti dal re Erode Agrippa, che fa decapitare s. Giacomo il maggiore e, videns quia placeret Judaeis, apposuit ut apprehenderet et Petrus, Atti, XII, 3.
A più riprese i giudei complottano per uccidere s. Paolo. Nel 62 vengono lapidati Giacomo, fratello del Signore, e numerosi cristiani. Nel 117 subisce il martirio s. Simeone, vescovo di Gerusalemme. S. GIUSTINO, I Apol., XXXI, scrive che lo pseudo-messia Bar-Kokeba si accanisce contro i cristiani e li massacra, a meno che rinneghino e bestemmino il Cristo. L’anonimo autore dello scritto Contro i Cartaginesi, di cui EUSEBIO ci ha conservato un frammento, H. E., V, XVI, racconta che le donne che manifestavano l’intenzione di convertirsi venivano flagellate o lapidate.
Alcuni testi minori ci parlano ancora di quattro martiri, i cui nomi sono iscritti nel martirologio romano: s. Timone, uno dei primi sette diaconi, a Corinto (19 aprile); Giuseppe il giusto (20 luglio); Cleofa, discepolo del Cristo, a Emmaus (25 settembre); s. Matrona, a Tessalonica (15 marzo).
- I giudei chiedono all’autorità civile di perseguitare i cristiani. ‒ Come hanno fatto con Pilato, i giudei esercitano la loro influenza sulle autorità romane ‒ gli Atti citano Felice e Fausto, procuratori della Giudea, e Gallione, proconsole dell’Achea ‒ e proprio loro, i vinti di Roma, in nome di Roma invocano il castigo dei cristiani: hi omnes contra decreta Caesaris faciunt, regem alium dicentes esse Jesum, Atti, XVII, 7.
Si offre un’occasione per consegnare i cristiani ai rigori imperiali. In seguito all’incendio di Roma (64), Nerone gettò sui cristiani la responsabilità dell’evento. Perché solo i cristiani e non i giudei? Fino ad allora giudei e cristiani erano stati confusi dal potere. In che modo cessò questa confusione? Secondo RENAN, L’Antéchrist, II éd., Paris, 1873, pp. 156-161, è verosimile che ciò avvenne per un intervento dei giudei, che avevano i loro accessi segreti presso Nerone, e segnatamente presso Poppea, la moglie di Nerone, una mezza giudea, una proselita nel senso lato del termine, che esercitava su Nerone una grandissima influenza. Un passo di s. Clemente, I Cor., V-VI, corrobora questa tesi. Egli mette in guardia i fedeli di Corinto contro la «gelosia» che ha cagionato ai santi Pietro e Paolo tante vessazioni fino al martirio, e molti oltraggi e torture ad un gran numero di eletti che sono venuti ad unirsi ai due apostoli, «e che hanno lasciato tra di noi un magnifico esempio».
Si tratta evidentemente dei martiri della persecuzione neroniana. La stessa «gelosia», la stessa animosità o odio, ζήλος, che ha perseguitato s. Pietro e s. Paolo, è la causa della persecuzione che li ha falciati. Non può trattarsi che di una animosità tra membri della stessa famiglia; è la «gelosia» dei giudei.
- I giudei plaudono e concorrono alle persecuzioni. ‒ Nel 155, a Smirne, il 23 febbraio, giorno del «grande shabbath», i giudei si mescolano alla folla che invoca il supplizio di s. Policarpo. Quando questi viene condannato al rogo, la plebaglia corre a cercare legna e fascine; «secondo la loro abitudine, erano i giudei a mostrare maggiore ardore alla bisogna». Morto Policarpo, i cristiani si accingono a raccoglierne le spoglie; i giudei vi si oppongono, e la loro turbolenza è tale che il centurione, spaventato, ordina di rimettere il cadavere sulla legnaia. Martyrium s. Polycarpi, XII, XIII, XVII, XVIII.
Ancora a Smirne, nel 250, anniversario del martirio di Policarpo, s. Pionio e i suoi compagni, Sabino e Asclepiade, compaiono dinanzi al giudice. Giudei e giudee sono accorsi in gran numero. Essi insultano i cristiani che rifiutano di apostatare: «Questa gente è durata fin troppo a lungo», urlano; si fanno beffe di coloro che sacrificano, e ciò vale loro una bruciante invettiva di Pionio: «Noi siamo nemici, e sia, ma siamo uomini, malgrado tutto. In cosa avete da lamentavi di noi? Abbiamo forse perseguitato con il nostro odio qualcuno di voi? Abbiamo costretto, con un’avidità da bestia feroce, uno solo di voi a sacrificare?». Passio s. Pionii, III-IV, XIII-XIV. Quando ad Eraclea si vuol costringere s. Filippo e il suo diacono Ermete a sacrificare agli idoli (304), negli occhi di una parte dei presenti si legge la pietà, in quelli di altri una gioia crudele; i giudei sono tra i più violenti. Passio s. Philippi Heracleensis, VI.
Gli atti di s. Ponzio di Cimiez (261) e quelli di s. Marciano di Cesarea, in Mauritania (303), ci mostrano egualmente i giudei che eccitano i pagani contro i cristiani. Questi atti hanno un valore minore rispetto ai precedenti; E. LE BLANT, Les actes des martyrs, supplément aux Acta sincera de Ruinart, Paris, 1882, p. 82, ritiene che quelli di Ponzio meritino qualche credito, e TILLEMONT, Mémoires pour servir à l’histoire ecclésiastique, Paris, 1698, t.V, p. 263, dice altrettanto di quelli di Marciano.
- I giudei suscitano le persecuzioni con le loro calunnie. ‒ Sembra proprio che siano stati i giudei, «commessi viaggiatori della calunnia», come li definisce RENAN, Marc-Aurèle et la fin du monde antique, III éd., Paris, 1882, p. 60, a spacciare le più svariate accuse che portarono alle persecuzioni contro i cristiani, e che pertanto la responsabilità delle persecuzioni sia da attribuire in larga misura a loro. Lo afferma s. GIUSTINO, Dial., XVII, cfr. X, CVIII, CXVII. Lo ripete TERTULLIANO, Apol., VII; Ad nation., I, XIV: Quod denim aliud genus seminarium est infamiae? Adv. Marcion., III, XXIII; Scorp., X: Synagogas Judaeorum fontes persecutionum, afferma.
A sua volta ORIGENE, C. Cels., VI, XXVII, riporta come un fatto certo l’origine giudaica di queste calunnie che sono state così funeste per il cristianesimo e che lo sono ancora. Egli specifica che l’accusa di mangiare, nelle riunioni notturne, dei bambini sgozzati proviene da loro; questa accusa di omicidio rituale, di cui essi stessi hanno tanto sofferto, i giudei l’avrebbero dunque forgiata e allestita come una macchina da guerra contro i cristiani. EUSEBIO riporta le parole di s. Giustino. Certamente tutto ciò è molto grave.
I pagani erano soliti riferirsi agli ebrei facendo uso di facezie licenziose o scurrili e tra l’altro li accusavano di adorare una testa d’asino. Dobbiamo ammettere con Dom LECLERCQ, L’Afrique chrétienne, Paris, t. I, p. 116, che «costoro, vessati, s’erano ingegnati a scaricare sui cristiani questa imputazione» e che vi erano riusciti, come testimonia il «crocifisso» del Palatino ed altre analoghe caricature che ci sono pervenute in parecchi esemplari? Dobbiamo accusare gli ebrei dello scandalo dell’esibizione, a Cartagine, da parte di un valletto di anfiteatro, di origine ebraica, ma rinnegato, di una pittura con questa rivoltante iscrizione: Deus christianorum όνοκοίτης [nato da un asino] (e non όνοκοιήτης, odioso, ma meno ripugnante)? Cfr. Dom LECLERCQ, in Dictionnaire d’archeologie chrétienne et de liturgie, Paris, 1904-1907, t. I², coll. 2041-2047. In assenza di prove, vogliamo credere che i giudei non abbiano avuto alcuna parte in questi orrori.
Tutto ciò basta e avanza per comprendere le parole di s. GIUSTINO, Dial., CX: «Se dipendesse da voi e da tutti gli altri uomini (i pagani), ogni cristiano sarebbe bandito non solo dalle sue proprietà, ma dal mondo intero, perché voi non permettete a nessun cristiano di vivere». Lo stesso nella Epistola a Diogene,V: «I giudei fanno la guerra ai cristiani e contemporaneamente i gentili li perseguitano», e in s. Ippolito, In Dan. I, XXI. TERTULLIANO mette in evidenza alla sua maniera l’impressione che risulta da tutta la loro condotta, Apol. VII: Tot hostes ejus quot extranei, et quidem proprii exaemulatione Judaei.
III. La polemica ‒ Sotto questo titolo comprendiamo ogni lotta, quale che sia la sua forma, che non mira direttamente a maltrattare o mettere a morte i contraddittori, e quindi gli attacchi d’ogni genere contro la fede cristiana, i diversi modi del proselitismo giudaico e i suoi risultati. Riguardo alle controversie orali, esse saranno esposte quando studieremo la polemica antigiudaica dei cristiani.
- Le varie forme della polemica. ‒ Vi è l’insegnamento ufficiale dei rabbini che si sforza di premunire i loro correligionari contro il cristianesimo con i loro discorsi e con le pratiche della liturgia. Poi vi sono gli scritti, anche se questi non sono numerosi, e non disponiamo di nessuno scritto di polemica diretta. I. LOEB, Revue de l’histoire des religions, t. XVII, p. 314, scrive che «i cristiani erano obbligati ad attaccare il giudaismo: ne andava di mezzo l’avvenire della nuova religione. Essi si misero all’opera con accanimento; li si vide sviscerare la Bibbia, girare e rigirare ogni parola e ogni lettera del testo … Gli ebrei rimasero dapprima stupiti e sbigottiti davanti a questa tattica avventurosa e ci volle del tempo perché vi si abituassero … Sembra che a quell’epoca gli ebrei non avessero uno spiccato interesse per questo genere di lotte».
Questa osservazione è giusta. Forse essa va completata affermando che, dopo la caduta di Gerusalemme, il giudaismo ha sistematicamente ignorato il cristianesimo; per impedirne la diffusione, si preferì astenersi da ogni scambio di idee.
Ma prima o poi l’incontro doveva essere inevitabile e si sentì la necessità di combattere le obiezioni dei cristiani. Gli scritti rabbinici dei primi secoli menzionano alcune pungenti risposte ai partigiani della nuova dottrina da parte dei più sapienti maestri. Ed in mancanza di scritti contenenti attacchi diretti al cristianesimo, tra gli apocrifi che pullulavano allora abbiamo parecchie opere che possono ricollegarsi alla polemica anticristiana dei giudei. Tra di essi, in una certa misura, secondo RICHARD SIMON, «gli pseudo-Vangeli giudaici dei primi secoli, dove si vanno troppo spesso a cercare pretesi racconti di edificazione», e che sono «dei veri e propri contro-Vangeli, opera di odio anticristiano al più alto grado», H. MARGIVAL, Richard Simon, in Revue d’histoire et de littérature religieuses, Paris, 1896, t. I, pp. 182-183. O il Libro dei giubilei, le cui argomentazioni «potrebbero essere benissimo un’apologia appassionata della Legge diretta contro il cristianesimo, compresi gli scritti di s. Paolo», M.-J. LAGRANGE, Revue biblique, Paris, 1899, t. VIII, p. 158. Oppure indubbiamente alcuni frammenti pseudo-sibillini. L’editore della migliore edizione degli Oracula sibyllina, J. GEFFCKEN, è dell’avviso, Komposition und Entstehungszeit der Oracula sibyllina, Leipzig, 1902, che i libri XI e XII siano in parte diretti contro i cristiani.
Dovendo trattare separatamente il Talmud, per ora non utilizziamo la parte del Talmud che fu composta in questo periodo. Diciamo solo che vi si trovano attacchi diretti contro il cristianesimo. Lo stesso vale per i midrashim, la cui serie si inaugura nel II secolo.
- La natura della polemica. ‒ A. Contro i cristiani. ‒ «Voi ci odiate», dice s. GIUSTINO ai giudei, Dial., CXXXIII, cfr. XCV, CXXXVI. E li rimprovera insistentemente di disonorare i cristiani tutte le volte che possono, di gettare su di loro i «sordidi vestiti» del linguaggio infamante, di maledirli, di coprirli di imprecazioni nelle sinagoghe, XVI, cfr. XLVII, XCIII, XCV, CVIII, CXVII, CXXIII, CXXXIII.
Non sappiamo, e forse la questione non è interamente risolta, in che modo Giustino conoscesse il modo di pensare e di parlare dei giudei. Probabilmente egli fa allusione alla principale preghiera del giudaismo, l’Amida o Shemoneh Esre, che veniva recitata tre volte al giorno: il mattino, a mezzogiorno e la sera. Essa era composta da diciotto benedizioni o paragrafi. Verso l’80 d. C. , tra l’undicesimo e il dodicesimo paragrafo si intercalò un’imprecazione formulata in questi termini: «Che gli apostati non abbiano alcuna speranza e l’impero dell’orgoglio sia prontamente sradicato ai nostri giorni; che i nazareni e i minim periscano all’istante, che siano cancellati dal libro della vita e non siano contati tra i giusti! Benedetto sii tu, Iah, che abbassi gli orgogliosi!». In questo testo sono nominati esplicitamente i nazareni, ma solo nella recensione palestinese della preghiera, scoperta al Cairo da S. SCHECHTER e da lui pubblicata in The Jewish Quarterly Review, Londra, 1898, t. X, pp. 654-659, riprodotta da M.-J. LAGRANGE, Le messianisme chez les Juifs, Paris, 1909, pp. 338-340. Gli altri testi menzionano i minim.
Chi sono i minim? È una questione difficile da risolvere. Etimologicamente, il min è un eretico; i minim sono dunque dei giudei appartenenti a varie sette. Significa limitare la portata dell’espressione applicandola unicamente, con FRIEDLÄNDER, a gnostici giudei, ad antinomisti della diaspora anteriori al cristianesimo. «Tuttavia se, a buon diritto, i minim sono eretici di varie specie, bisogna riconoscere che di fatto il più delle volte i rabbini», nei loro testi relativi ai minim, «si riferiscono ai giudei divenuti cristiani, e soprattutto quelli che a rigore si debbono chiamare giudeo-cristiani, poiché non volevano rompere con il giudaismo», LAGRANGE, op. cit., p. 292.
Si è anche preteso che i minim fossero unicamente i giudeo-cristiani, che le sette giudeo-cristiane, informate delle decisioni del Sinedrio relative alle maledizioni di cui abbiamo parlato, accusassero i giudei di maledire Gesù tre volte al giorno e che «questa imputazione … si fonda su un malinteso. Non è al fondatore del cristianesimo né alla generalità dei cristiani, ma ai soli minei che si applicava la formula della maledizione. Tutte queste leggi non riguardavano affatto i pagano-cristiani». Così si esprime H. GRAETZ, Histoire des Juifs, trad. M. BLOCH, 1888, t. III, p. 59.
Di tutt’altro avviso è il P. LAGRANGE. Egli sottolinea che, se i minim fossero stati unicamente i giudeo-cristiani, non sarebbero stati più numerosi dei giudei, mentre, secondo le fonti ebraiche, lo erano. E, osservando che soltanto la recensione palestinese dello Shemoné Esre nomina i nazareni e i minim, egli crede che i nazareni siano i cristiani, qui distinti dai minim o eretici in generale, e che altrove indubbiamente per prudenza venne soppresso il termine «nazareno», quello di minim rappresentando a sufficienza la cosa, p. 294, n. 3.
Quale che sia il valore di questa ipotesi, è certo che il min dell’epoca successiva all’inserimento nello Shemoneh Esre della formula imprecatoria, il min del Talmud, «è spesso un cristiano», I. LOEB, op. cit., p. 313. E se in origine l’anatema dello Shemoneh Esre non aveva di mira che i giudeo-cristiani, più tardi inglobò incontestabilmente tutti i cristiani.
Anche se da secoli il giudeo-cristianesimo non aveva lasciato alcuna traccia, la preghiera restava sempre in uso, e forse nelle sinagoghe lo è ancora. Nel 1796 gli ebrei d’Olanda, emancipati dal giudaismo ufficiale, soppressero la maledizione che si recitava da seicento anni. Al che H. GRAETZ, fedele alla sua tesi, ripete, trad. M. BLOCH, t. V, p. 317, che questo paragrafo in origine era stato composto contro i giudeo-cristiani, ma aggiunge che «degli ignoranti» l’applicavano a tutti i cristiani senza eccezione. Questa ed altre riforme, «in realtà del tutto innocue, finirono per eccitare la collera dei rigoristi, che minacciarono di morte i membri della nuova comunità e senza l’intervento dell’esercito avrebbero messo in atto le loro minacce».
Inoltre, i giudei davano ai cristiani l’appellativo sprezzante di «nazareni», Atti, XXIV, 5; «poteva venire qualcosa di buono da Nazareth?». È probabilmente da essi che deriva l’appellativo «galileo» caro a Giuliano l’apostata. Talvolta li chiamano «sadducei». Cfr. I.-M. RABBINOWICZ, Législation civile du Talmud, Paris, 1878, t. II, p. XXVII. Essi tendono ad isolarsi. «I vostri maestri, scrive s. GIUSTINO, non vi permettono di intrattenervi con noi», Dial., CXII.
- Contro il cristianesimo. ‒ I giudei combattono i dogmi del cristianesimo e l’esegesi dei suoi dottori. Sul terreno scritturale non sempre hanno torto. Ad es., parecchi passi della Bibbia, che s. Giustino rimprovera lor di aver soppresso, in realtà sono delle interpolazioni subite dal testo dei Settanta, Dial. LXXI-LXXIII, éd. G. ARCHANBAULT, Paris, 1909, t. I, pp. 344-355 (cfr. le note dell’editore). Non c’è da stupirsi che essi vedano nel cristianesimo un rivale più temibile del paganesimo. «Sarebbe meglio che tu filosofassi sulla filosofia di Platone o di qualche altro, esercitandoti alla forza, alla continenza o alla temperanza, piuttosto che lasciarti ingannare da dottrine fallaci e farti discepolo di uomini da nulla». Queste parole, che s. Giustino mette in bocca a Trifone, Dial. VIII, hanno un’eco sorprendente nelle parole del celebre Rabbi TARPHON, che forse fu il Trifone del Dialogo. Cfr. RENAN, Les Évangiles, Paris, 1877, p. 71.
Per i giudei il cristianesimo è il nemico. Questo si spiega. Nondimeno, quando si ricorda tutto ciò che il paganesimo ricopriva di errori e di vizi e quanto fosse opposto alle massime e alle dottrine giudaiche, non è facile capire perché l’abbiano preferito al cristianesimo.
Il colmo è raggiunto dalle villanie contro il Cristo.
Dopo la resurrezione di Gesù, i giudei inviarono ovunque dei messaggeri con delle lettere destinate ai giudei della diaspora dove si sosteneva che in Palestina era sorta una setta, che il suo creatore era un impostore della Galilea di nome Gesù, morto in croce, che nottetempo i suoi discepoli ne avevano sottratto il cadavere e ingannavano il mondo sostenendo che era stato resuscitato in cielo?
EUSEBIO, In Is., XVIII, I, afferma di averlo letto negli «scritti degli antichi». È possibile che alluda al Dialogo con il giudeo Trifone, XVII, CVIII, cfr. CXVII, dove s. GIUSTINO riporta la cosa. Si è pensato che «verosimilmente le parole di Giustino sono una supposizione suggerita da quanto i pontefici e i farisei avevano detto a Pilato, Mat., XXVII, 62-66», P. BATIFFOL, Revue biblique, Paris, 1906, II serie, t. III, p. 521. È difficile pronunciarsi su questo punto. In ogni caso, è indubbio il carattere apocrifo di tre di queste lettere che si pretendeva conservate dagli ebrei di Worms, Ulm e Ratisbona: cfr. TILLEMONT, Mémoires pour servir à l’histoire ecclésiastique, Paris, 1693, t. I, p. 155; BASNAGE, Histoire des Juifs, Rotterdam, 1706, t. IV, p. 1081; DE BOISSI, Dissertations critiques pour servir … de supplément à l’Histoire de M. Basnage, Paris, 1785, t. II, p. 5.
È possibile s. Giustino sia stato indotto in errore su un fatto antico. Ma la sua testimonianza è credibile quando parla dei giudei del II secolo. Egli li rappresenta «sghignazzanti» quando si nomina il Cristo e «che si lasciano andare a proteste rumorose», e questo si spiega, ma anche «indecenti», ciò che non è scusabile, Dial. VIII, IX. Ma v’è di peggio. I giudei maledicono il crocifisso, deridono le sue ferite, lo insultano, come insegnano loro i capi delle sinagoghe dopo la preghiera, Dial. CXXXVII, cfr. XXXV, XCV, CVIII, CXVII, CXXXVI. Essi si fanno un vanto di averlo ucciso; cfr. s. IPPOLITO o l’autore, chiunque sia, del frammento contro i giudei che gli è attribuito. Lo giudicano un mago; cfr. GIUSTINO, Dial., CXXXVII; Passio sancti Pionii, XIII. Scadono nelle accuse più grossolane. Affermano che è nato da un adulterio. Forse questa odiosa calunnia era già diffusa nei luoghi dove viveva s. Giovanni; cfr. T. CALMES, L’Évangile selon saint Jean, Paris, 1904, pp. 297-299. Celso ne aveva riportata l’eco e se ne era servito contro i cristiani; cfr. ORIGENE, C. Cels., I, XXVIII, XXXII, XXXIII, LXIX; II, V. Il testo di Origene che riassume Celso e dà per padre di Gesù τινος στρατιώτου Πανϑήρα, I, XXXII, «è fin troppo chiaro. L’intenzione era non solo di attaccare la nascita legittima di Gesù, ma anche di mettere in dubbio la sua nazionalità, dicendolo figlio di un soldato, dunque di un romano», Revue biblique, 2ᵃ serie, 1910, t. VII, p. 614, n. 3.
Bibl. ‒ Il giudeo-cristianesimo: J. Thomas, L’Église et les judaïsants à l’âge apostolique, in Mélanges d’histoire et de littérature religieuse, Paris, 1899, pp, 1-195; G. Kurth, L’Église et les Juifs, in L’Église aux tournants de l’histoire, II éd., Paris, 1905, pp. 14-34; G. Hoennicke, Das Judenchristum im ersten und zweiten Jahrhundert, Berlin, 1908 (con ampia bibliografia); A. de Boysson, La Loi et la foi. Étude sur saint Paul et les judaïsants, Paris, 1912; E. Monier, Les débuts de l’apologétique chrétienne. L’apologétique des apôtres avant saint Jean, Brignais, 1912,, pp. 83-151.
Gli atti e la polemica: G. Rösel, Juden und Christenverfolgungen bis zu den ersten Jahrhunderten des Mittelalters, Münster, 1893; E. Le Blant, La controverse des chrétiens et des Juifs aux premiers siècles de l’Église, in Mémoires de la société nationale des antiquaries de France, VI serie, Paris, 1898, t. VII, pp. 229-250; H. Leclercq, Les martyrs, Paris, 1905, t. IV, pp. XX-CVI; M.-J. Lagrange, Le messianisme chez les Juifs, Paris, 1909.
- Gli atti ‒ 1. Gli ebrei e lo Stato; ‒ 2. Gli ebrei e la Chiesa.
- Gli ebrei e lo Stato.
- Dal 313 al 1100. ‒ Dopo il trionfo della Chiesa, la condizione degli ebrei di fronte ai cristiani era mutata. Era chiaro che le loro malefatte sarebbero state punite, e così fu. A sua volta la repressione eccitò pensieri di rivalsa e condusse più d’una volta gli ebrei a nuovi eccessi. Relazioni impostate in questo modo difficilmente potevano migliorare.
A rovinare le cose è il ruolo antinazionale giuocato dagli ebrei e quello che si attribuisce loro. Nello Stato che li ospita essi sono accusati di formare uno Stato distinto e spesso nemico.
In Palestina mal sopportano i Romani che sono venuti a stabilirsi da loro. Questo è naturale, come è naturale che le loro rivolte indispongano gli imperatori. In particolare, Eraclio prova irritazione quando i Persiani si impadroniscono con il loro aiuto di Gerusalemme e della Giudea (614). In Spagna essi tramano una congiura di concerto con gli ebrei d’Africa, per aprire agli Arabi le porte della penisola (694); pochi anni dopo si alleano con gli Arabi che invadono e conquistano la Spagna (711) e, nell’852, consegnano Barcellona.
In Francia accusano s. Cesario di voler consegnare ai Franchi e ai Burgundi la città di Arles posseduta allora dai Visigoti, ed è un ebreo che, da parte dei suoi correligionari, si offre agli assedianti per introdurli nel luogo (507). A Tolosa fino al XII secolo rimase in vigore l’uso della «colafizzazione» [dal latino colaphus = schiaffo]: il venerdi santo il sindaco della comunità ebraica riceveva un ceffone, sotto gli occhi del conte, come punizione per un tradimento commesso dagli ebrei a favore dei musulmani. I particolari forniti al riguardo dalla Vita tarda di s. Teodardo, Acta sanctorum, III ediz., Paris, 1866, maii, t. I, pp. 145-149, sono leggendari; l’origine della «colafizzazione» sembra certa: la stessa usanza esisteva a Béziers, senza dubbio per lo stesso motivo. Nell’845 la città di Bordeaux fu consegnata dagli ebrei ai Normanni. Nel 1009, quando si venne a sapere che i musulmani avevano distrutto Gerusalemme, il clamore popolare imputò questa distruzione agli ebrei, colpevoli di aver eccitato il califfo Hakem contro i cristiani: il papa SERGIO IV, nell’enciclica indirizzata a tutta la cristianità dopo questa catastrofe (l’autenticità è dubbia), attribuisce questo atto impiis paganorum manibus, senza alcuna allusione agli ebrei. Cfr. J. LAIR, in Bibliothèque de l’école des chartes, IV serie, Paris, 1857, t. III, p. 250.
- Dal 1100 al 1500. ‒ L’accusa di venire ipocritamente a patti con i Saraceni ricomparve nel corso delle crociate. Alla fine del XIII secolo essi si sarebbero intesi con i Mongoli contro i cristiani d’Ungheria. Li si accusa, assieme ai lebbrosi, di aver avvelenato le fontane durante le grandi pesti dell’inizio del XIV secolo, e ordito, in Spagna, un complotto a favore del re di Granada e del sultano di Tunisi. Si possiede una lettera che essi avrebbero scritta al «principe dei Saraceni signore dell’Oriente e della Palestina» e quelle che avrebbero ricevuto da Tunisi e da Granada. Si possiede altresì una lettera dei «più grandi rabbini e satrapi della legge ebraica» che nel 1489, da Costantinopoli, traccia un programma di confisca con tutti mezzi dei beni, della vita e delle coscienze dei fedeli; essa è stata pubblicata da J. DE MEDRANO, La Silva curiosa, Paris, 1583, e da J. BOUIS, La royalle couronne des roys d’Arles, Avignon, 1641. L’autenticità di questi documenti è stata giudicata più che sospetta. L’esemplare indirizzato agli ebrei di Arles è apocrifo; quello indirizzato agli ebrei di Spagna sembra una fabbricazione spagnola del XVI sec., il cui scopo sarebbe stato di aggravare il rigore delle misure prese contro i marrani dopo l’espulsione del 1492, a meno che non sia più semplicemente un «pastiche agréablement tourné». Cfr. A. MOREL-FATIO, Les lettres des Juifs d’Arles et de Constantinople, in Revue des études juives, 1880, t. I, pp. 301-304.
Ciò che invece è certo è che, in questa Spagna dove l’unità nazionale si formò lentamente, attraverso tanti ostacoli, con una lotta infinita contro l’islamismo, gli ebrei troppo spesso fecero causa comune col nemico. Altrove e, più o meno, ovunque furono numerosi, gli ebrei esercitarono un’usura oppressiva. Per il momento basti menzionare la causa di questi motivi di risentimento
- Dal 1500 ai giorni nostri. ‒ L’usura ha continuato a rendere gli ebrei impopolari. Qua e là è stata ripetuta l’accusa di aver tradito dei cristiani a profitto dei turchi. In Spagna gli ebrei sono stati un principio di decomposizione nazionale; H. GRAETZ lo riconosce quando parla, trad., t. V, p. 229, di quegli pseudo-convertiti o marrani che, sotto la maschera cristiana, «hanno conservato nel loro cuore, con cura gelosa, la fiamma sacra della religione paterna ed hanno minato le fondamenta della potente monarchia cattolica». L’antisemitismo di questi ultimi anni ha denunciato gli ebrei come un pericolo nazionale per gli Stati dove si sono insediati.
- Gli ebrei e la Chiesa
Nel corso dei secoli gli ebrei appaiono ciò che sono stati fin dall’inizio: i nemici implacabili dei discepoli del Cristo.
- Dal 313 al 1100. ‒ Gli ebrei attentano alla vita dei cristiani e concorrono alle persecuzioni fin dalla loro ripresa. «Un tempo pagani ed ebrei hanno lottato gli uni contro gli altri, dirà s. BASILIO, Contra Sabell., Hom., XXIV, I; ora gli uni e gli altri lottano contro il cristianesimo». In Palestina il conte Giuseppe per poco non perisce a causa delle brutalità degli ebrei che l’hanno sorpreso a leggere il Vangelo. Essi collaborano gioiosamente con Giuliano l’apostata. Giuliano, che li disprezza, ansioso di guadagnarne i favori, si raccomanda alle loro preghiere poiché, come osserva SOZOMENO, H. E., V, XXII, egli conosceva la loro implacabile ostilità verso i cristiani. Cfr. s. GREGORIO NAZIANZENO, Orat. IIᵃ contra Julian, III; SOCRATE, H. E., III, XVII.
Si conosce l’esito pietoso del tentativo di ricostruzione del tempio di Gerusalemme deciso per smentire le profezie. Se non altro gli ebrei usarono le peggiori violenze contro i fedeli e bruciarono le chiese. In Persia la persecuzione di Sapor è fomentata dagli ebrei, «questi perpetui nemici dei cristiani, che si ritrovano sempre nei tempi tempestosi, costanti nel loro odio implacabile e che non arretrano davanti a nessuna accusa calunniosa», dicono gli atti di s. Simeone-bar-Sabae, patriarca di Seleucia († 341), scritti da MARUTA, vescovo di Maiferkat, che visse alla fine del IV sec. Gli atti di santa Tarbo e di sua sorella riferiscono che, essendosi ammalata la regina di Persia, gli ebrei, questi «eterni nemici della croce», la persuasero che le due cristiane, per vendicare la morte del loro fratello Simeone, avevano procurato questa malattia con le loro ricette magiche.
Infine, essi contribuirono alla distruzione delle chiese. A Singara, oggi Sindjar, vicino Mossul, nel 390 il piccolo Abdul’l Masich, che si era convertito, fu sgozzato dal padre. Nel 415, a Immestar (Siria), gli ebrei crocifiggono un bambino cristiano; questo portò a scontri sanguinosi. Nel 524, nel regno degli Himiariti (Homeriti), il re Dhu-Nowas, ebreo di religione, scatenò una persecuzione omicida. Gli autori di questa persecuzione sono proprio gli ebrei, e non degli ariani; cfr. la bibliografia in Dom H. LECLERCQ, Les martyrs, Paris, 1905, t. IV, p. CIII. Un giorno, nel 608, ad Antiochia, gli ebrei piombarono sui cristiani, «ne uccisero un gran numero e ne bruciarono i cadaveri. Essi si accanirono, dice GRAETZ, trad., t. III, p. 258, contro il patriarca Anastasio [II], detto il Sinaita, gli inflissero i più crudeli maltrattamenti e lo trascinarono lungo le strade prima di dargli la morte». S. Anastasio viene celebrato il 21 dicembre e il suo nome è iscritto nel martirologio romano.
Nella Palestina, caduta nelle mani dei Persiani (614), gli ebrei massacrano i cristiani a migliaia, incendiano le chiese e i conventi. Quando l’imperatore Eraclio ha riconquistato la Palestina, egli interroga Beniamino di Tiberiade, l’organizzatore del movimento, circa la causa di tanto furore contro i cristiani, e questi risponde: «Perché sono nemici della mia fede».
Alcuni testi di valore scarso o nullo indicano comunque l’impressione prodotta dai comportamenti abituali degli ebrei. È il caso della leggenda del bambino ebreo che ricevette l’eucarestia assieme a dei bambini cristiani e che, gettato dal padre vetraio in una fornace, fu rispettato dalle fiamme. E. WOLTER, Die Legende von Judenknaben, dissertatio inauguralis, Halle, 1879, cita trenta testi greci, latini, francesi, spagnoli, tedeschi, arabi ed etiopi, che contengono questo racconto. Egualmente leggendari sono gli atti di s. Manzio, schiavo degli ebrei in Portogallo, ucciso in odio della fede nel V o VI secolo e celebrato il 21 maggio. Cfr. Acta sanctorum, III éd., Paris, 1865, maii, t. V, pp. 31-36. Sul monaco Eustrazio, venduto ad un ebreo della Chersonèse e che, non volendo apostatare, fu crocifisso dal suo padrone nel 1010 (egli viene celebrato il 20 marzo), cfr. J. MARTINOV, Annus eccles. graeco-slavus, in Acta sanctorum, Paris, 1864, ott., t. XI, p. 99.
Senza arrivare all’effusione del sangue, gli ebrei hanno svariati modi di tormentare i cristiani. Essi maltrattano gli ebrei che hanno abbracciato il cristianesimo; danno man forte ai nemici della fede ortodossa. Tra arianesimo e giudaismo vi erano idee comuni e, secondo s. BASILIO, De Spititu Sancto, XXIX, 77, molti, stanchi delle sottigliezze dell’arianesimo e ispirandosi ai loro principî, fecero ritorno alla Sinagoga. Ma bastò che l’arianesimo battesse in breccia la Chiesa per assicuragli le simpatie degli ebrei. Bisogna leggere l’Apologia contra arianos di s. ATANASIO per rendersi conto fin dove arrivarono gli ebrei insieme ai pagani, questi altri alleati dell’arianesimo.
Le invasioni barbariche hanno moltiplicato le guerre e condotto, specialmente nelle Gallie, ad una recrudescenza della schiavitù. Gli ebrei comprano gli schiavi cristiani, che rivendono a stranieri, pagani o musulmani. Cfr. P. ALLARD, art. Esclavage, t. I, coll. 1487-1488. Agobardo, De insolentia Judaeorum, VI, parla di un bambino rapito dagli ebrei e venduto in Spagna. Gli ebrei gravano con il loro odio sul popolino che è facile opprimere. La legislazione imperiale si propone di rimediare al male. Le leggi emanate contro gli ebrei non lo sono a caso, non sono leggi contro crimini chimerici; gli eccessi di cui si tratta sono probabili, perché sono già esistiti. Ne è rivelatore, ad es., questo passo di una costituzione di Teodosio II, che proibisce agli ebrei di accedere alle funzioni pubbliche: nec carcerali praesint custodiae ne christiani, ut fieri solet, nonnunquam obtrusi custodum odiis alterum carcerem patiantur!
- Dal 1100 al 1789. ‒ Nella misura in cui il cristianesimo estende il suo impero, le malefatte degli ebrei si fanno più rare; non è troppo prudente arrischiarvisi. Ma l’odio giudaico non disarma totalmente. Depone ergo magnitudinem odii et iracundiae, dice RUPERT de Deutz, Annalus sive dialogus inter christianum et judaeum, 1, II, P.L., t. CLXX, col. 588, all’ebreo del XII secolo. Là dove, con la protezione interessata dei re e a dispetto dei canoni dei concili, gli ebrei arrivano a dominare la situazione, la loro tracotanza non conosce limiti. Molti re di Castiglia affidarono ad ebrei la riscossione delle imposte ed ebbero degli ebrei come tesorieri o ministri delle finanze. Secondo T. REINACH, Histoires des Israélites, pp. 169-170, se alcuni di questi personaggi «impiegarono nobilmente le loro ricchezze, altri eccitarono l’invidia ostentando un fasto scioccante e misero la loro influenza al servizio dell’intolleranza dei rabbini». Vedremo in dettaglio la legislazione della Chiesa per impedir loro di nuocere; essa si sforza di prevenire ogni genere di abusi, fino all’attentare alla vita dei fedeli. Cfr. INNOCENZO III, Epist., VII, CLXXXVI, P.L., t. CCXV, col. 503. Judaei … nos admodum inquietant, dice EBERARDO di Béthune, Antihaeresis, LXXVII, Bibliotheca Patrum, 4ᵃ éd., Paris, 1624, t. IV/1, col. 1179.
Essi partecipano al complotto che culmina nell’assassinio di s. Pietro Arbues, grande inquisitore d’Aragona (1485). Intimoriscono i loro correligionari passati al cristianesimo e tendono loro delle imboscate. Il curiosissimo opuscolo De sua conversione di Giuda di Colonia, divenuto, dopo il battesimo, il premostratense HERMANN, ne offre un esempio caratteristico, X, XIV, XIX. Essi non riuscirono a sbarazzarsi di Hermann; secondo testimonianze che appaiono meno certe, non sempre avrebbero fallito in questa impresa. La questione dell’omicidio rituale sarà esaminata più in là.
- Dal 1789 ai giorni nostri.
- La giudeo-massoneria. ‒ I tempi «nuovi» hanno permesso agli ebrei di riprendere, in condizioni più propizie, la loro ostilità verso i cristiani. Si è sostenuto che essi sarebbero stati, tramite la frammassoneria, i principali operai della Rivoluzione francese; il lavoro di demolizione da essa compiuto sarebbe il punto d’approdo di una cospirazione secolare, ordita da sette che si sono fuse nella massoneria e che avrebbero avuto gli ebrei per ispiratori e per capi. A. BARRUEL, Mémoires pour servir à l’histoire du jacobinisme, Londres, 1796, è stato il primo ad esporre questa idea, aprendo la strada ad una legione di scrittori, fra i quali basterà citare J. CRÉTINEAU-JOLY, L’Église romaine en face de la Révolution, Paris, 1863; DESCHAMPS, Les sociétés secrètes et la société, éd. C. JANNET, Paris, 1883.
Ma v’è di più: si è detto che «presso gli ebrei, dalla loro dispersione fino ai giorni nostri, è sempre esistito un centro di comando e direttivo; che questa direzione si trova nelle mani di principi occulti, la cui successione si perpetua regolarmente, e che in tal modo la nazione ebraica è stata sempre guidata come un’immensa società segreta che a sua volta dà impulso alle altre società segrete». Abbozzata parzialmente da GOUGENOT DES MOUSSEAUX, Le Juif, le judaïsme et la judaïsation des peuples chrétiens, pp. XXXVI, 336-337, questa tesi è stata sviluppata da E.-A. CHABAUTY, Les Juifs nos maîtres, Paris, 1882 e dopo di lui da E. DRUMONT, La France juive e da COPIN-ALBANCELLI, Le drame maçonnique. La conjuration juive contre le monde chrétien, XII éd., Paris, 1909.
Sotto quest’ultima forma, la tesi manca d’una base storica solida. «Non è credibile che dei principi possano aver comandato e diretto tutto il corpo della nazione dispersa e che possa essersi perpetuata una successione regolare, benché occulta. Il titolo di principi della cattività preso, dopo la dispersione, dai capi degli ebrei in Oriente … è stato più fittizio che reale, e assolutamente nullo come centro di autorità su tutti gli ebrei della dispersione». L. LÉMANN, L’entrée des Israélites dans la société française et les Etats chrétiens, VI éd., Paris, 1886, p. 342.
Fino al XVIII secolo tra il giudaismo e le società segrete «non si ebbe alleanza propriamente detta, ma vi furono soltanto delle affinità» derivanti dall’odio e «da legami confusi o passeggeri, da imprestiti che alcune società segrete avevano tratto dalla cabala», p. 344. È esatto invece che nel XVIII secolo le varie società segrete si concentrarono nella frammassoneria e in larga misura ebbero una parte nelle agitazioni della Rivoluzione francese; ciò che è provato, in modo quasi sicuro, è l’ammissione ufficiale del giudaismo nella frammassoneria al convento di Willemsbad (1781). Cfr. LÉMANN, pp. 351-353.
- Gli ebrei e l’anticristianesimo rivoluzionario. ‒ Durante la Rivoluzione francese gli ebrei, sebbene il loro numero fosse esiguo, giuocarono un ruolo notevole. Furono tra quelli che organizzarono il saccheggio delle chiese e dei beni degli emigrati. Nel XIX secolo coi loro sforzi hanno assecondato questa stessa Rivoluzione, che da francese stava diventando europea. Essi vi erano interessati direttamente; lavorando per essa, preparavano la loro emancipazione inaugurata in Francia e che nella sua marcia doveva seguire la fortuna dei principî del 1789. «I loro banchieri, i loro industriali, i loro poeti, i loro scrittori, i loro tribuni, uniti peraltro da idee molto differenti, concorsero allo stesso scopo … In questa agitazione universale che scosse l’Europa fino a dopo il 1848 … gli ebrei furono tra i più attivi e instancabili propagandisti. Li si trova mescolati nel movimento della giovane Germania; essi furono numerosi nelle società segrete che formarono l’esercito rivoluzionario, nelle logge massoniche, nei gruppi della carboneria, nell’Alta vendita romana, ovunque, in Francia, in Germania, in Svizzera, in Austria, in Italia», B. LAZARE, L’antisémitisme, pp. 342-343.
Non tutto però fu cattivo in questo movimento per la libertà. Le lotta condotta dall’ebreo Daniele Manin per strappare Venezia all’Austria e quella guidata dall’ebreo Lubliner in Polonia, ad es., erano legittime. Ma se lo scopo perseguito era lodevole, i mezzi non sempre lo furono; apparvero elementi torbidi e perversi che rovinarono le migliori cause. E troppo spesso le grandi parole che la Rivoluzione aveva iscritto nel suo programma servirono semplicemente a celare la guerra al cristianesimo.
Non tutte le misure repressive contro i cattolici sono dovute all’iniziativa degli ebrei; più d’una volta alcuni ebrei le hanno provocate e sono rari gli ebrei che non le abbiano applaudite. B. LAZARE lo riconosce apertamente, p. 360: «Certamente l’ebreo è stato anticlericale; egli ha spinto al Kulturkampf in Germania, ha approvato le leggi Ferry in Francia … Da questo punto di vista, è giusto dire che gli ebrei liberali hanno scristianizzato, o almeno sono stati alleati di coloro che spinsero alla scristianizzazione». Cfr. G. VALBERT (CHERBULIEZ), La question des Juifs en Allemagne, in Revue des Deux Mondes, 1er mars 1880, p. 213. B. Lazare scriveva nel 1894; in tutti gli episodi della persecuzione che è seguita e che, ahimè, continua, si ritrovano gli ebrei. L’affare Dreyfus è troppo vicino a noi perché si possano appurare le sue ripercussioni sulla politica antireligiosa.
- LEROY-BEAULIEU, così benevolo verso gli ebrei, confessa, Les doctrines de haine, Paris, 1902, p. 88, che «si tratta di un motivo di risentimento serio, al quale non restano insensibili né il cristiano che ha il desiderio di conservare la fede cristiana, né la politica che crede che un popolo non saprebbe vivere senza speranze religiose. Fra tutti i motivi di risentimento agitati oggi dall’antisemitismo, questo è tra quelli che gli ebrei avrebbero più interesse ad eliminare, poiché è uno di quelli che valgono loro più avversione e diffidenza, perfino tra le persone meno ostili. Gli ebrei che non riescono a comprenderlo, quelli che per respingere le aggressioni degli antisemiti si fanno propagandisti dell’anticlericalismo, sono su una cattiva strada e forniscono alimenti e argomenti all’antisemitismo».
Bibl. ‒ G. Bartolocci, Bibliotheca magna rabbinica, Roma, 1683, t. III, pp. 699-731; L. Rupert, L’Église et la Synagogue, Paris, 1859, pp. 92-264 (le liste dei fatti stilata da Bartolocci e Rupert sono poco critiche); le opere citate in precedenza.
III. La polemica anticristiana. 1. Gli scritti. ‒ 2. L’apologetica giudaica. ‒ 3. Le conversioni. ‒ 4. Gli attacchi contro il cristianesimo e il tono della polemica.
- Gli scritti
- Dal 313 al 1100. ‒ Tratteremo più in là delle controversie orali tra gli ebrei e i cristiani, nonché del Talmud, la cui redazione fu terminata nel VI secolo. La polemica anticristiana scritta ha per autori sia ebrei di nascita che cristiani passati al giudaismo. Tra questi ultimi citiamo un vescovo d’Asia o di Siria, se ammettiamo l’autenticità di una lettera pubblicata in arabo da SCHLOSBERG, Vienna, 1880, e in una libera traduzione con il titolo: Controverse d’un évêque, lettre adressée à un de ses collègues vers l’an 514, Versailles, 1888.
BODON, diacono del palazzo di Luigi il Pio, divenuto ebreo e stabilitosi tra i Saraceni a Saragozza, dove sposò un’ebrea (839), scambiò una corrispondenza con Paolo di Cordoba: noi possediamo alcuni frammenti di tre delle sue lettere, P. L., t. CXXI, coll. 483, 491-492, 512-513. VECELINUS, cappellano del duca Corrado, anch’egli passato al giudaismo (1005), pubblicò una lettera per giustificare la sua diserzione. Cfr. ALBERTO, monaco di Saint-Symphorien di Metz, De diversitate temporum, II, XXIV, P. L., t. CXL, col. 485. Tra gli ebrei di nascita, la polemica scritta è quasi tutta nei commentari della Bibbia. SAADIA BEN JOSEPH, gaon di Sora, nel suo Trattato delle credenze e delle opinioni (934) combatte contemporaneamente lo scetticismo ebraico, gli argomenti invocati contro il giudaismo dai cristiani e i musulmani.
Il Kozri, pubblicato in arabo dal poeta ebreo spagnolo JUDA HALEVI (†1146), e subito dopo in ebraico da JUDA BEN TIBBON e in latino da J. BUXTORF figlio, Basilea, 1660, è concepito come una discussione che ebbe luogo davanti a Boulan, re dei Kazari, probabilmente nell’VIII secolo; Isaac Sangari avrebbe perorato così bene la causa ebraica contro un ecclesiastico bizantino e un dottore musulmano che Boulan e, tramite lui, i Kazari, avrebbero adottato il giudaismo. In realtà, il Kozri è stato inventato di sana pianta da Halevi e l’esistenza di questo regno ebraico dei Kazari è dubbia.
Il prodotto più significativo della polemica anticristiana fu l’opuscolo intitolato Toledot Jesu o Vita di Gesù, pubblicato per la prima volta da J.-C. WAGENSEIL in Tela ignea Satanae, Altdorf, 1681, t. II. Esso non è stato composto nel I secolo, né nel IV, e forse neppure anteriormente al IX. I. LOEB, Revue de l’histoire des religions, Paris, 1888, t. XVII, p. 317, afferma che «Agobardo lo conosce certamente», ma questo non è sicuro. AGOBARDO, De judaicis superstitionibus, IX-X, e dopo di lui AMOLONE, Contra Judaeos, X, XXXIX, XL, riportano diverse abomini che si leggono nelle Toledot Jesu, ma non letteralmente, e si riferiscono a fonti orali, non ad uno scritto: Agobardo, IX, dice di riportare ciò che conosce benissimo, qui quotidie pene cum eis loquentes mysteria erroris ipsorum audimus. Sembra che le Toledot Jesu siano una raccolta di racconti tradizionali. I. LOEB, loc. cit., n. 2, indica almeno quattro redazioni con delle varianti; una di esse è una traduzione francese dell’inizio del XV secolo. La redazione in ebraico, che è la più antica, forse risale all’XI secolo.
- Dal 1100 al 1500. ‒ Il periodo glorioso della letteratura ebraica va da HASDAI IBN SCHAPROUT (915-970), tesoriere e medico del califfo Abd-er-Rahman III di Cordoba, passando per SALOMON IBN GABIROL, l’AVICEBRON degli scolastici (1020-1071), e per il poeta JUDA HALEVI (1086-1146), a MOISE BEN MAIMON, o MAIMONIDE (1135-1204); in Francia brilla il grande nome di R. SALOMON ISAKI, più noto sotto l’abbreviazione di RASHI (1040-1105), che fonda la scuola di Troyes. Gli ebrei influirono sulla scolastica con le loro traduzioni e con gli scritti di Avicebron e Maimonide, cfr. L.-G. LÉVY, Maïmonide, Paris, 1911, pp. 261-269 e sui lavori scritturali dei cristiani, ad es. sulla copia della Vulgata che nel 1109 fece fare l’ab. Stefano di Citeaux, cfr. D. KAUFMANN, Revue des études juives, Paris, 1889, t. XVIII, pp. 131-133. Benché esagerata, questa formula di RENAN, Histoire littéraire de la France, Paris, 1877, t. XXVII, p. 434: «Rashi e i tosafisti fecero Nicola da Lira; Nicola da Lira fece Lutero», contiene una parte di verità. In modo più diretto, per la polemica anticristiana gli ebrei utilizzarono i loro commentari della Bibbia. A. NEUBAUER ha pubblicato un grosso volume di polemiche ebraiche sul cap. LIII di Isaia, The fifty third chapter of Isaiah, Oxford, 1876, e FRAIDL un altro sulle settimane di Daniele, Die Exegese der siebzig Wochen Daniels in der alten und mittleren Zeit, Graz, 1883.
Uno dei commentatori più ostili al cristianesimo fu ISAAC BEN JUDA ABRAVANEL (†1508), soprattutto nei suoi commentari su Daniele. Fra i rabbini francesi del nord, JOSEPH KARA e SAMUEL BEN MEIR, nella prima metà del XII secolo, e JOSEPH BECHOR SCHOR, alla fine del XII secolo e all’inizio del XIII, riprendono gli argomenti dei polemisti cristiani.
Al di fuori degli esegeti, JUDA HALEVI (†1146), oltre al Kosri già citato, scrive i Sionidi, il capolavoro della poesia neo-ebraica, dove espone le sue idee sul valore comparativo delle religioni ebraica, cristiana e musulmana. Anche MAIMONIDE si esprime, più o meno apertamente, sul cristianesimo, in particolare nei capitoli della Guida degli smarriti e in quelli del Mishneh Torah che dedica alla profezia , e nella Epistola allo Yemen sulla religione di Israele e sul messianesimo.
I primi trattati di polemica scritti da ebrei apparvero nel meridione della Francia, verso la metà del XII secolo; sono il Libro dell’alleanza, in forma di dialogo, di JOSEPH BEN ISAAC KIMHI, giunto dalla Spagna e che prese dimora a Narbonne (autenticità discutibile); la Guerra del Signore, anch’essa in forma di dialogo, di JACOB BEN RUBEN, composta nel 1170. Seguono, sempre nel meridione della Francia, nel XIII secolo, la Guerra santa di MEIR BEN SIMON; l’ Insegnamento dei discepoli o Pungolo degli studenti di R. JACOB figlio di ABBA MARI figlio di SIMSON figlio di ANATOLIO, indicato nei manoscritti con il nome di JACOB ANATOLI o ANATOLIO; il Confermatore della fede di MARDOCHEO BEN JEHOSAFA (o BEN JOSEPH, se si tratta della stessa persona); nel XIV sec. lo scritto di Mosè di Narbonne contro Alfonso di Valladolid e, nel XV sec., la Confutazione dell’ingannatore (Gerolamo di Santa Fe) ed una Concordanza della Bibbia, che indica il senso delle parole e dei versetti e mira a permettere ad ogni ebreo di rispondere alle obiezioni dei cristiani, di ISAAC NATHAN BEN KALONYMOS di Provenza.
Nel nord della Francia, R. YEHIEL di Parigi pubblicò una redazione della sua controversia con l’ebreo convertito Nicolas Donin (in parte stampata da WAGENSEIL, Tela ignea Satanae e integralmente con il titolo Vikkuah Rabbenu Yehiel mi-Paris o Controversia di Rabbi Yehiel di Parigi, Thorn, 1873); verso la fine del XIII sec., JOSEPH L’OFFICIAL o LO ZELATORE redasse le Risposte agli infedeli, raccolta di controversie sostenute da alcuni rabbini francesi contro i cattolici. Quest’opera deve essere servita da modello al Nizzachon (controversia o vittoria) vetus, pubblicato da Wagenseil. Il Nizzachon di LIPMAN di Muhlhausen, redatto in Germania dopo il 1399, ne è una forma modificata ed ampliata.
La polemica anticristiana fiorisce soprattutto in Spagna. R. MOISE BEN NAHMAN o NAHMANIDE, di Gerona, sostenne una disputa orale con l’ebreo convertito PABLO CHRISTIANI (1263) e ne pubblicò un resoconto (edito in latino da Wagenseil) dove naturalmente si attribuiva la vittoria. SALOMON BEN ANDRET di Barcellona († 1310) forse prende di mira, in certe parti della sua polemica, Pablo Christiani. MOISE COHEN di Tordesillas, rabbino di Avila, nel Sostegno della fede (1374), e SEMTOB BEN ISAAC SAPRUT di Toledo nella sua Pietra di paragone, si ispirano a Jacob ben Ruben. Contro l’ebreo convertito Alfonso di Valladolid ISAAC PULGAR scrive, verso il 1336, la Lettera delle blasfemie. Attorno al 1396 HASDAI CRESCAS difende il giudaismo nella Rovina dei principî cristiani; l’originale spagnolo è scomparso, ma disponiamo della traduzione ebraica di JOSEPH IBN SCHEMTOB. Le Obiezioni contro la religione di Gesù dello stesso Schemtob († 1460) sono d’uno stile mordace. ISAAC BEN MOISE, meglio noto col nome di PROFIAT DURAN e di EFODI, battezzato (1391), poi ritornato al giudaismo, lanciò una satira virulenta contro gli ebrei battezzati; sua probabilmente è la Confusione delle nazioni. Dopo la conversione di PABLO DI SANTAMARIA di Burgos, che prima si chiamava SALOMON HALEVI (1391), uno dei suoi discepoli, JOSUÈ BEN JOSEPH DE LORCA, gli scrisse una lettera in cui, col pretesto di esporre semplicemente i propri dubbi, attaccò i dogmi cristiani. Ci si è chiesto se questo personaggio debba essere identificato con Josuè Lorca, che abbracciò il cristianesimo, prese il nome di GEROLAMO DI SANTA FE, difese contro i rabbini la causa cattolica nel colloquio di Tortosa (1413-1414) e pubblicò il Tractatus contra perfidiam Judaeorum, di cui parleremo più in là. La questione è ancora aperta. Due dei campioni del giudaismo di Tortosa pubblicarono l’uno, VIDAL BENVENISTE IBN LABI, il Santo dei santi contro Gerolamo di Santa Fe, e l’altro, JOSEPH ALBO, una controversia (in lingua spagnola) sostenuta contro un alto dignitario ecclesiastico, e i famosi Fondamenti o Principî, dove la polemica ricompare in una forma meno accentuata. HAYM BEN JUDA IBN MUSA († verso il 1450) scrisse Scudo e lancia contro Nicola da Lira. Un altro ebreo originario della Spagna, ma che era andato a stabilirsi in Algeria dopo il 1371, SIMON BEN CEMAH DURAN, aveva scritto Arco e scudo, e suo figlio SALOMON DURAN la Guerra della fede (contro Gerolamo di Santa Fe).
In Italia, due polemisti meritano una menzione: SALOMON BEN MOISE BEN JEKUTHIEL di Roma e MOISE BEN SALOMON di Salerno (fine del XIII sec.).
Restano gli scritti che attaccano la fede cristiana o indirettamente, per il modo in cui le credenze ebraiche sono esposte, oppure per allusioni dirette e frammenti di polemiche: si tratta di alcuni midrashim, ad es. lo Zohar, il più celebre dei libri cabalistici, edito da MOISE DE LEON († 1305) come opera del dottore tannaita Simeon ben Yokhai (fine del II sec.), ma probabilmente composto dallo stesso Moise con elementi diversi per data ed origine. E vi sono, assieme al Talmud, delle opere che vennero, bene o male, a conoscenza dei cristiani. BENEDETTO XIII (Pietro de Luna) condannò il Talmud e, al tempo stesso, libellum illum qui apud eos Mar Mar Jesu nominatur, quique in contumeliam Redemptoris nostri affirmatur compositus, et quemcumque librum, breviarium seu scripturam, maledictionem, vituperia seu contumelias contra Salvatorem nostrum Christum Jesum, sacratissimam Verginem ejus matrem, aliquem sanctorum, seu contra fidem catholicam, ecclesiastica sacramenta, sacra vasa, libros vel alia ecclesiastica ornamenta seu ministeria, aut contra christianos quoslibet continentes, bolla Etsi doctoris gentium (3 maggio 1415), in BARTOLOCCI, Bibliotheca magna rabbinica, t. III, p. 734. Infine le Toledot Jesu hanno una diffusione scandalosa.
- Dal 1500 al 1789. ‒ I. LOEB, Revue de l’histoire des religions, Paris, 1888, t. XVIII, p. 155, menziona tra i polemisti ebrei «più notevoli di questo periodo ISAAC OROBIO DE CASTRO, SAUL LEVI MORTERA, ELIA MONTALTO, ABRAHAM GER, e l’autore del Danielillo», edito a Bruxelles nel 1868, e ricollega a questi scritti le apologie di ABOAB e SAMUEL USQUE. Aggiungiamo SALOMON IBN VERGA, che termina la Verga di Giacobbe all’inizio del XVI sec., e il caraita ISAAC BEN ABRAHAM TROKI († verso il 1594), originario di Trok, presso Vilna, autore del Consolidamento della fede, libro poco originale, i cui argomenti sono tratti da scrittori giudeo-spagnoli, ma che è stato tradotto in spagnolo, latino, tedesco e francese; riprodotto da WAGENSEIL in Tela ignea Satanae, fu confutato da questi e da vari controversisti cristiani. S. KRAUSS, Revue des études juives, Paris, 1904, t. XLVII, pp. 82-93, ha studiato un’opera satirica di JONA RAPA, vissuto a Casale verso la metà del XVI sec. J. BERGMANN, Revue des études juives, Paris, 1900, t. XL, pp. 188-205, ha fatto conoscere due polemisti italiani, ELIA DA GENAZZANO (ultimo quarto del XV sec.) e un anonimo (1617). Nel XVIII sec. polemizzano DAVID NIETO († 1728), nato a Venezia, rabbino di Londra; JUDA LEON BRIELI († verso il 1722), rabbino di Mantova, e MOISE MENDELSSOHN († 1786), gloria del giudaismo moderno che, provocato maldestramente da Lavater a confutare alcuni argomenti a favore del cristianesimo o a diventare cristiano, difese «la religione disprezzata degli ebrei» e dichiarò che considerava il cristianesimo un errore.
Vi furono due scrittori d’origine ebraica che combatterono il cristianesimo, ma non a profitto di Israele: URIEL DA COSTA e SPINOZA. URIEL DA COSTA, discendente di marrani, venne ad Amsterdam, dove aderì al giudaismo, attaccò il rabbinismo e, due volte scomunicato, scaricò una pistola su un parente che credeva l’istigatore della persecuzione di cui era vittima, e poi si diede la morte (1640); lasciò una autobiografia intitolata Exemplar Humanae Vitae, che era un’accesa diatriba contro gli ebrei e contro ogni religione rivelata. BARUCH SPINOZA, anch’egli scomunicato dalla sinagoga di Amsterdam (1656), cfr. T. DE WYZEWA, La jeunesse de Spinoza, in Revue des Deux Mondes, 15 marzo 1911, pp. 449-460, si distaccò dal giudaismo esteriormente, ma nel profondo del suo animo restò ebreo. Il pensiero di Spinoza era radicato nello stesso giudaismo, soprattutto nella cabala, ancor più che nella filosofia cartesiana; non bisogna esitare a riconoscere che certi principî dell’Etica costituiscono «un atto di ostilità formale contro il cristianesimo, una sfida lanciata da un ribelle ebreo al XVII secolo credente», e che Spinoza risolve «in senso ebraico i grandi problemi che l’uomo da sempre si pone», M. MURET, L’esprit juif, II éd., Paris, 1901, pp. 86, 92.
Per apprezzare «il ruolo ideologico dell’ebreo» a partire dal XVI sec., non bisognerebbe considerare quanto lo scetticismo, la sua relativa incredulità, nonché la sua influenza sui destini dell’anticlericalismo di quel «mezzo ebreo» di MONTAIGNE ‒ sua madre, Antonietta di Louppes o Lopez, apparteneva a una famiglia di marrani di Bordeaux ‒ debba all’eredità ebraica? Cfr. B. LAZARE, L’Antisémitisme, p. 336; E. DRUMONT, La France juive, t. I, pp. 225-226.
Infine, nel XVII sec., i WAGENSEIL, i BARTOLOCCI, i WOLF etc. studiarono tutti questi vecchi libri di polemica ebraica «che attaccavano la Trinità, l’Incarnazione, tutti i dogmi e simboli, con l’asprezza ebraica e la sottigliezza che possedevano questi incomparabili logici plasmati dal Talmud. Non solo essi pubblicarono i trattati dogmatici e critici, i vari Nizzachon e Chizuh Emuna [Il consolidamento della fede di Troki], ma tradussero altresì i libelli blasfemi, le Vite di Gesù, come le Toledot Jesu, e il XVIII ripeté su Gesù e sulla Vergine le favole e le leggende irrispettose dei farisei del II sec. che ritroviamo sia in Voltaire che in Parny, e la cui ironia razionalista, aspra e concreta, rivive in Heine, Boerne e d’Israeli», scrive B. LAZARE, L’antisémitisme, p. 337. In questa forma indiretta la letteratura ebraica estese la sua azione anticristiana.
- Dal 1789 ai giorni nostri. ‒ Gli ebrei, liberi finalmente di scrivere ciò che vogliono, ne approfittano largamente. Il modello delle vecchie opere di polemica anticristiana a poco a poco viene meno. In compenso, una vasta e multiforme letteratura (insegnamento religioso, apologetica, esegesi, storia, belle lettere, volumi, riviste, giornali, etc.) si occupa del cristianesimo per combatterlo. Due categorie di libri meritano una menzione speciale: quelli del giudaismo liberale, che ritroveremo tra breve, e quelli dei letterati di origine ebraica, poeti, drammaturghi, romanzieri, critici letterari, giornalisti, etc., spesso areligiosi e verosimilmente non appartenenti né alla religione cristiana, né a quella ebraica, ma comunque accesi avversari del cristianesimo. Il più illustre è H. HEINE. Sotto di lui si collocano ‒ per limitarci a quelli citati da M. MURET, L’esprit juif, II éd., Paris, 1901 ‒ il danese G. BRANDÈS e, ad un livello molto più in basso, l’ungherese MAX NORDAU (pseudonimo di MAX SIMON SUEDFELD). Possiamo aggiungervi, fra i sociologi, KARL MARX, anch’egli studiato da M. Muret, e, fra i criminalisti, l’italiano C. LOMBROSO.
- L’apologetica giudaica.
- Dal 313 al 1100. ‒ L’apologetica giudaica ci è nota più dai polemisti cristiani che non dagli ebrei. Gli apologisti ebrei si aggrappavano alla Legge mosaica e alle sue osservanze, che dichiaravano intangibili. Essi negavano la divinità del Cristo come contraria all’unità di Dio ed esibivano le sofferenze e la morte di Gesù per dimostrare che non era il Messia. Avevano ragione quando rifiutavano di riconoscere la Trinità nei testi della Scrittura, che a torto i cristiani ritenevano probanti. Inoltre bisogna considerare che gli argomenti dei cristiani, anche quando erano errati, «avevano una certa forza contro i rabbini», poiché utilizzavano lo stesso metodo dei rabbini: «trarre dalle minime particolarità del testo delle conclusioni dogmatiche», LAGRANGE, Le messianisme chez les Juifs, p. 296. Si trattò di un espediente infelice, esattamente come quello cui fecero ricorso gli ebrei per sfuggire ad una argomentazione stabilita secondo il loro sistema: essi ammisero, accanto a Dio, una grande creatura, il Metatron. Per eludere la forza dei testi relativi alle sofferenze del Messia, immaginarono, non meno arbitrariamente, forse fin dai tempi di Adriano, l’esistenza di due Messia: l’uno, della stirpe di David, nato al momento della distruzione del tempio, ed ora incatenato, ricoperto di ferite, verrà, alla fine, a radunare gli ebrei della cattività; l’altro, della tribù di Ephraim, sarà ucciso nella guerra contro Gog e Magog.
- Dal 1100 al 1500. ‒ I luoghi comuni dell’apologetica giudaica (unità di Dio, indefettibilità della Legge, caratteristiche della venuta del Messia) vengono riprese nel medio evo. Gli attacchi volgari contro il concepimento virginale di Gesù, poco sfruttati nella vecchia polemica, ora sono sviluppati con una certa frequenza. Vi sono infiltrazioni cristiane nel pensiero giudaico, ad es. la teoria della salvezza dell’anima e della necessità della fede e delle osservanze esposta nei Principî di JOSEPH ALBO. Grazie a MAIMONIDE si insinua anche il razionalismo. «Com’è possibile che un dottore, apparentemente fedelissimo al giudaismo, che trascorse metà della sua vita, come tutti i dottori suoi correligionari, a commentare la Legge e il Talmud, si sia fatto al tempo stesso l’adepto e il propagandista di una filosofia, la cui base era l’eternità del mondo, la negazione della creazione e a maggior ragione della rivelazione, del profetismo, del miracolo? Non è nostro compito spiegarlo», scrive RENAN, Histoire littéraire de la France, t. XXVII, pp. 647-648. «Sembra che il pensiero di Maimonide rimase sempre contraddittorio, che il Maimonide teologo e il Maimonide filosofo furono due persone estranee l’una all’altra e che non si misero mai d’accordo. La distinzione tra la “verità teologica” e la “verità filosofica” che più tardi doveva diventare l’essenza stessa dell’averroismo italiano, sembra essere stata in germe nello spirito del fondatore del razionalismo».
A forza di far uso dell’interpretazione allegorica si finì per cacciare il sovrannaturale dalla Bibbia. LEVI BEN GERSON, detto GERSONIDE († verso il 1315), spinse l’arditezza all’estremo limite nelle sue Battaglie del Signore, che furono definite Battaglie contro il Signore. Sulla questione del Messia gli ebrei si mostrarono titubanti; lo svanire delle speranze messianiche, il succedersi lungo i secoli di tanti falsi Messia, il gran colpo della distruzione di Gerusalemme e, di conseguenza, l’impossibilità di praticare la Legge turbarono gli spiriti. L’idea stessa di Messia subì un’eclissi.
- Dal 1500 al 1789. ‒ Lo sfondo cambia poco. In generale l’apologetica non fa progressi. La questione del Messia resta sempre in cima alle preoccupazioni. Gli ebrei sono imbarazzati dall’argomento che mira a stabilire che, secondo i rabbini, il mondo durerà solo mille anni e che i termini assegnati per l’arrivo del Messia sono scaduti. Essi obiettano che, poiché le profezie messianiche non si sono avverate alla lettera per via delle guerre, i lupi non brucano con gli agnelli etc. e il Messia non è potuto arrivare. La data della sua venuta, dicono, è stata ritardata a causa dei peccati del popolo. Ma al minimo segno credono nel suo avvento. Gli pseudo-Messia, che pullulano, hanno partigiani frenetici. Il più acclamato, SABBATAI ZEVI, che prende il titolo di Messia nel 1665, solleva un entusiasmo tale che sopravvive alla sua professione di islamismo ed a lui, a dispetto della sua misera fine, si richiamano la maggior parte delle sette mistiche sbocciate, in Oriente e in Polonia, sino alla fine del XVIII sec. Il razionalismo continua a dissolvere le antiche credenze. Qua e là Gesù finisce per essere valutato meno indegnamente che una volta. SPINOZA, certamente ebreo incredulo, afferma la superiorità del Cristo sui grandi uomini della Bibbia e quella degli apostoli sui profeti. MENDELSSOHN si esprime su di lui con calma e moderazione e gli riconosce virtù eminenti.
- Dal 1789 ai giorni nostri. ‒ D’ora in poi è necessario distinguere gli ebrei dell’Europa orientale, dell’Asia e dell’Africa – che sono molto più numerosi – da quelli dell’Europa centrale e dell’America. I primi in genere praticano la loro religione conformemente alle esigenze della Legge mosaica e del Talmud. Essi hanno conservato le dottrine dei rabbini. La loro apologetica non si è modificata. Gli altri, soprattutto là dove vivono agglomerati, sono talvolta fedeli alla religione degli avi. Ma più spesso, almeno se parliamo degli «intellettuali» e dei ricchi, pur continuando a richiamarsi alla Bibbia, sono orientati verso un vero e proprio razionalismo. L’ «ebreo» si è trasformato in «israelita». Va da sé che fra la stretta ortodossia e il razionalismo estremo esistono mille sfumature. L’iniziatore del movimento razionalista non fu Spinoza, rinnegato dai suoi correligionari, ma MOISE MENDELSSOHN, venerato da Israele. JOSEPH SALVADOR († 1873), il primo ebreo francese che abbia espresso il pensiero dei suoi dopo l’emancipazione, accentuò la marcia in avanti in tre opere che hanno fatto di lui un influente precursore: l’ Essai sur la loi de Moïse, Paris, 1822 (rifuso in Histoire des institutions de Moïse et du peuple hébreu, Paris, 1828); Jésus Christ et sa doctrine, Paris, 1838; Paris, Rome et Jérusalem, Paris, 1859. La Francia sulla scìa di Salvador, la Germania su impulso del comitato riformista di Francoforte sul Meno (1843); l’America con ISAAC WISE, che nel 1854 fondò il seminario di Cincinnati, ed i suoi ausiliari e continuatori SILVERMANN, ADLER e SHELDEN proseguirono in questa trasformazione.
A ciò ha lavorato in generale la letteratura ebraica moderna: essa «rappresenta un carattere nettamente razionale; è antidogmatica e antirabbinica», scrive NAHUM SLOUSCHZ BEN DAVID, La renaissance de la littérature hébraïque (1743-1885), Paris, 1902, p. 2, cfr. pp. 2-4, 29-31, 225-228. Colui che ha formulato nel modo più brillante alcune idee di questo neo-giudaismo, o giudaismo liberale e modernista, è J. DARMESTETER, Les prophètes d’Israël, Paris, 1895 (raccolta di studi scritti tra il 1880 e il 1891). Diverse manifestazioni recenti del neo-giudaismo sono significative. Il Dr. M. GUEDEMANN, gran rabbino di Vienna, ha pubblicato una Jüdische Apologetik, Glogau, 1906, dove propone un giudaismo che non è più una religione positiva, ma una filosofia. Il rabbino L.-G. LÉVY ha fondato l’unione liberale israelita, caratterizzata dal titolo dell’opuscolo programmatico: Une religion rationelle et laïque, 3ᵃ éd., Paris, 1908, e che ha il suo tempio (a partire dal 1907) a Parigi, il suo rabbino, che è lo stesso Lévy, ed un organo mensile, Le rayon. Infine il sionismo, alquanto composito, poiché ha riunito fra i suoi capi, con il suo fondatore, il dr. T. HERZL di Vienna, uomini tanto dissimili come MAX NORDAU e sir FRANCIS MONTEFIORE, è stato definito un nazionalismo razionalista; malgrado certe dichiarazioni di questo o quello dei suoi aderenti, esso implica l’abbandono dell’idea religiosa e la ricostruzione pura e semplice di uno Stato ebraico in Palestrina, o altrove.
Per il giudaismo liberale il Messia non è più un essere personale. È un regno, una nuova èra, dove «si compie l’opera dell’unità annunciata dai profeti e tentata invano da Roma», dice J. DARMESTETER, Les prophètes d’Israël, pp. 296-297, 192. E il traduttore della Bibbia, S. CAHEN, Archives israélites, Paris, 1847, p. 801, afferma: «Il Messia è venuto per noi il 28 febbraio 1790 con la dichiarazione dei diritti dell’uomo». Cfr. altri testi in A. LÉMANN, L’avenir de Jérusalem, Paris, 1901, pp. 59-64, 72-73.
La concezione scientifica del mondo si è sostituita alla concezione mitica. Niente più sovrannaturale, miracoli, pratiche obbligatorie; niente immortalità dell’anima né prospettive di vita futura. «Dietro tutte queste soppressioni e tutte queste rovine sopravvivono i due grandi dogmi che, a partire dai profeti, caratterizzano l’intero giudaismo: unità divina e messianismo, cioè unità della legge nel mondo e trionfo terreno della giustizia nell’umanità. Sono i due dogmi che, attualmente, illuminano la marcia dell’umanità, nel campo della scienza e in quello sociale, e che, nel linguaggio moderno, si chiamano l’uno unità delle forze e l’altro fiducia nel progresso», J. DARMESTETER, op. cit., pp. 194-195.
Su tutto ciò ci sarebbe molto da dire, e questo in particolare lo attingiamo ad uno studio molto favorevole dedicato a J. Darmesteter da G. PARIS, Penseurs et poètes, Paris, 1896, pp. 52-53: «Che cosa è una religione che non ammette l’intervento di Dio nella vita, e di conseguenza ignora la preghiera, e non promette una vita futura per riparare le ingiustizie di questa? Fintantoché vi saranno delle anime che non si accontenteranno della scienza o piuttosto dell’ignoranza umana, che non si rassegneranno a nascere per morire o soffrire senza sapere un perché, esse non chiameranno religione ciò che darà loro una spiegazione del mondo e una promessa di felicità infinita». Ma non è questo il luogo per discutere il giudaismo modernista. Basti notare il suo cambiamento nel modo di concepire la questione del Messia, ed anche nel modo di intendere il cristianesimo e il Cristo.
Alcuni ebrei liberali riconoscono almeno in parte la virtù del cristianesimo. A delle critiche si mescolano talvolta degli elogi, cosa che il giudaismo non aveva l’abitudine di fare. I. ZANGWILL ha cantato, in alcune belle pagine, la grandezza del cristianesimo. Quando lord BEACONSFIELD (D’ISRAELI), alla maniera dello stesso Heine, vede nel cristianesimo «un giudaismo ad uso delle masse, ma pur sempre un giudaismo»; quando H. RODRIGUES, Les trois filles de la Bible, Paris, 1865, considera le religioni ebraica, cristiana e musulmana le tre sorelle ed invita a mettere da parte le forme esteriori che le separano e ad unirsi sul comune terreno dell’unità di Dio e della fratellanza universale; quando J. DARMESTETER, op. cit., pp. XVIII, 196, saluta nella Chiesa cattolica «la sola forza organizzata dell’Occidente» e lo strumento grazie al quale il giudaismo « ha gettato nel vecchio mondo politeista, per fermentarvi sino alla fine dei secoli, il sentimento della grande unità ed un’inquietudine di carità e giustizia», questo linguaggio certamente non saprebbe soddisfare pienamente, ma ci piace constatare che qualcosa della vecchia acrimonia anticristiana è scomparso.
- TRAVERS HERFORD, A dictionary of Christ and the Gospels, Edimburg, 1908, t. II, pp. 877, 881-882, osserva che molti israeliti di tendenze liberali hanno reso omaggio, anche se in modo imperfetto, alla grandezza del Cristo. Il più esplicito è l’ebreo inglese C.-G. MONTEFIORE, presidente dell’Associazione anglo-giudaica. Una recente opera di Montefiore, intitolata Outlines of liberal judaism for the use of parents and teachers, London, 1912, esorta gli israeliti a studiare e ad ammirare Gesù.
- Le conversioni
- Dal 313 al 1100. ‒ Vi sono delle conversioni degli ebrei al cristianesimo che non sono sincere, e gli ebrei si sforzano di allontanare i fedeli dal cristianesimo. È proprio perché essi spingono i cristiani a rinnegare il Vangelo che la Chiesa proibisce loro di avere schiavi cristiani, di vivere in familiarità con i cristiani e di esercitare funzioni pubbliche. AMOLONE, Contra Judaeos, XLII, racconta che gli ebrei che sono illegalmente percettori di imposte abusano della loro posizione, in remotis locis, per trascinare i poveri all’apostasia.
Il giudaismo gode di un vero prestigio. La superstizione, che agisce sempre su queste anime grezze e rozze, e d’una fede superficiale, li inclina verso le pratiche giudaiche. Queste suscitano invidia. Che cosa è quell’altare di s. Elia che aveva eretto un certo Nasas, ebreo siciliano, scelestissimus Judaeorum, dice s. GREGORIO MAGNO, Epist., III, XXXVIII, un altare attorno al quale egli convocava il popolo a profitto della sua borsa? In quali limiti i cristiani in causa con gli ebrei accettavano di essere giudicati dagli anziani degli ebrei, cosa proibita da una costituzione del 418, Cod. Justin. I, IX, 15? Non si sa. In Spagna alcuni cristiani facevano benedire i loro raccolti indistintamente dai rabbini o dai preti cattolici, a quanto sappiamo dal concilio di Elvira, c. 49 (verso il 300-303).
- AGOSTINO, Epist., LXXXII, 15, CXCVI, 16, si scaglia contro coloro che uniscono al culto cristiano le osservanze mosaiche. Abbiamo otto discorsi che s. GIOVANNI CRISOSTOMO pronunciò (387-388) contro i cristiani di Antiochia che assistevano alle feste ebraiche, gli uni per religione, gli altri per curiosità, e che digiunavano secondo le prescrizioni rabbiniche; vediamo anche che un cristiano, il quale aveva una vertenza con una cristiana, voleva costringerla ad andare in sinagoga e a prestare giuramento in merito alla controversia, perché gli avevano detto che i giuramenti che si facevano lì erano più inviolabili di quelli fatti in chiesa. S. GREGORIO MAGNO, Epist., XIII, I, mette in guardia i Romani contro l’abitudine che si stava introducendo di osservare il sabato. Lo stesso avvertimento nel concilio di Leptines (743), c. 5. A Lione, nel IX sec., alcuni fedeli vanno ad ascoltare le prediche dei rabbini e pretendono che i loro sermoni valgano più di quelli del clero cattolico; essi frequentano gli ebrei, li servono, mangiano cibo preparato secondo le regole alimentari ebraiche e provano per esso una sorta di venerazione religiosa.
La magia contribuisce all’influenza esercitata dagli ebrei. Si diceva che vi eccellessero. S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Orat. I, 7 e VIII, 7, denuncia nei rimedi che essi danno degli incantesimi diabolici. Sarebbe inutile riportare i testi che li presentano come magici.
Il giudaismo fa delle reclute importanti tra le file dei cristiani. Abbiamo menzionato Vecelinus, cappellano del duca Corrado; Bodon, chierico del palazzo di Luigi il Pio; un vescovo enigmatico dell’Oriente. L’ebreo ISAAC, battezzato, legato all’antipapa Ursino, calunniatore di s. Damaso, esiliato in Spagna verso il 379 e ritornato al giudaismo, deve’essere identificato con il misterioso personaggio conosciuto con il nome di AMBROSISTER? Dom G. MORIN, che aveva proposto questa identificazione in Revue d’histoire et de littérature religieuses, Paris, 1899, t. IV, pp. 97-123, vi ha decisamente rinunciato, Revue bénédectine, 1914, t. XXXI, p. 34.
- Dal 1100 al 1500. ‒ Vi sono degli ebrei che fingono di convertirsi. Le conversioni forzate erano contrarie alla volontà della Chiesa. Non a caso esse furono imposte dai laici, principalmente sotto quella forma indiretta che consisteva nel condannare all’esilio e alla perdita dei beni tutti quelli che non avessero ricevuto il battesimo. Piuttosto che abbandonare la loro fede, gli ebrei accettarono l’esilio, la spoliazione e la morte. La maggior parte si convertirono solo in apparenza. Si trattava di un debolezza umanamente comprensibile, che però si volle erigere a linea di condotta legittima. Uno scrittore «d’una pietà estrema», dice GRAETZ, trad., t. IV, p. 139, «d’una ortodossia feroce», dice L.-G. LÉVY, Maïmonide, p. 11, avendo preteso che gli ebrei legati alla propria religione, ma che professavano esteriormente l’islamismo, dovessero essere trattati da apostati, MAIMONIDE, dice ancora Lévy, «si sforzò di stabilire la falsità di questa concezione estremista e di calmare l’agitazione delle coscienze» con la sua Lettera sull’apostasia, giustificando gli ebrei che simulavano l’islamismo.
Si tratti dell’islamismo o del cristianesimo, il principio era lo stesso, e l’applicazione fu la medesima. In Spagna, durante la tormenta del 1391, migliaia di ebrei chiesero il battesimo. La maggior parte conservarono l’apparenza del cristianesimo, ma di nascosto osservarono i riti ebraici. Il popolo, che non si ingannava sui loro intimi sentimenti, chiamava questi nuovi cristiani marrani, o «scomunicati», «dannati», e li odiava più ancora degli stessi ebrei. L’inquisizione spagnola fu fondata (1480) contro gli pseudo-convertiti del giudaismo e dell’islamismo.
Abbiamo visto che uno di questi marrani, Profiat Duran, si rimise prontamente a vivere da ebreo e prese a deridere i neo-convertiti. A parte i marrani, alcuni ebrei che erano stati battezzati, sincera o no che fosse la loro conversione, ritornarono al giudaismo. Cfr. J.-M. VIDAL, Bullaire de l’inquisition française au XIVᵉ siècle et jusqu’à la fin du grand schisme, Paris, 1913, p. 555 (cfr. l’indice). Tutte le volte che un ebreo si convertiva, c’era una levata di scudi contro di lui per strapparlo alla fede cristiana. Questo fu il principale rimprovero di Ferdinando e di Isabella nel loro editto d’espulsione degli ebrei dalla Spagna (1492).
Ma non è tutto. Benché diminuite, le tendenze giudaizzanti persistevano fra i cristiani. Una bolla di NICOLA IV, cfr. RAYNALDI, Annal. Eccl., an. 1290, n. 49, ci informa che in Provenza essi vanno in sinagoga con fiaccole accese ed offerte e vi venerano il rotolo della Legge. Fatti analoghi accadono in Spagna alla fine del XV sec. UBERTINO da Casale, Arbor vitae crucifixae Jesu, IV, XXXVI, se la prende con quelli che segnano i moribondi con balsamo ed acqua pronunciando formule ebraiche. RICCARDO DI S. VITTORE, De Emmanuele libri II, P. L., t. CXCVI, coll. 601, 666, confuta alcuni «giudaizzanti» favorevoli all’interpretazione ebraica dell’Ecce virgo concipiet. Papi e concili devono continuamente proibire di sposarsi con gli ebrei, di sedere alla loro mensa, di partecipare alle loro feste.
Alcuni cristiani fecero molto di più che orientarsi verso il giudaismo; essi addirittura lo abbracciarono. Una bolla di CLEMENTE IV (26 luglio 1267), rinnovata da GREGORIO X e NICOLA IV, rivela cose sorprendenti. Essa comincia così: Turbato corde audivimus et narramus quod quamplurimi reprobi christiani, veritatem catholicae fidei abrogantes, se ad ritum Judaeorum damnabiliter transtulerunt. Uno degli adepti del giudaismo fu HUGUES AUBRIOT, prevosto di Parigi, che viveva nello scandalo con alcune donne ebree (1381). Cfr. E. DÉPREZ, Hugo Aubriot praepositus Parisiensis et urbanus praetor (1367-1381) quo pacto cum Ecclesia atque Universitate certaverit, Paris, 1902. Un ebreo, il cabalista Abraham Abulafia, progettò di convertire al giudaismo papa MARTINO IV e, per riuscire nel suo intento, si recò a Roma (1281).
Forse i successi del proselitismo ebraico hanno influito sull’invenzione della leggenda di un papa d’origine ebraica, che sarebbe venuto dalla Germania come la papessa Giovanna. Cfr. E. NATALI, Il ghetto di Roma, Roma, 1887, t. I, pp. 93-94. E l’antipapa Anacleto II (1113), della potente famiglia dei Pierleoni, nipote di un ebreo convertito, fu definito nec judaeus quidem sed judaeo etiam deterior da ARNOUL de LISIEUX, Tractatus de schismate orto post Honorii II mortem, III.
- Dal 1500 al 1789. ‒ Più che mai vi sono ebrei che fingono di aderire al cristianesimo, soprattutto in Spagna e Portogallo. È giusto riconoscere la durezza delle espulsioni (1492 per la Spagna, 1496 per il Portogallo), i rigori implacabili dell’inquisizione malgrado le proteste reiterate dei papi, il coraggio degli ebrei che, a prezzo di parte dei loro beni, partirono per l’esilio piuttosto che ricevere il battesimo o subirono la morte per la loro fede. La maggior parte, per evitare l’esilio, simularono il cristianesimo; costoro furono dei deboli, la cui viltà si spiega, anche se non si giustifica. Ciò che invece è biasimevole è che questi «nuovi convertiti» ‒ non tutti, ve ne furono di sinceri ‒ giuocarono la commedia del cristianesimo e la insegnarono ai loro discendenti, non solo nel pieno della tempesta, come quando in Portogallo all’esilio si aggiungeva il dolore di vedere i propri figli trascinati con la forza alle fonti battesimali, o come in Spagna, per l’impossibilità di salvare tutte le loro ricchezze, ma più tardi, in tempi più calmi, quando l’esilio diveniva possibile senza queste complicazioni dolorose.
Questa condotta non ispirava alcun rimorso. Indossare la maschera del cristianesimo e trasmetterla di generazione in generazione, scimmiottare uno zelo vivissimo parve una cosa del tutto naturale. Lo si poteva fare impunemente, e poi si gettava la maschera. È proprio ciò che fecero, mentre in Spagna e Portogallo affettavano delle apparenze cristiane, i marrani venuti dal Portogallo (1593), ai quali l’Olanda protestante, che aveva scosso il giogo spagnolo, accordò un’esistenza legale (1619); i marrani brasiliani trascinati da una colonia di Amsterdam, quando l’Olanda, grazie in parte al loro concorso, ebbe conquistato il Brasile (1624); i marrani che si erano stabiliti in Inghilterra sotto gli Stuart, non appena la protezione di Cromwell prima ancora che una legge formale assicurasse loro la libertà (1656) e infine in Francia, questi marrani portoghesi, che si erano insediati a Bordeaux, erano stati autorizzati a stabilirvisi (1550) come «nuovi cristiani» che, trattati da ebrei, avevano protestato che non erano ebrei, «ma buonissimi cristiani e cattolici» e che, non appena se ne presentò l’occasione, forse nel 1686, cessarono di praticare il cristianesimo.
Questa doppiezza religiosa, ammessa in certe condizioni, ma ora eretta a sistema, è stata riconosciuta da A. LEROY-BEAULIEU, che certamente non ha nulla di un antisemita, in questi termini: «Migliaia e migliaia di ebrei d’Africa, d’Asia, d’Europa, hanno abbandonato esteriormente il giudaismo, dichiarandosi discepoli di Gesù o di Maometto, per ottenere il diritto di vivere [o, in generale, di vivere nel paese abitato dai loro avi]. Perfino dei cristiani hanno ceduto durante le persecuzioni … La differenza è che i rabbini hanno scusato, approvato, talvolta forse consigliato questa parvenza di apostasia … “Noi apparteniamo a Israele” dicevano in segreto i padri ai figli, insegnando loro a rinnegare davanti agli uomini la fede che trasmettevano loro clandestinamente. Intere generazioni dei figli di Giacobbe sono state così educate all’ipocrisia e alla menzogna, in ciò che avevano di più sacro … Non c’è da stupirsi, dopo tutto questo, se l’ebreo soffre meno di noi dell’ambiguità».
Alcuni dei marrani ritornati al giudaismo sono diventati famosi: i più noti furono i polemisti ELIA FELICE MONTALTO, medico di Maria de’ Medici († 1616) e BALTHAZAR OROBIO DE CASTRO († 1687); HABIB, in latino AMATUS LUSITANUS, medico del papa Giulio III; il medico ISAAC CARDOSUS, la cui Philosophia libera apparve a Venezia nel 1673; il medico ABRAHAM ZACCUTO di Lisbona, che si fece circoncidere ad Amsterdam (1625); LEVI BEN JACOB HABIB, capo religioso di Gerusalemme, il cui ruolo ebbe una qualche importanza, nel XVI sec.; DIOGO PIRES († verso il 1528), l’avventuriero e pseudo-Messia o precursore del Messia che prese il nome di SALOMON MALKHO, cfr. D. KAUFMANN, Un poème messianique de Salomon Malkho, in Revue des études juives, Paris, 1897, t. XXXIV, pp. 121-127.
Questa facilità nel cambiare religione, che caratterizzò gli ebrei, non fu estranea ai loro capi più illustri. JACOB FRANCK († 1791) fu di volta in volta ebreo, turco, cattolico romano e cattolico greco, senza perdere i suoi partigiani; fondò una setta, i cui resti esistono ancora in Polonia. Si riteneva una reincarnazione di Sabbatai-Zevi. Lo stesso SABBATAI-ZEVI aveva potuto confessare Maometto davanti al sultano e trascinare dietro di sé molti ebrei all’islamismo senza che la sua autorità sui discepoli venisse meno.
Fra i convertiti poco sinceri o la cui sincerità fu superficiale spiccarono lo spagnolo MATTHIEU ANDRIANI, professore di ebraico, che abbandonò i cattolici per Lutero (1520); i fratelli WEIL, o VEIL, di Metz, convertiti da Bossuet e successivamente preti cattolici, anglicani, anabattisti, sociniani; JOSEPH (dopo il battesimo JOHANNES) PFEFFERKORN, uno dei protagonisti della lotta contro gli ebrei nell’affare Reuchlin, condannato al rogo ad Halle (1520) per aver profanato l’eucarestia; JULIUS CONRAD OTTON, che ingannò i cristiani nel suo Gali Razaia, Nürnberg, 1605, alterando dei testi ebraici, ritornò al cristianesimo; FERDINAND F. ENGELSBERGER, battezzato (1642), apologeta del cristianesimo, ladro e, come tale, condannato all’impiccagione e morto nel 1642 rinnegando il Cristo e bestemmiandolo.
Assieme a dei marrani ed ebrei falsi convertiti, a far professione di giudaismo vi furono pochissimi cristiani di nascita: il francescano portoghese DIOGO DE L’ASSOMPTION, che fu bruciato vivo a Lisbona (1603); un giovane nobile, don LOPE DE VERA Y ALARCON (1644), esaltato da MANASSE BEN ISRAEL nel suo Espérance d’Israël; J.-P. SPECT di Augusta che, dopo aver scritto un libro alla gloria del cattolicesimo, aderì alle dottrine dei sociniani e dei mennoniti ed infine al giudaismo col nome di GERMANUS († 1702); alcuni cristiani polacchi.
Un numero maggiore di cristiani fu non conquistato, ma sfiorato dal giudaismo. Delle sette protestanti ebbero affinità con esso; al primo posto, l’unitarismo di MICHELE SERVETO ed altri. La cabala ebbe un successo immenso presso i cristiani. Si passò dall’ammirazione alle superstizioni cabalistiche. I rabbini confezionavano amuleti magici; ogni rabbino fu considerato quasi come un mago esperto nell’arte di guarire le malattie e di preservare da tutti i mali, come un essere misterioso in possesso di segreti temibili. È un fatto significativo che le assemblee degli stregoni portavano il nome di «sabbat». Per le masse l’ebreo era il maestro delle scienze occulte. Dei cristiani usarono amuleti in caratteri ebraici, il cui testo era d’ispirazione cabalistica e anticristiana. La congregazione dell’Index condannò (16 marzo 1621) delle medaglie di tal fatta, come scrive ANGE-GABRIEL ANGUISCIOLA, Della hebraica medaglia detta Maghen Davids et Abraham (questo scritto è sparito dall’edizione di Leone XIII, 1900).
- Dal 1789 ai giorni nostri. ‒ Dei marrani di Spagna e di Portogallo continuarono a vivere una doppia vita: cristiani al di fuori, ebrei nell’intimità della famiglia. Di questa tenacia nel simulare una religione odiata abbiamo un esempio che «sembra inverosimile», dice E. NATALI, Il ghetto di Roma, p. 262. Il governo portoghese nel 1821 aprì le porte del regno agli ebrei e permise l’erezione di una sinagoga a Lisbona. Alla sua inaugurazione accorsero famiglie intere dalle parti più lontane del Portogallo. Erano i marrani che, per più di tre secoli, avevano conservato la fede dei padri pur comportandosi esteriormente da «cattolici». Lo stesso accadde fra alcuni ebrei della Transilvania. Cfr. A. LÉMANN, La cause des restes d’Israël introduite au concile oecuménique du Vatican, Lyon, p. 180.
Si ebbero conversioni sospette fra i coloro che a Berlino frequentavano il salotto di Henriette Herz, nella «Lega della virtù», così chiamata per antifrasi, che vi si costituì, e in quella «Società per la civiltà e la scienza degli ebrei» costituita poco dopo (1819) da L. Zunz, E. Gans e M. Moser, e tutta imbevuta di hegelismo, fra gli «illuminati» di Germania, detrattori del passato ebraico. Quasi ovunque, a parte l’Assia, «le carriere ufficiali o liberali rimanevano inaccessibili agli israeliti; questa legislazione iniqua, dice T. REINACH, Histoire des israélites, p. 333, portò necessariamente a conversioni interessate fra gli ebrei più colti e più intelligenti: H. HEINE, BOERNE, GANS, etc.» Questo «necessariamente» può essere ebreo, non già cristiano. GRAETZ, da parte sua, si sforza di dimostrare che Heine e Boerne sono ebrei, che solo in apparenza si sono separati dal giudaismo, «come i combattenti che indossano l’armatura e sventolano la bandiera del nemico per colpirlo a colpo più sicuro e annientarlo». Questa frase infelice è sparita dall’edizione francese della Histoire des Juifs; ma nel t. V, p. 355, si legge che di Heine e Boerne si riconosceva l’origine ebraica «non solo dal loro spirito brillante e dalla loro ironia sferzante, ma anche dal loro amore della verità e della libertà, e dal loro odio dell’ipocrisia»! Il padre di Karl Marx aveva abiurato il giudaismo senza maggiore convinzione di Heine. D’ISRAËLI ricevette il battesimo a tredici anni.
Le conversioni seguite ad un matrimonio cristiano talvolta sono state sincere; ma forse il più delle volte sono state puramente formali. Interesse umano, passioni, influenze d’ordine profano, indifferentismo religioso sono altrettante cause che contribuiscono a conversioni fittizie o non durevoli. Una delle più rattristanti fu quella di quell’ebreo tedesco, che divenne Mgr. J.-M. BAUER, ebbe il ruolo che si sa alla corte di Napoleone III e dopo i disastri del 1870 andò a Bruxelles a vivere una vita di scandali.
Uno dei convertiti recenti (1906), PAUL LOEWENGARD, dopo aver avanzato la pretesa imprudente di essere lo Chateaubriand mistico del XX sec., cfr. le sue Magnificences de l’Église, Paris, 1913, pp. IV-V, è ritornato al giudaismo per ragioni che provano che il suo cattolicesimo era stato tutto sentimentale e che della Chiesa non aveva compreso nulla (cfr. la sua lettera del 23 giugno 1914 al Gil Blas).
Questi ultimi tempi hanno assistito ad una resurrezione del giudeo-cristianesimo. Nel 1882 l’avvocato ebreo RABINOWITSCH, che era andato a studiare in Palestina i mezzi d’una emigrazione degli ebrei russi, ne riportò la convinzione che Gesù di Nazareth è il Messia, propagò la sua nuova fede, aprì una «sinagoga del santo Messia Gesù» e volle essere battezzato senza rinunciare al giudaismo. In Persia si è costituita una chiesa giudeo-cristiana; essa si richiama a Gesù Cristo, ammette il battesimo e l’eucarestia e si distingue dagli ebrei talmudisti, dai protestanti, dai greci e dai cattolici. Cfr. W. MONOD, L’espérance chrétienne, Paris, 1901, t. II, pp. 298-299, 310-312.
I cristiani di nascita che hanno adottato il giudaismo sono rari. In Russia, sette sabbatiste si sono appropriate, assieme all’osservanza del sabato, di molte prescrizioni della Legge mosaica. Da noi, l’ex padre HYACINTHE ha concepito un piano di riforma del cristianesimo con i principî dell’ebraismo. Cfr. Un ami d’Israël. Le P. Hyacinthe (estratto dall’ Univers israélite), Paris, 1912. Il pastore W. MONOD ritiene che «un ritorno formale e audace della Chiesa all’ebraismo è la condizione necessaria della grande sintesi che si impone tra lo spirito moderno e la fede evangelica», op. cit., p. 317. Questo «ritorno al geovismo, o meglio ancora al messianismo», non implica la credenza né in un Dio personale, né in una vita futura nel senso tradizionale del termine, e si ricollega al modernismo ebraico di J. Darmesteter e L.-G. Lévy.
- Gli attacchi contro il cristianesimo e il tono della polemica
- Dal 313 al 1100. ‒ Gli ebrei furono accusati di aver indotto coi loro intrighi Leone Isaurico ad intraprendere la sua campagna iconoclasta e di esservisi associati largamente. Si attribuirono loro profanazioni di immagini. Secondo un racconto che ebbe un enorme successo, due immagini del Salvatore, colpite dagli ebrei, avrebbero versato sangue, l’una a Beryte, in Siria (cfr. il martirologio romano alla data 9 novembre), e l’altra a Costantinopoli. Nel 1016 a Roma gli ebrei avrebbero deriso un crocifisso.
Più discutibili sono gli eccessi della festa dei Purim. «La gioventù rumorosa, dice GRAETZ, trad., t. III, p. 236, impiccava Aman, il nemico tradizionale degli ebrei, ad una forca, alla quale, per caso o apposta, si dava la forma della croce, che in seguito si bruciava. Questo naturalmente faceva irritare i cristiani, che accusavano gli ebrei di oltraggiare la loro religione. Per mettere fine a questo scandalo, Teodosio II ordinò che gli autori fossero puniti con pene rigorose, ma non si arrivò a farle cessare». Si brucia una croce nel giorno di sabato, o la si introduce nella sinagoga per farsene beffe.
E che dire delle blasfemie contro il Cristo, riedizione accresciuta di quelle del periodo delle origini? Si continua a pretendere che Gesù è nato εκ πορνείας: gli Acta Pilati, II (probabilmente del IV o V sec.) si fanno l’eco di questa volgarità inventata dagli ebrei. Essa è ripresa e amplificata nel Talmud, e soprattutto nelle Toledot Jesu, «l’opera più abominevole che sia uscita dalla mano dell’uomo», FREPPEL, Saint Justin, II éd., Paris,1869, p. 410.
L’eco di questi orrori arrivò alle orecchie dei cristiani. Che cosa accade veramente nelle sinagoghe? I cristiani non sono in grado di constatarlo. Ma, da quel che poco che ne sanno, essi li vedono come coloro che imprecano contro il Cristo e i fedeli, e gli ebrei si caratterizzano per ciò che il vescovo AMOLONE, Contra Judaeos, XL, chiama immanitate odii in Christum et rabie blasphemandi.
- Dal 1100 al 1500. ‒ Contro il cristianesimo gli ebrei si allearono frequentemente con gli eretici. Ciò era tanto più facile, quanto più certe sette, in primo luogo i valdesi e i catari, erano inclini a giudaizzare. Molto probabilmente furono catari giudaizzanti, questi passagini o incirconcisi, a dire che la Legge mosaica deve essere osservata alla lettera, eccezion fatta per i sacrifici sanguinosi, ed a condannare la Trinità, la divinità del Cristo e la Chiesa. Cfr. C. MOLINIER, Mémoires de l’académie des sciences, inscriptions et belles-lettres de Toulouse, 8ᵃ serie, Toulouse, 1888, t. X, pp. 442-443.
Non è impossibile che queste sette a loro volta abbiano esercitato un certo fascino sugli ebrei. Ebrei ed eretici si avvicinarono soprattutto nella Languedoc, terra di fermenti anticristiani. Ma si unirono anche altrove. Un’ordinanza di Filippo il Bello (6 giugno 1299) ci informa che gli ebrei nascondevano gli eretici fuggitivi, cfr. C. DOUAIS, L’inquisition, Paris, 1906, p. 360, e nel 1425 il duca di Baviera punì gli ebrei del suo ducato che avevano fornito armi agli hussiti contro i cristiani. LUC DE TUY, De altera vita fideique controversiis, III, iii, assicura che alcuni eretici si dicono ebrei per disseminare più agevolmente le loro dottrine sotto la copertura del giudaismo, poiché i principi dei popoli e i giudici delle città sono favorevoli agli ebrei, che trattano da familiari ed amici; toccare un ebreo è come toccare la pupilla dell’occhio del giudice; l’oro giudaico vale all’ebreo protezioni tali che nessuno gli resiste e gli stessi vescovi, comprati dai loro doni, gli danno man forte.
«Essi demoliscono la Chiesa», dice Luca; qui crocifixerunt Dominum Deum meum evacuant fidem eius et opprimunt pauperes sine causa. Sono a caccia di ogni buona occasione per scalfire la credenza dei semplici.
Leggiamo nel Merlin, Paris, 1498, 3ᵃ partie, Les prophecies de Merlin, fol. 150a: «A celluy temps qu’il estoit en celuy pais mains Juifs qui moult contredisoient la nouvelle foy. Ung jour advint que le plus sage deux tençoit a Merlin et lui disoit encontre la Vierge Marie». La storia si accorda con la finzione, e l’autore del Merlin immagina gli ebrei del passato rassomiglianti a quelli che lo circondano. La parabola dei tre anelli, che compare nel Novellino, CXII (fine del XIII sec.), nel Decameron di Boccaccio, I, iii e nella Verga di Salomone di SALOMON IBN VERGA (opera terminata all’inizio del XVI sec.), in attesa che Lessing la immortalasse nel suo Nathan il saggio e che, sotto un’apparenza di bonomia, contiene una così grave lezione di scetticismo, è probabilmente nata in Spagna ed è un’invenzione ebraica.
L’ebreo muove guerra contro la Chiesa. «Egli è il dottore dell’incredulo, dice J. DARMESTETER, Les prophètes d’Israël, pp. 185-186; tutti i ribelli dello spirito vengono da lui, nell’ombra o alla luce del sole. È all’opera nell’immenso atelier del grande imperatore Federico e dei principi di Svevia o d’Aragona: è lui che forgia tutto quell’arsenale omicida di ragionamenti ed ironia che trasmetterà agli scettici del Rinascimento, ai libertini del grand siècle, e quel sarcasmo di Voltaire non è che l’ultima e risonante eco di una parola mormorata, sei secoli prima, all’ombra del ghetto, e ancor prima ai tempi di Celso ed Origene, nella culla stessa della religione del Cristo». Queste righe esagerano l’influenza dell’ebreo; nondimeno noi crediamo che gli ebrei abbiano fatto del loro meglio per distruggere il cristianesimo.
All’inizio del XIII sec., nel 1205, INNOCENZO III, Ep. VII, CLXXXVI, P.L., t. CXV, col. 502, denunciava a Filippo Augusto le loro blasfemie contro il Cristo, questo «appeso che era un uomo da nulla». Verso la fine dello stesso secolo, R. BECHAI BEN ACHER dava un’interpretazione sinistra di un’anomalia del testo ebraico del Salmo LXXX (LXXIX della Vulgata), 14; invece d’essere nel corpo del termine mîaᶜr = cinghiale, lo aïn è al di sopra del termine. Il cinghiale, diceva Bechai, è il Cristo che devasta la vigna di Israele; quanto allo aïn, questo è sospeso sopra il termine mîaᶜr, affinché siano appesi allo stesso modo coloro che credono a quell’appeso che è il Cristo.
Tutto ciò indica il tono. Linguaggio odioso all’indirizzo del Cristo e della Vergine, battute volgari per allontanare dall’adorazione della croce il venerdì santo, incantesimi magici, profanazioni di ostie, destinazioni dei vasi sacri e degli ornamenti liturgici ad usi indecenti, preghiere imprecatorie contro i fedeli, tutti questi misfatti sono attribuiti loro da una quantità di testi, che non sempre hanno un valore indiscutibile, ma che sarebbe poco critico rigettare a priori e in blocco e che, anche se la loro testimonianza non è del tutto credibile, traducono l’impressione che la condotta degli ebrei aveva fatto nascere nel popolo cristiano.
- Dal 1500 al 1789. ‒ Gli ebrei, più sorvegliati, banditi dalla maggior parte degli Stati cristiani, oggetto, da parte dei papi, di misure severe, non potrebbero, senza grave imprudenza, esternare il loro anticristianesimo.
Nelle terre infedeli, essi mostrano che non hanno dimenticato nulla del loro passato rancoroso. Nel corso delle feste che i Turchi celebrarono ad Adrianopoli (1663) per commemorare la presa di questa città, si diede al popolo lo spettacolo di una città cristiana presa d’assalto; lo spettacolo fu così volgarmente ingiurioso che il sultano, disgustato, fece bastonare alcuni ebrei che l’avevano organizzato.
Nelle terre cristiane gli ebrei sono più circospetti. Quanto valgono – la questione dell’omicidio rituale verrà trattata a parte – le accuse di profanazione di ostie e di immagini sacre che si ripetono? I testi che ne parlano non sono affidabili, ma nondimeno non li si dovrebbe respingere tutti senza esame col pretesto che «è una di quelle favole il cui semplice dato ne tradisce la falsità. Un ebreo che non crede né alla divinità del Cristo, né alla sua presenza invisibile sotto le sembianze del pane, non ha la sacrilega curiosità, dice A. LEROY-BEAULIEU, Israël chez les nations, p. 41, di lacerare l’ostia per vedere se ne uscirà del sangue. Una simile empietà non può germinare che in una mente cristiana». Ahimè! Tutte le empietà e tutte le curiosità morbose possono ben germinare in menti astiose. Un fatto pienamente accertato è il seguente. Quando Engelsberger fu condannato a morte per aver rubato oggetti di grande valore all’imperatore Ferdinando III, cui aveva carpito la fiducia con la sua pretesa conversione, egli affettò di prepararsi cristianamente alla morte e ricevette gli ultimi sacramenti nella speranza che l’imperatore gli concedesse la grazia. Ma nel momento stesso in cui capì che non c’era niente da fare e che la sentenza sarebbe stata eseguita, egli scagliò violentemente a terra un crocifisso che aveva fra le mani e protestò che nel suo intimo era restato ebreo. E quando gli fecero notare che poco prima gli era stata impartita la comunione, aggiunse che aveva sputato l’eucarestia nel fazzoletto ed in seguito l’aveva messa in un vaso da notte. Si scoprì che era vero.
I cristiani rimproveravano sempre agli ebrei le loro blasfemie. Abbiamo già citato la confessione di Graetz che alcuni ebrei – per lui degli «ignoranti» ‒ applicavano a tutti i cristiani la maledizione dello Shemoneh Esre contro i minim; gli ebrei emancipati che per la prima volta, nel 1796, vollero sopprimere questa maledizione, che evidentemente non aveva più alcuna ragion d’essere che in quanto concerneva i cristiani, furono disapprovati. Altre preghiere ebraiche parvero ai cristiani egualmente ingiuriose. Nella preghiera Alenu alcuni ebrei avevano l’abitudine di aggiungere queste parole: «Essi indirizzano le loro preghiere ad una cosa inconsistente e al nulla». Con il termine «nulla», wariq in ebraico, i cristiani erano convinti che gli ebrei intendessero Gesù. J. WUELFER († 1724) scavò le biblioteche per scoprire un manoscritto dove si leggeva questo passo, poiché non era stampato nei rituali e in certe edizioni il luogo era indicato con uno spazio bianco. Vi riuscì. Il principe Giorgio d’Assia aveva preteso dagli ebrei del suo Stato il giuramento di non proferire mai questa blasfemia contro Gesù.
- BUXTORF compose un libro (non stampato) sull’odio degli ebrei contro tutti i popoli, soprattutto contro i cristiani, sulle loro blasfemie, imprecazioni, etc., non secondo le opere degli ebrei convertiti, che non sempre gli sembravano degni di fede, ma secondo i libri ebraici. FABRICIUS, che riporta, Delectus argumentorum et syllabus scriptorum qui veritatem religionis christianae asseruerunt, p. 664, la lettera di Buxtorf relativa a questo libro, è colpito dolorosamente da queste abitudini blasfeme: Rem ipsam, dice, de majore parte Judaeorum non posse negari, et praesentis memoriae experientia, et scripta Judaaeorum, quae in nostris sunt manibus, blasphema palam, aut prae metu omissas in libris excusis blasphemias vel vacuo spatio relicto vel sub velamentis tegentia, et familiaria Judaeis scribendi etiam libros aenigmata, et mysteria, et omnis aetatis testimonia non inficienda evincunt. Un’edizione dell’infame Toledot Jesu fu pubblicata di nascosto dallo pseudo-convertito ENGELSBERGER, Vienna, 1640.
- Dal 1789 ai giorni nostri. ‒ Non tutti gli israeliti hanno mosso la guerra intellettuale contro il cristianesimo. E non tutto ciò che vi è di cattivo, quell’ «odore di marcio», quel «tanfo di fradicio che rivolta lo stomaco» nell’arte, nella letteratura, nel teatro, nel romanzo, nella stampa, in tutto ciò che si stampa e si legge, viene da Israele. Combattendo la fede e la morale del cristianesimo troppo spesso gli ebrei «ci versano, ahimè!, acqua della nostra fontana e vino del nostro vigneto». L’ambiente razionalista, neo-pagano, dove essi vivono, ha inoculato loro le sue idee e i suoi vizi. Prima ancora di esercitarle, essi ricevono le influenze perniciose. Cfr. A. LEROY-BEAULIEU, Israël chez les nations, pp. 308, 312, 317. In ogni caso, l’iniziativa parta da loro o no, essi scristianizzano.
Tempo fa DOM BESSE, Les religions laïques, Paris, 1913, p. 106, notava che l’evoluzione dell’idea messianica, come l’abbiamo osservata presso gli ebrei, e la trasformazione dell’idea religiosa che caratterizza le recenti religioni laiche, si sono prodotte nello stesso senso. «In ultima analisi l’una e l’altra si sono fissate su uno stesso ideale, semplice e facile da comprendere. Possiamo spiegarlo in poche parole: una religione umanitaria che sbarazzerebbe l’uomo del Dio personale e che, dopo aver minato alla base tutte le grandi istituzioni cristiane, concentra sull’uomo e sui progressi di cui è suscettibile tutte le speranze del messianismo». Il parallelismo è evidente, ma c’è da chiedersi: questo «libero pensiero religioso» è un «apporto ebraico», oppure il neo-giudaismo ha attinto alla filosofia del XVIII secolo e ai teorici della Rivoluzione francese le sue concezioni essenziali? Su ciò potremmo dissertare. Sicuramente il neo-giudaismo non è estraneo a questo «romanticismo religioso» gravido di pericoli per l’idea cristiana. E non meno sicuramente, quali che siano i torti dei battezzati, troppo spesso gli scrittori d’origine ebraica sono stati i propagandisti d’avanguardia delle dottrine irreligiose, immorali e antisociali. Come se non bastasse, più d’uno ha bestemmiato odiosamente. Nessuno ha superato H. HEINE.
Concludendo i suoi studi su L’esprit juif, M. MURET dice, p. 313: «Il pensatore ebreo contemporaneo è un acceso imprenditore di demolizioni. Si cercherebbe invano un principio stabile, un’idea tradizionale su cui egli non abbia esercitato la sua volontà di distruzione … La scristianizzazione del mondo ‒ a questo in definitiva si riduce la funzione degli israeliti contemporanei. E se non lavorano da soli a quest’opera, certamente vi collaborano». Cfr. J. LEMAÎTRE, Théories et impressions, Paris (s.d.), pp. 133-139.
Potremmo dire che diventando «rivoluzionario» l’ebreo diventa quasi sempre ateo, cessando così di essere ebreo? Un ebreo, B. LAZARE, lo nega. «In generale, dice, L’Antisémitisme, pp. 345-346, 347, 350, gli ebrei, anche rivoluzionari, hanno conservato lo spirito ebraico e, se pure hanno abbandonato completamente la religione e la fede, non hanno meno subito, atavicamente e nella loro educazione, l’influenza nazionale ebraica. Questo è vero soprattutto per i rivoluzionari israeliti che vissero nella prima metà di questo secolo (il XIX) e di cui H. Heine e Karl Marx ci offrono due buoni modelli … Si potrebbe ancora mostrare quanto Boerne, Lassalle, Moses Hess e Robert Blum debbano alla loro origine ebraica, e questo vale anche per d’Israeli, e si avrebbe così la prova della persistenza, in questi pensatori, dello spirito ebraico, quello spirito ebraico che abbiamo già incontrato in Montaigne e in Spinoza … L’ebreo prende parte alla rivoluzione, e vi prende parte in quanto ebreo, cioè pur restando ebreo».
Teniamo conto di tutte le nobili eccezioni e propendiamo pure a credere che esse sono numerose. Ma troppo spesso gli ebrei che ci appaiono dallo studio della storia sembrano violentemente anticristiani. Essi sono dovunque c’è l’anticristianesimo, se non sono essi stessi tutto l’anticristianesimo.
Bibl. ‒ Lavori generali o relativi ad un periodo della storia della polemica: G. Bartolocci da Celano, Bibliotheca magna rabbinica, Roma, 1675-1693, 4 voll.; J.-C. Wagenseil, Tela ignea Satanae, hoc est arcani et horribiles Judaeorum adversus Christum Deum et christianam religionem ҆ανέκδοτοι, Altdorf, 1681, 2 voll.; J.C. Wolf, Bibliotheca hebraea, Hamburg, 1715-1735, 4 voll.; G.-B. De Rossi, Bibliotheca judaica antichristiana, Parma, 1800 e Dizionario storico degli autori ebrei e delle loro opere, Parma, 1802, 2 voll.; J. Fürst, Bibliotheca hebraea, Leipzig, 1863; Freppel, Saint Justin, 2ᵉ éd., Paris, 1869, pp. 375-417; M. Steinschneider, Polemische und apologetische Literatur in arabischer Sprache zwischen Muslimen, Christen und Juden, Leipzig, 1877; E. Renan, Les rabbins français du commencement du XIVᵉ siècle, in Histoire littéraire de la France, Paris, 1877, t. XXVII, pp. 431-734, 740-753; I. Loeb, La controverse religieuse entre les chrétiens et les Juifs au moyen âge en France et en Espagne, in Revue de l’histoire des religions, Paris, 1888, t. XVII, pp. 311-337, t. XVIII, pp. 133-156 e Polémistes chrétiens et Juifs en France et en Espagne, in Revue des études juives, Paris, 1889, t. XVIII, pp. 43-70; R. Travers Herford, Christ in jewish litterature, in A dictionary of Christ and the Gospels, Edinburgh, 1908, t. II, pp. 876-882; P. Batiffol, Rabbins et romains, in Orpheus et l’Évangile, II éd., Paris, 1910, pp. 23-52. Sulle Toledot Jesu: S. Krauss, Das Leben Jesu nach jüdischen Quellen, Berlin, 1902. Sui passagini: C.-U. Hahn, Geschichte der Ketzer im Mittelalter, Stuttgard, 1850, t. III, pp. 1-68; 207-259; C. Molinier, Les passagiens, étude sur une secte contemporaine des cathares et des vaudois, in Mémoires de l’académie des sciences, inscriptions et belles-lettres de Toulouse, 8ᵃ serie, Toulouse, 1888, t. X, coll. 428-458. Sulla cabala: G. Bareille, Dictionnaire de théologie catholique, Paris, 1905, t. II, coll. 1271-1291. Sul giudaismo moderno: J. Darmesteter, Les prophètes d’Israël, Paris, 1895; Carra de Vaux, Joseph Salvador et James Darmesteter, in Revue des études juives, Paris, 1900, t. XLI, Actes et conferences, pp. XXV-XLVIII; N. Slouschuz ben David, La renaissance de la littérature hébraïque (1743-1885), Paris, 1902; D. Philippson, The reform movement in judaism, London, 1907; P. Bernard, La crise religieuse d’Israël. Défections et réformes, in Études, Paris, t. CXIII, pp. 406-420; G. Brigout, Chez les Israélites français. L’union libérale, in Revue du clergé français, Paris, 1908-1909, t. LVI, pp. 282-300, t. LVII, pp. 129-152; J. de Le Roi, Neujüdische Stimmen über Jesum Christum, Leipzig, 1910; L.-C. Fillion, Jugement porté par un juif sur le judaïsme liberal, sur Jésus-Christ et sur le christianisme, in Revue pratique d’apologétique, Paris, 1913, t. XVI, pp. 81-99; A. Spire, Quelques juifs, Paris, 1914.
- Il Talmud. 1. Il contenuto del Talmud. ‒ 2. Ciò che la Chiesa ha pensato del Talmud.
- Il contenuto del Talmud
- Stato della questione. ‒ Il Talmud, libro poco accessibile perfino per coloro che conoscono l’ebraico, scritto in una lingua oscura ed a noi pervenuto in un testo difettoso, è una vasta compilazione di elementi spesso contraddittori, di scuole ed epoche diverse. Il nucleo primitivo, la Mishna, composto prima dell’anno 200 dell’èra cristiana, contiene le decisioni rabbiniche antiche relative alla Legge o Torah. Attorno alla Mishna si sono accumulati ‒ sotto il nome di Ghemara e sotto la forma di processi-verbale delle sedute tenute dalle accademie rabbiniche ‒ commentarî, annotazioni, glosse e discussioni d’ogni genere, che contengono di tutto: dogma, morale, casuistica, politica, giurisprudenza, storia reale e leggendaria, medicina, fisica, astronomia, formule magiche, etc.
Esistono due Talmud: quello di Gerusalemme, composto nel III e IV sec. dai dottori della Palestina, e quello di Babilonia, molto più ampio, che risale al V e al VI sec. Essi sono caratterizzati da due parti: la halakha, cioè le discussioni e le leggi che ne derivarono, e la haggada, cioè tutto ciò che non appartiene alla discussione legale.
Gli ebrei hanno tenuto il Talmud in una considerazione particolare. È vero che i caraiti o «scritturali», questi «protestanti del giudaismo», apparsi verso la metà dell’ VIII sec., seguono esclusivamente la Scrittura; ma essi sono stati sempre poco numerosi. Nel fuoco della polemica, preoccupati dalle obiezioni dei cristiani, alcuni rabbini vollero vedere nella haggada solo delle innocenti amenità o le negarono una qualunque autorità religiosa, ma la corrente principale del giudaismo attribuì alla haggada e ella halakha la medesima autorità.
Ce se ne rese conto quando MAIMONIDE volle scrivere un trattato dal titolo: Non è obbligatorio interpretare sempre il Talmud alla lettera. All’unanimità i rabbini si espressero negativamente, ed il libro non fu pubblicato. Ad ogni modo, la lotta tra maimonisti, o partigiani degli studi filosofici, e antimaimonisti, od oscurantisti, non riguardava il valore del Talmud, che gli stessi maimonisti non mettevano in discussione.
Gli ebrei hanno un bel dire, osservava RICHARD SIMON, che non ci si accuserà di essere accecati dal pregiudizio antiebraico ‒ e al riguardo ripeteva ciò che avevano detto un PIETRO IL VENERABILE, Tractatus adversus Judaeorum inveteratam duritiem, V, ed un GEROLAMO DI SANTA FE, Contra Judaeorum perfidiam et Thalmud, I, II, introd. ‒ perché sarebbero scomunicati dalla Sinagoga non appena volessero scuotere il giogo di questo sottile e assurdo valiloquio. Cfr. H. MARGIVAL, Richard Simon, in Revue d’histoire et de littérature religieuse, Paris, 1896, t. I, p. 176. L’attaccamento al Talmud, per non dire il suo culto, fu, tranne poche eccezioni, incondizionato.
Al giorno d’oggi, qualche riserva viene pur avanzata. Alcuni scrittori affermano che nel Talmud vi è «del buono, del mediocre e del cattivo», I. LOEB, Réflections sur les Juifs, p. 92, e «il fango e il limo insieme all’acqua limpida e pura», A. DARMESTETER, in Revue des études juives, 1889, t. XIII, p. CD.
Dopo l’invasione del razionalismo più marcato, l’ebreo sta cercando di affrancarsi dall’autorità del Talmud. Non è giusto sostenere che gli israeliti contemporanei condividono tutto ciò che vi è nel Talmud; ma l’esattezza storica impone di non attribuire agli ebrei di un tempo i modi di giudicare e di sentire che tendono a prevalere oggi. Se il Talmud si esprime in termini osceni sul conto dei cristiani e del cristianesimo, noi abbiamo il diritto di considerare questi passi come l’espressione del pensiero ebraico o almeno di credere che abbia avuto una qualche influenza su di esso.
- Il Talmud contro i cristiani. ‒ Che testi di questo genere esistano è fuor di dubbio. Innanzitutto vi sono quelli relativi ai minim, e non solo la preghiera Shemoneh Esre di cui parla il Talmud regolandone la recitazione, ma anche prescrizioni come la seguente: «Se un gentile, o un pastore, o un allevatore di bestiame minuto cade [in un pozzo], lo si lasci lì dentro, ma non lo si spinga giù; invece i minim, gli apostati e i delatori li si spinga giù e vi si lascino dentro» (Tosefta Bab. Mez., II, XXXIII). Vi sono inoltre testi sui gojim come questi: «Si può e si deve uccidere il migliore dei gojim»; «il denaro dei gojim appartiene agli ebrei, e dunque è permesso derubarli o ingannarli»; «è proibito restituire ad un goj un oggetto smarrito». Cfr. I. LOEB, in Revue des études juives, Paris, 1880, t. I, pp. 251, 252. Si vedano altresì il trattato Aboda Zara e gli altri testi contro gli idolatri.
Abbiamo visto che il termine minim, quale che sia il suo significato originario, serviva a designare i cristiani. Diremo altrettanto del termine gojim. Non abbiamo difficoltà ad ammettere che i gojim maledetti dal Talmud siano stati anticamente i greci di Antiochia, i romani di Tito e Adriano, i magi dei re sassanidi, coloro cioè che violentarono Israele nella propria nazionalità e nella propria religione, e che le asprezze del Talmud riguardo a loro siano state, piuttosto che regole di condotta, dei gridi di guerra contro i distruttori del tempio e gli oppressori di Giuda. Ma è incontestabile che, in seguito, ormai lontani dai greci, dai romani e dai persiani che li avevano perseguitati, avendo a soffrire per via dei cristiani, gli ebrei presero l’abitudine di applicare ad essi le loro condanne contro i gojim.
Non tutti gli ebrei, in verità. Vi furono di quelli, nelle dispute tra ebrei e cristiani, i quali sostenevano che gli ebrei non osservavano queste prescrizioni talmudiche, e noi possediamo testi di diversi rabbini che testimoniano sentimenti migliori verso i non-ebrei. Cfr. le interessanti osservazioni di D. CHWOLSON, Die Blutanklage und sonstige mittelalterliche Beschuldigungen, Frankfurt am Main, 1901, pp. 62-81. Ma rimanevano i testi del Talmud, che avevano ben altra autorità di quella dei rabbini la cui parola era fuggevole e senza eco, e persisteva il pericolo di assimilare o identificare i cristiani con i gojim. B. LAZARE, L’antisémitisme, pp. 289-292, lo ammette onestamente. Egli rammenta che, durante le guerre romane, «contro l’oppressore tutto era permesso, ogni sorta di violenza e di odio era raccomandata, e il Talmud … registrò precetti e parole, e li perpetuò».
In seguito tutta la collera e tutto l’odio si riversarono sugli ebrei che si convertivano, i minim, e sui cristiani. E se si obietta che «questi precetti non rappresentavano che opinioni personali», e che nella letteratura talmudica, ed in particolare nel Pirke-Aboth, vi sono espressioni compassionevoli e fraterne, «ciò è esatto», risponde B. Lazare, e, nello spirito dei Padri che scrissero tali massime, esse ebbero un senso generale, «ma l’ebreo del medio evo, che le trovò nel suo libro, attribuì loro un senso ristretto e le riferì ai propri connazionali. Per quale ragione? Perché questo libro, il Talmud, conteneva anche dei precetti egoistici, feroci e nazionalistici, rivolti contro gli stranieri. Conservate in questo libro, la cui autorità fu immensa, in questo Talmud che fu per gli ebrei un codice, espressione del loro nazionalismo, un codice che fu la loro anima, queste espressioni crudeli o anguste acquistarono una forza se non legale, almeno morale. L’ebreo talmudista che le incontrò, attribuì ad esse un valore permanente … ; ne fece una regola generale di fronte a tutti quelli che erano estranei al suo culto, alla sua legge, alle sue credenze … il goj dei Maccabei, il mineo dei dottori, divenne il cristiano, e al cristiano vennero riferite tutte le parole di odio, di collera, di disperazione furiosa che si trovano in questo libro».
Allo stesso modo, che in origine gli «idolatri» del Talmud siano stati unicamente i pagani, è possibile; ma a poco a poco e abbastanza rapidamente, gli ebrei attribuirono ai cristiani ciò che il Talmud diceva degli idolatri, cosa tanto più facile, in quanto li ritenevano idolatri: non comprendendo il dogma della Trinità, essi li accusavano di adorare più dèi, e, confondendo il culto di latrìa con quello di dulìa, tacciavano di idolatria il culto della Vergine e dei santi.
Inoltre il Talmud isolò gli ebrei dal resto degli uomini. Per tale ragione B. LAZARE ‒ e questo è il leit-motiv della sua opera ‒ sostiene, L’antisémitisme, p. 14, che il Talmud fu nefasto. Imponendolo, i rabbaniti allontanarono Israele dalla comunità dei popoli e ne fecero «un solitario asociale … una nazione miserabile e gretta, inasprita dall’isolamento, inebetita da un’educazione angusta, demoralizzata e corrotta da un orgoglio ingiustificabile». Egli ritiene che il risultato della loro vittoria fu la persecuzione ufficiale. «Fino ad allora, c’erano state solo poche esplosioni di odi locali, ma non vessazioni sistematiche. Con il trionfo dei rabbaniti, si vedono nascere i ghetti, le espulsioni, e iniziano i massacri. Gli ebrei vogliono vivere separatamente, ed ecco che ci si separa da loro; detestano lo spirito delle nazioni fra le quali vivono, e le nazioni li cacciano».
Alcuni ammiratori del Talmud non esitano nemmeno a riconoscere che esso scavò più profondamente l’abisso che separava il giudaismo dal cristianesimo: più il cristianesimo, diffondendosi, si apriva alle nazioni pagane, più il giudaismo si rinchiudeva e si rinserrava gelosamente su se stesso; «esso rimaneva isolato in mezzo a nazioni nemiche, e questo isolamento era la sua forza», dice A. DARMESTETER, Le Talmud, p. CDXXXIV.
Allora si vide questo fenomeno, credo strano e unico nella storia, di un popolo disperso ai quattro angoli della terra, eppure sempre uno, di una nazione senza patria, eppure sempre viva. Un libro, il Talmud, ha compiuto questo miracolo. Il Talmud è stato la forza del giudaismo, ma al tempo stesso lo ha isolato. Teniamo a mente questa formula.
- Il Talmud contro il cristianesimo. ‒ L’atteggiamento del Talmud verso il Cristo è deplorevole. Vi ritroviamo, come loro luogo naturale, le bestemmie grossolane che abbiamo già incontrato: nascita illegittima di Gesù, insulti a sua madre, uso della magia da parte del Cristo. Eretico, scomunicato, peccatore e istigatore al peccato, egli avrebbe fatto la bella vita utilizzando il nome ineffabile di Jahvè, che sarebbe stato abile a trafugare nel santo dei santi del tempio e sarebbe punito per sempre nell’inferno nello sterco bollente.
Nella sua difesa del Talmud, R. Yehiel pretende che questo libro distingua due Gesù, e che i testi incriminati non si riferiscano al Gesù dei cristiani, ma all’altro. Ora, è vero che il Talmud fa confusione sulla vita di Gesù, che la sua cronologia è difettosa e contraddittoria, e che gli ebrei, senza alcuna preoccupazione dell’esattezza storica, hanno deformato i Vangeli o piuttosto l’insegnamento orale cristiano; ma, a dispetto dell’ambiguità di due o tre testi, è chiaro che il Gesù nel quale il Talmud vede il nemico che aborre e infanga è proprio il fondatore della religione che ha soppiantato il giudaismo, e i talmudisti assimilarono al Cristo il Gesù, figlio di Panthera, del Talmud.
Si leggano di seguito i testi talmudici relativi a Gesù, non in un’edizione espurgata, ma nelle edizioni complete o negli estratti raccolti da G. DALMAN in H. LEIBLE, Jesus Christus im Thalmud, Berlin, 1891, pp. 5*-19*, cfr. pp. 9-88, e da H.-L. STRACK, Jesus, die Haeretiker und die Christen nach den ältesten jüdischen Angaben, Leipzig, 1910, pp. 1-21, cfr. 18*-47*, o anche la sintesi che ne ha tracciata R. TRAVERS HERFORD, A dictionary of Christ and the Gospels, t. II, pp. 877-878; ci si renderà facilmente conto che è proprio al Gesù dei cristiani che si fa riferimento.
E se, dopo tutto ciò, si passa a quanto scrive I. LOEB in Revue des études juives, t. I, p. 256: «Perché sorprenderci che nel Talmud si trovi qualche attacco contro Gesù? Sarebbe singolare il contrario e, se proprio c’è da stupirsi di qualche cosa, è che non ve ne siano di più» ‒ si misurerà la distanza che separa la mentalità di uno fra i più intelligenti e preparati ebrei moderni da quella di un cristiano.
Altre enormità rovinano il Talmud, ad es. le espressioni sprezzanti rivolte contro la Chiesa, i suoi santi, i suoi sacramenti, le sue cerimonie. Spiccano in particolare i passi relativi a Dio, nonché svariate sconcezze e «schifezze».
Indubbiamente il Talmud appartiene ad un’epoca e ad un paese che non avevano la nostra stessa immaginazione e i nostri stessi pudori, e sbaglieremmo a rimproverargli gli antropomorfismi e le asprezze del linguaggio che accettiamo nella Bibbia. Ma c’è una bella differenza fra gli antropomorfismi biblici ed alcuni di quelli che si trovano nel Talmud, che fanno recitare a Dio, di fronte ai rabbini, «la parte di un bambino o di un imbecille», J.-H. PIGNOT, Histoire de l’ordre de Cluny, Paris, 1868, t. III, p. 535. Cfr. BARTOLOCCI, Bibliotheca magna rabbinica, t. I, pp. 552-642.
E fra i numerosi giochi e fantasie di cui si compiacciono i rabbini non ve ne sono di veramente inqualificabili? Dobbiamo biasimare i cristiani per aver giudicato rivoltante, fra le altre, questa idea che costituiva il 34ᵒ capo d’accusa nella controversia del 1240: dicentes Adam brutis et serpentem cum Eva coisse? Yehiel di Parigi, che su altri punti diede prova di elasticità e addolcì le affermazioni talmudiche, questa volta è stato intransigente: concessit quod Adam coiit cum omnibus bestiis, et hoc in paradiso. Cfr. Revue des études juives, t. I, pp. 54, 55.
È successo che nella polemica antigiudaica siano stati riportati alcuni testi non autentici o mal interpretati, e questo è deplorevole. Si è lasciato credere che tutto il Talmud è cattivo, immorale, anticristiano. Questo non è esatto. I testi da condannare sono relativamente rari. Ma se il Talmud non è tutto odio contro i cristiani e il cristianesimo, nondimeno dell’odio vi è pur sempre presente. Diremo, con A. DARMESTETER, in Revue des études juives, t. I, p. 145, che bisogna verificare se le opinioni incriminate «non fossero opinioni individuali, prive di autorità e perdute nell’immensità delle dottrine talmudiche»?
Fino alla Rivoluzione l’autorità del Talmud fu assoluta su quasi tutti gli ebrei. E, dato lo stato d’animo degli ebrei e lo stato di lotta incessante tra ebrei e cristiani, nel mare magnum del Talmud si sapeva individuare ciò che vi era contro il cristianesimo, si conoscevano i passi «buoni».
Meno ancora si dica «che d’altronde i libri ebraici, non uscendo fuori dalla cerchia della Sinagoga, erano impenetrabili al mondo cristiano e, di conseguenza, senza alcun effetto». Senza alcun effetto sui cristiani, passi pure; ma sugli ebrei!
Al giorno d’oggi certi ebrei si dissociano dal Talmud. Benissimo. Non vogliamo mettere in dubbio la loro sincerità e rinunciamo ad utilizzare contro di loro i testi talmudici. Ma abbiamo il diritto di servircene per conoscere l’atteggiamento degli ebrei verso i cristiani e il cristianesimo nei secoli passati e comprendere, di riflesso, l’atteggiamento dei cristiani verso gli ebrei.
- Ciò che la Chiesa ha pensato del Talmud
- Prima del 1500. ‒ Sembra che per molto tempo il Talmud non sia stato conosciuto dai cristiani che per sentito dire. Qualcosa del suo contenuto giungeva alle loro orecchie, ma raramente il testo dovette cadere sotto i loro occhi. Le tradizioni orali della Sinagoga, il cui primo compilatore sembra essere stato R. AKIBA († 135), e la cui raccolta, portata a termine da GIUDA IL SANTO, chiamato anche per eccellenza RABBI (fine del II sec.), formò la Mishna e ricevette la sua forma definitiva verso la metà del III sec., sono menzionate dai Padri con il nome greco di deutérosis, δευτέρωσις. Queste tradizioni sono ricordate da S. Giustino, S. Epifanio e S. Agostino. S. Gerolamo, che è molto severo ‒ aniles fabulae … et pleraque tam turpia sunt ut erubescam dicere scrive in Ep. Ad Algas., CXXI, 10 ‒ menziona i principali rappresentanti della tradizione ebraica, fra cui R. Akiba; è possibile dunque che alluda alla Mishna. GIUSTINIANO, novella 146 (548), proibisce di leggere nelle sinagoghe eam quae ab eis dicitur secunda editio: secunda editio è la traduzione letterale di δευτέρωσιϛ. È dunque la Mishna che qui viene condannata; in verità non dalla Chiesa, ma da un imperatore che giocava a fare il teologo. Questa stessa novella è inclusa nelle Basiliche, I, I, 47. Cfr. il Nomocanon di FOZIO, XII, iii.
Gli ebrei misero in atto la tattica di sottrarre il Talmud alla curiosità dei cristiani. PIETRO IL VENERABILE, Tractatus adversus judaeorum inveteratam duritiem, V, riferisce che ai suoi tempi essi facevano di tutto per tenerlo nascosto; egli esulta per essere riuscito a scoprire un esemplare e lo addita all’indignazione dei cristiani.
Malgrado la reputazione dell’ab. di Cluny e la foga del suo trattato, il Talmud rimase pressoché sconosciuto alla gente di Chiesa. La grande rivelazione si ebbe tra il 1238 e il 1240. Fino ad allora, nota giustamente N. VALOIS, Guillaume d’Auvergne, évéque de Paris, sa vie et ses ouvrages, Paris, 1880, pp. 119-120, «quale che fosse l’avversione che nutrivano gli uni per gli altri, sembrava che fra di loro (ebrei e cristiani) ci fosse una comunanza di credenze, un tacito accordo sui temi dell’antica Legge. Nelle controversie, che avevano luogo ad intervalli abbastanza brevi, gli ebrei apparivano come i difensori dell’Antico Testamento».
Il Talmud si imponeva ad essi almeno quanto la Bibbia; ma esso aveva camminato nell’ombra, e i cristiani non dubitavano molto della distanza che poneva tra loro e gli ebrei. Fu uno shock quando il mistero si dissipò. Un ebreo convertito, NICOLAS DONIN di La Rochelle, nel 1238 presentò a papa Gregorio IX trentacinque articoli che, diceva, riflettevano la dottrina del Talmud, da cui in effetti sono tratti correttamente. Gregorio, tramite lettere inviate ai vescovi ed ai sovrani dei regni occidentali, ordinò di confiscare tutti gli esemplari del Talmud e di aprire un’inchiesta. Sembra che gli ordini del papa siano stati eseguiti solo in Francia.
Nel 1240 a Parigi, dapprima davanti alla corte di S. Luigi ed in seguito davanti a dei vescovi e a dei maestri in teologia, da una parte NICOLAS DONIN e dall’altra R. YEHIEL di Parigi, la cui reputazione era conosciuta in tutta Europa, nonché altri tre rabbini, discussero le accuse contro gli insegnamenti talmudici.
Il Talmud fu condannato; gli esemplari confiscati vennero bruciati pubblicamente a Parigi, probabilmente nel 1242. Alcuni esemplari tuttavia sopravvissero; nel 1248 ebbe luogo una nuova condanna, ma non si sa se essa fu seguita da un autodafé. Un libro intitolato Extractiones de Talmut o Excerpta talmudica si propose di giustificare questa condanna riportando gli estratti del Talmud.
La seguente espressione delle Extractiones indica bene l’importanza della questione: «Bisogna sapere che, per un segreto disegno della Provvidenza, gli errori, le blasfemie e gli oltraggi contenuti nel Talmud fino ad oggi erano sfuggiti agli occhi dei dottori della Chiesa. Ma ora il muro è abbattuto, è stata fatta piena luce, e si son potuti vedere questi rettili, questi idoli abominevoli adorati dalla casa d’Israele». Oramai qualcosa era cambiato nelle relazioni fra ebrei e cristiani.
L’attenzione dei papi rimase desta. A più riprese, essi rinnovarono la condanna del Talmud. Questo fu il caso di CLEMENTE IV (bolla Damnabili perfidia del 15 luglio 1267); di ONORIO IV (bolla Nimis in partibus anglicanis del 18 novembre 1285); di GIOVANNI XXII (bolla Dudum felicis recordationis del 4 settembre 1320, che riporta la lettera di Eudes de Châteauroux, cardinale-vescovo di Frascati e legato di Innocenzo IV all’epoca della condanna del 1248, e quelle di Clemente IV e Onorio IV); di BENEDETTO XIII (Pedro de Luna, bolla Etsi doctoris gentium del 3 maggio 1415; del concilio di Basilea, sess. XIX). I re di Francia FILIPPO L’ARDITO (1284) e FILIPPO IL BELLO (1308) pubblicarono ordinanze contro il Talmud.
Secondo GALATINO, Opus de arcanis catholicae veritatis, I, VII, Basilea, 1550, p. 26, CLEMENTE V, con l’approvazione del concilio di Vienne (1311), avrebbe stabilito thalmudicos Judaeorum libros per fideles hebraicam linguam callentes in latinum sermonem traducendos atque publice legendos esse, Clement.,V, I, 1. BARTOLOCCI, Bibliotheca magna rabbinica, t. III, pp. 744-745, cfr. 746, afferma che Clemente V, ordinando l’istituzione di cattedre di ebraico, arabo e caldaico nelle principali Università d’Europa, vuole che si traduca, non già il Talmud, ma i libri di grammatica composti in queste lingue, affinché gli allievi siano in grado di apprenderli in modo appropriato. In effetti, il testo della decretale sostiene che in queste Università debbono esserci due maestri esperti in ciascuna di queste tre lingue, qui scholas regant inibi, et, libros de linguis ipsis in latinum fideliter transferentes, alios linguas ipsas sollicite doceant. È dunque semplicemente questione, in linea generale, di tradurre in latino dei libri ebraici, arabi e caldei. Il Talmud non vi è menzionato e, siccome peraltro era vietato, nulla autorizza a credere che il papa ne approvi l’uso nell’insegnamento delle Università. Ma, se Galatino estende la decisione pontificia, Bartolocci sembra restringerla quando sottolinea le parole: libros de linguis, intendendo con ciò i trattati di grammatica.
- Dopo il 1500. ‒ I libri ebraici beneficiarono innanzitutto del movimento del Rinascimento. LEONE X sovvenzionò degli ebrei convertiti che si preoccupavano di tradurli e si interessò alla pubblicazione del Talmud.
Avendo un ebreo convertito, finito poi male, invitato, nel suo Judenspiegel (Specchio degli ebrei, 1507), i suoi vecchi correligionari alla lettura del Talmud, ostacolo alla loro conversione, ed esortato i cristiani a distruggere i «falsi libri ebraici», JOHANNES REUCHLIN replicò che bisognava eliminare, dopo un regolare giudizio, solo i libri veramente pericolosi e che il Talmud, miscuglio di elementi diversi, era tale da poter rendere testimonianza alla verità.
Un violento libello di PFEFFERKORN, Der Handspiegel (Lo specchio manuale, 1511), accusò Reuchlin d’essere stato corrotto dall’oro giudaico. REUCHLIN rispose con Der Augenspiegel (Lo specchio degli occhi, 1511). Fu una lotta intensa, dove Reuchlin e Pfefferkorn si scambiarono altri scritti polemici, e alla quale presero parte, a favore di Reuchlin, due ebrei convertiti, GALATINUS (Pietro Colonna), Opus de arcanis catholicae veritatis (1518) e PAOLO RICCI, medico dell’imperatore Massimiliano I, il cardinale EGIDIO da Viterbo, il francescano GIORGIO BENIGNI, vescovo di Nazareth, e, a favore di Pfefferkorn, ARNOLD LUYDIUS di Tongres e il domenicano JACOB HOCHSTRATTEN, che era inquisitore per la provincia di Magonza e a questo titolo fu consultato nella controversia.
Reuchlin si appellò al papa. Il giudizio si protrasse per anni; infine, nel 1520, LEONE X condannò Reuchlin e il suo Specchio degli occhi, definito «pericoloso, sospetto, pieno di parzialità a favore degli ebrei».
Nel frattempo, i «giovani umanisti», i «poeti» che avevano dato impulso alla Riforma, gli autori delle Lettere d’uomini oscuri, e soprattutto ULRICH VON HUTTEN, s’erano fatti sostenitori di Reuchlin ed avevano approfittato dell’occasione per attaccare la Chiesa, cosicché la querelle di Reuchlin diventava «il preludio di una battaglia molto più importante che doveva provocare una scissione definitiva delle intelligenze», L. PASTOR, Histoire des papes, trad. A. POIZAT, Paris, 1909, t. VII, p. 256.
La Riforma protestante e la Controriforma cattolica reagirono in merito alla repressione del giudaismo e segnatamente alla condanna del Talmud. La bolla Cum sicut nuper di GIULIO III (29 maggio 1554) stabilì che si confiscassero e bruciassero, assieme al Talmud, tutti i libri ebraici che contenevano blasfemie contro il Cristo.
Durante il pontificato di PAOLO IV, un numero incalcolabile di esemplari del Talmud fu dato alle fiamme, soprattutto a Cremona, dove uno dei più illustri ebrei convertiti, SISTO DA SIENA, si adoperò alla loro distruzione. Cfr. la sua Bibliotheca sancta, Paris, 1610, pp. 120, 310. Nell’Index librorum prohibitorum (1564), PIO IV proibì il Talmud con le sue glosse, annotazioni e interpretazioni, precisando che questi libri sarebbero stati tollerati solo a condizione che apparissero senza il nome di Talmud e senza le ingiurie contro il cristianesimo. Di qui le edizioni censurate. L’agostiniano ADAMANZIO di Firenze fu incaricato da GREGORIO XIII di occuparsi di questo lavoro espurgatorio. GREGORIO XIII (bolla Antiqua Judaeorum del 1ᵒ luglio 1581) sottopose all’inquisizione i possessori del Talmud. CLEMENTE VIII (bolla Cum Hebraeorum del 28 febbraio 1593) confermò le lettere dei suoi predecessori; inoltre condannò tutti i libri, in lingua ebraica o no, carenti dal punto di vista cattolico e proibì di stamparli in nessun caso, etiam sub praetextu quod expurgata fuerint, donec expurgentur, sive quod de novo typis excusa fuerint mutatis nominibus, vel etiam sub obtentu seu tolerantiae aut permissionis, ut praetendunt, secretarii aut cujusvis personae sacri concilii Tridentini, aut Indicis librorum prohibitorum per recentis memoriae Pium papam IVm praedecessorem nostrum editi. Cfr. nelle edizioni dell’Index anteriori a quella di LEONE X, subito dopo le dieci regole generali, le Observationes ad regulam 9am Clementis papae VIII jussu factae.
Diversi decreti, uno dei quali del Sant’Uffizio (18 maggio 1596), precisarono che non era compito dei cattolici di espurgare i libri ebraici, ma degli stessi ebrei, e che gli ebrei che si fossero trovati in possesso di opere anticristiane sarebbero stati puniti. Un’importante lettera del cardinale di Cremona (29 novembre 1629), sulla stessa linea di Clemente VIII, riassume le misure della Chiesa contro il Talmud. Un progetto di ordinanza del cardinale PETRA riprende, in merito al Talmud, le disposizioni dei papi, a partire da Innocenzo IV. Segnaliamo infine un editto di PIO VI (ottobre 1775), che richiama e conferma questa ordinanza, cfr. Analecta juris pontificii, Roma, 1860, pp. 1422-1423, ed un altro editto (gennaio 1793) che la ribadisce.
Bibl. ‒ G. Bartolocci, Bibliotheca magna rabbinica, t. I, pp. 552-642; t. III, pp. 359-663, 731-748; J.-C. Wolf, Bibliotheca hebraea, t. II, pp. 657-993; t. IV, pp. 320-456; J. Derenbourg, art. Talmud, in Encyclopédie des sciences religieuses, Paris, 1882, t. XII, pp. 1007-1036; A. Darmesteter, Le Talmud, in Revue des études juives, Paris, 1889, t. XVIII, Actes et conferences, pp. CCCLXXXI-DCXLII; H. Leible, Jesus Christus im Thalmud, Berlin, 1891; R. Sinker, Essays and studies, Cambridge, 1900, pp. 58-79; R. Travers Herford, Christianity in Talmud and Midrash, London, 1903; A. Meyer, Jesus im Talmud, in E. Hennecke, Handbuch zu den neutestamentlichen Apocryphen, Tübingen, 1904, pp. 47-71; H.-L. Strack, Einleitung in den Thalmud, IV éd., Leipzig, 1908; art. Talmud, in Realencyclopädie, III éd., Leipzig, 1907, t. XIX, pp. 313-334; Jesus, die Haeretiker und die Christen nach den ältesten jüdischen Angaben, Leipzig, 1910, e le opere citate nelle pagine precedenti.
- L’usura. 1. Che cosa è stata l’usura ebraica; 2. Ciò che la Chiesa ha pensato dell’usura ebraica.
- Che cosa è stata l’usura ebraica.
- Stato della questione. ‒ In tutte le lingue europee “ebreo” è sinonimo di “usuraio”. È colpa degli ebrei oppure è un’ingiustizia del linguaggio? La tesi comune a quasi tutti gli storici è che gli ebrei non hanno avuto colpe, o quasi.
Nessuno ha presentato questa tesi in modo tanto abile quanto brutale come I. LOEB, Réflections sur les Juifs, pp. 29-30, 52-81. Popolo «essenzialmente agricolo», dice, gli ebrei, spinti dalle circostanze, si sono trasformati in un popolo di mercanti. La metamorfosi si deve alla perdita della loro autonomia e alla loro dispersione nel mondo. Dove hanno potuto, si sono dedicati ai lavori manuali e all’agricoltura. In generale, ne sono stati impediti nella misura in cui sono stati gradualmente esclusi dalla proprietà della terra. Allora si sono rivolti al commercio. Stabiliti sulle rive del Mediterraneo, spingendosi a poco a poco all’interno della Grecia, dell’Italia, della Gallia e della Spagna, essi ‒ i soli in grado di allacciare relazioni con l’Oriente ‒ formarono una catena fra l’Asia e l’Egitto e, grazie alla loro origine orientale e alla facilità degli scambi con le colonie ebraiche dell’Oriente, della Grecia, dell’Arabia, forse dell’India, e soprattutto di Costantinopoli, fecero arrivare i ricchi prodotti delle regioni asiatiche, con gran profitto dei popoli.
Tuttavia i mercanti rivali si erano stabiliti a Marsiglia (VI sec.), in Spagna (VII sec.), in Italia (IX e X sec.). Le crociate aprirono ai cristiani la via dell’Oriente. La borghesia delle città, la cui comparsa era stata facilitata dal loro traffico, nonché le corporazioni di mestiere, strapparono agli ebrei il grande commercio; non rimasero loro che i rami inferiori, il commercio del denaro e gli affari di banca, l’usura.
Nel medio evo l’usura ebraica non è l’usura come la intendiamo oggi, cioè il prestito di denaro ad un tasso illegale o abusivo, ma puramente e semplicemente il prestito a interesse, anche ad un tasso legale. Il senso del termine è mutato, ed è questo termine ripetuto all’infinito e impiegato in un’accezione differente da quella che ebbe un tempo, «che ha fatto passare come un assioma indiscutibile che tutti gli ebrei di tutte le epoche sono o sono stati orribili usurai».
Gli ebrei, a parte le singole eccezioni che si incontrano ovunque, non hanno mai praticato l’usura nel senso moderno del termine; costretti a dedicarsi al commercio del denaro, sono stati «d’una lealtà perfetta» ed hanno reso un «servigio immenso». Indubbiamente non hanno prestato a buon mercato, ma potevano farlo? Tollerati per fare usura e solo e soltanto per questo, gran parte dell’interesse che percepivano era destinato ad entrare nelle casse del re o del signore sotto forma di imposte oppressive. Insomma, gli interessi percepiti dagli ebrei, lungi dall’essere eccessivi, vista la rarità del numerario ed i rischi straordinari da essi corsi, talvolta erano perfino inferiori agli interessi percepiti dai cristiani.
Ora, ciò che era capitato per il commercio ebbe luogo anche per la banca; gli ebrei furono eliminati dopo esserne stati i promotori e i maestri. «Il loro commercio è stato chiuso dalla legislazione; la banca dalle sommosse, dai saccheggi, dalle espulsioni e dai massacri … Tra l’ebreo e il cristiano, lo sfruttatore non è l’ebreo, ma il cristiano, e lo sfruttato non è il cristiano, ma l’ebreo».
Si parla della ricchezza degli ebrei. Gli ebrei sono ricchi? Se così fosse, non ci sarebbe che da rallegrarsene. È un’idea superata che l’arricchimento degli uni comporti l’impoverimento degli altri. «Ogni fortuna è generalmente creata ( a parte le eccezioni) da chi la possiede (o dai suoi avi); non è un capitale che cambia di mano, ma un capitale di nuova formazione che prima non esisteva, che viene ad aggiungersi ai vecchi capitali e ad accrescere il patrimonio pubblico. Se gli ebrei sono ricchi lo sono dunque con grande profitto del paese dove risiedono». Ma in generale gli ebrei non sono ricchi. Esistono alcune grandi fortune, alcune «vette finanziarie», ma sono un’eccezione. «Su sette milioni di ebrei, vi è poco più di un settimo la cui condizione, certamente inferiore a quella dei cristiani, è appena sopportabile; gli altri vivono in una profonda indigenza».
- LAZARE, l’enfant terrible dell’ebraismo, espone una tesi sensibilmente differente, L’Antisémitisme, pp. 20-21, 102-118, 364-367. L’anima degli ebrei, dice, è duplice: mistica e al tempo stesso concreta. Talora i due stati d’animo si giustappongono. L’amore dell’oro si è accresciuto a dismisura, «fino a diventare, per questa razza, quasi l’unico movente delle sue azioni». Originariamente pastori e agricoltori, dopo la loro dispersione gli ebrei si diedero al commercio, come quasi tutti gli emigrati e i coloni che non vanno a dissodare una terra vergine. Le leggi restrittive del diritto di proprietà sono posteriori al loro insediamento; se non coltivarono la terra, ciò non fu per l’impossibilità di acquistarla, ma perché l’esclusivismo, il patriottismo tenace e l’orgoglio di Israele non permettevano all’ebreo di coltivare una terra straniera. Egli si specializzò nel commercio, poi nel prestito a interesse, nel cambio, nella banca.
La creazione delle corporazioni finì con l’escluderlo da ogni industria e da ogni commercio, tranne quello delle cianfrusaglie e del ciarpame. Gli ebrei ripiegarono sullo sfruttamento dell’oro. Furono le circostanze a spingerlo in questa direzione. Il medio evo, erede dei dogmi finanziari del diritto romano, riteneva che l’oro e l’argento avessero un valore immaginario, variabile a capriccio del sovrano, e che non fossero una merce. Il prestito a interesse era proibito dalla legge ecclesiastica. Ma intanto si andò costituendo la classe dei proprietari e quella dei salariati, si sviluppò la borghesia, nacque la potenza capitalistica. Il capitale non si rassegnò ad essere improduttivo; per produrre, doveva essere impiegato nel commercio o nel prestito.
Gli ebrei, che appartenevano in maggioranza alla categoria dei mercanti e dei capitalisti, una volta esclusi dal commercio presero a maneggiare l’oro, tanto più che le guerre, le carestie ed ogni condizione economica dei popoli fra i quali vivevano rendevano l’oro sempre più necessario e i prestiti sempre più frequenti, e tanto più che, non essendo il prestito a interesse praticato dai cristiani, se non da una «classe di reprobi», Lombardi, Caorsini, Toscani, usurai del luogo in rivolta contro la Chiesa, gli ebrei sfuggivano alle pastoie della legislazione canonica, e i loro stessi signori, i nobili da cui dipendevano, e la stessa gente di Chiesa, richiedevano da loro quell’oro di cui avevano bisogno.
Inoltre, sotto la continua minaccia dell’espulsione, gli ebrei si preoccuparono di trasformare i loro beni in modo da renderli facilmente convertibili, dando loro di conseguenza la forma di una ricchezza mobile. «Così furono i più attivi nello sviluppare il valore denaro, nel considerarlo come una merce: di qui il prestito e, per porre rimedio alle confische periodiche e inevitabili, l’usura». Così l’ebreo si indirizzò verso l’oro. «Condotto da un lato dai suoi dottori e dall’altro dai legisti stranieri, ma anche da molte cause sociali, alla pratica esclusiva del commercio e dell’usura, l’ebreo fu svilito; la ricerca dell’oro, perseguita incessantemente, lo degradò, indebolì in lui la coscienza, lo umiliò … Per lui il furto e la malafede divennero le armi, le sole armi, di cui gli fu possibile servirsi; così si ingegnò ad affilarle, a complicarle e a dissimularle».
Non siamo lontani da Isidore Loeb? Che pensare di queste due tesi? È proprio vero che gli ebrei sono stati costretti a dedicarsi all’usura? È proprio vero che l’hanno esercitata moderatamente e che l’impopolarità che gliene è valsa fu ed è ingiusta?
- Gli ebrei sono stati costretti a dedicarsi all’usura? ‒ Non sembra che gli ebrei abbiano avuto un’inclinazione naturale, immemoriale e incoercibile verso il commercio e la finanza. A lungo furono un popolo agricolo. Sulla loro attività agricola in Arabia prima di Maometto cfr. H. LAMMENS, Le berceau de l’Islam, Roma, 1914, pp. 154-157. Essi praticarono il commercio a partire dalle due cattività. Vi mostrarono attitudini notevoli; il loro cosmopolitismo ne facilitava il compito. Resero servigi con le loro imprese commerciali e, una volta esaurito il proprio ruolo commerciale, con il commercio del denaro, se non altro tramite l’invenzione e la diffusione della lettera di cambio. Possiamo aggiungere che non tutti gli ebrei sono favolosamente ricchi, che nel medio evo la gran parte fu povera e lo è rimasta fino ai giorni nostri.
Questa è la parte della tesi di Loeb che non solleva alcuna obiezione. Ma non è esatto dire che gli ebrei siano stati costretti a rifugiarsi nell’usura. Il regime feudale rendeva rare le terre disponibili e malagevolmente permetteva agli ebrei di diventare grandi proprietari, ma non di diventare proprietari. Le restrizioni al diritto di proprietà ancora non esistevano o comunque non esistevano quando si misero a praticare il commercio dell’oro. Solo più tardi il regime delle corporazioni vietò loro l’accesso a certe professioni.
In Francia, sino alla fine del medio evo, «la libertà di mestiere è stata la legge quasi generale del paese»; il movimento che comprende il progresso dell’organismo corporativo e quello della regolamentazione «ha inizio con Carlo VII, si accentua sotto Luigi XI ed alla fine del XV sec.», P. IMBART DE LA TOUR, Les origines de la Réforme, t. I, La France moderne, Paris, 1905, p. 304.
Per molto tempo gli ebrei hanno avuto la possibilità di dedicarsi alle stesse professioni dei cristiani; solo una minoranza l’ha fatto, molti altri hanno preferito praticare l’usura. Spesso alle denunce contro gli ebrei usurai si accompagna l’invito a dedicare la loro attività ad un lavoro onesto. «Che tutti gli ebrei vivano del lavoro delle loro mani o si dedichino ad altre occupazioni senza usure» suona un’ordinanza di s. Luigi (1254).
L’imperatore Federico II stabilì che gli immigrati ebrei venissero confinati nei lavori agricoli (1237). S. TOMMASO d’Aquino, De Regimine Judaeorum ad ducissam Brabantiae, consiglia all’autorità pubblica di obbligarli ad un lavoro utile per guadagnarsi la vita, come accade in Italia, invece di nutrirsi a spese degli altri. Cfr. PIETRO IL VENERABILE, Epist., IV, XXXVI (al re di Francia Luigi VII); TRITHEME GEILER di Keisersberg e J. BUSCH, citati da J. JANSSEN, L’Allemagne et la Réforme, trad., Paris, 1887, t. I, p. 377; M. BECAN, Tractatio dilucida et compendiaria omnium de fide controversiarum ex suo Manuali ejusdem argumenti deprompta, V, XVII, Lyon, 1624, p. 624 etc.
Qui la tesi di B. Lazare è giusta: se le circostanze e l’ambiente spinsero l’ebreo a maneggiare l’oro, anche lui ci mise del suo, con la sua «natura artificiale», con le «sue proprie leggi», con la sua condizione di mercante che aveva liberamente scelta, con l’influenza del Talmud e con l’insegnamento rabbinico. Noi non contestiamo che gli ebrei, minacciati continuamente d’essere spogliati ed esiliati, abbiano avuto bisogno di rendere i loro beni facilmente convertibili, e di dare dunque ad essi una forma mobile, quella dell’oro, e, meglio ancora, che abbiano avuto bisogno della lettera di cambio che sfuggiva al fisco. Ma ciò fu vero solo a partire dal momento in cui le usure lampanti degli ebrei valsero loro l’esilio e gli espropri. Se gli ebrei non avessero praticato l’usura abusivamente, non avrebbero dovuto difendere le loro ricchezze e fronteggiare le evenienze più temibili.
- Gli ebrei hanno praticato l’usura moderatamente? ‒ No. Nelle loro mani l’usura ‒ prestito a interesse è diventata l’usura nel senso attuale del termine, il prestito a un interesse esorbitante. Se il termine “usura” ha mutato significato, non è unicamente in seguito ai cambiamenti che hanno subito le concezioni economiche dei popoli moderni, e tutte le accuse al riguardo contro gli ebrei non si basano su «un semplice malinteso e su una sorta di gioco di parole». Loeb si sforza di giustificare il tasso che gli ebrei praticavano. Era lo stesso, dice, di quello dei prestatori cristiani; essi prestavano alla settimana, e questo tasso è sempre stato più elevato del prestito annuo; questo tasso non era eccessivo, vista la rarità del numerario e i rischi che si correvano: azzeramento totale o parziale dei crediti, espulsioni, saccheggi, etc., senza contare che una buona parte di tali interessi era destinata alle casse dei principi sotto forma di imposte gravose.
A tutto ciò rispondiamo innanzitutto che gli eccessi dei cristiani non giustificano quelli degli ebrei. I Lombardi, i Caorsini etc. si dedicavano ad un traffico odioso, condannato severamente dalla Chiesa e che attirò su di loro l’odio popolare e talvolta repressioni energiche; è per questo motivo che i Lombardi a più riprese furono espulsi dalla Francia.
In che cosa dobbiamo giustificare gli ebrei?
I principi che erano conniventi con gli ebrei, i ricchi che fornirono fondi per partecipare ai loro profitti, tutti quelli che erano «cristiani solo di nome, ma grandi usurai al pari degli ebrei», come diceva TRITHEME cit. da JANSSEN, op. cit., t. I, p. 377, tutti gli «usurai cristiani più insaziabili e cupidi degli ebrei», diceva s. BRIGIDA, Revelat., IV, XXXIII, tutti quelli, diceva HANS FOLZ nella sua Histoire de l’empire romain (1480), cit. da JANSSEN, t. I, p. 380 (cfr. pp. 380-389), «che suonano la musica con gli ebrei sullo stesso violino» ‒ tutti costoro sono stati coperti d’ignominia dall’opinione pubblica non meno degli ebrei.
Dopo aver rammentata l’indignazione eccitata contro i Lombardi e le misure prese contro di essi, Loeb obietta che il pregiudizio si è ricordato unicamente dell’usura ebraica, mentre ha dimenticato quella cristiana. Il fatto è che i Lombardi e i Caorsini sono lontani nella storia, mentre gli ebrei sono vicini. Il prestito settimanale «è sempre stato più elevato e forse meno gravoso del prestito annuo». Più elevato, certamente; meno gravoso, pure, in casi eccezionali, quando vi era momentaneamente bisogno di denaro e c’era un mutuatario in grado di liberarsi dai suoi debiti, ma non in generale. Era soprattutto la gente del popolo che faceva ricorso a questi prestiti quando si trovava in uno stato di indigenza. Allora aveva campo libero l’avidità degli usurai.
«Gli ebrei depredano e scorticano la povera gente ‒ dice ERASMO di Erbach (1487), cit. da JANSSEN, t. I, pp. 373-374 ‒ La cosa diventa veramente intollerabile; Dio abbia pietà di noi! Gli ebrei usurai si stabiliscono nei più piccoli villaggi; quando anticipano cinque fiorini, prendono pegni per sei volte il valore del denaro prestato; poi reclamano gli interessi degli interessi e da questi ancora altri interessi, di modo che la povera gente si vede alla fine spogliata di tutto ciò che possedeva».
Fu certamente per ovviare a tutto ciò che Filippo Augusto, il quale, al fine di ridurre le pretese degli ebrei, aveva stabilito (1206) che essi non percepissero più di due denari per lira a settimana (poco più del 43% annuo), vietò loro (1218) di concedere prestiti a tutti i cristiani che vivevano del lavoro delle proprie mani, «qui propriis manibus laborabat, sicut agricola, sutor, carpentarius et hujusmodi, qui non habent haereditates vel mobilia unde possint sustentari nisi laborent propriis manibus», e di prendere in pegno aratri di ferro atti al lavoro e grano non spulato. Tali divieti indicano la natura e la gravità del pericolo; prendendo in prestito a tassi esorbitanti, questa gente del popolo, contadini, operai, poveracci che tiravano a campare, andava incontro ad una rovina irrimediabile.
Il numerario era raro, i rischi da correre seri, il tasso legale elevato: queste tre ragioni legittimavano l’usura ebraica? È vero che tassi elevati furono legalmente in uso. Filippo Augusto, vietando un tasso superiore al 43%, permise dunque un tasso del 43%. L’interesse legale salì talora più in alto, fino al 52, 86 e perfino al 174 %. La rarità del numerario, la minaccia dei rischi spiegano in una certa misura la maggiorazione del tasso. Nondimeno il troppo è troppo, e «legale» non è necessariamente sinonimo di «giusto». P. IMBART DE LA TOUR, op. cit., t. I, pp. 281-282, ha dimostrato che, in seguito all’estensione del contratto di rendita nelle regioni del nord e del centro della Francia, alla fine del XV e all’inizio del XVI sec., si produsse una diminuzione generale e progressiva del tasso di capitalizzazione; esso oscillò tra il 10 e il 5%. Ma non per questo i banchieri ebrei hanno abbassato le loro pretese.
Vi sono poi le complicazioni, che andarono ad aggiungersi alla gravosità dei tassi, stigmatizzate dalle bolle dei papi, dai canoni dei concili e dai predicatori, come ad es. MENOT e MAILLARD, nonché i misteri del medio evo. Dipingendo gli artifizi degli «affamatori del popolo», alcuni libri contabili ci offrono questo vivace commento: «Maggiorazione delle somme prestate, stima esagerata delle merci fornite o insufficiente delle merci ricevute, ritenuta di una parte degli anticipi o del pegno superiore al prestito, valutazione arbitraria delle monete o dei grani, in un’epoca in cui questi valori erano instabili, errori di calcolo … il creditore, mercante o ebreo, si serve di tutte le astuzie ingegnose e sottili dell’uomo d’affari in regola con la legge».
Il 19 febbraio 1895, alla Camera dei deputati, M. SAMORY, descrivendo l’usura ebraica in Algeria, diceva: «Ho visto presentare ricevute da 4.000 a 5.000 franchi per un prestito di 1.500 franchi, e siccome il colono non poteva pagare, veniva espropriato, e si pagava 4.000 franchi al tribunale una terra che valeva da 20.000 a 25.000 franchi». Abusi di questo genere, fatti su una scala molto varia, spiegano l’impopolarità degli usurai ebrei e le allusioni malevole alla ricchezza ebraica.
Questa ricchezza salta subito agli occhi. Cfr. ad es. AGOBARDO, De insolentia Judaeorum, IV (con la nota di BALUZE su questo passo, P. L., t. CIV, col. 73); AMOLONE, Contra Judaeos, LIX; RIGORD, De gestis Philippi Augusti; PIETRO ALFONSO, Dialogi, II, P. L., t. CLVII, col. 574 (l’interlocutore ebreo trae dall’esistenza delle loro ricchezze la prova che gli ebrei sono amati da Dio), etc.
Non dobbiamo esagerare la portata di questi testi, ma non dobbiamo neppure vedervi della fantasmagoria. Ciò che ha reso mal disposti verso le ricchezze degli ebrei è che «essi pretendono più di quanto spetti loro»; che certe fortune sono state costruite troppo in fretta, troppo in fretta per essere state acquisite in modo legittimo; che, per limitarci al medio evo, dove sono nate queste accuse, gli ebrei hanno abusato, quando hanno potuto, della loro condizione di prestatori indispensabili. Banditi, espropriati, se la porta si riapriva, grazie all’usura si trovavano, quasi dall’oggi al domani, ricchi esattamente come prima dell’esilio.
- Ciò che la Chiesa ha pensato dell’usura ebraica
- La Chiesa ha tollerato l’usura ebraica nel senso primitivo del termine, o prestito a interesse. ‒ Alcuni testi lascerebbero intendere che la Chiesa abbia condannato il prestito a interesse, fra gli ebrei come fra i cristiani (cfr. l’art. Intérêt (Prêt à), t. II, coll. 1081-1090). INNOCENZO III ingiunse ai principi di costringere gli ebrei ad remittendas usuras, Decret. V, XIX, 12. S. TOMMASO, De Regimine Judaeorum, Opera omnia, Parma, 1865, t. XVI, p. 292, fissa questo principio: Cum ea quae Judaei per usuras ab aliis habuerint non possint licite ritenere. Altrove si imbatte nel famoso testo Deut. XXIII, 19-20, che permette agli ebrei di esigere un interesse dallo straniero, ma non dal fratello; fu, dice (IIᵃ IIᵃᵉ, q. 78, art. 1, ad 2ᵐ) una concessione divina, ad majus malum vitandum; ma prestare a chiunque est simpliciter malum, perché ogni uomo deve essere per noi un fratello, soprattutto nella condizione evangelica alla quale tutti sono chiamati.
Ciò significa che la concessione del Deuteronomio è stata revocata dal Cristo. REIFFENSTUEL, Jus canonicum universum, In Decret. V, XIX, § IX, n. 172,Paris, 1869, t. IV, p. 451, afferma decisamente la realtà di questa revoca. Cfr. anche BENEDETTO XIV, De synodo dioecesana, X, IV, 12-13, in Opera, Bassano, 1767, t. XII, p. 8. La maggior parte dei teologi e dei canonisti non fu altrettanto rigorosa. Cfr. tra gli altri M. BECAN, Tractactio omnium de fide controversiarum, V, XVII, Lyon, 1624, pp. 459-461; A. RICCIULLI, Tractatus de jure personarum extra Ecclesiae gremium existentium, II, XIX, Roma, 1622, p. 72; J. GIBALIN, De usuris commerciis deque aequitate et uni fori lugdunensis, I, VII, 8, Lyon, 1657, pp. 119-122; C.-A. THESAURUS, De poenis ecclesiasticis, Roma, 1675, p. 361; G. ROSIGNOLI, Novissima praxis theologico-legalis in universas de contractibus controversas, Milano, 1678, t. I, pp. 164-172; G. SESSA, Tractatus de Judaeis, IV, XII, XVIII-XIX, Torino, 1717, pp. 8-9; L. FERRARIS, Prompta bibliotheca canonica, Venezia, 1782, t. IV, addenda, pp. 14-15.
Questi autori si pongono sul terreno dei fatti; essi constatano, pur nella diversità delle spiegazioni, che la Chiesa tollera l’usura ebraica. Il giureconsulto SESSA dice crudamente: Usurae judaicae tolerantur quidem ex permissione principum et summorum pontificum in Hebraeis, ut de gente deperdita et quorum salus est desperata, et ad eum finem ne christiani foeneris exercitio strangulentur a christianis. BECAN, la cui autorità è ancora più grande, per giustificare l’autorizzazione dell’usura invoca una causa sufficiente, come quella di impedire il male: senza di essa potrebbero esserci furta, rapinae, oppressiones pauperum, desperationes.
In realtà, il motivo principale della tolleranza della Chiesa sembra essere stato il testo del Deuteronomio. Sarebbe interessante raccogliere tutto ciò che hanno scritto i cristiani: esegeti, teologi, canonisti. E forse, studiandoli da presso, si percepirebbe qua e là il presentimento e quasi l’inizio della legittimazione del prestito a interesse per mezzo dei titoli estrinseci. Ad ogni modo, di fatto la Chiesa tollerò che gli ebrei prestassero a interesse. Col tempo, con l’istituzione dei monti di pietà e la loro ripercussione sulle questioni bancarie, la tolleranza dei papi si andò accrescendo. Non contenti di appoggiare i prestatori ebrei, fecero addirittura ricorso ad essi. Martino V, Callisto III, Alessandro VI, Clemente VII contrassero prestiti consistenti.
Gli ebrei ne approfittarono per prestare ai cristiani, a tassi non troppo elevati, le somme che prestavano allo Stato a tassi molto elevati. Al tempo stesso debitori e creditori dei cristiani, essi furono «creditori molto umili e debitori molto arroganti. Se li si minacciava, minacciavano a loro volta di dichiarare fallimento e di trascinare nella rovina le banche private e i monti di pietà; ed infatti, di fronte a questa estrema evenienza, si fece sempre un passo indietro», E. RODOCANACHI, Le Saint-Siège et les Juifs, p. 245. A loro volta, i principi secolari permettevano agli ebrei di esercitare l’usura, cosa che THESAURUS, op. cit., p. 361, ritiene lecita, almeno in virtù di un costume remotissimo tollerato dai papi o di una autorizzazione concessa dalla Santa Sede.
Gli ebrei esultavano, perché potevano esercitare l’usura verso gli stranieri, come stabiliva l’antica Legge, ed essi ne traevano la conclusione che restavano il popolo di Dio, secondo quanto riporta FAGIUS nell’opera Critici sacri sive doctissimorum virorum in SS. Bibbia annotationes, London, 1660, t. I, coll. 1288-1289, il quale udì spesso molti di loro dichiarare che erano talmente soddisfatti dello stato presente delle cose che non avrebbero desiderato l’avvento del Messia e il ritorno in Palestina.
Nel XVI sec. i papi autorizzarono alcuni ebrei ad aprire banchi dove si prestava a interesse ed altri a prestare a interesse senza aprire banchi. A quel tempo si andava affermando l’idea che un interesse più lieve può, a causa dei titoli estrinseci, essere legittimo. Questa idea dovette influenzare i documenti pontifici in senso favorevole agli ebrei, anche se non vi compare esplicitamente. I Regesti dei papi contengono preziose informazioni sulle relazioni fra il papato e gli ebrei prestatori di denaro. Ancora di più apprendiamo dalla grande quantità dei Cameralia che si trovano negli archivi vaticani. Il cameriere o camerlengo del papa era incaricato dell’amministrazione temporale degli Stati della Santa Sede. Gli atti da lui emanati ci permettono di seguire dettagliatamente il pensiero del capo della Chiesa. I Cameralia contengono centinaia di documenti relativi ai prestatori ebrei, banchieri e non. Ad es., il volume di Clemente VII, o quello di Paolo III, contiene una interminabile serie di lettere che si riferiscono a questa materia: Diversorum Cameralia (archivi vaticani, armadio XXIX), Clementis VII (1528-1533), t. LXXXIV, fol. 4, 6, 16, 17, 18, 19, 26, 29, 31, 32, etc.; Pauli III (1541-1542), t. CXXXVI, fol. 33, 36, 59, 72, 78, 81, 125, 130, etc.
Molte riproducono per filo e per segno le molteplici clausole della autorizzazione del banco. Il tasso d’interesse è sempre fissato e gli ebrei vi appaiono muniti di notevoli privilegi. Un certo numero riporta che gli ebrei sono autorizzati a prestare a interesse pro familiae vestrae sustentatione ac pauperum christianorum commoditate, Div. Camer., Pauli III, t. CXXXVI, fol. 33, 56, 59; Pauli IV, t. CLXXXIV, fol. 25, etc. Talvolta è detto che il camerlengo accorda l’autorizzazione «eo modo quo sine peccato possumus et sancta Romana Ecclesia tolerare consuevit», Clementis VII, t. LXXXIV, fol. 13; cfr. Pauli III, t. CXXVI, fol. 183. È una formula che i documenti usano volentieri quando si tratta di concessioni straordinarie.
- La Chiesa ha represso l’usura nel senso moderno del termine, o prestito a interesse esorbitante. ‒ Il IV Concilio Lateranense, c. 67, Decret. V, XIX, 18, condanna la perfidia degli ebrei, i quali, in poco tempo, con le loro usure esauriscono le risorse dei cristiani, e stabilisce che se, con qualunque pretesto, estorcono graves et immoderatas usuras, christianorum eis participium subtrahuntur donec de immoderato gravamine satisfecerint competenter. Il Concilio non condanna ogni usura, ma solo l’usura eccessiva. (Nel decreto sulla liberazione della Terra Santa, esso stabilisce parimenti che, a favore dei crociati, fintantoché durerà la crociata, l’interesse delle somme prese a prestito dagli ebrei non sarà percepito, ma non dice che questo interesse è illegittimo). Cfr. INNOCENZO III, Epist., X, CXC. Il Formularium di MARINO da Eboli, Vaticanus 3976, fol. 150, contiene questa indicazione ad uso dei redattori delle lettere pontificie: Item contra Judaeos dicatur quod graves et immoderatas exstorserunt ab eo et adhuc extorquere nituntur usuras: mandamus quatenus , si est ita … Segue il richiamo della pena inflitta dal Concilio Lateranense.
Autorizzazioni sorprendenti furono consentite da CLEMENTE VII. Tra le altre, l’ebreo portoghese David, figlio di Joseph Negro, e Joseph, figlio di David, aprirono ad Imola un banco con il permesso, per sedici anni, di poter prestare al 30% e 40 % ed anche oltre. Cfr. Diversorum Cameralia, Clementis VII, t. LXXXIV, fol. 8-13; F. Vernet, in L’Univerité Catholique, nouv. série, t. XIX, pp. 107-108. Clemente VII aveva avuto molto bisogno di denaro per fronteggiare la grave situazione venutasi a creare dopo il sacco di Roma (1527). Aveva dovuto ricorrere agli ebrei. Se i suoi provvedimenti favorevoli agli ebrei si spiegano con questa ragione, come è probabile, e se furono spontanei, la sua riconoscenza fu estrema; se invece furono imposti dai prestatori, allora questi gli dettarono condizioni veramente draconiane.
Anche PAOLO III fu generoso. PAOLO IV limitò questa liberalità. Egli prese verso gli ebrei precauzioni minuziose. In particolare, ingiunse (bolla Cum nimis absurdum, 14 luglio1555) che i loro libri fossero tenuti in caratteri latini e in lingua italiana, senza di che essi non avrebbero potuto essere esibiti in tribunale contro i cristiani, e che, se il prestito veniva rimborsato nel corso del mese, juxta ipsorum dierumnumerum et non ad rationem integri mensis eorum credita exigant, il che implica il diritto di percepire un profitto sul prestito, ma non un profitto abusivo.
PIO IV (bolla Dudum a felicis recordationis, 27 febbraio 1562) rinnovò queste prescrizioni, designando l’interesse col suo nome: pro toto tempore quo quis pecuniis vestris fruitur intelligatur interesse currere, computando tamen diem pro die, mensem pro mense.
PIO V motivò la sua terribile bolla Hebraeorum gens (26 febbraio 1569) in parte con gli eccessi usurai degli ebrei, quibus egentium christianorum substantiam usquequaque exinaniverunt.
Sotto il pontificato di SISTO V gli ebrei ebbero un ritorno di fiamma. Un motu proprio del 4 gennaio 1589 riconfermò tutte le ordinanze pubblicate un tempo a favore dei banchieri ebrei di Roma e successivamente abolite, e fissò il tasso d’interesse al 18% quando si trattava di anticipi su pegno e al 50% quando gli anticipi erano senza garanzia.
CLEMENTE VIII rinnovò i severi provvedimenti di Pio V. La sua bolla Caeca et obdurata (25 febbraio 1593) condannò in termini energici l’usura ebraica: eo tandem sunt progressi ut, adversos divinas, naturales humanasque leges, magnis et gravibus usuris pecuniarum, quas praesertim a pauperibus et egenis exigunt, monopoliis illicitis, foeneraticiis pactis, fraudibus, dolis in cntrahendo ac fallaciis, plurimus cives et incolas ditionis temporalis ecclesiasticae ubi commorantur misere exhauserint, bonis spoliaverint, ac tenuis potissimum fortunae homines, praesertim rusticos et simplices, non solum ad extremam inopiam et mendicitatem, sed propemodum in servitutem redegerint.
E tutto ciò ricominciava indefinitamente. Gli ebrei non si rassegnavano all’idea di non ammassare interessi su interessi. Nessun papa è riuscito ad eliminare questi affari di banca. «Questo popolo scaltro ‒ dice F. GREGOROVIUS, Promenades en Italie, trad., Paris, 1894, p. 37 ‒ conosceva l’arte di appropriarsi del denaro con ogni mezzo, e forniva così all’odio dei cristiani un alimento sempre nuovo. I Rothschild di questa epoca (il XVII sec.) percepivano generalmente un interesse del 18%. Il ghetto presta ancora oggi (Gregorovius scriveva nel 1853) ad un interesse elevato. Tutto nel suo giro è rapportato al denaro e al guadagno»
Malgrado tutto, se li lasciavano prestare a interesse, i papi reprimevano periodicamente gli eccessi delle loro usure. Forse un’interessante spiegazione di ciò potrebbe risiedere nel fatto significativo che, braccati un po’ ovunque, i figli d’Israele non si stabilirono in numero considerevole negli Stati della Santa Sede, dove pure vivevano al sicuro. Essi vi affluivano nel colmo di una tormenta generale, ma non vi rimanevano. «La ragione di questo fatto ‒ dice C. AUZIAS-TURENNE, in Revue catholique des institutions et du droit, 2ᵉ série, Paris, 1893, t. XI, p. 318 nota ‒ crediamo sia molto semplice. È vero che negli Stati pontifici gli ebrei erano protetti, ma al tempo stesso sorvegliati e tenuti in disparte … Negli altri paesi, al contrario, l’ebreo poteva anche passare brutti momenti, ma, ad intervalli, godeva di libertà di manovra e di usura».
Bibl. ‒ F. Vernet, Papes et banquiers juifs au XVIᵉ siècle, in L’Université Catholique, nouv. série, Lyon, 1895, t. XIX, pp. 100-111; E. Flornoy, Le bienhereux Bernardin de Feltre, Paris, 1897, pp. 119-184; G. Pansa, Gli ebrei in Aquila nel secolo XV, l’opera dei frati minori e il monte di pietà istituito da san Giacomo della Marca, in Bollettino della società di storia patria A.-L. Antinori negli Abruzzi, II serie, 1904, t. IX, pp. 201-229; M. Ciardini, I banchieri ebrei in Firenze nel secolo XV e il monte di pietà fondato da G. Savonarola, Borgo San Lorenzo, 1905; i lavori citati alla voce INTERESSE (PRESTITO A), col. 1090.
- L’omicidio rituale. – 1. L’esistenza dell’omicidio rituale. 2. Ciò che la Chiesa ha pensato dell’esistenza dell’omicidio rituale.
- L’esistenza dell’omicidio rituale
- Stato della questione.
- Il concetto di omicidio rituale. ‒ D. CHWOLSON, Die Blutanklage und sonstige Beschuldigungen der Juden, trad. dal russo, Frankfurt am Main, 1901, pp. 6-7, 178-210, classifica sotto sedici forme le «accuse del sangue» e le riconduce a due categorie, a seconda che il sangue abbia un uso religioso oppure puramente superstizioso. Per maggiore chiarezza, distinguiamo quattro aspetti di ipotesi di omicidio rituale da parte di un ebreo.
- a) L’ebreo uccide il cristiano sotto l’empito della collera, della vendetta, della cupidigia, della passione, etc., ma non perché è cristiano, cioè senza che la professione di cristianesimo della vittima c’entri qualcosa in questo atto. Evidentemente questo omicidio non è rituale.
- b) L’ebreo uccide un cristiano, preferibilmente un bambino, perché cristiano, in odio del Cristo e del cristianesimo, ma non si serve del suo sangue per uno scopo superstizioso o religioso. Neppure questo crimine, il decimo dell’elenco di Chwolson, è un omicidio rituale.
- c) L’ebreo uccide il cristiano perché cristiano, per uno scopo superstizioso, per avere sangue cristiano ed usarlo in operazioni di magia, nella terapeutica, come afrodisiaco. A questo si riferiscono le ultime sei «accuse del sangue» individuate da Chwolson: il sangue sarebbe usato contro le malattie, contro il fetore tipico degli ebrei, per farsi amare, per fermare il sangue che cola nella circoncisione, per facilitare i parti laboriosi, per guarire certe infermità tipiche degli ebrei. Neppure in questo caso l’omicidio è rituale, non abbiamo un rito fissato dalla liturgia ebraica; la religione è estranea a superstizioni del genere.
- d) L’ebreo uccide il cristiano perché cristiano e per uno scopo religioso. Queste sono le prime nove «accuse del sangue» registrate da Chwolson: α) Il sangue è mischiato agli azimi di Pasqua o al vino che si beve la vigilia di Pasqua. ‒ β) Esso è mischiato ad un uovo che il rabbino dà da mangiare all’ebreo e all’ebrea che si sposano, nel momento in cui ricevono la benedizione nuziale. ‒ γ) Con esso il sacerdote ebreo si strofina le mani quando va a benedire il popolo nella sinagoga. ‒ δ) I rabbini, nella festa dei Purim, inviano ai membri della loro comunità un alimento preparato con sangue cristiano. ‒ ε) Il sangue cristiano è necessario perché Dio gradisca i sacrifici che gli sono offerti; oppure, secondo un’altra versione, non avendo più, dopo la distruzione del tempio, la possibilità di offrire sacrifici a Dio, gli ebrei considerano l’offerta del sangue cristiano come una compensazione molto gradita a Dio. ‒ ζ) Un bambino cristiano viene ucciso in sostituzione dell’agnello pasquale. ‒ η) A Pasqua gli ebrei tingono le loro porte col sangue cristiano, in ricordo del sangue dell’agnello che tingeva le porte degli ebrei prima dell’uscita dall’Egitto. ‒ θ) Quando un ebreo è in punto di morte, si sfrega il suo volto con sangue cristiano, o vi si mette un panno imbevuto di sangue cristiano e, a bassa voce, gli si sussurra all’orecchio: «Se il Cristo, al quale credono e in cui sperano i cristiani, è il vero Messia promesso, possa il sangue di un candido bambino messo a morte servirti per la vita eterna!». ‒ ι) Il venerdì santo si crocifigge un bambino per rappresentare la crocifissione del Cristo, ma non si fa uso del suo sangue.
In ciascuno di questi casi, e in casi analoghi, ci troviamo di fronte ad un omicidio rituale. Ma anche qui dobbiamo di nuovo distinguere. Se simili misfatti sono opera di singoli individui che agiscono a puro titolo personale, abbiamo l’omicidio rituale nel senso più ampio del termine o impropriamente detto. Vi è omicidio rituale in senso stretto unicamente se questo è prescritto o autorizzato dalla liturgia ufficiale, se è compiuto in nome della comunità, cioè della nazione ebraica o per lo meno da una setta ebraica. Si potrebbe definirlo: omicidio ufficiale di un cristiano, principalmente di un bambino, per uno scopo religioso.
- Le principali accuse di omicidio rituale. ‒ Diverse liste sono state stilate da L. RUPERT, L’Église et la Synagogue, Paris, 1859, pp. 268-310; C. CHOLEWA DE PAWLIKOWSKI, Der Thalmud in der Theorie und Praxis, Ratisbona, 1866, pp. 245-308 (73 casi); H. DESPORTES, Le mystère du sang chez les Juifs, Paris, 1889; L’Osservatore cattolico di Milano, marzo-aprile 1892 (44 articoli, 154 casi); JAB, Le sang chrétien dans les rites de la Synagogue, Paris (s.d.); il dott. IMBERT-GOURBEYRE, in CONSTANT, Les Juifs devant l’Église et l’histoire, II éd., Paris (s.d.), pp. 323-326; A. MONNIOT, Le crime ritual chez les Juifs, Paris, 1914, pp. 143-300, etc.
IMBERT-GOURBEYRE, p. 336, vede «il primo fatto che stabilisce il salasso rituale» nella crocifissione di un bambino a Immerstar (Siria), all’epoca delle Pasque ebraiche dell’anno 415. Le accuse di omicidio rituale sono frequentemente registrate a partire dal XII sec. Ecco i casi più famosi. Salvo indicazione contraria le vittime sono dei bambini. Citiamo in particolare quelli che, in diversa misura, sono stati oggetto di un culto e che, a questo titolo, figurano negli Acta sanctorum dei Bollandisti: il beato Guglielmo di Norwich (1144), cfr. Acta sanctorum, III éd., Paris, 1865, martii, t. III, pp. 586-588; il bambino di Blois (1171); il beato Riccardo di Parigi, crocifisso a Pontoise (1179), cfr. Acta, martii, t. III, pp. 588-592; i bambini di Fulda (1235); la bambina di Valréas (1235); il beato Werner di Oberwesel (1248), cfr. Acta, aprilis, t. II, pp. 695-738; la beata Dominique di Val di Saragozza (1250), cfr. Acta, 1868, augusti, t. VI, pp. 777-783; il beato Ugo di Lincoln (1255), cfr. Acta, 1868, julii, t. VI, p. 494; il beato Rodolfo di Berna (intorno al 1287), cfr. Acta, aprilis, t. II, pp. 500-502; il beato Jeannot, Joannetus, della diocesi di Colonia (data sconosciuta), cfr. Acta, martii, t. III, p. 500; il beato Luigi di Ravensburg (1429), cfr. Acta, aprilis, t. III, pp. 986-988; il beato Andrea di Rinn (1462), cfr. Acta, julii, t. III, pp. 438-441; il beato Simoncino di Trento (1475), cfr. Acta, martii, t. III, pp. 493-500; il beato Lorenzino di Marostica (1485); il beato bambino [Cristoforo, questo nome sarebbe stato dato dagli ebrei] della Guardia (intorno al 1490); il bambino di Metz, che sarebbe stato ucciso da Raphael Lévy (1669); il p. Tommaso, cappuccino, e il suo domestico, a Damasco (1840); la fanciulla (calvinista, quattordicenne) di Tisza-Eszlar (1881); la fanciulla (diciannovenne) di Brezina, vicino a Polna (1899); il giovane Andrea Yutchschinsky, del cui omicidio a Kiev fu accusato l’ebreo Beilis (1911).
- La verosimiglianza dell’omicidio rituale. ‒ L’accusa, prima di ogni esame dei fatti, sembrerebbe inverosimile, sia in se stessa che diretta contro gli ebrei. È inverosimile che tali orrori possano essere opera di una collettività umana, tanto sono vicini alla barbarie. Inoltre c’è stata sempre la tendenza ad attribuire a quelli che si detestano l’uso del sangue nemico per uno scopo superstizioso e religioso. Ricordiamoci dei primi cristiani: essi passarono per mangiatori di bambini nelle loro riunioni segrete, e questa calunnia ‒ a dire di Origene scagliata dagli ebrei ‒ ebbe una diffusione prodigiosa. Ancora oggi, in Cina, i missionari sono accusati di rastrellare bambini per strappare loro gli occhi e il cuore per farne dei filtri.
È d’una saggezza elementare, non meno che d’una giustizia in senso stretto, non accettare troppo facilmente sul conto degli altri dei racconti che ci disgustano quando li applicano a noi. «Veder riapparire questa antica accusa con una tenacia tanto persistente nei tempi e nelle civiltà più diverse, e questo sempre sulla base di un “si dice” più o meno ciecamente accettato ‒ tutto ciò inclina al dubbio o esige in ogni caso il μέμνησο ἀπιστεῖν [ricordati di essere sospettoso]», dice P. DE L[ABRIOLLE], Le meurtre rituel, in Bulletin d’ancienne littérature et d’archéologie chretiennes, Paris, 1913, t. III, pp. 202-203.
Le idee ebraiche sull’uso del sangue rendono l’accusa del sangue particolarmente inverosimile quando riguarda gli ebrei. L’antica Legge stabilisce la pena di morte contro chiunque mangi sangue degli animali, Lev. XVII, 10-14. La legislazione rabbinica entra nei minimi particolari per vietare ogni uso del sangue: l’alimento che ne contiene anche una sola goccia è impuro; è vietato prenderlo. I primi cristiani presso i quali esisteva la tradizione di astenersi «dagli animali soffocati e dal sangue», Atti, XV, 20, così rispondevano ai loro accusatori: «Come potrebbero i cristiani mangiare dei bambini se non è neppure permesso loro di mangiare il sangue degli animali senza ragione?» Cfr. la lettera delle chiese di Lione e Vienne, in EUSEBIO, H. E., V, I, 6, e MINUCIO FELICE, Octavius, XXX. Gli ebrei riprendono questo argomento: con tutta la loro avversione per il sangue, prescritta dalla Legge ed entrata nel costume, come potrebbero essere capaci degli omicidi rituali che si imputano loro?
Nondimeno, «il vero può non essere verosimile». Se da un lato l’accusa del sangue si discredita con l’abuso che ne è stato fatto così spesso, in generale contro gli avversari e, in particolare, dal paganesimo contro la Chiesa nascente, dall’altro è un fatto che la preoccupazione e la superstizione del sangue hanno ossessionato lo spirito dei popoli. H.-L. STRACK, Das Blut im Glauben und Aberglauben der Menscheit, München, 1900, pp. 1-85, dedica la metà del suo libro contro l’esistenza dell’omicidio rituale all’esame dei pregiudizi così diffusi, secondo i quali il sangue degli animali e degli uomini assicurerebbe la guarigione di molte malattie, o aggiungerebbe una virtù particolare ai talismani. Strane aberrazioni ebbero un successo sconcertante. L’omicidio rituale, se si suppone dimostrata la sua instituzione, sarebbe una ulteriore mostruosità.
E il divieto del Levitico di nutrirsi di carne non dissanguata sarebbe una precauzione contro la voluttà del sangue tipica dei semiti? Tutta la storia di Israele fu una lotta di Jahvè contro le divinità corruttrici dei paesi vicini, contro Moloch, avido di carne umana, il dio semitico per eccellenza. Una tesi, cara a molti antisemiti, e che l’ex membro della Comune di Parigi, G. TRITON, Du molochisme juif, Bruxelles, 1884, ha volgarizzato, è che gli ebrei hanno sostituito al Dio di Mosè l’infame Moloch della Fenicia e che, cedendo all’impronta originaria della razza, si sono orientati verso il sacrificio umano. Inoltre, anche se alla totalità degli ebrei ripugna l’uso del sangue, non potrebbe trovarsi tra di loro qualche setta che abbia per regola l’uso del sangue per uno scopo religioso o superstizioso? D. CHWOLSON, Die Blutanklage, p. 339, dichiara di averlo frequentemente sentito dire in Russia. Poco tempo fa, nel corso del processo Beilis a Kiev, lo si è sostenuto decisamente. Per tutte queste ragioni non basta arguire dall’inverosimiglianza per escludere l’accusa del sangue.
- La realtà dell’omicidio rituale in senso stretto. ‒ Se l’omicidio rituale esiste presso gli ebrei come istituzione ufficiale, bisogna che sia autorizzato dai libri di liturgia ebraica o da un insegnamento esoterico non affidato agli scritti e trasmesso oralmente agli iniziati.
- I libri ebraici. ‒ Vi sono in questi libri, ed in modo particolare nel Talmud, dei testi che autorizzano l’omicidio rituale? Fino ai tempi più recenti nessuno lo aveva insinuato. Ne risulta una forte supposizione che non vi si legga nulla di tutto ciò. Negli attacchi così numerosi, così vivaci, ricominciati senza tregua, contro il Talmud e gli altri libri ebraici, li si è sfogliati in tutti i modi possibili e si sono pubblicati volumi che raccolgono e commentano i passi più riprovevoli. Come ammettere che i passi che approvano l’omicidio rituale, se pure se ne possano incontrare, siano sfuggiti ai denunciatori?
Nondimeno, un professore dell’Università di Praga, il canonico A. ROHLING, ha creduto di aver scoperto un testo del Talmud il quale consente di concludere che si poteva sacrificare ogni bambino ebreo, non protetto dalla volontà del padre, a guisa di olocausto pasquale, e che, poiché gli ebrei reclutano i loro olocausti fra i minori del loro popolo, a maggior ragione possono farlo con dei non-ebrei. Uno scritto di Rohling, Der Talmudjude, Münster, 1871 (VI éd., 1877; due traduzioni francesi di M. DE LAMARQUE, Paris, 1888, e di A. PONTIGNY, Paris, 1889) aveva scatenato un’aspra polemica. Il principale oppositore fu F. DELITZSCH, professore all’Università di Leipzig, che entrò in campo con il suo Rohling’s Talmudjude, Leipzig, 1881. Seguì tutta una serie di brossure. Cfr. H.-L. STRACK, Das Blut, p. 111. Nel 1891 Rohling gettò nel dibattito il testo talmudico. In realtà, questo testo non ha il senso che Rohling gli attribuisce: esso non parla né di olocausto, né di sacrificio umano, né di non-ebrei, ma soltanto del caso in cui dei ragazzi avidi di ricchezze sarebbero tentati di uccidere il loro fratello minore per spartirsi l’eredità, come una volta è capitato la vigilia di Pasqua. Cfr. STRACK, Das Blut, pp. 116-120, 114-115 su due altri testi dello Zohar e del Sepher ha-liqqutin di I. LURIA (†1572) riportati a torto da Rohling.
Abbiamo visto che il Talmud presenta, accanto a belle massime, espressioni odiose verso i cristiani e suscettibili di eccitare l’ingiustizia e la violenza. Ma in nessun luogo il crimine rituale in vista del consumo del sangue, il crimine rituale pasquale, il crimine rituale in senso stretto, sotto qualunque forma, è prescritto o legittimato dal Talmud.
- L’insegnamento esoterico. ‒ In mancanza di un testo ufficiale, l’esoterica ebraica ha spinto all’omicidio rituale? I documenti che lo affermano abbondano. Non insistiamo sulle fonti cristiane, i cui autori parlano a nome dei cristiani. Quando un ROBERTO DI TORIGNY, Chron., éd. L. DELISLE, Rouen, 1873, t. II, pp. 27-28, dopo aver raccontato, alla data del 1171, l’omicidio di quattro bambini a Blois, Norwich, Glocester e Pontoise, aggiunge che spesso, a quel che si dice, ut dicitur, gli ebrei fanno altrettanto durante la Pasqua, se ne hanno occasione; quando TOMMASO di Cantimpré, Bonum universale de apibus, II, XXIX, 23, trasformando questo ut dicitur in certezza scrive: «È certo che tutti gli anni gli ebrei estraggono a sorte, in ogni provincia, la città o la comunità che fornirà alle altre il sangue cristiano», potremmo chiederci come fanno a saperlo e dubitare del valore delle loro testimonianze.
Ma al riguardo noi abbiamo precise confessioni degli ebrei. Ad es., nell’affare di Valréas (1247), molti dicono che, in mancanza dei sacrifici che non possono più compiersi nel tempio, gli ebrei devono versare sangue cristiano come se fosse un sacrificio, che a Saint-Paul-Trois-Châteaux è venuto l’ordine di estrarre a sorte la comunità ebraica incaricata quell’anno di spargere sangue cristiano, e che la sorte aveva designato Valréas. Simili dichiarazioni sono state ottenute giuridicamente a più riprese. Alcuni ebrei sono stati «convinti», come si esprimono i documenti; per chi conosce il linguaggio del medio evo, questa parola implica tutta la procedura legale. Che cosa si può desiderare di più probante?
Ahimè, condannare «giuridicamente» e «convincere» significava convincere e condannare dopo l’uso della tortura e in base a confessioni ottenute tramite questa. Oggi tutti concordano che una deposizione estorta con la violenza è dichiarata nulla, ma un tempo la si considerava valida, e ciò non solo nel medio evo, ma anche nel XVII sec. ed ancora nel XVIII sec. Gli stessi gravi, dotti e ammirevoli antichi Bollandisti ‒ la grande autorità di cui si valevano coloro che ammettevano l’esistenza dell’omicidio rituale, «i principi della certezza storica», dice GOUGENOT DES MOUSSEAX, Le Juif, le judaïsme et la judaïsation des peuples chretiens, p. 197, cfr. p. 190 ‒ accettano il pregiudizio del tempo. Mai essi formulano una qualche riserva sull’autorità di una testimonianza strappata con la forza materiale. Ricercando le cause dell’omicidio rituale, registrano senza discussione, in piena fiducia, Acta, aprilis, t. II, p. 501, le quattro cause che furono confessate per vim tormentorum da alcuni vecchi ebrei compromessi nell’affare di Tyrnau (1494): la virtù del sangue cristiano per fermare l’effusione del sangue nella circoncisione; la sua virtù come afrodisiaco; la sua virtù curativa nelle malattie consistente in ciò che viri ac mulieres aeque apud eos fluxu menstrui laborent; una legge antica, ma segreta, quo quotidianis sacrificiis in aliqua regione christianum Deo sanguinem libare coguntur.
Le confessioni fatte sotto la morsa della tortura non contano, e neppure quelle dovute al desiderio di sfuggire alla sua minaccia o alla prospettiva della libertà e di una sorte migliore dopo una reclusione dolorosa. Ora, le confessioni relative all’esistenza dell’omicidio rituale in senso stretto sono tutte di questa natura. Torniamo all’affare di Valréas. Tre ebrei furono arrestati e torturati. Otto giorni dopo confessarono l’omicidio ufficialmente consumato. Cinque giorni più tardi comparvero davanti a Dragonet di Montdragon, sire di Montauban, da cui dipendeva Valréas, e confermarono le loro confessioni, sponte et sine vinculo, capti tamen et post tormenta. Lo stesso giorno, nuova inchiesta. Comparvero altri sei ebrei. I primi tre negarono il crimine; una volta torturati, due lo confessarono, mentre il terzo rimase irremovibile sul suo diniego. Degli altri tre, che l’inchiesta definisce juvenes (uno tuttavia era sposato), uno confessò, mentre gli altri due dichiararono di non saperne nulla. Nessuno fu torturato, ma essi sapevano che potevano esserlo e cosa significava esserlo. Così l’inchiesta presenta i fatti. Cfr. A. MOLINIER, Enquête sur un meurtre rituel imputé aux Juifs de Valréas, in Le cabinet historique, nouv. série, Paris, 1884, t. II, pp. 121-134. La relazione che gli ebrei inviarono al papa, e che INNOCENZO IV riporta nella bolla del 28 maggio 1247, cfr. E. BERGER, Les registres d’Innocent IV, n. 2815, Paris, 1882, t. I, pp. 420-421, concorda con questa circa il motivo delle confessioni, pur essendo più accentuata: vi è detto che Dragonet eos non convictos nec confessos, nec etiam aliquo accusante (si tratta di una accusa legale), bonis omnibus spoliatos diro carceri mancipavit, ipsosque …, quibusdam ex caesis per medium, aliis combustis igne, aliquorum virorum extractis testiculis ei mulierem mammillis evulsis, tamdiu poenarum aliarum diversarum tormentis afflixit, donec ipsi id quod eorum conscientia non didicit ore, sicut dicitur, sunt confessi, uno necari tormento potius eligentes quam vivere et poenarum afflictionibus, cruciari.
Che valore hanno simili confessioni? Esattamente il valore delle confessioni di quei fanciulli, di quelle donne, di quegli schiavi, di quei cristiani d’ogni rango i quali, all’inizio del cristianesimo, assicuravano in mezzo ai supplizi che i cristiani praticavano l’omicidio rituale. Non conosciamo una sola testimonianza ebraica, sicuramente autentica e assolutamente libera, che garantisca la realtà dell’omicidio rituale in senso stretto. Qualunque cosa si debba pensare in merito all’affare di Damasco (1840), è certo che gli accusati furono torturati crudelmente prima di non confessare nulla. Cfr. STRACK, Das Blut, p.132.
Nel 1834 a Nauplia di Romania sarebbe apparso, in greco moderno, con il titolo Rovina della religione ebraica, un opuscolo che si presentava come traduzione di uno scritto in lingua moldava composto nel 1803 dal monaco Neofito, ex rabbino convertito al cristianesimo. Esso fu tradotto anche in arabo e conobbe molte edizioni, che gli ebrei si sarebbero sforzati di far sparire. Un capitolo è dedicato all’omicidio rituale. Lo si può leggere in JAB, Le sang chrétien dans les rites de la Synagogue moderne, Paris, s.d. È orribile. Vi è detto che l’uso del sangue raccolto dagli ebrei, negli omicidi dei cristiani, è un rito che credono ordinato da Dio stesso e rivelato nella Scrittura; che non tutti gli ebrei conoscono il mistero del sangue, ma solo i rabbini o khakham, i letterati e i farisei, che per tale ragione sono definiti i conservatori del mistero del sangue. Qui sono riuniti tutti gli orrori sparsi un po’ovunque sulle cause dell’omicidio rituale in senso stretto.
Quale credito si può accordare a queste pagine, la cui esistenza fu rivelata da A. LAURENT, Relation historique des affaires de Syrie depuis 1840 jusqu’en 1842, Paris, 1846, t. II, p. 378? Sembra che nessuno abbia mai saputo niente sull’autore o abbia visto l’edizione originale del suo libro. Basterebbe già questo per essere diffidenti. Alcune affermazioni dell’autore sono straordinarie. Egli afferma solennemente che tutti gli ebrei d’Europa sono affetti dalla scabbia, che quelli d’Asia soffrono di tigna, che quelli d’Africa hanno l’antrace ai piedi e quelli d’America dei mali agli occhi che danno loro un’aria stupida.
Tutto ciò è nello stile della letteratura antigiudaica più ottusa; è assurdo che un vero ebreo abbia potuto scrivere sciocchezze di questo genere. Non c’è bisogno di aggiungere che la scomparsa attribuita agli ebrei degli esemplari delle successive edizioni di questa brossura, quand’anche fosse stabilita, proverebbe che gli ebrei hanno voluto ritirare dalla circolazione uno scritto capace di attizzare contro di loro gli odi popolari, e non già che essi hanno ammesso la realtà di queste rivelazioni. L’esistenza da qualche parte, soprattutto nella vasta Russia, dove pullulano le sette d’ogni genere e dove gli ebrei sono numerosi, di una setta ebraica che iscrive nel suo programma la prassi dell’omicidio rituale, in linea puramente teorica è possibile, ma non è stata dimostrata. Cfr. CHWOLSON, Die Blutanklage, pp. 339-349.
- La realtà dell’omicidio rituale nel senso più ampio del termine e dell’omicidio per uno scopo superstizioso. ‒ Dal fatto che l’omicidio rituale in senso stretto non è una realtà storica basata su prove certe dobbiamo dedurre che tutte le accuse del sangue rivolte agli ebrei sono false? No. Escludendo i casi di omicidio non documentabili o sicuramente apocrifi, e non tenendo conto delle confessioni estorte con la tortura, resta un numero considerevole di fatti che vanno esaminati senza scartarli sdegnosamente a priori. Rigettare tutto in blocco o ammettere tutto in blocco, sarebbe ugualmente antiscientifico. Non sempre la luce è sufficiente per pronunciarsi a colpo sicuro. Dobbiamo saperlo riconoscere e, poiché nemo malus nisi probetur, dobbiamo propendere a credere all’innocenza degli ebrei fintantoché il dubbio persiste. Ma più che dal desiderio di coglierli in fallo, partiamo dall’idea che non possono essere colpevoli.
La storia delle origini cristiane è piena delle sevizie che gli ebrei esercitarono contro i fedeli. In seguito, obbligati ad essere circospetti nei paesi cristiani, non deposero le loro cattive disposizioni. Pieni d’odio, a loro volta furono odiati. Dei cristiani versarono sangue ebraico e i papi dovettero protestare contro i massacri compiuti dal popolino. Successivamente troppo spesso dei cristiani, malgrado le leggi della Chiesa, strapparono dei bambini alle proprie famiglie per imporre loro il battesimo, soprattutto in Spagna e in Portogallo; gli ebrei ne provarono lo stesso dolore che se fossero stati messi a morte. Una lunga eredità di inimicizie violente, di situazioni umilianti, di maltrattamenti subiti ‒ tutto ciò era tale da portare al parossismo i loro rancori e le loro collere. «Sicuramente, dice B. LAZARE, L’antisémitisme, p. 353, durante il medio evo, dovettero esservi degli ebrei omicidi, che i soprusi e la persecuzione spingevano alla vendetta e all’assassinio dei loro persecutori e perfino dei loro figli».
- LAZARE, pp. 354-358, ricorda ancora che gli ebrei si dedicarono alla stregoneria. Essi furono i maghi per eccellenza. Si conosce il ruolo che da sempre il sangue occupa nei malefici. Si attribuiva al sangue, soprattutto al sangue delle vergini, delle virtù incomparabili: «Il sangue era guaritore, evocatore, preservatore, poteva servire alla ricerca della pietra filosofale, alla preparazione dei filtri e degli incantesimi, ed è molto probabile, se non addirittura certo, che degli ebrei maghi abbiano immolato dei bambini». Forse gli inizi dell’accusa di omicidio rituale sono proprio lì. «Si stabilì una relazione tra gli atti isolati di certi stregoni e la loro qualità di ebrei». Perlomeno l’accusa non ebbe origine che a datare dal XII sec. e dal grande progresso della magia.
È anche possibile che questo o quell’ebreo, da solo o con dei complici, abbia, a titolo privato, ucciso dei cristiani, soprattutto bambini, non solo per uno scopo superstizioso, non solo in odio del cristianesimo, ma in vista di un uso rituale. «Per respingere a priori ogni accusa di omicidio rituale, dice P. DE L[ABRIOLLE], Bulletin d’ancienne littérature et d’archéologie chrétiennes, t. III, p. 202, ci vorrebbe un partito preso un po’ ingenuo. Che dire delle immaginazioni malsane di cui sono capaci certi cervelli criminali, fanatici o mezzi pazzi?» La stessa accusa di omicidio rituale, i processi che suscitò, la pubblicità che ottenne, hanno potuto suggerire un assassinio rituale, così come la lettura dei processi d’assise suggerisce misfatti simili a quelli che hanno appassionato l’attenzione del pubblico. Per tutte queste ragioni, è opportuno discutere da presso i casi di omicidio che presentano i testi.
Non è questo il luogo per farlo. Quale che possa essere il risultato, che gli omicidi accertati siano relativamente numerosi o, come pensa B. LAZARE, p. 357, «molto rari», e quali siano state le cause di questi omicidi, vendetta, preoccupazioni di magia o di terapeutica, furia anticristiana, nulla autorizza a far ricadere la loro responsabilità sulla nazione e sulla religione ebraica. Sarebbe ingiusto incolpare il giudaismo di crimini commessi da singoli individui senza mandato ufficiale, esattamente come sarebbe ingiusto imputare al cristianesimo gli assassinî di bambini compiuti per conto del marchese de Rais e di la Voisin o le messe nere dell’orrendo Guibourg.
- Ciò che la Chiesa ha pensato dell’esistenza dell’omicidio rituale
Abbiamo pubblicato un elenco considerevole, che va certamente ampliato, di documenti pontifici sull’omicidio rituale. Cfr. Revue pratique d’apologétique, Paris, t. XVII, pp. 419-429. Alcuni sono favorevoli agli ebrei, altri contro.
- Documenti contro gli ebrei. ‒ Il più grave, se si potesse stabilire che è stato scritto a nome di un papa, sarebbe la bolla Contra Judaeos crucifigentes puerum, che si legge nel Formularium di MARINO da Eboli, Vaticanus 3976, fol. 240b. Vice-cancelliere della Chiesa romana dal 1244 al 1251, Marino raccolse, nel suo Formularium, dei modelli di lettere pontificie ad uso dei chierici incaricati della redazione di questi atti. Non sono modelli fittizi, usciti interamente dalla fantasia dell’autore, ma riproducono, almeno nella maggior parte dei casi, delle vere lettere pontificie, con la particolarità che il nome del destinatario e la data quasi sempre non compaiono.
La bolla Contra Judaeos crucifigentes puerum, che sostiene l’esistenza, nel XIII sec., dell’omicidio rituale sotto forma di crocifissione di un bambino in odio del Cristo, non rifletterebbe il tenore di una bolla reale che non ci è pervenuta? In assenza di ogni dato positivo, limitiamoci a questa ipotesi e, fino a prova contraria, ammettiamo che il testo del Formularium rifletta unicamente il pensiero o la preoccupazione di Marino. Forse siamo di fronte ad un progetto di bolla dell’epoca in cui giunsero a Roma le prime voci sulla crocifissione della bambina di Valréas (1247). In questo caso non sarebbe servita, poiché INNOCENZO IV intervenne in questo affare con tre bolle piuttosto favorevoli agli ebrei.
BENEDETTO XIV confermò, per la diocesi di Brixen, il culto del beato bambino Andrea di Rinn, ucciso dagli ebrei nel 1462. Si chiese di inserire il suo nome nel martirologio e di dare inizio ad un processo di canonizzazione. Benedetto XIV rifiutò l’inserimento nel martirologio, al fine di conformarsi ai decreti che stabilivano che non si devono introdurre che i nomi di quelli già canonizzati. Quanto a procedere alla sua canonizzazione, egli pose la questione di sapere se bisogna canonizzare dei bambini martiri non voluntate et opere sed solo opere, e il modo in cui lo fece indica a sufficienza che era contrario. Ma la bolla Beatus Andreas (22 febbraio 1755), che egli scrisse su questo argomento, non esprime alcun dubbio sugli omicidi di bambini imputati agli ebrei. Già nel suo De servorum Dei beatificatione, I, XIV, 4; III, V, 6; IV, pars II, XVIII, 16, aveva ammesso la realtà dei delitti di questa natura perpetrati «in odio del Cristo», «in odio della fede cristiana».
Nella bolla del 22 febbraio egli dice che determinerà ciò che bisognerà fare cum se hujusmodi obtulerit casus, qui plerunque proponi consuevit, de puero aliquo majori hebdomada ah Hebraeis in contumelia Christi necato, tales namque sunt B. Simonis et Andreae, nec non bene multorum ex iis quos auctores commemorant, puerorum neces. Omicidi di bambini commessi dagli ebrei durante la settimana santa ‒ questo è l’omicidio rituale. Non v’è dubbio che questa affermazione viene presentata en passant, incidentalmente. E parimenti non v’è dubbio che Benedetto XIV sembra aver accettato questi fatti sulla fiducia, come li leggeva in diversi autori, soprattutto nei Bollandisti, e non in seguito a ricerche personali. Ed infine non v’è dubbio che, quando Benedetto XIV si trovò davanti ad una accusa di omicidio rituale contemporanea, lungi dal prestarvi subito fede, la fece studiare dal Sant’Uffizio, che la respinse. Malgrado tutto, il modo di sentire di Benedetto XIV ha la sua importanza; non si è mai tacciato questo papa né di debolezza né di fanatismo.
Più significativa del caso citato è, come manifestazione ufficiale del pensiero della Chiesa, l’approvazione da parte di Benedetto XIV del culto del beato Andrea di Rinn. Essa seguiva all’approvazione del culto da parte di SISTO V, per la diocesi di Trento (8 giugno 1588), e all’iscrizione nel martirologio da parte di GREGORIO XIII (1584) del nome del beato Simone da Trento. Essa fu seguita dall’approvazione da parte di PIO VII del culto della beata Dominique de Val, per la diocesi di Saragozza, e di quello del santo bambino della Guardia, per la diocesi di Toledo; dall’approvazione da parte della congregazione dei Riti del culto del piccolo Lorenzo di Marostica, per la diocesi di Vicenza (1867), e di quello di Rodolfo di Berna, per la diocesi di Basilea (1869). Si è detto che la Chiesa ha beatificato o canonizzato dei bambini uccisi dagli ebrei. Questo non è esatto, ma vi è stata per questi sei piccoli beati, in mancanza di una beatificazione formale, una beatificazione equivalente, consistente nel riconoscimento del culto. I decreti di beatificazione formale, e a maggior ragione equivalente, non godono del privilegio dell’infallibilità, anche se la loro autorità è considerevole.
Del resto, così come non ha impegnato la sua infallibilità, allo stesso modo la Chiesa, in questi riconoscimenti del culto, non ha affermato l’esistenza dell’omicidio rituale in senso stretto presso gli ebrei. Essa ha creduto che alcuni ebrei hanno ucciso questi bambini per uno scopo religioso (ancora Sisto V non parla dell’omicidio del piccolo Simone da parte degli ebrei, ma unicamente dei miracoli dovuti alla sua intercessione). Essa non ha detto che gli ebrei abbiano agito in questo modo ufficialmente, in nome della comunità o di una setta ebraica, per obbedire alle prescrizioni della liturgia. Essa non fa ricadere su tutta la nazione ebraica la responsabilità di questi orrori commessi da alcuni ebrei.
- Documenti favorevoli agli ebrei. ‒ Essi si dividono in due categorie. Nella prima, abbiamo documenti che, più che denunciare esplicitamente la falsità dell’accusa del sangue, la fanno intendere, sia che si riferisse ad un caso isolato (due bolle di INNOCENZO IV, 28 maggio 1247, sull’affare di Valréas), sia che circolasse, come voce vaga ed eccitante, contro gli ebrei in generale (bolle di INNOCENZO IV, 5 luglio1247, e di MARTINO V, 20 febbraio 1422). La bolla del 5 luglio 1247 è considerata dalla maggior parte degli storici come la piena giustificazione degli ebrei. Questo significa andare troppo oltre. Essa non proclama direttamente l’innocenza degli ebrei, ma suppone piuttosto che il papa sia propenso ad ammetterla. Cfr. Revue pratique d’apologétique, t. XVII, pp. 420-421. Martino V revocò, il 1º febbraio 1423, la bolla del 20 febbraio 1422 per la ragione che essa era stata estorta. Questa revoca non fu motivata dal passo sull’omicidio rituale. Ibid., p. 424.
I documenti della seconda categoria negano esplicitamente la fondatezza dell’accusa. Il rapporto che il 21 marzo 1758 il cardinale GANGANELLI, il futuro CLEMENTE XIV, presentò al Sant’Uffizio, e che il cardinale MERRY DEL VAL (lettera del 18 ottobre 1913 a lord Rothschild) ha dichiarato autentico, considerò come accertati, fra tutti i casi di omicidio rituale che avevano agitato gli spiriti nel corso dei secoli, solo quelli di Simone di Trento e di Andrea di Rinn, scannati «in odio della fede cristiana»; le altre accuse venivano respinte. PAOLO III, in una bolla del 12 maggio 1540, testimoniò il suo dispiacere per aver appreso, dalle denunce degli ebrei d’Ungheria, di Boemia e di Polonia, che i loro nemici, per giustificare pretestuosamente la confisca dei beni degli ebrei, attribuivano loro falsamente dei crimini enormi, in particolare quello di uccidere dei bambini e di bere il loro sangue.
INNOCENZO IV (25 settembre 1253), GREGORIO X (7 ottobre 1272), NICOLA V (2 novembre 1447) e il cardinale CORSINI, che scriveva a nome di CLEMENTE XIII (7 febbraio 1760), specificarono che gli ebrei non versano sangue cristiano per servirsene nei loro riti religiosi. E non sono alcuni ebrei, questo o quello in particolare, in questo o in quel caso particolare, che questi documenti dicono estranei alla pratica dell’omicidio rituale; sono gli ebrei in generale. È alla totalità degli ebrei, degli ebrei in quanto collettività, che ci si riferisce quando si dice che non usano sangue umano nei loro riti (Innocenzo IV), che non impiegano il cuore e il sangue dei bambini cristiani nei loro sacrifici (Gregorio X), che sono accusati a torto di non poter fare a meno, in certe feste, del fegato o del cuore di un cristiano (Nicola V), che non impastano i pani azimi con sangue umano (Clemente XIII).
Dobbiamo sottolineare peraltro che i papi hanno scritto una quantità di bolle relative agli ebrei. Molto spesso hanno denunciato i loro eccessi contro i cristiani e il cristianesimo. In certi momenti la repressione è stata vigorosa, ma mai come nel XVI sec.: PAOLO IV, s. PIO V, CLEMENTE VIII, etc., hanno moltiplicato le recriminazioni e le misure restrittive nei loro confronti. Nella bolla Hebraeorum gens (26 febbraio1569) s. PIO V riassume i misfatti che si rimproverano loro: usura, furto, ricettazione, prossenetismo, sortilegi e magia. E conclude con queste parole: Postremo cognitum satis et exploratum habemus quam indigne Christi nomen haec perversa progenies ferat, quam infesta omnibus sit qui hoc nomine censetur, quibus denique dolis illorum vitae insidietur.
Poco tempo dopo (1584), l’edizione ufficiale del martirologio romano, pubblicata per ordine di GREGORIO XIII, registrava cinque nomi di martiri ‒ escluso quello del beato Simone di Trento ‒ messi a morte dagli ebrei: quelli dei santi Cleofa (25 settembre), Timone (19 aprile), Giuseppe il Giusto (20 luglio), Matrona (15 marzo) e Anastasio II il Sinaita (21 dicembre). Se Pio V, se gli altri papi avessero creduto all’omicidio rituale in senso stretto, l’avrebbero sicuramente stigmatizzato, e Pio V non si sarebbe accontentato di menzionare le insidie contro la vita dei cristiani. Ora, non una sola volta, nelle centinaia di bolle dirette contro gli ebrei, si fa una qualche allusione all’omicidio rituale in senso stretto. L’argomento e silentio è certamente delicato, ma qui sicuramente vale. Il silenzio di tanti papi, nelle tante congiunture in cui avrebbero potuto e dovuto parlare, prova che ai loro occhi l’accusa di omicidio rituale in senso stretto non era comprovata.
Bibl. ‒ L. Ganganelli (il futuro Clemente XIV), memoria presentata al Sant’Uffizio il 21 marzo 1758, pubblicata, in una traduzione tedesca, da A. Berliner, Gutachten Ganganelli’s (Clemens XIV) in Angenlegenheit der Blutbeschuldigung der Juden, Berlin, 1888, e, nell’originale italiano, da I. Loeb, Revue des études juives, Paris, 1889, t. XVIII, pp. 185-211; H.-L., Strack, Das Blut im Glauben und Aberglauben der Menscheit, V-VI éd., München, 1900 (le edizioni precedenti erano intitolate: Der Blutaberglaube in der Menscheit, Blutmorde und Blutritus; una traduzione francese è apparsa con il titolo: Le sang et la fausse accusation du meurtre rituel, Paris, s.d.); D. Chwolson, Die Blutanklage und sonstige mittelalterliche Beschuldigungen der Jude, Frankfurt am Main, 1901 (tradotto dalla II ed. russa, 1880, con aggiunte dell’autore); E. Vacandard, La question du meurtre rituel chez les Jufs, in Etudes de critique et d’histoire religieuse, Paris, 1912, t. III, pp. 311-377; F. Vernet, Ce que les papes ont pensé de l’existence du meurtre rituel chez les Juifs, in Revue pratique d’apologétique, Paris, 1913, t. XVII, pp. 416-432; A. Monniot, Le crime rituel chez les Juifs, Paris, 1914; le opere citate nelle pagine precedenti.
PARTE SECONDA
LA CONDOTTA DEI CRISTIANI VERSO GLI EBREI
- LO STATO E GLI EBREI
- Dal 313 al 1100. ‒ II. Dal 1100 al 1500. ‒ III. Dal 1500 al 1789. ‒ IV. Dal 1789 ai giorni nostri.
- Dal 313 al 1100.
- Lo Stato cristiano. ‒ A. L’Oriente: gli imperatori di Costantinopoli. ‒ «Non abbiamo nulla in comune con la massa inimicissima dei giudei». Queste parole di COSTANTINO, in EUSEBIO, De vita Constantini, III, XVIII, compendiano il passato e tracciano il programma dell’avvenire: gli ebrei si sono rivelati assai ostili verso il cristianesimo; bisogna tenerli lontani dalla società cristiana.
Ma, malgrado tutto, i contatti erano inevitabili ed era necessario regolamentare con precisione, nei rapporti tra cristiani ed ebrei, ciò che era permesso e ciò che era proibito. L’unione intima tra Stato e Chiesa portò gli imperatori a sottoporre gli ebrei ad un regime severo, in nome dell’impero e della religione ufficiale. La maggior parte delle leggi imperiali relative agli ebrei furono raggruppate, nel V sec., nel codice teodosiano, XVI, VIII, IX, e passim, e, nel VII sec., nel codice di Giustiniano, I, IX, X, e passim. Cfr. l’elenco cronologico in J. JUSTER, Examen critique des sources relatives à la condition des Juifs dans l’empire romain, Paris, 1911, pp. 100-103.
- REINACH, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, Paris, 1899, t. III, pp. 630-632, distingue, in questa legislazione, le misure destinate a proteggere la religione ebraica, quelle relative alla condizione civile e politica degli ebrei e le «misure di difesa e di attacco in materia di religione». Il giudaismo è una religione lecita; celebra liberamente le sue feste, i suoi sabati, le sue assemblee; le sinagoghe devono essere rispettate; i dignitari delle sinagoghe sono assimilati al clero cattolico. Il solo pensiero che degli ebrei potessero legalmente comandare a dei cristiani sembra intollerabile; gli impieghi pubblici sono loro proibiti. Essi perdono l’autonomia giudiziaria. Per tutto ciò che non è d’ordine puramente religioso, sono sottoposti alla legge romana. Nessuna violazione dei loro diritti civili è consentita, salvo in ciò che concerne i matrimoni, per i quali essi devono conformarsi alle leggi romane, e gli schiavi. Poiché riguardo agli schiavi v’era da temere il pericolo di lusinghe, e perfino di circoncisione forzata, si stabilì, attraverso diverse varianti, di proibire loro di possedere schiavi non ebrei. Viene incoraggiata la conversione degli ebrei al cristianesimo. Gli atti e gli insulti contro il cristianesimo sono puniti.
Tutte queste leggi non furono applicate nell’intero spazio dell’impero, che stava ormai crollando. Si oscillò tra una libertà quasi completa ed una repressione rigorosa, a seconda delle circostanze e del temperamento dei principi. Le rivolte degli ebrei di Palestina irritavano gli imperatori. La loro alleanza con i Persiani (614) scosse vivamente ERACLIO. Egli vide in loro, e non solo negli ebrei palestinesi, ma anche in tutti quelli dei suoi Stati, un nemico interno temibile. Sembra che abbia meditato la loro conversione generale, e questo progetto fu ripreso da LEONE ISAURICO (718-741) e BASILIO I (867-886).
- L’Occidente: i regni fondati dai barbari. ‒ I capi dei popoli barbari adattarono bene o male ai loro regni le leggi romane. In generale, l’applicazione fu piuttosto benigna, soprattutto da parte degli ariani, dal punto di vista dottrinale meno lontani dagli ebrei che non gli ortodossi. Ad intervalli, la severità delle leggi fu confermata o superata. Gli ebrei conobbero fasi difficili. DAGOBERTO I in Francia (630) e SISEBUTO in Spagna (612-613) ordinarono loro, sotto pena dell’esilio, di ricevere il battesimo. Si è preteso che ciò avvenne su istigazione di Eraclio, adirato verso di loro. Per Dagoberto la cosa è verosimile. Cfr. i testi indicati da T. DE CAUZONS, Histoire de l’inquisition en France, Paris, 1909, t. I, p. 79, n. È più dubbia per Sisebuto, che imperversò prima che la Palestina fosse perduta e riconquistata da Eraclio. Quel che è sicuro è che se, per un secolo (612-712), la storia degli ebrei di Spagna fu una successione di leggi durissime, di spoliazioni, di conversioni e di espulsioni, interrotte di quando in quando da un momento di calma, la causa principale dei loro mali fu la loro ripugnanza a mescolarsi con l’elemento indigeno. L’appoggio che diedero agli Arabi invasori scatenò la collera. Se si pensa a ciò che gli Arabi sono stati in Spagna, alle difficoltà che ha avuto la nazionalità spagnola a costituirsi contro di essi, si spiegano, anche se non le si approvano tutte, le misure antigiudaiche adottate dai re di Spagna.
Così la condizione degli ebrei nei paesi cristiani peggiora. In un primo momento essi erano apparsi come i nemici antichi e permanenti del cristianesimo. Ora ci si abitua a vederli come un pericolo per lo Stato. Ai motivi di risentimento d’ordine religioso si aggiungono quelli d’ordine nazionale, altrettanto gravi ed efficaci nella pratica.
Un miglioramento si produsse per gli ebrei, in Spagna, con la conquista musulmana (711-712) e, in Francia, con il declino della potenza dei re merovingi. CARLO MAGNO si mostrò abbastanza benevolo verso gli ebrei; tuttavia impose loro una formula speciale di giuramento sulla Bibbia, il giuramento more judaico, che doveva restare in uso così a lungo. LUDOVICO IL PIO fu molto favorevole nei loro confronti, così come CARLO IL CALVO; mal gliene incolse, se è vero che fu avvelenato, come si è detto, dal suo medico, l’ebreo Sedecia (si è detto altrettanto, ma senza solido fondamento, di Ugo Capeto). Gli ultimi carolingi furono meno indulgenti.
- Il popolo cristiano. ‒ Impressionabile, passionale, insufficientemente impregnato di dolcezza cristiana, raramente il popolo attende la parola d’ordine del re. Nei suoi rapporti con gli ebrei esso si abbandona a due eccessi contrari. Egli ha sia una tendenza a giudaizzare, che è una delle manifestazioni del suo istinto superstizioso, sia brusche e terribili violenze. Una parola basta ad eccitarlo, un atto contrario alla fede ad indignarlo; i misfatti degli ebrei, reali ‒ e ve ne furono ‒ o ritenuti tali, lo fanno andare fuori di sé. Nel 598, a Cagliari, guidata da un ebreo battezzato il giorno precedente, la moltitudine pianta la croce nella sinagoga e la consacra al culto cristiano, nonostante l’opposizione del vescovo. A Clermont-Ferrand, nel 576, avendo un ebreo sparso dell’olio fetido sul capo di un convertito che procedeva vestito con gli abiti bianchi del neofita, la folla l’avrebbe lapidato, se non fosse intervenuto il vescovo; poco dopo, durante una processione, essa si getta sulla sinagoga e la distrugge. Ad Arles, per poco non massacra tutti gli ebrei traditori nella città assediata dai Goti (508). A Roma scoppia una sommossa popolare contro l’imperatore Teodorico, in occasione di una rivolta di alcuni schiavi contro i loro padroni ebrei; le sinagoghe vengono bruciate, gli ebrei depredati e malmenati.
- REINACH, Histoire des Israélites, pp. 87-89, riporta la traduzione del racconto di GREGORIO DI TOURS, H. F., VI, V, 17, sull’omicidio dell’ebreo Priscus e segnala, nella parte finale, «come una promessa consolatoria sullo sfondo la segreta simpatia del popolo per lo sventurato ebreo, suo compagno di sventura». Le cose andarono così. L’ebreo Phatir, convertito e figlioccio del re Chilperico I, in seguito ad un litigio uccide l’ebreo Priscus. Egli si rifugia in una basilica con i suoi servitori. Il re ordina di uccidere sia lui che i servitori. Phatir riesce a salvarsi. Uno dei servitori si impossessa di una spada, uccide i suoi compagni ed esce dalla basilica, con la spada in mano, sed irruente super se populo crudeliter interfectus est. Nulla qui testimonia la «segreta simpatia» del popolo per gli ebrei.
L’odio del popolo contro gli ebrei conobbe, lungo tutto il medio evo, esplosioni che non erano né preparate né dirette dai principi o dalla gerarchia ecclesiastica. Uno dei fatti più caratteristici ci è stato rivelato da una nota a margine del sacramentario di Saint Vaast (manoscritto del X sec.) Cfr. H. NETZER, L’introduction de la messe romaine en France sous les carolingiens, Paris, 1910, p. 257. Si tratta della preghiera per gli ebrei del venerdì santo. La rubrica prescrive di non genuflettersi prima di cantarla, mentre una genuflessione precede le altre orazioni.Perché questa differenza? Sono state avanzate più tardi delle spiegazioni simboliche. Il sacramentario di saint Vaast indica la vera causa: Hic nostrûm nullus debet modo flectere corpus ob populi noxam ac pariter rabiem. J. JUSTER, op. cit., crede che la qualifica di «ebreo» divenne decisamente ingiuriosa a partire dal V sec. Essa acquistò sempre di più il carattere di un insulto, ita ut pro magno contumelio judaeus quis esse dicatur, dice PAOLO ALVARO (i cui antenati furono ebrei), Epist., XVIII.
- Dal 1100 al 1500.
- Le grandi violenze e le espulsioni. ‒ Dal 1100 al 1500 si realizza la profezia di AMOLONE, Contra Judaeos, V, che i mali d’Israele si sarebbero moltiplicati. Gli ebrei hanno certamente sofferto a causa delle crociate. Il movimento delle crociate fu ammirevole, ma non senza la presenza di elementi torbidi. La lotta contro l’infedele esterno si riflette sull’infedele interno. Ciò che scatenò la collera, è che corse voce che gli ebrei se la intendevano con i musulmani per distruggere i cristiani. In occasione della prima crociata (1096) sulle rive del Reno e della Mosella scoppiarono le peggiori violenze. Queste si rinnovarono, su scala minore, in occasione della seconda crociata, in Germania (1146), della terza, in Inghilterra (1190), della quarta (1198), in Francia (1198).
«Con il XIII sec., e con il pontificato di Innocenzo III, dice T. REINACH, Histoire des Israélites, pp. 108-109, il cattolicesimo, fino ad allora in qualche misura sulla difensiva contro gli ebrei, sferra un attacco vigoroso ed inaugura l’èra delle vere e proprie persecuzioni. Queste persecuzioni, che si presentano sotto la forma infinitamente variegata di leggi umilianti, di esazioni fiscali e di esplosioni del fanatismo popolare, portano all’esclusione completa degli ebrei da tutti i paesi dell’Europa occidentale, dove la loro civiltà aveva conosciuto un vero sviluppo».
L’Inghilterra li caccia nel 1290. La Francia, dopo tutta una serie di proscrizioni tra breve riportate, li caccia definitivamente nel 1394. La Germania, con una serie di espulsioni locali, temporanee o definitive, li elimina un po’ ovunque; alla fine del XV sec. essi non hanno che tre insediamenti d’una qualche importanza: Worms, Francoforte e Ratisbona. La Spagna, infine unificata con il matrimonio di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, istituisce l’inquisizione principalmente contro gli ebrei falsamente convertiti (1480). Un gran numero passano in Portogallo, dove sono accolti favorevolmente; ma nel 1496 devono scegliere tra l’esilio e il battesimo. Tranquilli in Italia, sono cacciati dalla Sicilia che dipende dalla Spagna. Queste espulsioni erano state precedute un po’ ovunque da maltrattamenti, saccheggi e talvolta massacri. Judenbreter (arrostitori di ebrei) e Judenschläger (uccisori di ebrei), pastorelli, flagellanti, bande di fanatici e di vagabondi, soprattutto quando infierì la peste nera (1348-1350), s’erano avventati a gara sugli ebrei.
- Le cause delle persecuzioni. ‒ «Dal XIII al XVI sec., dice GRAETZ, Histoire des Juifs, trad., t. IV, p. 208, le persecuzioni degli ebrei si moltiplicarono con una spaventosa rapidità: sono congiuntamente il fanatismo popolare, la cupidigia dei re e la gelosia dei mercanti ad opprimerli». La formula contiene una parte di verità, ma non tutta la verità.
- I re. ‒ La cupidigia dei re influì sulle persecuzioni. Re e signori confiscarono spesso, finché fu loro possibile, i beni degli ebrei. Molti erano squattrinati, immersi fra i debiti. Le ricchezze degli ebrei li tentavano; quelli che erano senza scrupoli se ne impossessarono. L’ebreo era per essi una «vacca da mungere», una «spugna», una «sanguisuga» che lasciavano gonfiare, riempire d’oro, per farla spurgare subito dopo. Capitò anche che il signore o il re, avendo preso a prestito dagli ebrei, dovettero, dopo aver perduto gli effetti personali e i valori mobiliari, per pagare gli interessi dovettero ipotecare le loro entrate, i canoni dei loro sudditi, e che, poiché gli ebrei suscitavano l’indignazione popolare per l’asprezza con cui incassavano tali canoni, i re bandirono gli ebrei o soppressero i loro crediti.
Se in tutto ciò i re hanno un grave torto, gli ebrei non sono irreprensibili. Essi si abbandonano ad un’usura sfrenata, che diventa la causa principale delle loro sventure. I re spremono la spugna ingiustamente, e per questo non possono non essere biasimati. Ma se la spugna, periodicamente spremuta, si gonfia nuovamente così presto, è perché, per riempirla, si adoperano procedure inique. Seguiamo la loro storia in Francia dalla prima espulsione sotto Filippo I (1096) fino all’esodo definitivo del 1394. È sempre una questione di denaro, sempre una questione di prestiti usurai, nel senso moderno del termine, di fortune fatte rapidamente grazie all’usura. Presto o tardi esplode la repressione, rigorosa, eccessiva. Derubati, espulsi, gli ebrei ritornano alla prima occasione propizia imponendo, se li si reclama perché sono prestatori indispensabili, condizioni draconiane, e ricominciando il loro traffico, ridiventando ricchi come prima, e con gli stessi mezzi, ciò che li rende di nuovo indesiderati e provoca una nuova sentenza di esilio, e così di seguito fino alla catastrofe finale.
Non tutti i re agirono contro gli ebrei unicamente per cupidigia. S. LUIGI, «meno avido del suo avo (Filippo Augusto), fu nondimeno più intollerante», dice T. REINACH, p. 148. Questo è giustissimo. S. Luigi non era tipo da subire la fascinazione dell’oro; egli vedeva solo l’ingiustizia da riparare o prevenire. È per questa ragione che non scese mai a compromessi. CARLO VI non espulse gli ebrei a profitto del tesoro reale, né mancò di pagare tutti i crediti degli ebrei.
Cupidigia talvolta certamente sì, ma anche preoccupazione di difendere i propri sudditi contro gli ebrei e l’usura ebraica, contro quegli ebrei che, per via delle loro usure, dice il IV concilio del Laterano, c. 67, Decret. V, XIX, 18, brevi tempore christianorum exhauriunt facultates ‒ questi furono due moventi delle proscrizioni reali. Un terzo movente fu d’ordine nazionale. In Spagna, il pensiero di Ferdinando ed Isabella nell’istituire l’inquisizione «è chiarissimo: essi mirano all’unificazione della Spagna e la vogliono raggiungere tramite l’uniformità confessionale», dice C.-V. LANGLOIS, L’inquisition d’après des travaux récentes, Paris, 1902, p. 103. Essi non vogliono che gli ebrei possano minare una Spagna finalmente unificata: il passato ha insegnato che non c’è da fidarsi di loro. Che diventino sinceri cristiani, e di conseguenza leali spagnoli; altrimenti abbandonino una terra dove sono accampati come nemici.
- Il popolo. ‒ Non parliamo poi delle classi borghesi e mercantili che si formano nel medio evo e si sviluppano rapidamente e che, incontrando come un ostacolo la concorrenza degli ebrei, si adoperano a scacciarli dal posto che hanno occupato, e dei proletari, degli artigiani, dei contadini, del popolo minuto, tutti irritati dall’usura ebraica. «Il denaro, dice GRAETZ, trad., t. IV, p. 194, era per gli ebrei un’arma a doppio taglio … Non potevano procurarselo se non prestando a tassi elevatissimi. È vero che, con confische e tasse esagerate, i principi ne prendevano una grande fetta per se stessi, ma il popolo vedeva unicamente i forti interessi che era obbligato a pagare. Di qui un violento risentimento contro gli ebrei e talora terribili esplosioni di furore».
Il ruolo degli ebrei non fu solo quello che dice Graetz; è esatto che l’usura ebraica provocò delle tempeste. «Al declino del medio evo, nota J. JANSSEN, L’Allemagne et la Réforme, trad., t. I, p. 374, n. 4, molte delle persecuzioni contro gli ebrei, l’eliminazione delle loro lettere di credito, etc., devono essere considerate come crisi di credito della specie più barbara, e come una forma di ciò che noi oggi chiameremmo rivoluzione sociale». Queste manifestazioni collettive erano preparate da rancori individuali che si accumulavano nel tempo parallelamente agli eccessi usurai degli ebrei. L’animosità popolare era senza limiti. Essa modificò la leggenda in cui un debitore autorizza il suo creditore a tagliare una libbra di carne del proprio corpo se non viene rimborsato il giorno della scadenza, e in cui il creditore vuol procedere a questa operazione. Gli eroi della storia, raccontata diversamente, erano stati dapprima un feudatario e il suo vassallo o un nobile ed un plebeo. Il ruolo odioso fu dato agli ebrei a partire dalla metà del XIV sec. Nel Pecorone di Giovanni Fiorentino è un ebreo di Mestre che vuol tagliare una libbra di carne sul corpo del suo debitore di Venezia per avere la soddisfazione di far morire un cristiano. È inutile ricordare ciò che il genio di Shakespeare ha tratto da questo racconto: Shylock vive in tutte le memorie.
Una pagina di Michelet, Histoire de France, V, III, nouv. éd., Paris, 1879, t. IV, pp. 7-10, troppo conosciuta per essere citata, mostra in modo soddisfacente i rapporti tra il povero debitore e l’ebreo usuraio. Per accrescere l’orrore che l’uno ispirava all’altro, oltre alla convinzione, prodotta da tutto il passato, che l’ebreo era il nemico dei cristiani e del cristianesimo, v’erano atti, autentici o no, ma ai quali si prestava fede, ad essi attribuiti, tradimenti a profitto dell’islamismo, avvelenamenti di fontane da dove si sarebbe generata la peste, profanazioni di ostie, omicidi rituali. Ciò che appariva certo in merito all’anticristianesimo e all’oppressione usuraia induceva a credere al resto. L’ebreo passava per colui che era capace d’ogni crimine. L’epiteto di «giudeo» era il più offensivo che si potesse affibbiare a un cristiano. Questo semplice dettaglio, dato da un ebreo convertito, PIETRO ALFONSO, Dial., II, P. L., t. CLVII, col. 578, indica lo stato dello spirito popolare: Hodie usque a christianis jurando dicitur, cum aliquid quod nolunt facere rogantur: Judaeus sim ego si faciam.
III. Dal 1500 al 1789
- Mitigazione della sorte degli ebrei. ‒ Dopo la loro espulsione gli ebrei d’Inghilterra s’erano sparsi nelle province renane. Quelli di Francia si rifugiarono in Provenza, in Savoia, nel Contado Venantino (non dipendenti dalla corona di Francia), in Piemonte e in Germania. Quelli che furono banditi dalla Germania emigrarono verso la Polonia e la Turchia. Quelli di Spagna e di Portogallo fuggirono in Italia, in Turchia e nell’impero ottomano d’Asia e d’Africa. Nel XVI sec. avviene la grande divisione degli ebrei d’Europa in Sefardim, o ebrei d’origine spagnola e portoghese, ed Askenazim, o ebrei tedeschi e polacchi. Diversi per origine, lingua, riti, pratiche e vita morale, i Sefardim e gli Askenazim non si confusero, neppure nei paesi d’Oriente dove vissero fianco a fianco.
I Sefardim, più civilizzati, più colti, disprezzavano i loro correligionari di lingua tedesca. I Sefardim prevalevano in Turchia; in Olanda, dove si insediarono (1593), dopo che questa s’era liberata dal giogo della Spagna, ed ebbero un’esistenza legale nel 1619; in Inghilterra, dove, grazie alla protezione di Cromwell, a poco a poco si stabilirono liberamente senza che vi fossero autorizzati da una legge formale.
Gli Askenazim risiedettero quasi da soli in Germania e nei paesi slavi, soprattutto in Polonia. Vi furono inoltre alcuni iloti di ebrei, come i caraiti di Crimea e Galizia, e gli ebrei d’Italia e di Francia. Quelli d’Italia subirono l’azione dei Sefardim, ma senza lasciarsi assorbire da essi. In Francia, la legge che autorizzava gli ebrei a dimorare nel regno era stata estesa alle acquisizioni successive della corona: Provenza, Fiandre francesi, Franca Contea, etc. Tuttavia, furono ammesse delle eccezioni. Degli ebrei portoghesi, che s’erano insediati a Bordeaux come «nuovi cristiani», dopo aver praticato esteriormente il cristianesimo per più di centocinquant’anni, ripresero apertamente il culto ebraico alla fine del XVII sec.; alcuni riuscirono ad entrare a Parigi. Metz ebbe una comunità ebraica fin dalla sua annessione alla Francia (1552). Vi furono alcuni ebrei nella Lorena, e molti in Alsazia. Quanto al Contado Venassino, che apparteneva alla Santa Sede, essi si ricollegano agli ebrei italiani.
In questo periodo che va dal 1500 al 1789, gli ebrei non soffrono come nel medio evo. Sempre disprezzati, sempre odiati, non sono colpiti da persecuzioni generali. L’odio perde la sua violenza. Là dove sono tollerati, i sovrani generalmente non si occupano molto di loro. I massacri degli ebrei non si rinnovano. Il furore popolare in parte si placa nei paesi cristiani.
- Le cause della mitigazione della sorte degli ebrei. ‒ T. REINACH, Histoire des Israélites, p. 186, caratterizza con una parola la condizione degli ebrei in questo periodo: «stagnazione». E B: LAZARE, L’antisémitisme, pp. 133-134, dice: «Quando si levò l’alba del XVI sec., gli ebrei non erano ormai che un popolo di prigionieri e di schiavi … Siccome avevano essi stessi chiuso tutte le porte, serrato tutte le finestre, tramite cui avrebbero potuto ricevere aria e luce (Lazare fa allusione alla tirannia talmudica, ancora più forte dopo il XVI sec.), la loro intelligenza s’era atrofizzata … La massa non era atta se non a tutto ciò che era commercio e usura… Nella misura in cui il mondo si faceva più mite per loro, gli ebrei ‒ o almeno la maggior parte ‒ si rinchiudevano in se stessi, restringevano la loro prigione, si legavano fra di loro con legami sempre più stretti. La loro decrepidezza era inaudita, il loro collasso intellettuale era pari solo al loro svilimento morale; questo popolo sembrava morto». Il miglioramento della sorte degli ebrei non fu dunque opera loro.
Allora questo sarebbe dovuto forse al Rinascimento, al protestantesimo, al filosofismo? Non direttamente. L’umanesimo si disinteressò alla causa degli ebrei. Ma esso dovette essere loro di giovamento nella misura in cui era ostile alla Chiesa, nella misura in cui rompeva col passato e lavorava a distruggere l’unità della fede. Inoltre il risveglio degli studi ebraici, l’iniziazione dei cattolici alla lingua e alla letteratura ebraica, l’affare Reuchlin e i dibattiti relativi al Talmud e alla cabala, le opere di un Richard Simon, di un John Lighfoot, d’un Herder, etc., valsero agli ebrei delle simpatie.
Lungi dal favorire gli ebrei, il protestantesimo fu spietato nei loro confronti. LUTERO diede il tono scrivendo nel volume Sulle menzogne degli ebrei delle pagine che superano in violenza tutto ciò che è uscito da una penna cattolica, e indirizzando ai principi e ai magistrati dei decisi consigli per sbarazzarsi degli ebrei. Cfr. H. GRISAR, Luther, Freiburg-im-Brisgau, 1911-1912, t. II, pp. 610-614, t. III, pp. 341-346, 1063. Indirettamente, la Riforma ha servito gli interessi di Israele. Lo spirito giudaico trionfò con essa in ciò, che l’Antico Testamento fu letto, scavato, commentato ancor più del Vangelo; alcune sette protestanti erano semi-ebraiche, e l’antitrinitarismo si congiunse con l’ebraismo su un punto essenziale. Ma soprattutto il principio del libero esame, ammesso dal protestantesimo, doveva condurre, volente o nolente, a dispetto dell’intolleranza di fatto dei capi della Riforma, alla teoria della tolleranza religiosa, e il giudaismo non poteva che beneficiare del nuovo stato di cose.
Come l’umanesimo o il protestantesimo, così neppure il filosofismo del XVIII sec. si occupò degli ebrei. Voltaire li disprezzò e li detestò sovranamente. Gli altri «filosofi» ed enciclopedisti, a parte la loro ridicola campagna anticristiana a favore della ricostruzione del tempio di Gerusalemme, cfr. H. LAMMENS, in Études, Paris, 1897, t. LXXXIII, pp. 459-462, ed eccezion fatta per MONTESQUIEU, Esprit des lois, XXV, XII, ebbero ad occuparsi di Israele. Ma l’indifferentismo religioso vantato dal filosofismo, la proclamazione della massima che tutte le religioni sono buone e che le si deve tollerare tutte, la guerra all’ «infame» condotta come sappiamo, tutto ciò preparava tempi propizi a Israele.
Molto giustamente J. LÉMANN, L’entrée des Israélites dans la société française, 1. III, distingue «due soffi d’umanità a favore degli israeliti alla fine del XVIII sec.»: il soffio del filosofismo, «soffio di tempesta», e il soffio cristiano, «soffio benefico». Più mature, le nazioni sono divenute più indulgenti. Da turbolenti e impetuose che erano in gioventù, «giovani resi nobili dal battesimo e dalla propria forza viva, ma con tutti gli istinti tipici dei ragazzi del nord usciti dalle foreste», con le «asperità della loro antica natura» e i bruschi «ritorni verso la barbarie», esse sono divenute gradualmente più misurate, più calme. Grazie al Vangelo, «il loro sangue, le loro idee, i loro costumi si placano». Così, «tanti scarti verso la durezza nella storia dei popoli del medio evo, in particolare i massacri di ebrei», sono ormai impossibili, pp. 252-254.
- Dal 1789 ai giorni nostri
- L’emancipazione civile degli ebrei. ‒ A. I preliminari dell’emancipazione. ‒ MOISE MENDELSSOHN (1729-1786), che J. LÉMANN, op. cit., p. 502, definisce «il più illustre israelita dei tempi moderni», cominciando con la loro emancipazione morale preannunciò l’emancipazione civile degli ebrei; egli si sforzò di migliorarli e di sostituire la Bibbia al Talmud. Il suo amico LESSING, figlio di un pastore luterano; il cristiano WILHELM DOHM, archivista del re di Prussia, autore di uno scritto che fece scalpore, intitolato Della riforma politica degli ebrei (1781); il banchiere ebreo CERFBEER che, secondo l’espressione pittoresca di LÉMANN, op. cit., p. 498, cfr. pp. 157-158, «assedia» da solo Strasburgo e, non essendo potuto riuscire, dopo vent’anni di tentativi, a farsi ammettere nella città, con un’abile strategia «passa dall’assedio di Strasburgo all’assedio di tutta la società» insinuando nel re Luigi XVI il progetto dell’emancipazione degli ebrei; Luigi XVI che, dal 1784, accorda agli ebrei d’Alsazia delle lettere patenti contenenti privilegi considerevoli e che, nel 1787, prende in esame il progetto d’emancipazione; ed ancora, la frammassoneria, che s’è aperta agli ebrei per il tramite dei martinisti, il cui fondatore è l’ebreo portoghese MARTINEZ PASCHALIS; il frammassone MIRABEAU, che riporta da Berlino, dove s’è legato a Dohm e agli ebrei, un Elogio di Mendelssohn e una memoria Sulla riforma politica degli ebrei, Londra, 1788; GRÉGOIRE, curato di Emberménil, che prende le parti degli ebrei in un concorso dell’accademia di Metz nel 1787 ‒ questi sono i precursori dell’emancipazione ebraica.
- L’emancipazione. La Francia. ‒ La vigilia stessa della chiusura dell’Assemblea (27 settembre 1791), DUPONT, membro del club dei Giacobini, chiese ed ottenne l’emancipazione degli ebrei in nome dei diritti dell’uomo. «Si può dire senza esagerazione che ogni ebreo di oggi, che abbia memoria e cuore, è figlio della Francia del 1791», scrive T. REINACH, Histoire des Israélites, p. 293. Cfr. M. PHILIPPSON, Neueste Geschichte des jüdischen Volkes, Leipzig, 1907, t. I, pp. 3, 7.
NAPOLEONE, col suo genio organizzativo, sistemò nel dettaglio e precisò ciò che la Costituente aveva accordato in generale. Egli convocò un’assemblea di notabili d’Israele (1806) e una riunione del Grande Sanhedrin (1807), la prima più laica, la seconda più religiosa; queste accettarono supinamente la sua volontà e, distinguendo dalle leggi religiose mosaiche invariabili le leggi politiche abrogate, ammisero che la legge dello Stato era la loro legge, si impegnarono a considerare la Francia come la loro patria, a difenderla fino alla morte e a rinunciare all’usura. Tre decreti di Napoleone (17 marzo 1808) fissarono i loro diritti dal duplice punto di vista religioso e civile. Dal punto di vista religioso, essi potevano aprire ovunque delle sinagighe; i rabbini erano assimilati ai preti cattolici, salvo il contributo al bilancio del culto, che era una compensazione dei beni tolti alla Chiesa di Francia; veniva stabilito un concistoro (consiglio di notabili) in ogni dipartimento che avesse un numero sufficiente di ebrei; un concistoro centrale risiedeva a Parigi. Dal punto di vista civile, i prestiti usurai degli ebrei erano annullati, i loro negozi sottoposti a certe condizioni di probità; l’Alsazia, dove l’usura ebraica aveva scatenato delle tempeste, era di nuovo proibita agli ebrei; il resto della Francia era accessibile a nuovi ebrei solo se questi si dedicassero all’agricoltura; il servizio militare era obbligatorio, senza possibilità di farsi sostituire.
Questo decreto, valido per dieci anni, aveva per scopo di completare l’assimilazione degli ebrei alla società, «modernizzandoli, cosa che aveva dimenticato di fare la Costituente, e non respingendoli nelle eccezioni permanenti del medio evo», osserva J. LÉMANN, Napoléon Iᵉʳ et les Israélites, Paris, 1894, p. 279. A seconda dei risultati, esso doveva essere prorogato oppure le sue misure eccezionali sarebbero state abolite. Nello stesso spirito Napoleone obbligò gli ebrei (20 luglio 1808) a prendere nomi e cognomi nuovi; fino ad allora, quasi tutti i nomi erano tratti dall’Antico Testamento, ciò che generava confusione nella designazione degli individui e negli affari commerciali.
Dieci anni dopo, quando il decreto del 1808 ritornò alla Camera dei pari, Napoleone era lontano. Le restrizioni vennero meno. Gli ebrei ebbero una libertà senza riserve.Tranquilli durante la Restaurazione, essi prosperarono sempre di più a partire dalla monarchia di luglio. L’8 febbraio 1831, una legge del ministero LAFFITTE li iscrisse al bilancio dei culti. Dal 1830 il cattolicesimo aveva cessato di essere la religione dello Stato; gli ebrei erano completamente assimilati ai francesi e il loro culto agli altri culti. Nel 1839 scomparve, con la soppressione del giuramento more judaico, l’ultimo vestigio delle separazioni tra ebrei e cristiani.
Gli ebrei delle colonie francesi hanno beneficiato della benevolenza del potere. Nel 1870 l’ebreo A. CRÉMIEUX, membro del governo provvisorio, concesse agli ebrei d’Algeria una naturalizzazione collettiva. Questo fu un grave errore, visto lo stato d’animo degli ebrei algerini e i loro rapporti con gli arabi. Lo stesso T. REINACH, il quale pure diceva, nella prima ed. della sua Histoire des Israélites, 1884, p. 344, che il decreto Crémieux, «criticato dapprima per la sua audacia, ha ricevuto oggi la duplice consacrazione del tempo e dell’esperienza», lo definisce, nella quarta ed., p. 319, «generoso, ma forse prematuro, e che andava attuato per gradi».
- Le fasi successive dell’emancipazione. Al di fuori della Francia. ‒ Dalla Francia, l’emancipazione ebraica ha guadagnato a poco a poco la maggior parte del mondo, almeno in teoria; nella pratica, infatti, essa si scontra con molti ostacoli. Proclamata, nel 1796, in Olanda, fu definitivamente acquisita dopo il 1814. Il Belgio, separatosi dai Paesi Bassi nel 1830, assicurò agli ebrei il diritto di cittadinanza. In Inghilterra, dove a poco a poco le incapacità civili erano cadute in disuso, gli ebrei furono eguagliati legalmente ai cittadini inglesi nel 1860. Negli Stati scandinavi, l’emancipazione era un fatto compiuto già a partire dal 1848; in Svizzera, solo dopo il 1874.
Nel 1815 si ebbe quasi un ritorno alla stato legale di prima del 1789. Il 1848 restituì in molti luoghi agli ebrei i diritti civili; ci fu poi una nuova reazione quando ritornarono gli antichi governi. La costituzione sarda conservò agli ebrei i diritti civili concessi nel 1848; l’unificazione progressiva dell’Italia sotto lo scettro di Vittorio Emanuele estese le sue disposizioni a tutta l’Italia. Il Portogallo dopo il 1811 e la Spagna dopo il 1862 hanno ammesso gli ebrei; in Spagna essi non hanno il libero esercizio pubblico del loro culto. Dopo una serie di concessioni e di reazioni, l’Austria-Ungheria nel 1867, e la Germania parzialmente dopo il 1848 e completamente con la costituzione del nuovo impero, hanno cancellato le ultime tracce d’una legislazione speciale per gli ebrei; ma di fatto in Germania, e soprattutto in Prussia, sono esclusi dall’esercito e dalle funzioni giudiziarie e accademiche.
In Russia, dove sono circa 6.000.000, cioè i due terzi del totale degli ebrei d’Europa, sono sottoposti ad una legislazione speciale. Un decreto del 1893, che non è rigorosamente applicato, ha stabilito l’espulsione di tutti coloro che sono al di fuori della Polonia e del «territorio ebraico» formato dalla Russia bianca e dalla Crimea. Fin dall’inizio della guerra (1914), che infuria mentre sono in stampa queste pagine, la Russia ha preannunciato l’emancipazione degli ebrei. In Romania, la legge li considera stranieri e li colpisce con numerose limitazioni. Hanno l’uguaglianza civile in Serbia e in Bulgaria a partire dal 1878; di fatto la Grecia li esclude dalle funzioni pubbliche. Nei paesi musulmani, l’ostilità nei loro confronti è vivissima. La Turchia ha permesso loro, nel 1908, l’accesso al pubblico impiego. Gli ebrei sono liberi in America; un’immigrazione importante ha avuto luogo, nel corso degli ultimi anni, negli Stati Uniti, in Canada, in Argentina.
- L’antisemitismo. ‒ A. Le origini dell’antisemitismo. ‒ In ogni epoca vi furono, accanto a coloro che combattevano il giudaismo dal punto di vista religioso, quelli che lo attaccarono dal punto di vista nazionale, sociale ed economico. Furono, se si eccettua il cristianesimo, senza risalire alla cattività d’Egitto o a quella babilonese, gli scrittori classici e le masse sollevate contro gli ebrei a Roma, ad Antiochia, ad Alessandria. A partire dal cristianesimo, furono un AGOBARDO ed un AMOLONE nel IX sec., un PIETRO IL VENERABILE nel XII sec., e soprattutto la Spagna nella sua repressione dei marrani sospettati di legami con gli ebrei. «L’antisemitismo esisteva già, dice I. LOEB, Revue des études juives, Paris, 1881, t. III, p. 320; ma ignorava se stesso, la formula non era stata ancora trovata». Allora si trattava di antigiudaismo. LUTERO, con il suo Von der Juden und ihren Lügen (1542), SIMONE MAJOLI (MAJOLUS), vescovo di Vulturara, con i suoi Dies caniculares, Roma, 1585, e successivamente un PIERRE DE LANCRE, un EISENMENGER, un FRANCISCO DE TORREJONCILLO, uno SCHUDT, un VOLTAIRE, etc. sono stati antigiudei in misura diversa. Gli ebrei, emancipati dalla Rivoluzione francese, entrarono nella società moderna «non come ospiti, ma come conquistatori», dice B. LAZARE, L’antisémitisme, p. 223. A lamentarsi furono i loro concorrenti e le loro vittime. L’antigiudaismo si tramutò in antisemitismo.
Una teoria dalla parvenza scientifica e delle circostanze storiche particolari concorsero in questa trasformazione. La teoria è quella dell’antagonismo, della lotta per l’esistenza, delle razze, dell’opposizione fondamentale tra razza «semitica» e razza «indo-germanica» o «ariana», di cui RENAN, sotto l’influenza di Hegel, aveva fatto una sorta di legge della storia, salvo poi abbandonarla. Le circostanze propizie furono, in generale, il movimento nazionalista, la tendenza all’unità, che caratterizzò i popoli europei nella seconda metà del XIX sec., e, in particolare, dopo il 1870, l’ubriacatura del germanesimo, che esaltava tutto ciò che appariva teutonico e rifiutava tutto il resto. La parola d’ordine fu: niente più che non sia tedesco in Germania. Dunque, guerra al romanismo! Lungi dall’opporvisi, gli ebrei diedero l’assalto alla Chiesa cattolica. Ma anche guerra al giudaismo! Alla stampa ebraica che denunciava i cattolici come degli stranieri sottomessi ad un capo straniero, come non rispondere che gli ebrei erano degli intrusi di razza straniera, senza patria e senza patriottismo? Da parte loro, i protestanti insorsero contro Israele, le cui bordate, oltre alla gerarchia cattolica, colpivano la croce e il Vangelo. L’ebreo fu denunciato come un pericolo per la civiltà tedesca e, assieme all’ebreo, ogni semita. Fu forgiato il termine «antisemitismo», che inasprì la lotta tra ebrei e cristiani e le conferì un significato colto.
- Le principali forme di antisemitismo. a) L’antisemitismo etnologico e nazionale. ‒ È quello che abbiamo descritto. Esso dice che l’ebreo, nella sua qualità di semita, è inassimilabile e snazionalizza i popoli in mezzo ai quali si trova. Partito da Berlino, questo antisemitismo varcò d’un balzo le frontiere della Germania, con questa differenza, che il germanesimo fu sostituito in Austria-Ungheria dal magiarismo, in Russia dallo slavismo e in Francia dalla civiltà francese. Fra coloro che l’hanno propagato citiamo in Germania W. MARR, che per primo sistematizzò queste idee nel libro Der Sieg des Judenthums über das Germanenthum vom nicht confessionellen Standpunkt ausbetrachtet, Berne, 1879, H. VON TREITSCHKE, E. DÜRING, il pastore STÖCKER; in Austria-Ungheria, PATTAI e LUEGER; in Russia, AKSKOF e MECHTCHERSKY; in Francia, E. DRUMONT, con una verve ed un talento che ne hanno fatto un propagandista temibile.
- b) L’antisemitismo economico e sociale. ‒ Vede negli ebrei una razza che sfugge le professioni utili ed esercita esclusivamente quelle in cui ci si arricchisce a spese degli altri. Questa razza si impadronisce del mondo degli affari e della finanza. Il capitalismo ebraico si propone di realizzare «la conquista ebraica». Questa accusa si aggiunge di solito alla precedente ed è stata sviluppata dalla maggior parte dei difensori dell’antisemitismo etnologico e nazionale, e in primo luogo da E. DRUMONT. Due dei suoi predecessori furono A. TOUSSENEL, Les Juifs rois de l’époque. Histoire de la féodalité financière, Paris, 1847, e R. CAPEFIGUE, Histoire des grands opérations finncières, Paris, 1855.
- c) L’antisemitismo religioso. ‒ Si suddivide in due forme, a seconda che sia ostile o no al cristianesimo. L’antisemitismo cristiano attacca contemporaneamente il cristianesimo e il giudaismo, al quale si ricollega. W. MARR combatte, con Schopenhauer, l’ottimismo della religione ebraica. La metafisica tedesca che si ispira a Hegel vede nel giudaismo uno stadio inferiore della civiltà; è il passato che è morto, mentre lo spirito germanico è il presente che avanza. MAX STIRNER dichiara che l’umanità ha percorso due epoche, l’epoca antica, quella dello «stato d’animo negro», dove l’uomo dipendeva dalle cose e che è sempre l’epoca degli ebrei, e l’epoca del «mongolismo», dove l’uomo è dominato dalle idee e che è l’epoca del cristianesimo; l’uomo si incammina verso un’epoca migliore, dove egli dominerà le idee e libererà il suo proprio io. E. DÜHRING contrappone al giudaismo e al cristianesimo, che ne è l’ultima manifestazione, le concezioni religiose dei popoli del nord. NIETZSCHE definisce la morale ebraica e la morale cristiana «morale da schiavi»; esalta la «morale dei signori» che deifica l’orgoglio e la forza. In Francia, alcuni rivoluzionari atei, come G. TRIDON, Du molochisme juif, Bruxelles, 1884 (opera postuma) e A. REGNARD, Aryens et Sémites, Paris, 1890, hanno professato un antisemitismo anticristiano.
Degli antisemiti non cristiani, che hanno conservato, legami ereditari più o meno coscienti, delle simpatie per il cristianesimo, fanno volentieri del Nuovo Testamento l’antitesi dell’Antico. Per TOUSSENEL, gli ebrei «che si arrogano il titolo di popolo di Dio, sono stati il vero popolo dell’inferno … Il Dio del popolo ebraico non è altri che Satana …, Satana, il Dio degli eserciti, il Dio della carneficina, il Dio malvagio, il Dio geloso, il Dio unico», tutto il contrario del «vero Dio, il Dio del Vangelo, colui che si rivela tramite l’amore», Les Juifs rois de l’époque, IV éd., Paris, 1888, t. II, pp. 274, 286. I cristiani autentici denunciano il Talmud e il giudeo-massonismo pur rimanendo rispettosi della Bibbia.
- I fondamenti dell’antisemitismo. ‒ Vi sono nell’antisemitismo elementi diversi e perfino contraddittori. Dal punto di vista cristiano, abbiamo visto ciò che sembra potersi dire del giudeo-massonismo, del Talmud e dell’anticristianesimo ebraico; c’è bisogno di aggiungere che, lungi dall’essere in conflitto, l’Antico Testamento e il Vangelo si associano come la promessa e il suo compimento, che questo realizza ciò che quello prepara, che hanno lo stesso Dio, lo stesso decalogo, la stessa morale, ma nel Vangelo portata alla sua perfezione, e che un cristiano non dovrebbe dimenticare che Gesù è nato da Israele ed anche sua madre e i suoi apostoli, che hanno apportato al mondo la Buona Novella cristiana?
Dal punto di vista scientifico, nazionale ed economico, si impone una differenziazione tra le affermazioni degli antisemiti. L’antagonismo tra la razza ariana e la razza semitica è artificioso: né l’una né l’altra sono razze pure, e popoli di lingua semitica presentano fra di loro contrasti tanto accentuati quanti ne esistono tra loro e gli ariani: questo è talmente vero che in Algeria l’antisemitismo ha appoggiato contro gli ebrei la causa degli arabi, che sono semiti come gli ebrei. D’altronde, se ha contribuito considerevolmente alla trasformazione economica e al «regno del denaro», l’ebreo non è stato il solo a produrre lo stato di cose attuale; questo deriva dalla Rivoluzione francese e dall’insieme dei cambiamenti che ha introdotto nell’organismo sociale. In compenso, è esatto che le accuse degli antisemiti sono in parte fondate. B. LAZARE lo riconosce senza mezzi termini. Egli non dice tutto, ma dice abbastanza per giustificare alcune delle posizioni degli antisemiti.
Bibl. ‒ Sullo Stato e gli ebrei prima del 1789: Fischer, De statu et jurisdictione judaeorum secundum leges romanas, germanicas, alsaticas, Strasbourg, 1763; P. Viollet, Histoire du droit civile français. Droit privé et sources, Paris, 1893, pp. 353-364; T. Reinach, art. Judaei in Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, Paris, 1899, t. III, pp. 630-632; J. JUSTER, Examen critique des sources relatives à la condition juridique des Juifs dans l’empire romain, Paris, 1911; Les Juifs dans les lois des Wisigoths, in Études d’histoire juridique offerte a P.-F. Girard dai suoi allievi, Paris, 1912; Les Juifs dans l’empire romain, leur condition juridique, économique et sociale, 2 voll., Paris, 1914; R. JANIN, Les Juifs dans l’empire byzantine, in Echos d’Orient, Paris, 1913, t. XVI, pp. 126-133. Sui vari Stati e gli ebrei cfr. la bibliografia data da T. Reinach, Histoire des Israélites, pp. 388-391. Sullo Stato e gli ebrei dopo il 1789: A.-E. Halphen, Recueil des lois, décrets, ordonnances, avis du conseil d’Etat, arrêtés et règlement concernant les Israélites depuis la Révolution de 1789, Paris, 1851, continuato da Uhry, 1887, e Penel Beaufin, 1894; J. LÉMANN, L’entrée des Israélites dans la société française et les États chrétiens, VI éd., Paris, 1886, e La préponderance juive, Paris, 1899-1894, 2 voll.; C. THIBAUT, Le judaïsme et les Juifs de nos jours d’après les sources et les publications juives, Les Juifs à travers le monde, in La controverse et Le contemporain, 2ᵉ série, Lyon, 1887, t. X, pp. 267-292, t. XI, pp. 432-459; H. Lucien Brun, La condition des Juifs en France depuis 1789, Lyon, 1900; M. Philippson, Neueste Geschichte des jüdischen Volkes, Leipzig, 1907-1913, 3 voll. (ampia bibliografia).
- LA CHIESA E GLI EBREI
Le grandi linee della condotta della Chiesa
- I. La Chiesa e gli ebrei in generale. ‒ II. La Chiesa e gli ebrei degli Stati della Santa Sede. III. ‒ Lo spirito che anima la Chiesa.
- La Chiesa e gli ebrei in generale.
- L’unità di condotta della Chiesa. ‒ Quando diciamo «la Chiesa» intendiamo «la gerarchia ecclesiastica», l’insieme dei vescovi, i concili, soprattutto ecumenici, e principalmente i papi. Gli atti e le parole di un singolo individuo, quand’anche fosse un vescovo, se è solo, e perfino di un concilio provinciale o regionale, quale che sia la sua importanza, non impegnano la responsabilità della Chiesa. Al contrario, i concili ecumenici e i papi parlano ed agiscono con una autorità sovrana.
Ora, come ha visto benissimo E. RODOCANACHI, Le Saint-Siège et les Juifs, pp. 121-124, la condotta del papato verso gli ebrei presenta numerose vicissitudini secondo i tempi, le circostanze, le persone. «Tuttavia questa diversità è più apparente che reale. Ciò che vi è di notevole e di fortissimo nella politica della Santa Sede è l’unità; essendo assai poco terrestre, essa è assai poco variabile. Gli uomini ambiscono mille cose; la Chiesa non ne desidera che una, e sempre la stessa», ed è la salvezza delle anime. La Chiesa vuole «guadagnare e non soggiogare gli ebrei», sapendo che la fede non si impone; essa condanna le violenze contro di loro, rispetta la libertà delle loro coscienze e del loro culto. Ma non vuole che siano un pericolo per la fede dei fedeli. Di qui le restrizioni perché essi non divengano questo pericolo e le misure severe quando lo costituiscono. Essa proibisce loro qualunque proselitismo, con la persuasione o con la forza. Dal momento che, se essi esercitassero le funzioni pubbliche, ne abuserebbero ‒ come ha dimostrato l’esperienza ‒ a detrimento dei cristiani e del cristianesimo, del potere e del prestigio che queste conferiscono, la Chiesa ha proibito loro tali funzioni. Per la stessa ragione, non possono avere schiavi cristiani né circoncidere i loro schiavi pagani. Nella misura in cui i fatti lo favoriscono, essi non devono vivere con i cristiani in una familiarità pericolosa per la fede cristiana.
Così, senza alcuna contraddizione, la Chiesa si è pronunciata per gli ebrei e contro gli ebrei: contro gli ebrei quando questi volevano imporre il loro giogo sui fedeli e fare opera di proselitismo anticristiano, per gli ebrei quando i principi e i popoli attentavano ai loro diritti o violavano ingiustamente i loro privilegi. Il canone 26 del III concilio ecumenico del Laterano suona: Judaeos sujacere christianis oportet et ab eis sola humanitate foveri. Ora bisognava ricordare loro che, in una società eminentemente cristiana, potevano godere solo di una libertà imperfetta e limitata; ora era necessario rianimare nei cristiani il sentimento delle necessità dell’umanità. Papi piuttosto diffidenti e che hanno represso gli eccessi degli ebrei, come INNOCENZO III, li hanno difesi contro le vessazioni inique. In compenso, papi ben disposti, ad es. un MARTINO V o un LEONE X, talvolta hanno dovuto a loro volta infierire, poiché questi eccessi si rinnovavano.
Le variazioni della condotta della Santa Sede hanno dovuto tener conto della condotta degli stessi ebrei. Il carattere personale dei papi, le influenze dell’ambiente ‒ quelli che ebbero medici ebrei in genere furono più favorevoli agli ebrei degli altri ‒ le influenze dell’epoca, si sono riflesse nelle decisioni dei pontefici romani.
- Le varie epoche. ‒ A. Dal 313 al 1100. ‒ La grande figura che domina quest’epoca è quella di GREGORIO MAGNO (590-604). Egli si è occupato molto di ebrei. Di norma egli accetta la legislazione imperiale. Sicut Judaeis non debet esse licentia quidquam … ultra quam permissum est lege praesumere, ita, in his quae eis concessa sunt, nullum debent praejudicium sustinere, dice, Epist. VIII, XXV, cfr. IX, LV, etc. La Chiesa conservò a lungo le leggi degli imperatori di Bisanzio come la loro propria legge, senza però legarsi in modo stretto al diritto romano. Pur richiamandosi a questo, Gregorio apporta la sua nota personale. Egli ha formulato, in qualche misura, in uno spirito di equità e mitezza, il programma delle relazioni della Chiesa con gli ebrei. Libertà del culto mosaico, proibizione del proselitismo ebraico, rispetto della giustizia verso Israele, obbligo per Israele di obbedire alle leggi ‒ niente è omesso. Ora, s. Gregorio è diventato «la guida pratica del medio evo», H. GRISAR, trad. A. DE SANTI, Storia di Roma e dei papi nel medio evo, Roma, t. III, p. 350. I suoi testi sugli ebrei sono stati utilizzati per la composizione dei dossier raccolti da AMOLONE, Contra Judaeos, e dal concilio di Méaux (845) e, in proporzioni considerevoli, per quella delle raccolte che hanno preceduto le compilazioni ufficiali di diritto canonico: la Collectio Anselmo dicata, le Appendices del De ecclesiastica disciplina di REGINONE di Prüm, il Decretorum libri XX di BURCARDO di Worms, la collezione inedita del Vaticanus 383 I e la collezione del ms. C 118 degli archivi vaticani che ne è un’edizione corretta, soprattutto il Decreto di YVES di Chartres e quello di GRAZIANO. Sui 19 capitoli che conta il titolo VI, De Judaeis, Sarracenis et eorum servis, del l. V delle Decretali, 14 riguardano gli ebrei: due testi sono tratti da s. Gregorio; inoltre i c. 5, 7, 8, 9, 13, 19, canoni di concili o decreti pontifici, si pronunciano nello stesso senso di s. Gregorio. Cfr. V. TIOLLIER, Saint Grégoire le Grand et les Juifs, Brignais, 1913, pp. 84-88.
D’accordo in sostanza con s. Gregorio, i numerosi concili che hanno legiferato sugli ebrei fino al 1100 hanno toccato un punto da lui non preso in considerazione. In tutta la sua opera non si trova traccia, a parte la questione degli schiavi, di divieti relativi al contatto degli ebrei con i fedeli. Molti concili, preoccupati di difendere questi ultimi dal «contagio giudaico», proibirono loro la frequentazione troppo intima degli ebrei. Dove il rigore si affermò fu nei concili di Toledo. A dire il vero, erano meno dei concili che delle assemblee nazionali della monarchia spagnola, limitandosi, o quasi, a registrare le leggi decretate dai sovrani. Ma GRAZIANO attinse ad essi fino a nove canoni, di cui sei (esattamente il numero di quelli che dovette a s. Gragorio) del IV concilio (633), Decret. I, d. XLV, 5; d. LIV, 17; II, c. XVII, q. IV, 31; c. XXVIII, q. 1, 10, 11, 12; d. IV, 94. YVES di Chartres aveva attinto nove canoni, Decret. I, 276-280; XIII, 94-95, 97-98: sei sono comuni a Graziano e a lui. Con Yves e soprattutto con Graziano la severità dei concili spagnoli influenzò la legislazione ecclesiastica.
Vi furono vescovi pieni di benevolenza verso gli ebrei, sia proteggendoli che avendo eccellenti rapporti con essi. Questo fu il caso di s. SIDONIO APOLLINARE e di s. FERREOLO di Uzès. S. ILARIO di Arles e s. GALLO di Clermont furono pianti dagli ebrei come pure s. BASILIO; quest’ultimo aveva un medico ebreo. RUDIGER, vescovo di Spira, li difese contro ingiuste vessazioni (1084). Altri vescovi perseguirono l’applicazione rigorosa delle leggi antigiudaiche. Alcuni andarono anche oltre. Gli episodi più famosi sono quello della sinagoga di Callinico (388), cfr. s. AMBROGIO, Epist., XL-XLI; quello degli ebrei di Alessandria e di s. Cirillo (414-415); quello degli ebrei di Lione e dei vescovi AGOBARDO e AMOLONE. A Béziers un’antica usanza, che si ricollegava verosimilmente a quella della umiliazione pubblica degli ebrei (colaphisation) e che non fu abolita che nel 1160 dal vescovo GUGLIELMO, autorizzava i cristiani ad attaccare le case degli ebrei a colpi di pietra dalle prime ore del sabato prima della Domenica delle Palme fino allla conclusione del sabato dopo Pasqua.
- Dal 1100 al 1500. ‒ Con INNOCENZO III (1198-1216) la condizione degli ebrei peggiora. Alleati agli albigesi e ad altri eretici nella lotta contro la Chiesa, essi sono coinvolti nella medesima repressione. Il IV concilio del Laterano rinnova ed aggrava le proibizioni cadute in disuso. Nelle Decretales, pubblicate per ordine di GREGORIO IX, furono codificate ufficialmente le principali disposizioni relative agli ebrei, l. V, tit. VI: il grande principio della loro libertà religiosa permane, ma i mezzi di nuocere alla fede cristiana, soprattutto tramite la familiarità con i cristiani, sono resi impossibili. Molti papi rincarano questi rigori. Ma al tempo stesso proteggono gli ebrei contro gli eccessi di uno zelo malinteso, contro gli appetiti d’una cupidigia insaziabile. Vegliano su di loro, sulle loro famiglie, sui loro beni; perseguono l’oppressione sotto ogni forma e, non distinguendo l’ebreo dal cristiano, vogliono che si faccia giustizia. Proprio questo mostra il Formulario di Marino da Eboli composto, verso la metà del XIII sec., utilizzando dei registri dei papi.
Il papato, durante la sua permanenza ad Avignone, fu caritatevole verso gli ebrei. La leggenda ha perpetuato il ricordo della loro benevolenza. Cfr. F. GRAS, La jusiolo d’Avignoun, in Le romancero provençal, Avignon, 1887, pp. 174-181 (riguarda BENEDETTO XII) e BASNAGE, Histoire des Juifs, Rotterdam, 1707, t. V, pp. 1798-1799 (riguarda probabilmente GIOVANNI XXII). CLEMENTE VI fece sforzi eroici per la salvezza degli ebrei durante la peste nera, e si videro, come si esprime FROISSART, I, II, «i poveri ebrei ovunque ars et escacés, tranne nella terra della Chiesa, sotto le chiavi del papa». Ritornati a Roma, i papi restarono indulgenti verso gli ebrei. INNOCENZO VII (1404-1406), cfr. F. VERNET, Le pape Innocent VII et les Juifs, in L’université catholique, Lyon, 1894, t. XV, pp. 399-408, e MARTINO V (1417-1431), cfr. F. Vernet, Le pape Martin V et les Juifs, in Revue des questions historiques, Paris, 1892, t. LI, pp. 373-423, sono tra i loro più decisi difensori. EUGENIO IV, NICOLA V, CALLISTO III, PAOLO II, emanarono o rinnovarono prescrizioni severe, ma che rimasero in gran parte lettera morta. Per farla breve, fino al 1500, malgrado gli ostacoli legali, gli ebrei non hanno troppe noie da parte di Roma.
In questo periodo, i concili provinciali riproducevano le decisioni pontificie, non senza una tendenza a completarle con misure che le aggravavano. Cfr. l’elenco di C. AUZIAS-TURENNE, Les Juifs et le droit ecclésiastique, in Revue catholique des institutions et du droit, Paris, 1893, II série, t. XI, pp. 295-297. I vescovi e il clero secolare e regolare manifestavano disposizioni diverse. Il monaco RODOLFO eccitò i tedeschi contro gli ebrei in occasione della seconda crociata; ma non rappresentava in alcun modo la Chiesa, lui che s. BERNARDO, Epist. CCCLXV, chiama «un figlio indegno della Chiesa, ribelle verso il superiore del suo monastero, disobbediente ai vescovi e che predicava l’omicidio contrariamente alle leggi della propria religione». Cfr. la bolla A quo primum di BENEDETTO XIV (14 giugno 1751), 4. Le Risposte agli infedeli di JOSEPH LO ZELOTA, figlio di Nathan Official e lui stesso official, vale a dire intimo dell’arcivescovo di Sens, con l’incarico di esercitare la giurisdizione e di apporre il sigillo del vescovo in nome del vescovo (forse questo compito fu limitato ai suoi correligionari), ci permettono di cogliere dal vivo le relazioni degli ebrei con il mondo cristiano. Vi vediamo degli ebrei che discutono, in tutta libertà, le questioni più delicate e più spinose, con semplici religiosi, con vescovi e con il papa stesso (probabilmente Gregorio X). Cfr. Z. KAHN, Revue des études juives, 1881, t. III, pp. 10-15, 34: «Questo fenomeno notevole si produce non solo in epoche relativamente tranquille e felici, dove essi godono della benevola protezione del capo della Chiesa, come al tempo di Luigi VII, ma anche più tardi, quando sono già sotto i colpi di misure vessatorie e violente, come al tempo di Filippo Augusto e di s. Luigi. Questo prova, come ha stabilito in questa sede (Revue des études juives, 1881, t. II, p. 16) uno scrittore bene informato (S. LUCE), che le leggi non sempre danno la misura esatta dello stato sociale di un paese e che la vita morale delle nazioni si compone di elementi assai complessi e talora contraddittori». In generale, gli uomini della Chiesa mitigarono nella pratica la severità delle leggi ecclesiastiche. Fra coloro che reclamarono con maggiore autorità la loro esatta applicazione citiamo s. VICENT FERRER, s. GIOVANNI DA CAPISTRANO e il beato BERNARDINO DA FELTRE.
- Dal 1500 al 1789. ‒ Il XVI sec. iniziò bene per gli ebrei. GIULIO II (1503-1513) fu benevolo. LEONE X (1513-1521) li favorì. CLEMENTE VII (1523-1534) spinse la sua benevolenza a limiti estremi. PAOLO III (1555-1559) li colmò di privilegi. Con PAOLO IV (1555-1559) tutto cambia. Minacciato dall’assalto formidabile del protestantesimo e dall’elemento pagano dell’umanesimo, indebolito da abusi reali, il papato si riforma e riforma la Chiesa. Il cattolicesimo ripiega su se stesso e, ora che gli Stati non mantengono più l’ordine contro i nemici della Chiesa ‒ gli Stati protestanti lo fanno contro la Chiesa e quelli cattolici troppo spesso contro le dottrine romane ‒ la Chiesa, ridotta alle sue proprie forze, le dispiega interamente. Avversari irriducibili del cristianesimo, gli ebrei sono sorvegliati più da presso che un tempo. Va notato che, se i papi continuano a legiferare su tutti gli ebrei, la loro azione prende forma e si realizza soprattutto negli Stati della Santa Sede. Inoltre, la severità pontificia è a intermittenza. A Paolo IV succede un uomo dolce e mite, PIO IV (1559-1565). S. PIO V (1566-1572) riprende la linea di condotta di Paolo IV. Il «terribile» SISTO V (1585-1590) si fa verso gli ebrei accomodante e generoso. CLEMENTE VIII (1592-1605) rinnova la tradizione di Paolo IV e Pio V. Dopo di lui la condizione degli ebrei migliora. Le dure ordinanze di Clemente VIII, Pio V e Paolo IV non vengono abrogate. Nella loro applicazione la Santa Sede apporta delle mitigazioni che variano secondo l’umore dei papi e delle azioni degli ebrei.
- Dal 1789 ai giorni nostri. ‒ L’assemblea dei notabili di Israele, su proposta di uno dei suoi segretari, Isaac Samuel Avigdor, decise, il giorno della chiusura (5 febbraio 1807), di esternare nei processi verbale l’espressione della propria riconoscenza per gli atti benefici di «vari pontefici» e «del clero cristiano a favore degli israeliti dei diversi Stati d’Europa, mentre la barbarie, i pregiudizi e l’ignoranza perseguitavano ed espellevano gli ebrei dal seno delle società». Cfr. J. LÉMANN, Napoléon Iᵉʳ et les Israélites, pp. 85-89. Questo omaggio onora gli ebrei che ne ebbero l’iniziativa e riassume perfettamente la condotta della Chiesa. Recentemente, nel corso dell’affare di Kiev, lord ROTHSCHILD ricordava anch’egli (lettera del 7 ottobre 1913 al cardinale Merry del Val) che «un gran numero di sovrani pontefici hanno, in varie occasioni, esteso la loro generosità ai suoi correligionari perseguitati», ed invocava «il gentile intervento» del cardinale segretario di Stato di Pio X «secondo le tradizioni illuminate e generose della Santa Sede, che ha così spesso alzato la voce per difendere gli oppressi e per far trionfare la verità e la giustizia».
A seconda delle circostanze, la Chiesa ha testimoniato di rimanere fedele al suo passato di severità per le dottrine ebraiche e di carità per le persone. Mai questa simpatia si è affermata come al concilio del Vaticano. Si legga, in La cause des restes d’Israël introduite au concile oecumenique du Vatican dei fratelli LÉMANN, il racconto dei loro sforzi per ottenere che il concilio indirizzasse un appello misericordioso alla nazione israelitica. Vi si ammira «la carità apostolica, infinitamente varia nelle forme, con cui i Padri del concilio firmano il Postulatum pro Hebraeis. Furono così raccolte 510 firme episcopali; ed avrebbero firmato senza eccezione tutti i Padri del concilio, se i due fratelli, obbedendo ad un delicato sentimento di deferenza, non avessero voluto cedere l’onore del maggior numero di firme al Postulatum pro infallibilitate». L’interruzione del concilio sospese questa «opera di affetto e di onore», che sarà ripresa alla riapertura del concilio e che ebbe le benedizioni di PIO IX. Un’espressione rivolta da Pio IX agli abati Lémann, p. 38, cfr. p. 246, indica la fonte di tali simpatie: Vos estis filii Abrahae, et ego. Cfr. H. VOGELSTEIN e P. RIEGER, Geschichte der Juden in Rom, Berlin, 1895, t. II, p. 369 (un’altra espressione di Pio IX del 1846).
LEONE XIII, per non parlare che di questo fatto, invitò il clero di Corfù a placare la popolazione cristiana e ad astenersi dalle violenze contro gli ebrei in seguito ad una accusa di omicidio rituale (1891). Cfr. F. FRANK, Die Kirche und die Juden, Ratisbona, 1893, pp. 30-31, 42. Il significato della risposta del cardinal MERRY DEL VAL a lord Rothschild non va esagerata; è soprattutto un atto di pura cortesia. Tuttavia è importante notare il finale: «Nella speranza che questa dichiarazione possa servire il disegno che voi perseguite», naturalmente in armonia con la tradizione della Chiesa.
- La Chiesa e gli ebrei degli Stati della Santa Sede.
- Prima del 1500. ‒ La storia della comunità ebraica di Roma è lo specchio fedele delle disposizioni del papato verso l’intera razza ebraica. Altrove vescovi, concili e principi sostituivano qua e là la loro azione a quella del papa; a Roma il papa, signore assoluto, traduceva tutto il suo pensiero nei suoi atti. Ora, gli ebrei furono più liberi a Roma che in qualunque altro luogo. «Mentre ovunque, dice E. RODOCANACHI, Le Saint-Siège et les Juifs, p. 2, in Spagna, in Francia, in Germania, nella stessa Arabia e fin nelle relioni più lontane si perseguitavano severamente gli ebrei, a Roma, nella capitale del mondo cristiano, li si tollerava. Questa tranquillità, questa sicurezza d’animo e di corpo, di cui non era permesso loro di godere in nessun’altra parte, essi la trovavano, almeno relativamente, all’ombra di S. Pietro». Il periodo più tranquillo fu quello che va fino al 1500 ed anche fino alla metà del XVI sec.; a turbare la loro quiete vi furono soltanto le bolle di EUGENIO IV e dei suoi successori, che peraltro non vennero applicate.
Un’abitudine che caratterizza questa situazione fu quella della prestazione dell’omaggio, accompagnata dall’offerta di un esemplare del Pentateuco, al nuovo papa. Con il tempo questa cerimonia prese una piega umiliante; la tradizione del Pentateuco, per la quale avevano ricevuto buone parole, portò a dei rimproveri sul fatto che non avevano riconosciuto il Cristo, spesso sotto questa forma: Legem probo sed improbo gentem. Cfr. F. CANCELLIERI, Storia de’ solenni possessi de’ sommi pontefici, Roma, 1802, pp. 223-226 n. Sembra che in origine questa manifestazione fosse spontanea e gioiosa. Era un modo di affermare un lealismo che i fatti confermarono, poiché gli ebrei di Roma non vennero a patti con i ribelli: Arnaldo da Brescia, Crescenzio, Stefano Porcari, Cola di Rienzo.
Ciò che furono per gli ebrei romani, i papi lo furono per tutti quelli dei loro Stati, in Italia e in Francia. «In generale, dice R. DE MAULDE, Revue des études juives, 1883, t. VII, pp. 227-228, i papi di Avignone e il governo pontificio del XV sec. mostrarono una benevolenza allora assai rara per le istituzioni ebraiche, superando largamente nella pratica i limiti tracciati dalle teorie dei giureconsulti e soprattutto i propositi della popolazione indigena, costantemente ostile nei confronti degli israeliti». Donde un afflusso di ebrei stranieri, dopo le grandi espulsioni del XIII, XIV e del XV sec., a tal segno che gli ebrei avignonesi, che ne compresero l’inquietudine, dovettero arginarne l’invasione.
Anche Roma fu un rifugio per gli ebrei cacciati da altri luoghi, in particolare dalla Spagna. A partire da PAOLO II (1472), gli ebrei romani ebbero una parte nei giochi del carnevale, che ben presto divenne molto vessatoria; all’inizio, anche se imposta, essa non ebbe nulla di avvilente. Cfr. i testi su questa istituzione raccolti da H. VOGELSTEIN e P. RIEGER, Geschichte der Juden in Rom, t. II, pp. 137-141.
- Dopo il 1500. ‒ I rigori inaugurati da PAOLO IV colpirono soprattutto gli ebrei di Roma e degli Stati della Santa Sede. Solo a questi si riferiva la bolla Cum nimis absurdum (14 luglio 1555), che aveva per scopo di impedire il loro dominio sui cristiani e li condannava alla reclusione nel ghetto. PIO V estese questa bolla all’intera cristianità e, per la prima volta, cacciò gli ebrei dagli Stati della Santa Sede (bolla Hebraeorum gens, 26 febbraio 1569), ad eccezione di Roma ed Ancona: Ancona, per via delle relazioni commerciali con l’Oriente; Roma, perché c’era da sperare che, essendo vicini e sotto la sorveglianza del papa, si astenessero dai loro misfatti, e potessero convertirsi. CLEMENTE VIII rinnovò l’editto d’espulsione (bolla Caeca et obdurata, 25 febbraio 1593), annullato da SISTO V (bolla Christiana pietas, 22 ottobre 1586); egli non autorizzò che la permanenza a Roma, Ancona e Avignone. Il porto di Ancona fu bandito ai mercanti ebrei degli scali del Levante, gli altri porti furono minacciati; l’approvvigionamento di Roma era in pericolo. CLEMENTE VIII annullò in gran parte il suo editto del 1° marzo con il breve Cum superioribus mensibus del 2 luglio seguente, «a causa, dice, dei vantaggi che la loro presenza può procurare ai nostri sudditi dal punto di vista commerciale». Non vi furono altri tentativi d’espulsione.
Dopo il pontificato di LEONE X, gli ebrei romani erano stati dispensati dall’offerta del Pentateuco in occasione dell’elezione del papa, ma fu posta a loro carico la decorazione costosa della scala del Campidoglio, poi quella dell’arco di Tito e del Colosseo e della via che conduce ad entrambi. Le corse del carnevale erano diventate sempre più odiose per gli ebrei, più grottesche ed umilianti. Cfr. il racconto del carnevale del 1580 nel Journal de voyage di MONTAIGNE, Paris, 1774, p. 140. CLEMENTE VIII li esentò (1608), in cambio di un contributo annuo di trecento scudi. Il primo sabato del carnevale una deputazione di ebrei di Roma rendeva omaggio ai rappresentanti della città. Questo vestigio delle tradizioni feudali comportava un gesto simbolico; il senatore di Roma ‒ o un conservatore del Campidoglio ‒ metteva il piede sulla nuca del gran rabbino e lo esortava ad alzarsi dicendo: «Andate». È da questo gesto che per il popolano è nata «la leggenda che il rabbino doveva subire l’oltraggio con un calcio. Successivamente si soppresse sia il gesto che la parola», E. RODOCANACHI, Le Saint-Siège et les Juifs, p. 206.
Nel complesso gli ebrei degli Stati della Santa Sede riguadagnarono un poco alla volta, nel XVII e XVIII sec., la maggior parte delle posizioni perdute. Il papato, secondo una felice formula di E. Rodocanachi, p. 218, «si sforzava di conciliare l’amore dell’equità con la diffidenza che gli ispiravano degli ospiti così sospetti». BASANAGE invidiava la sorte degli ebrei. «Di tutti i sovrani, dice, Histoire des Juifs, t. V, p. 1792, non ve ne è stato quasi nessuno il cui dominio sia stato più dolce di quello dei papi e, mentre essi perseguitano il resto dei cristiani (qui si intende il calvinismo rifugiato in Olanda a causa della revoca dell’editto di Nantes) che non si assoggettano alle loro leggi, favoriscono questa nazione; da essi prendono gli amministratori delle loro finanze; accordano loro privilegi e lasciano piena libertà di coscienza. Alcuni papi sono stati loro nemici; ma è impossibile che, in una così lunga serie di vescovi di Roma, costoro abbiano potuto avere lo stesso temperamento e seguito gli stessi principî. Gli ebrei vivono ancor oggi più tranquillamente sotto il dominio di questi capi della Chiesa che in qualunque altro luogo».
Quando la Rivoluzione francese e Napoleone presero il potere a Roma, fu decretata l’emancipazione degli ebrei. Emancipazione effimera, poiché cessò con la restaurazione pontificia. Le barriere del ghetto furono abbattute, non già dalla «rivoluzione trionfante» del 1848, come pretende T. REINACH, Histoire des Israélites, p. 326, ma da PIO IX. «Non fu la rivoluzione di Roma, dice F. GRAGOROVIUS, Promenades en Italie, trad., Paris,1894, a provocare questo atto liberale. Come mi hanno fatto notare alcuni stessi ebrei, la riforma si è compiuta un anno prima. Essa è stata dovuta alle rimostranze dell’opinione pubblica ed allo spirito generoso e liberale del papa, troppo intelligente per non comprendere i bisogni del secolo». Oggi il ghetto non esiste più e Vittorio Emanuele ha assimilato gli israeliti agli altri cittadini.
Lo stesso GREGOROVIUS così riassume, p. 17, la storia degli ebrei di Roma e degli Stati della Santa Sede: «Ad eccezione di qualche esplosione di odio popolare, gli ebrei a Roma non hanno subito le stesse crudeli persecuzioni di altre città dell’Europa. Roma non è stata mai terreno fertile per il fanatismo religioso, essendovisi sempre conservata l’antica tradizione di tolleranza».
III. Lo spirito che anima la Chiesa
- Il rigore contro gli ebrei. ‒ A. L’obiezione ebraica. ‒ A sentire gli scrittori ebrei, dovremmo credere che i moventi della Chiesa siano stati unicamente quelli dell’interesse e quindi privi di ogni nobiltà. GRAETZ, trad., t. IV, pp. 161-162, parlando delle misure di Innocenzo III favorevoli agli ebrei, dice che «non è un sentimento di umanità e di giustizia che provocava l’intervento del papa, ma quel pensiero singolare che gli ebrei debbano vivere, e vivere nell’abiezione e nella miseria, a maggior gloria del cristianesimo». I. LOEB, Réflections sur les Juifs, pp. 23-24, concede che in origine la Chiesa non aveva altro scopo che rimarcare, agli occhi dei pagani da poco convertiti, la differenza fra la religione cristiana e quella ebraica. Ma da lì sarebbero venuti, «per abitudine, consuetudine, prassi, abuso della forza ed ebbrezza del trionfo, gli insulti contro gli ebrei, i biasimi, le declamazioni, le calunnie ufficiali. Ben presto la Chiesa non pronuncia più il nome degli ebrei senza aggiungervi un epiteto ingiurioso: la perfidia degli ebrei, la perversità degli ebrei, l’ingratitudine degli ebrei verso i cristiani, la loro pretesa insolenza, la loro cecità, ritornano in ogni istante negli scritti dei papi e nei processi verbale dei concili; numerose bolle papali sugli ebrei esordiscono con qualche amenità di tal fatta, posta in risalto per meglio farla pesare sugli spiriti. Una comincia con “l’empia perfidia degli ebrei”, un’altra con “l’antica perversità degli ebrei” o con “la perfidia cieca e indurita degli ebrei” o “la malizia degli ebrei”. Gli ebrei sono maledetti e dannati, continuano a vivere solo per via della tolleranza e della misericordia della Chiesa, la quale vuol lasciarli vegetare affinché siano un’eterna testimonianza della verità cristiana e nella speranza che finiranno per convertirsi … Ma, se sono tollerati, gli ebrei non devono dimenticare che il loro crimine li ha condannati ad una perpetua schiavitù, essi sono schiavi dei cristiani, che li nutrono come “un serpente in grembo ed un tizzone nel petto”».
- Le dure espressioni contro gli ebrei. ‒ È vero che spesso gli ebrei sono qualificati duramente nelle bolle papali, come pure negli scritti dei Padri e degli scrittori ecclesiatici. Questo si spiega con gli eccessi assodati degli ebrei, ed anche con le abitudini di allora; per secoli, il latino e lo stesso francese hanno avuto delle arditezze che non sono più ammesse al giorno d’oggi. Inoltre non bisognerebbe alterare il senso delle formule pontificie. Quando ad es. LOEB riassume in questi termini: «essa (la Chiesa) vuol lasciarli vegetare affinché siano un’eterna testimonianza della verità cristiana» due passi di Paolo IV e Pio V, egli dovrebbe rendere esattamente il pensiero dei due papi. PAOLO IV (bolla Cum nimis absurdum, 14 luglio 1555) dice: Considerantes Ecclesiam Romanam eosdem Judaeos tolerare in testimonium verae fidei christianae, et ad hoc ut ipsi, sedis apostolicae pietate et benignitate allecti, errores suos tandem recognoscant. E PIO V (bolla Hebraeorum Gens, 26 febbraio 1569): Christiana pietas, hunc ineluctabilem causam in primis commiserans, illam humanius satis apud se possa est diversari, ut scilicet crebro illius intuitu, passionis dominicae memoria fidelium oculis frequentius obversetur, simulque [Hebraeorum gens] ex exemplis, doctrina, monitis, ad conversionem et salutem … amplius invitetur. Siamo lontani dal secco «vuol lasciarli vegetare».
GRAETZ assicura che la protezione accordata da Innocenzo III agli ebrei è motivata dalla considerazione che «gli ebrei debbano vivere, e vivere nell’abiezione e nella miseria, a maggior gloria del cristianesimo», Ora, INNOCENZO III dice, Epist. II, CCCII, che la nostra fede è stabilita tramite loro, poiché essi, inintelligenti, portano la legge di Dio in libri intelligenti, che impediscono ai cristiani di dimenticarla, ma anche che, a dispetto della loro ostinazione, quia tamen nostrae postulant defensionis auxilium, ex christianae pietatis mansuetudine, secondo l’esempio dei suoi predecessori, ipsorum petitionem admittimus eisque protectionis nostrae clypeum indulgemus. Graetz ha dunque falsato il pensiero del papa.
- La «perfidia» ebraica. ‒ Questa qualificazione è ricorrente; essa è divenuta un classico. Sembra che, nei testi antichi, «perfido» significhi «incredulo», «incredulo che si ostina», «colui che si acceca volontariamente», o semplicemente «infedele». Questo sarebbe un sinonimo della generatio infidelis et perversa del Vangelo, Luc., IX, 41. È così che l’intende SIDONIO APOLLINARE, Epist., II, XI: «Gli uomini di questa razza sono spesso onesti nei loro affari o secondo i giudizi terreni; è per tale ragione che, pur riprovando la perfidia delle sue credenze, voi potete proteggere la persona di questo sventurato». Nello stesso senso S. AMBROGIO, Enarrat. in ps., XLVII, 25 (vi è anche l’espressione: infidae plebis, Expos. Evang. secundum Lucam, IV, 57), la Praefatio de judaica incredulitate di Celso, I, 7, il traduttore dell’Altercatio Jasonis et Papisci, etc.
- GREGORIO MAGNO, Moral., IV, IV, parla degli ebrei superbi che, in Redemptoris adventu, ex parte maxima in perfidia remamentes, primordia fidei sequi noluerunt. Cfr. IX, VII, VIII; XI, XV; XIV, XXXIX, XLVII, XLVIII, e Hom. in Evang., X, 2, dove leggiamo: infidelium Judaeorum corda, che equivale palesemente ai «perfides» dei Morales. Cfr. V. TIOLLIER, Saint Grégoire le Grand et les Juifs, pp. 7-10.
Il concilio di Agde (506), in un canone riprodotto dal Decreto di Graziano, IIIª, d. IV, 93, regola le precauzioni da prendere prima di ammettere al battesimo gli ebrei quorum perfidia frequenter ad vomitum redit. Anche qui si parla direttamente dell’incredulità ebraica; dopo aver abbracciato la fede cristiana, gli ebrei ritornano spesso al loro vomito, cioè alla loro primitiva incredulità. Da qui a dare al termine «perfidia» un significato non più intellettuale, ma morale (conversione simulata, finzione in generale, tradimento) il passo era breve; vi si giunse soprattutto quando gli ebrei parvero allearsi con i nemici dei cristiani. Tuttavia, senza esagerazione, nel linguaggio ufficiale della Chiesa, la «perfidia» ebraica designa sicuramente l’errore o l’incredulità ebraica. Che cosa fu la «servitù» perpetua degli ebrei lo vedremo fra breve.
- La benevolenza verso gli ebrei. ‒ A. Le parole benevole verso gli ebrei. ‒ Che i rigori del linguaggio dei papi siano mitigati da una autentica benevolenza lo si percepisce leggendo i testi di INNOCENZO III, PAOLO IV e PIO V. Ma molti altri testi dimostrano che, lungi dall’essere estranei ad ogni sentimento di umanità e giustizia, gli interventi dei pontefici testimoniano questo duplice sentimento. Marino da Eboli, raccogliendo nel suo Formulario, secondo i registri dei papi, i principali modelli di bolle relative agli ebrei, espone i considerandi sui quali i sovrani pontefici basano le loro decisioni riguardo a Israele. «Gli ebrei, dice, rendono testimonianza della verità della fede ortodossa, sia perché conservano le Scritture ricche delle profezie che annunciano il Cristo, sia perché la loro dispersione fra i popoli ricorda il deicidio che hanno commesso. In secondo luogo, deve venire il tempo del loro ritorno alla vera fede; i loro resti saranno salvati. Inoltre, i loro padri furono gli amici di Dio. Essi stessi portano la somiglianza del Salvatore, e Dio è il loro creatore come quello dei cristiani. Del resto, la Santa Sede si apre a tutti, ai saggi e agli stolti. I cristiani debbono avere per gli ebrei la stessa benignità che desiderano da parte dei pagani per i propri fratelli che vivono nelle regioni pagane. Non basta che il cristiano odi l’iniquità, ami la pace e lavori per la giustizia?» F. VERNET, L’université catholique, 1896, t. XXI, p. 79.
Ecco ora ciò che si trova nelle bolle di MARTINO V. «L’incipit della famosa bolla del 31 gennaio 1419 enumera alcuni considerandi … La perfidia degli ebrei merita dei rimproveri: essi perseverano nel loro errore, invece di scrutare gli arcani dei profeti e delle Scritture e di pervenire alla conoscenza della religione e della salvezza. Essi sono creati a immagine di Dio, ma i loro resti devono essere salvati alla fine dei tempi, la loro esistenza è utile ai cristiani perché ne conferma la fede, ed essi implorano il soccorso della Santa Sede, fanno appello alla mansuetudine della pietà cristiana. Altrettanti sono i motivi per venire in loro aiuto. Se è opportuno non tollerare che gli ebrei sconfinino al di là dei loro privilegi, non è meno opportuno conservare tali privilegi ed assicurarne la messa in pratica. I pontefici romani hnno dato l’esempio nei tempi passati; non v’è che da seguire le loro tracce. Queste sono una quantità di ragioni che perorano la causa ebraica. Ma ve ne sono altre, egualmente importanti, che il nostro papa precisa altrove. Gli ebrei hanno diritto alla giustizia, come tutti; opprimere l’innocenza non può che nuocere allo sviluppo della vera pietà. Inoltre la Chiesa considera gli ebrei dei suoi Stati come sudditi e, a questo titolo, vuole e procura il loro bene. Certo, non dobbiamo dimenticare l’ulteriore motivo del proselitismo, che esiste nella protezione che essa garantisce agli ebrei: la mitezza e la benevolenza cristiana non sono un argomento vittorioso a favore della religione di Gesù Cristo?» F. VERNET, Revue des questions historiques, 1892, t. LI, pp. 407-408. INNOCENZO IV (bolla Si diligender del 28 maggio 1247) vuole che si accordi loro, saltem pietatis obtentu et ob Christi reverentiam humanitatis solatia.
- La preghiera per gli ebrei. ‒ Da sempre i cristiani hanno pregato per gli ebrei. Per limitarci qui ai papi e alla liturgia, ricordiamo alcuni bei passi di LEONE MAGNO che invitano a pregare per il popolo ebraico, ad adoperarsi per la sua conversione, ad esortare gli ebrei a convertirsi e a commentare la preghiera del Cristo, Serm. XXV, 2-3; LII, 5; LXII, 3; LXX, 2. La preghiera dell’ufficio del Venerdì Santo è antica. S. GREGORIO di Tours vi fa un’allusione sicura, H. F., V, XI. Amolone la menziona esplicitamente, Contra Judaeos, IV, LIX. Quest’ultimo testo indica abbastanza bene tutto lo spirito della Chiesa nella sua condotta verso gli ebrei: ut in nullo eorum vitae et saluti, aut quieti vel divitiis, invidentes, imo eorum veram salutem, pro qua Ecclesia solemniter orare consuevit, veraciter inquirentes, servemus erga eos ecclesiasticam sinceritatem ac disciplinam, et commissos nobis fidelium populos nullo modo eorum contagiis et sacrilegiis involvi patiamur.
Bibl. ‒ Sulla Chiesa e gli ebrei in generale. In attesa di un Bullarium judaicum che sarebbe tanto importante, alcune centinaia di bolle sono sparse in una quantità di collezioni e monografie. Indichiamo la piccola raccolta ufficiale del Corpus juris canonici, Decretal.,V,VI; Sextus Decretal., V, II, 13; Extravagantes communes, V, II, 2; cui si ricollega il Decret. Gratiani, Iª, XLV, 3, 5, LIV, 12-18; IIª, XIV, VI, 2; XXVIII, 1, 10-15, 17; IIIª, IV, 93, 94, 98, e il Septimus Decretal., V, I, che non hanno un carattere ufficiale. Inoltre, A. Guerra, Pontificiarum constitutionum epitome, Venezia, 1772, t. I, pp. 191-196 (riassume 38 bolle pubblicate nel Bullarium romanum, nel Bullarium magnum, e altrove); L. Ferraris, Prompta bibliotheca canonica, Venezia, t. IV, pp. 1782, t. IV, pp. 208-237 (riassume un gran numero di costituzioni dei papi e delle congregazioni romane); E. Rodocanachi, Le Saint-Siège et les Juifs, Paris, 1892, pp. 322-329 (quadro delle principali bolle relative agli ebrei); F. Vernet, Le pape Martin V et les Juifs, in Revue des questions historiques, Paris, 1892, t. LI, pp. 410-423 (esamina 84 documenti) e Papes et Juifs au XIIIᵉ siècle, in L’université catholique, Lyon, 1896, t. XXI, pp. 73-86 (esamina i documenti del Formularium di Marino da Eboli relativi agli ebrei); M. Stern, Urkundliche Beitraege ueber die Stellung der Paepste zu den Juden, Kiel, 1893-1895, 2 voll. (il primo contiene documenti di Martino V e dei sui successori, il secondo va da Innocenzo III a Innocenzo IV); K. Eubel, Zu dem Verhalten der Paepste gegen die Juden, in Römische Quartalschrift, Roma, 1899, t. XIII, pp. 29-43 (sui papi che precedono Martino V); Constant, Les Juifs devant l’Église et l’histoire, II éd., Paris, s.d., pp. 267-323 (riporta 16 bolle). Un breve compendio dei concili in Grégoire de Rives, Epitome canonum conciliorum, Lyon, 1663, pp. 264-268. Cfr. altresì A. Geiger, Das Verhalten der Kirche gegen das Judenthum, in Das Judenthum und seine Geschichte, Breslau, 1870, t. II; F. Frank, Die Kirche und die Juden, Ratisbona, 1893. Sulla Chiesa e gli ebrei degli Stati della Santa Sede. Roma e l’Italia: F. Gregorovius, Le ghetto et les Juifs de Rome, in Promenades en Italie, trad., Paris, 1894, pp. 1-60; E. Natali, Il ghetto di Roma, Roma, 1887, t. I; E. Rodocanachi, Le Saint-Siège et les Juifs. Le ghetto à Rome, Paris, 1891; A. Berliner, Geschichte der Juden in Rom, Frankfurt am Main, 1893, 3 voll.; H. Vogelstein – P. Rieger, Geschichte der Juden in Rom, Berlin, 1895-1896, 2 voll. Avignone e il Contado Venassino: L. Bardinet, Condition civile des Juifs du Comtat Venaissin pendant le séjour des papes à Avignon, in Revue historique, Paris, 1880, t. XII, pp. 1-47; R. de Maulde, Les Juifs dans les États français du Saint-Siège au moyen-âge, Paris, 1886; numerosi articoli nella Revue des études juives.
III. LA CHIESA E GLI EBREI
La legislazione della Chiesa
- La condizione religiosa. ‒ II. La condizione civile. ‒ III. ‒ La «servitù» ebraica
- La condizione religiosa
- Libertà degli ebrei. ‒ Diciamo innanzitutto che per «legislazione» non intendiamo solo la legislazione in senso stretto, le leggi codificate nel Corpus juris canonici, ma anche la giurisprudenza e, in una parola, tutte le misure adottate dall’autorità ecclesiastica.
Il principio alla base di questa materia è che gli ebrei sono liberi. Pagani, dicono le Decretales, IV, XIX, 8, constitutionibus non arctantur … neque subjiciuntur canonicis institutis. Lo stesso vale per i non-cristiani in generale, e quindi per gli ebrei. Cfr. H. LAEMMER, Institutionen des katholischen Kirchenrechts, Fribourg-en-Brisgau, 1892, pp. 393-396. Essi sono liberi, ma tuttavia ad una condizione, cioè che questa libertà non sia a scapito della Chiesa. Di qui i testi che salvaguardano questa libertà ed altri che la limitano.
- La bolla «Sicut Judaeis». ‒ Le Decretales, V,VI, 9, contengono, sotto il nome di CLEMENTE III (1190), una bolla che si potrebbe definire la carta delle franchigie ebraiche. Essa proibisce di battezzarli contro la loro volontà, di ferirli, di ucciderli, di lederli nei beni e nelle buone abitudini, di disturbarli durante le celebrazioni delle loro feste, di esigere da essi servizi obbligatori all’infuori di quelli introdotti dall’uso, di ridurre ed invadere i loro cimiteri e di esumare i loro morti obtentu pecuniae. Tutto questo sotto pena di scomunica. La prima frase e la maggior parte delle disposizioni di questa bolla sono tratte das. GREGORIO MAGNO. Sembra, dal Formulario di MARINO da Eboli, che il primo papa che l’abbia promulgata nella sua forma completa sia stato NICOLA II († 1061). L’hanno rinnovata CALLISTO II, EUGENIO III, ALESSANDRO III, CLEMENTE III, CELESTINO III, INNOCENZO III, ONORIO III, GREGORIO IX, INNOCENZO IV, URBANO IV, GREGORIO X, NICOLA III, ONORIO IV, NICOLA IV, CLEMENTE VI, URBANO V, BONIFACIO IX, MARTINO V, EUGENIO IV, e forse altri ancora.
- B. La libertà di coscienza. ‒ La bolla Sicut Judaeis consacra la libertà degli ebrei. Gli ebrei adulti non debbono essere costretti al battesimo; quelli che sono stati battezzati contro la loro volontà non sono considerati cristiani ed il loro battesimo non è valido. Questo principio è stato affermato in una quantità di documenti, che vanno da GREGORIO MAGNO, Epist., I, 47, a BENEDETTO XIV, lettera Postremo mense (28 febbraio 1747), 37-40. Allo stesso modo, i bambini ebrei non debbono essere battezzati senza il consenso dei genitori e dei tutori. È ciò che aveva sostenuto s. TOMMASO, IIᵃ, IIᵃᵉ, q. 10, 12, e IIIᵃ, q. 68, 10, che si basa sulla tradizione della Chiesa e sulla duplice ragione che agire altrimenti sarebbe mettere in pericolo la fede di questi bambini e violare la giustizia naturale. SCOTO, al contrario, insegnò non già che si ha il diritto di battezzare i figli degli ebrei i cui genitori non sono sudditi di un governo cristiano, ma bensì che un principe cristiano ha il diritto di far battezzare, anche contro la volontà dei genitori, i bambini ebrei o infedeli dei propri sudditi, modo provideat ne majora mala inde sequantur, In IVᵐ Sentent., d. IV, q. 9. Benché contrapposta a parecchie bolle dei papi, ad s. ad una bolla di GIULIO II (8 giugno 1551), Septimi Decret., V, I, I, questa opinione continuava ad avere qualche sostenitore; BENEDETTO XIV la rigettò esplicitamente (lettere Postremo mense e Probe te meminisse).
- La libertà di culto. ‒ Questa viene assicurata dalla bolla Sicut Judaeis. Comprende l’esercizio del culto ed il pacifico possesso delle sinagoghe. Entrambi i punti erano stati regolati da s. GREGORIO MAGNO. Una delle sue decisioni relative al pacifico godimento delle sinagoghe, Epist., IX, VI, è stata inserita nelle Decretales, V, VI, 3. Numerose bolle hanno condannato ogni ostacolo al culto ebraico.
- Restrizioni alla libertà religiosa. ‒ A. Restrizioni alla libertà di coscienza. ‒ a) Gli adulti. ‒ BONIFACIO VIII, Sexti Decretal. V, II, 13, in una decretale ispirata alle bolle Turbato corde di CLEMENTE IV, GREGORIO X e NICOLAIV, e a due canoni del IV concilio di Toledo (633), Decret. Grat., Iᵃ, d. XLV, 5, IIIᵃ, IV, 94, stabilì che gli ebrei divenuti cristiani e ritornati al giudaismo e i cristiani divenuti ebrei fossero considerati eretici e trattati come tali, etiamsi hujusmodi redeuntes,dum erant infantes, aut mortis metu non tamen absolute aut praecise coacti, baptizati fuerint. Gli ebrei battezzati ritornati al giudaismo erano dunque giudicabili dall’inquisizione, anche se avevano ricevuto il battesimo nella loro infanzia oppure, non già assolutamente contro la loro volontà ‒ il battesimo amministrato per forza a individui che rifiutano di riceverlo essendo sempre non valido ‒ ma perché l’avevano chiesto per sfuggire ad un pericolo di morte, ad es. in una sommossa contro gli ebrei.
GREGORIO XIII, bolla Antiqua Judaeorum improbitas (1° giugno 1581), stabilì che gli ebrei rientrassero nelle competenze degli inquisitori nei seguenti casi: 1) Gli ebrei (o gli infedeli) combattono un dogma che hanno in comune con i cristiani: unità, eternità di Dio, etc. 2) Invocano i demoni o offrono loro sacrifici. 3) Insegnano ai cristiani a fare altrettanto. 4) Enunciano contro il Cristo e la Vergine blasphemias quae per se haereticae dici solent. 5) Favoriscono il passaggio dei cristiani al giudaismo o li inducono a disertare la fede cristiana. 6) Impediscono ad un ebreo o ad un infedele di professare il cristianesimo. 7) Favoriscono scientemente gli apostati e gli eretici. 8) Possiedono o diffondono i libri eretici, talmudici, o altri libri ebraici condannati. 9) Per deridere i cristiani, l’eucarestia o il Cristo, crocifiggono, soprattutto il venerdì santo, un agnello o una pecora, gli sputano addosso o lo coprono di altri insulti. 10) Hanno nutrici cristiane, contro i canoni, o, avendole, quando queste hanno ricevuto la comunione, le obbligano a spargere il loro latte in latrinas, cloacas, vel alia loca. Cfr. altri casi in FERRARIS, Prompta bibliotheca canonica, art. Hebraeus, 124, 126, 127, 136,140, Venezia, 1782, t. IV, pp. 222, 223. Insomma, tutte le violazioni gravi contro il cristianesimo erano più o meno di competenza del tribunale dell’inquisizione. Praticamente, essa non prese di mira che il ritorno al giudaismo e il possesso del Talmud. Inoltre, i ritorni al giudaismo attirarono i rigori quasi unicamente dell’inquisizione spagnola, e le azioni penali contro il Talmud miravano al libro piuttosto che alle persone.
Anche la cabala fu condannata. Qualcosa si trovava nella sentenza di INNOCENZO VIII (4 agosto 1486) contro le novecento tesi di Pico della Mirandola. In occasione dell’affare Reuchlin, essa passò in secondo piano di fronte al Talmud e non fu oggetto di una censura specifica. Ma un decreto dell’inquisizione sotto s. PIO V (1566) e la bolla Cum Hebraeorum di CLEMENTE VIII colpirono, assieme al Talmud, i libri cabalistici e tutti gli altri libri ebraici considerati manchevoli dal punto di vista cristiano. Cfr. in SISTO da Siena, Bibliotheca sancta, Paris, 1610, pp. 310-311, l’elenco di questi libri che ricercò e distrusse a Cremona.
Un’altra limitazione alla libertà di coscienza degli ebrei adulti riguardò l’obbligo di ascoltare delle prediche cristiane. NICOLA II (bolla Vineam Sorec, 4 agosto 1278) aveva dato mandato ai Domenicani di predicare agli ebrei in Lombardia; in mancanza di una sanzione efficace, il tentativo era fallito. GREGORIO XIII (bolla Vices eius, 1° settembre 1577) raccomandò agli ebrei di assistere a dei sermoni contro le loro dottrine e istituì, per avere predicatori competenti, una scuola i cui allievi, in numero di circa trenta, reclutati per due terzi fra gli ebrei convertiti, avrebbero appreso l’ebraico, l’arabo e il caldaico. Poiché gli ebrei non tennero conto dell’invito, il papa lo rese obbligatorio (bolla Sancta mater Ecclesia, 1° settembre 1584). Ogni sabato, all’uscita dalla sinagoga, un terzo della popolazione del ghetto, a partire dai dodici anni, doveva ascoltare una predica, calma e imparziale, sul testo biblico di cui i rabbini avevano dato lettura. Ovunque fossero degli ebrei, i vescovi, per quanto possibile, usarono la stessa misura. La prescrizione fu poco eseguita al di fuori di Roma. A Roma, l’ordinanza di Gregorio XIII è rimasta in vigore, non senza interruzioni, fino a PIO IX, che la annullò nel 1848.
- b) I bambini. ‒ La questione del battesimo dei bambini ebrei è stata trattata ex professo da BENEDETTO XIV nelle due lettere Postremo mense (28 febbraio 1747) e Probe te meminisse (15 dicembre 1751). Fino ad allora teologi e canonisti avevano dissertato sulla validità, sulla liceità e sulle conseguenze del battesimo di questi bambini e, in generale, dei bambini degli infedeli, senza mai raggiungere un’intesa perfetta. Benedetto XIV, fondandosi sui principî di s. Tommaso, sul sentimento della maggior parte dei teologi e su decisioni delle congregazioni romane, diede un insegnamento che ha dettato legge.
Nel senso canonico del termine, il bambino diviene adulto fin dall’età della ragione, vale a dire di solito a sette anni. Possono dunque verificarsi due casi. Entrambi si sono verificati, con un’eco straordinaria, sotto il pontificato di Pio IX: il piccolo Mortara, di Bologna, fu battezzato, ad undici mesi, da una domestica cristiana (1858), e il piccolo Coen, di undici anni, chiese e ricevette il battesimo a Roma (1860), senza il consenso della famiglia.
Primo caso: il bambino è battezzato prima dell’età della ragione; il battesimo per principio è illecito, ma valido, e il bambino deve essere custodito o tolto dalle mani dei genitori per ricevere un’educazione cristiana. «Indubbiamente i bambini sono affidati alla custodia dei genitori, ma i cristiani sono affidati alle cure della Chiesa, loro madre. Il diritto naturale del capo famiglia non è soppresso, è superato dal dovere che ha la società religiosa di vegliare sull’educazione dei suoi membri». Questo è il diritto in senso stretto. «Ma se la regola qui data è secondo il diritto in senso stretto, se in certi casi è opportuno osservarla, si può sostenere, senza contraddire Benedetto XIV, che non sempre è conveniente seguirla», dice C. RUCH, Dictionnaire de théologie catholique, Paris, 1905, t. II, col. 347, che segue MARC, Institutiones alphonsianae, Roma, 1887, t. II, p. 48; LEHMKUHL, Theologia moralis, Fribourg-en-Brisgau, 1896, t. II, p. 61; BILLOT, De Ecclesiae sacramentis, Roma, 1896, t. I, p. 250.
Secondo caso: il bambino, nel senso comune del termine, è adulto nel senso canonico del termine e riceve il battesimo. Se lo ha chiesto lui stesso, in termini di diritto in senso stretto può essere battezzato sia validamente che lecitamente contro la volontà dei genitori. Se invece non vuole il battesimo, non potrebbe essere battezzato né validamente né lecitamente, quand’anche i genitori convertiti al cristianesimo acconsentissero al battesimo. Quia jam est sui juris, invito etiam parente christiano, potest manere in hebraismo, dice PIGNATELLI, citato negli Analecta juris pontificii, Roma, 1860, p. 1455; atque haec observavi cum essem theologus deputatus concionibus quae ad Hebraeos habentur.
- Limitazioni alla libertà di culto. ‒ Due canoni delle Decretales, V, VI, 3, 7, tratti l’uno da s. GREGORIO MAGNO, che riproduceva il diritto imperiale, e l’altro da papa ALESSANDRO III (1180), stabiliscono che, se gli ebrei non devono essere disturbati nel possesso delle sinagoghe, non possono però erigerne di nuove. Alessandro autorizza le riparazioni e le riedificazioni necessarie, purché non rendano le sinagoghe più grandi e più ricche che in passato. PAOLO IV (bolla Cum nimis absurdum) decretò che potevano avere una sola sinagoga in ogni città o luogo da essi abitato. Quando lo ritennero utile, i papi non mancarono di dispensarli dalle prescrizioni delle Decretales e di Paolo IV. BASNAGE, Histoire des Juifs, t. V, p. 2047, ci informa che ai suoi tempi si contavano nove sinagoghe a Roma, diciannove nella campagna romana, trentasei nella Marca di Ancona, dodici nel Patrimonio di S. Pietro, undici a Bologna e tredici nella Romandiola. Fu fatto divieto agli ebrei di portare in processione nel ghetto la Bibbia o l’arca.
- La condizione civile.
- Libertà di essere. ‒ A. Gli ebrei non possono sempre risiedere ovunque. ‒ Spesso furono espulsi dagli Stati cristiani. Era opinione comune dei teologi, canonisti e giuristi che i principi, là dove li avevano accolti, non potevano bandirli citra injuriam et peccati notam, sine urgenti et legitima causa, come si esprime un giurista severo verso gli ebrei, G. SESSA, Tractatus de Judaeis, Torino, 1717, pp. 123-124; cfr. A. RICCIULLI, Tractatus de jure personarum extra Ecclesiae gremium existentium, II, LI, Roma, 1622, pp. 127-129. INNOCENZO IV (bolla Sicut tua nobis, 23 luglio 1254) autorizzò l’arcivescovo di Vienne a cacciare gli ebrei dalla sua provincia a causa dei loro maneggi contro la fede cristiana e la loro disobbedienza agli statuti della Chiesa che li riguardavano.
Negli Stati della Santa Sede risiedettero pacificamente fino al XVI sec. PAOLO IV, PIO V e CLEMENTE VIII, come abbiamo visto, limitarono questa libertà. Clemente VIII dovette attenuare la propria severità; egli permise loro di esercitare il commercio ovunque, a condizione di non contrarre domicilio che a Roma, Ancona, e Avignone. Quando il ducato di Ferrara (sotto Clemente VIII) e il ducato di Urbino (sotto Urbano VIII) furono recuperati dalla Santa Sede, gli ebrei non furono cacciati dalle città dove risiedevano: Ferrara, Lugo e Cento, nel ducato di Ferrara; Urbino, Senigaglia e Pesaro in quello di Urbino. Ufficialmente gli Stati italiani del papa avevano dunque otto città dove gli ebrei potevano abitare. Cfr. BENEDETTO XIV, costituzione Postremo mense (28 febbraio1748), 12-13. Essi erano liberi di trafficare ovunque.
- Là dove gli ebrei possono risiedere, talvolta devono abitare nel ghetto. ‒ Per via della loro tendenza ad isolarsi, di solito gli ebrei s’erano riuniti essi stessi in uno stesso quartiere attorno alla sinagoga. La comunità ebraica forzatamente chiusa appare nel XV sec. in Spagna (1412). EUGENIO IV (bolla Dudum ad nostram, 8 agosto 1442) proibì loro, non già di abitare con i cristiani ‒ cosa che aveva fatto il III concilio del Laterano, Decret. V, VI, 5, escludendo la coabitazione nella stessa casa piuttosto che nello stesso quartiere ‒ ma bensì di abitare inter christianos, e prescrisse loro di vivere tra di essi infra certum viculum seu locum a christianis separati et segregati, extra quem nullatenus mansiones habere valeant. Questa bolla, e quelle di NICOLA V e di CALLISTO III che la rinnovarono, restarono lettera morta.
Le cose andarono diversamente con la bolla Cum nimis absurdum di PAOLO IV. Essa rinchiudeva gli ebrei in uno et eodem, ac, si ille capax non fuerit, in duobus vel tribus, quot satis sint, contiguis et ab habitationibus christianorum penitus sejunctis … vicis, ad quos unicus tantum ingressus pateat et quibus solum unicus exitus detur. A Roma l’esecuzione avvenne senza ritardi. PIO V estese questa misura in tutti luoghi dove si trovavano degli ebrei. Ma non si ha notizia che la Santa Sede ne abbia sollecitata l’applicazione al di fuori degli Stati pontifici.
Questo quartiere si chiamò «ghetto» in italiano (l’etimologia del termine è incerta; «ghetto» può essere l’abbreviazione di «borghetto» = piccolo borgo, quartiere); «carrière» = strada, nel Contado Venassino; «Judenwiertel» o «Judengasse» in Germania; «juderìa» in Spagna.
- Libertà di movimento. A. Limitazioni alla libertà di movimento. ‒ Là dove gli ebrei risiedono, sia che si stabiliscano dove vogliono, sia che abitino nel ghetto, essi non hanno un’assoluta libertà di movimento. ALESSANDRO III, Decret., V, VI, 4, aveva ingiunto loro di tenere porte e finestre chiuse il venerdì santo; il IV concilio del Laterano, Decret., V, VI, 15, proibì loro di apparire in pubblico gli ultimi giorni della settimana santa, poiché in quei giorni essi uscivano ostentando abiti da festa e burlandosi dei cristiani che celebravano l’anniversario della Passione.
A partire dall’istituzione del ghetto gli ebrei e soprattutto le donne ebree devono rientrare nel ghetto durante la notte. Durante il giorno, a Roma, non hanno il diritto di esporre le loro merci nelle strade dove comunemente si svolgono le processioni. È proibito loro l’accesso alle case cristiane – eccezion fatta per quelle dei giudici, degli avvocati, dei procuratori, dei notai e degli ufficiali con i quali potrebbero avere a che fare ‒ ai parlatori e cappelle dei religiosi, agli ospizi delle donne, ai lupanari. Non sono ammessi ai bagni pubblici assieme ai cristiani.
La Chiesa è estranea a certe disposizioni umilianti che ostacolano la libertà di movimento degli ebrei. Fra queste «istituzioni del disprezzo» quella che gli ebrei sentivano di più fu forse il pedaggio corporeo che li assimilava agli animali. Un foglio dei pedaggi di Malemort riporta: «Su ogni bue e maiale, e su ogni ebreo un soldo». Cfr. J. LÉMANN, L’entrée des Israélites dans la société française, p. 11.
- Il contrassegno portato dagli ebrei. ‒ L’ «ebreo errante» non erra dunque a suo piacimento. Là dove può andare, ognuno deve poterlo riconoscere, affinché non si confonda coi cristiani. L’obbligo di esibire un contrssegno che possa distinguerlo fu introdotto dal IV concilio del Laterano, Decret. V, IV, 15, che fissò il principio, ma lasciò ai vescovi la cura di determinare la forma e il colore del contrassegno diacritico. Il concilio di Narbonne (1227) stabilì che gli ebrei in medio pectore deferant signum rotae , cujus circulus sit latitudinis unius digiti, altitudo vero unius dimidii palmi de canna. Il contrassegno era a forma di ruota, donde la denominazione di rouelle. Secondo J. LÉVI, Revue des études juives, 1892, t. XXIV, la ruota simboleggia l’ostia che gli ebrei erano accusati di profanare. U. ROBERT, Mémoires de la société nationale des antiquaires de France, 5ᵉ série, t. IX, p. 125, esprime, «ma molto timidamente», l’opinione che «la ruota possa essere considerata come la rappresentazione di un pezzo di moneta, con allusione alla avida sete di guadagno degli ebrei o al premio di trenta denari che Giuda ricevette per consegnare il Cristo».
Ad ogni modo, la rouelle fu adottata un po’ ovunque, eccetto che in Spagna. Il colore variò da paese a paese, ma prevalse il giallo. Nel Contado Venassino, in molte città d’Italia e in Portogallo la rouelle fu sostituita da un cappello giallo. Poi ci furono altre modifiche. Questo obbligo pesava sugli ebrei, che ne avrebbero fatto volentieri a meno, ma i papi spesso glielo ricordarono.
Secondo gli storici ebrei, la rouelle portata sul vestito avrebbe contribuito al degrado degli ebrei, abituandoli a perdere ogni ogni amor proprio ed ogni dignità, abituandoli ad un «comportamento umile, quasi vile»; inoltre, essa sarebbe stata, per la plebaglia, un invito ad attaccare gli ebrei.
Che questo segno d’infamia abbia avuto un effetto disastroso sul comportamento e sul carattere degli ebrei è fuori discussione, come pure è indubbio che esso abbia attirato maltrattamenti sugli ebrei. I papi repressero questi maltrattamenti; non sempre però le loro sanzioni furono efficaci. Ma va rimarcato che ogni volta che tale prescrizione viene promulgata l’unico motivo addotto dai papi è che gli ebrei siano distinti dai cristiani, poiché, col favore della confusione, essi si sono introdotti furtivamente tra le file dei cristiani ed hanno commesso dei misfatti che sarebbero stati impossibili o difficili se si fosse diffidato di loro, se si fosse saputo che erano ebrei.
- Libertà d’azione. ‒ A. Esercizio della libertà d’azione. ‒ a) Vita ebraica. ‒ In via di principio, tra di loro gli ebrei sono autorizzati a vivere secondo le proprie leggi e costumi. La potestà paterna, così grande presso gli ebrei, non è violata dalla legislazione della Chiesa, salvo le restrizioni indicate in materia di battesimo.
Il matrimonio ebraico è rispettato. Lo è anche in condizioni a prima vista sorprendenti. Il papa MARTINO V (bolla Etsi Judaeorum,1° febbraio 1419) proibì di molestare un ebreo di Ferrara a causa del divorzio che era seguito al suo matrimonio, visto che la legge ebraica glielo permetteva. Noi abbiamo pubblicato, in L’université catholique, Lyon, 1891, t. VII, pp. 638-647, quattro documenti relativi ai pontificati di PAOLO IV (1555), PIO IV (1561), GREGORIO XIII (1590) e GREGORIO XV (1623), che permettono ad un ebreo la bigamia simultanea. Viene specificato che la prima moglie è sterile in tutti i casi, salvo il secondo. Nel terzo caso viene precisato che l’ebreo ha il consenso della prima moglie e, nel quarto, che la prima moglie non dà il consenso: per ovviare all’inconveniente, la concessione pontificia stabilisce che, se la prima moglie che abita a Roma è viva, la seconda dimorerà fuori dalla città. La motivazione addotta nei punti 1, 3, 4, è che l’ebreo desidera avere dei figli e, in questa intenzione, contrarre un secondo matrimonio conformemente alla legge ebraica la quale, precisano i punti 1 e 4, consente un secondo matrimonio dieci anni dopo un primo matrimonio rimasto sterile. Il papa autorizza questo secondo matrimonio sicut o quantum cum Deo et sine peccato possumus dicono i documenti 1, 3 e 4. Il documento 1, emanato dal camerlengo di Paolo IV, fu cassato, forse per paura di uno scandalo; una delle clausole è che la concessione non sarà valida se ne dovesse seguire uno scandalo. Esso ci rivela che abbiamo qui un’innovazione, che il camerlengo, agendo a nome di Paolo IV, agisce sicuti sancta mater Ecclesia et nostri in officio camerariatus praedecessores consueverunt nosque cum Deo et sine peccato possumus.
Questi testi sono stati studiati da M. ROSSET, De sacramento matrimonii, Paris, 1895, t. I, pp. 439-442. Essi pongono delle questioni che meritano l’esame dei canonisti. Diciamo ancora che le misure adottate, per fermare l’incremento della popolazione ebraica, dalla Prussia (1722), dalla Baviera e dallo stesso Luigi XVI nelle lettere patenti del 10 luglio1784, che da un lato emancipavano gli ebrei d’Alsazia, ma al tempo stesso proibivano loro di contrarre matrimonio senza espresso permesso del re, sono contrarie allo spirito della Chiesa.
Gli ebrei hanno la loro autonomia, il loro regime interno, i loro tribunali che perseguono i reati contro la legge ebraica.
- b) Rapporti con i cristiani. ‒ Gli ebrei possono avere operai agricoli, Decret. V, VI, 2, possedere beni immobili, acquistare o scambiare delle proprietà, con le riserve che vedremo fra breve. Alcune professioni furono loro permesse: la banca, l’approvvigionamento dei regni, la senseria e il commercio ambulante, la gioielleria in ogni epoca; il commercio, nelle sue varie forme, fino all’epoca di Paolo IV; le arti e certi mestieri nei limiti in cui le corporazioni tolleravano la loro concorrenza.
- Limitazioni alla libertà d’azione. a) Vita ebraica. ‒ Il matrimonio fra ebrei è sciolto se una delle due parti si fa cattolica e l’altra rifiuta di coabitare pacificamente con essa, vel nullo modo, vel non sine blasphemia divini nominis, vel ut eam pertrahat ad mortale peccatum, dice INNOCENZO III, Decret., IV, XIX,7. Questo privilegium paulinum, come lo chiamano teologi e canonisti, non riguarda solo gli ebrei, ma anche tutti gli infedeli che si convertono.
Gli ebrei non possono possedere schiavi cristiani, Decret., V, VI, 2, né servitori cristiani presso di loro, né nutrici cristiane, Decret., V, VI, 5, 8, 13, 19. Questi divieti, spesso violati, furono spesso rinnovati.
Per i reati di diritto comune, gli ebrei dipendono dai tribunali ordinari. Il III concilio del Laterano, Decret., II, XX, 21, stabilì che la testimonianza dei cristiani contro di essi sarebbe stata valida. Circa la testimonianza degli ebrei contro i cristiani, i pareri erano discordi. Tralasciando un testo oscuro di ALESSANDRO III, Decret., II, XX, 23, EUGENIO IV (bolla Dudum ad nostram) stabilì: Contra eos in quibusvis casibus christiani testes esse possunt, sed Judaeorum contra christianos testes in caso nullo testimonium valeat. Anche in questo caso, come in tutti gli altri, la bolla fu poco eseguita. Davanti ai tribunali, gli ebrei dovevano prestare un giuramento speciale, che talvolta si complicava con l’aggiunta di bizzarre cerimonie, il giuramento more judaico, cfr. DUCANGE, Glossarium mediae et infimae latinitatis, éd. G.-A. HENSCHEL, Paris, 1844, t. III, pp. 910-911. T. MENGHINI, Sacro arsenale overo prattica dell’officio della S. Inquisizione, Roma, 1693, pp. 323, 353, parla unicamente di un giuramento su «la santa Legge di Dio» e nota che la loro testimonianza è ammessa contro i cristiani, anche in materia di fede.
- b) Professioni vietate. ‒ Gli ebrei non possono esercitare le funzioni pubbliche, Decret., V, VI, 16 (IV concilio del Laterano), 18 (GREGORIO IX); cfr. s. TOMMASO, IIᵃ, IIᵃᵉ, q. 10, 10. Malgrado questi divieti, promulgati frequentemente, ed ancora da parte di BENEDETTO XIV (bolla A quo primum, 14 giugno 1751), essi sono stati talvolta appaltatori o collettori di imposte, esattori di pedaggi, tesorieri dei principi, loro rappresentanti presso le corti straniere, balivi nel mezzogiorno della Francia, etc. Non sono né giudici, né pubblici accusatori, né avvocati; sono esclusi dalla professione delle armi.
Non ci soffermiamo sul lungo elenco di professioni che furono loro vietate con la bolla, non eseguita, Dudum ad nostram, di EUGENIO IV. PAOLO IV vietò loro di possedere beni immobili; INNOCENZO XIII (bolla Ex injuncto, 18 gennaio 1724) di affittarli. PAOLO IV vietò parimenti ogni altro commercio all’infuori di quello delle cianfrusaglie, degli stracci e dei ferrivecchi. Una serie di ulteriori decreti stabilì il divieto di commerciare gli oggetti di culto e i libri di chiesa e di religione.
I medici ebrei avevano un certo successo; i grandi, i re, i papi stessi, ricorrevano volentieri ai loro servizi. G. MARINI, Degli archiatri pontificj, Roma, 1784, t. I, pp. 134-135, dice: « Il rinomatissimo e canonista arcidiacono di Bologna Giovanni da Anagni, nei suoi commentari sul titolo delle Decretali, De Judaeis, si chiede se un ebreo può essere medico del papa o dell’imperatore e, come Bartolo, di cui approva le sottigliezze legali, si crede autorizzato a rispondere di no; poi conclude tutto contento: questo è da notare contro maestro Elia, che fu medico dei papi Martino [V] ed Eugenio [IV]. Ma questo Elia, che forse Giovanni conobbe, si burlerà dei giureconsulti e proverà il contrario col fatto suo proprio, e con quello di tanti altri della sua religione, che furono archiatri dei papi, degli imperatori e dei re». Infatti non pochi papi ebbero medici ebrei ed accordarono loro dei favori, più d’una volta, per riguardo verso di essi, alla nazione ebraica. Citiamo ALESSANDRO III, CLEMENTE III, BONIFACIO IX, INNOCENZO VII, MARTINO V, EUGENIO IV, PIO II, GIULIO II, PAOLO III, GIULIO III, SISTO V. PAOLO IV, PIO V e GREGORIO XIII vietarono ai medici ebrei di curare i cristiani e a questi di ricorrere ad essi, salvo casi di necessità. I cristiani non ricorsero neppure ai chirurghi, ai farmacisti, alle levatrici, agli albergatori o ai sensali di matrimonio ebrei. Gli ebrei non insegnarono loro le scienze e le arti. Paolo IV precisa: ne se a pauperibus christianis dominos vocari patiantur.
- b) Familiarità con i cristiani. ‒ INNOCENZO III, Decret., V, VI, 13, aveva stabilito che, se gli ebrei non avessero cessato di avere nutrici e servitori cristiani, ai cristiani sarebbe stato vietato di avere rapporti con essi. ONORIO IV (bolla Nimis in partibus, 18 novembre 1285) ed altri papi si erano preoccupati di evitare i mali che per la fede dei cristiani potevano risultare dalla loro familiarità con gli ebrei. PAOLO IV stabilì: cum ipsis christianis ludere aut comedere vel familiaritatem seu conversationem habere nullatenus praesumant.
Anche nei servizi che i cristiani furono autorizzati a rendere loro, come operai a giornata o all’ora, essi devono evitare tutto ciò che sia pericoloso o umiliante per i cristiani; questi non devono mangiare dagli ebrei ed entrare nelle loro case. Nelle relazioni tra ebrei e cristiani, i cristiani non dovranno dare a vedere di favorire la religione ebraica. Divieto di acquistare o ricevere in dono i loro pani azimi e le loro carni kosher [immolées à la juive]; di andare nelle loro sinagoghe, alle loro feste, alle loro cerimonie, a meno che non vi sia scandalo o pericolo di perversione; di acquistare o vendere e di farli lavorare la domenica. Le donne cristiane non andranno mai al ghetto, gli uomini mai di notte. I medici cristiani non cureranno gli ebrei, se non nel caso di peste e in mancanza di medici ebrei. Ebrei e cristiani non mangeranno né parteciperanno insieme a giochi , balli etc. Gli ebrei non possono imparare dai cristiani le scienze, le lettere e le arti, se non con un permesso, in virtù del quale essi saranno istruiti fuori dal ghetto, in una casa privata, dove non vi siano bambini cristiani, non nei giorni di festa, da parte di un maestro, il cui sussiego e pietà siano riconosciuti. Gli ebrei non possono essere promossi ad un dottorato in una Università cattolica.
Tutte queste misure mirano ad isolare gli ebrei dai cristiani e ad eliminare un contatto dove la fede dei cristiani potrebbe correre dei rischi, come prova l’esperienza. Stabilito di buon’ora dai concili particolari e dagli scrittori ecclesiastici, il principio è stato adottato ufficialmente a partire da INNOCENZO III e consacrato dalle Decretales di GREGORIO IX. L’applicazione è stata ampliata ed accentuata da PAOLO IV, ma nella pratica i rigori di questo papa non sono stati applicati se non ad intervalli.
III. La «servitù» ebraica
- Fino al XIII secolo. ‒ I testi della Genesi, XXV, 23, su Esaù servitore di Giacobbe, e quelli di s. Paolo su questo versetto della Genesi, Rom., IX, 13, e sui due Testamenti raffigurati da Agar e Sara, sugli ebrei figli della schiava, e dunque essi stessi schiavi, e i cristiani, figli di Sara, liberi come lei, Gal. IV, 22-31, conobbero tra i cristiani un successo comprensibile. Essi vi videro la proclamazione della superiorità del cristianesimo.
Tertulliano, Adversus Judaeos, I, diceva: Procul dubio, secundum edictum divinae locutionis, prior et major populus, id est judaicus, serviat necesse est, et minor populous, id est christianus, superet majorem. Egli indicava le cause della decadenza degli ebrei: la loro ostinato idolatria, la loro condotta verso il Cristo, XIII. COSTANTINO, nella sua lettera sulla celebrazione della Pasqua, riportata da EUSEBIO, De vita Constantini, III, XVIII, dichiara che sarebbe cosa indegna seguire il costume di questi ebrei, qui, cum manus suas nefario scelere contaminarint, merito impuri homines caecitate mentis laborant … Nihil ergo nobis commune sit cum inimicissima Judaeorum turba. E, da quanto ci dice EUSEBIO, ibid., IV, egli fece una legge ne christianus ullus serviret Judaeis, neque enim fas esse ut ii qui a Domino redempti essent prophetarum ac Domini interfectoribus servitutisjugo subderentur.
Una legge di ONORIO e di TEODOSIO (423), C. theod., XVI, VIII, 26, vietò agli ebrei di possedere schiavi cristiani, perché non è lecito che dei cristiani siano in potere degli infedeli. Conformemente a questa legge e nello stesso spirito, s. GREGORIO MAGNO rammentò ai re dei Franchi Teodorico e Teodeberto, nonché alla regina Brunilde, che i cristiani, membri del Cristo, non devono essere calpestati dai nemici del Cristo, Epist., IX, CIX, CX, cfr. III, XXXVIII. E il III concilio del Laterano anatemizzò coloro che, preferendo gli ebrei ai cristiani, accogliessero la testimonianza degli ebrei contro i cristiani e non quella dei cristiani contro gli ebrei, cum eos christianis subjacere oporteat, Decret., II, XX, 21. Infine, due passi di INNOCENZO III, Epist., VII, CLXXXVI, VIII, CXXI, l’ultimo dei quali, riportato in parte nelle Decret., V, VI, 13, contiene queste parole: Etsi Judaeos, qous propria culpa submisit perpetuae servituti … pietas christiana receptet, che ci illuminano sul significato della «servitù» ebraica.
Qui il servus non è il «servo» del medio evo, e meno che mai lo «schiavo». È il discendente di Agar o di Esaù, superato dal fratello più giovane. Rinnegando e crocifiggendo il Cristo, l’ebreo si è ridotto ad una inferiorità perpetua. Non deve dominare sui cristiani, figli di Sara, nati da Giacobbe. Nemico del Cristo, non deve comandare sui membri del Cristo e calpestarli. Di conseguenza, non deve acquistare o possedere schiavi che sono cristiani o lo diventano. Fra i cristiani egli è tollerato per misericordia e non ammesso per diritto.
- A partire dal XIII secolo. ‒ Tuttavia, da servi nel senso lato del termine che abbiamo precisato, gli ebrei erano diventati servi del re o del signore. Una teoria diffusa in Germania e che viene riportata nello Schwabenspiegel attribuì, fin dal XII sec., origini romane a questa servitù; il re Tito avrebbe consegnato al tesoro imperiale i prigionieri ebrei, e questi sarebbero rimasti proprietà, servi dell’impero. Si tratta di una di quelle fantasie di cui la storia si è da molto tempo sbarazzata. Una spiegazione plausibile è quella di O. STOBBE, Die Juden in Deutschland waehrend des Mittelalters in politischer, sozialer und rechtlicher Beziehung, Braunschweig, 1866. Ridotti alle strette da bande di avventurieri reclutati, sulle rive del Reno, per la prima crociata, gli ebrei supplicarono l’imperatore di proteggerli. Egli acconsentì, in cambio di un canone. Gli ebrei, suoi protetti, furono chiamati servi camerae, Kammerknechte, servi della camera imperiale. Chiunque volle imporre loro delle tasse o esercitare su di essi ogni altro diritto di sovranità non poté farlo che in virtù di una concessione imperiale. Nel corso del tempo il diritto di «possedere ebrei» fu accordato sia alle città che ai signori. La nozione di servitù camerale si trasformò, senza che sia possibile precisare le fasi e le ragioni che determinarono la sua evoluzione. «La dipendenza degli ebrei nei confronti dell’imperatore si fece sempre più stretta. La loro facoltà di andare e venire liberamente fu progressivamente ristretta, ed accadde che la confisca generale punì l’emigrazione non autorizzata. Il fisco aggravò le proprie pretese su di essi e finì per essere messa in discussione la proprietà dei loro beni. Nel XIII sec. questa evoluzione era giunta a conclusione. Non soltanto in Germania, ma anche altrove, gli ebrei erano degli esclusi, con una libertà personale ridotta, un diritto di proprietà precario ed obblighi onerosi verso il fisco», S. DEPLOIGE, Saint Thomas et la question juive, II éd., Paris, 1902, p. 34. Essere servi dei principi significò comunemente essere taglieggiati a discrezione dell’interesse generale.
Non è come «servi» che il IV concilio del Laterano, nel decreto per la riconquista della Terra Santa, EUGENIO III, nella lettera del 1° dicembre 1145 al re Luigi VII di Francia, P.L., t. CLXXX, col. 1065, cfr. s. BERNARDO, Epist., CCCLIII, e PIETRO IL VENERABILE, Epist., IV, XXXVI, nella lettera dove esorta Luigi VII a far restituire il maltolto agli ebrei, chiedono che gli ebrei concorrano con il loro denaro alla crociata. L’idea comune a questi documenti è che un’impresa alla quale tutti danno il proprio contributo deve beneficiare del concorso degli ebrei.
In compenso, all’epoca di s. TOMMASO la teoria della «servitù» civile degli ebrei si è introdotta nel diritto pubblico. S. Tommaso accetta il principio, ma ne modera l’applicazione. La «servitù» civile degli ebrei deve avere conseguenze solo di ordine civile e non a detrimento del diritto naturale o divino. Cfr. IIᵃ IIᵃͤ, q. 10, 10, 12, IIIᵃ, q. 10, ad 2ᵐ, e BENEDETTO XIV, bolla Probe te meminisse (15 dicembre 1751), 15.
Fin dove possono arrivare quste conseguenze di ordine civile? S. Tommaso ebbe occasione di precisarlo. La duchessa Alice di Brabante lo consultò in merito alla questione se si dovessero imporre tasse agli ebrei. Nel De Regimine Judaeorum ad ducissam Brabantiae egli rispose in questi termini: secondo il diritto pubblico gli ebrei sono servi perpetui; i principi che hanno ebrei nelle loro terre possono prendere i loro beni, ma a due condizioni. In primo luogo, non bisogna togliere loro necessaria vitae subsidia, con cui il santo intendeva non già il minimo necessario per non morire di fame, ma bensì tutto ciò che è indispensabile per una vita confortevole del singolo e della sua famiglia, tutto ciò che non è superfluo. Cfr. IIᵃ IIᵃͤ, q. 32, 6; S. DEPLOIGE, op. cit., pp. 37-38. In secondo luogo, bisogna evitare di arrivare agli estremi, di irritare gli ebrei esigendo da essi assai più che nel passato. Le parole di s. Tommaso, Opera omnia, Parma, 1865, t. XVI, p. 292, sono degne di nota: Licet, ut jura dicunt, Judaei merito culpe suae sint vel essent perpetuae servituti addicti, et sic eorum res terrarum domini possint accipere tamquam suas. L’espressione jura dicunt si riferisce naturalmente ai testi del diritto romano e del diritto canonico. Spostando la prospettiva storica, egli attribuisce a questi testi non già il loro senso reale, ma quello che si armonizza con il diritto pubblico del suo tempo.
Per la stessa ragione la Chiesa stabilì che gli ebrei [convertiti al cristianesimo] non diventassero schiavi cristiani, dice s. Tommaso, IIᵃ IIᵃͤ, q. 10, 10, trattando degli infedeli soggetti al dominio temporale della Chiesa e dei suoi membri, quia, cum ipsi Judaei sint servi Ecclesiae potest disponere de rebus eorum, sicut etiam principes saeculares multas leges ediderunt circa suos subditos in favorem libertatis. Gli ebrei e tutti gli infedeli che vivono sotto il dominio temporale della Chiesa e dei cristiani ‒ gli altri non possono acquisire dominium seu praelaturam fidelium, ma la Chiesa permette che conservino questo diritto se è preesistente al battesimo, che ha trasformato degli infedeli in fedeli ‒ sono servi della Chiesa, e questa può disporre dei loro beni, non però in modo arbitrario, ma in favorem libertatis, in favore della libertà cristiana, quando stabilisce che ogni schiavo che abbraccia il cristianesimo è libero, e nello stesso tempo della libertà umana, poiché questo è stato uno dei mezzi che hanno eliminato a poco a poco la schiavitù.
In tutto ciò la massima «gli ebrei sono servi perpetui» non si basa dunque esclusivamente su principî cristiani, ma si fonda ancora e soprattutto «in parte sulle idee proprie all’organizzazione sociale del medio evo feudale e in parte sul diritto positivo istituito dagli imperatori e adottato da tutta la cristianità», H. GAYRAUD, L’antisémitisme de saint Thomas d’Aquin, III édit., Paris, 1896, p. 265.
Con la progressiva scomparsa del diritto pubblico medievale scompare anche la nozione di «servitù» ebraica. Continuò a sussistere solo la «servitù» nel senso originario del termine. Ancora in pieno medio evo è a questa che fa riferimento la maggior parte dei testi ecclesiastici. Quando in essi si dice che gli ebrei sono i servi dei cristiani, questo linguaggio significa che gli ebrei sono tollerati dai cristiani, e non accettati in virtù di un diritto, che devono evitare di fare guerra al cristianesimo e che, di conseguenza, non devono avere potere sui cristiani, poiché questo potere, conformemente alle loro inveterate abitudini, li farebbe rivolgere contro la fede cristiana.
I cristiani sono figli di Sara, gli ebrei sono figli della schiava. Nello stesso senso, ma ribaltando l’espressione, gli ebrei si consideravano liberi e definivano schiavi i cristiani. L’ebreo che tradusse l’Immagine del mondo si esprime così: «Questo libro è la chiave di ogni intelligenza … Vedendo questa apparizione, ho gridato: “Dio mio, perché il figlio della schiava possiede le dimore dell’intelligenza, mentre il figlio della padrona siede solitario e silenzioso?» Cfr. RENAN, Histoire littéraire de la France, t. XXVII, p. 503.
Bibl. ‒ Bernard Gui, Practica inquisitionis heretice pravitatis, éd. C. Douais, Paris, 1886, pp. 35-36, 39-40, 49-50, 288-292; Nicolas Eymeric, Directorium inquisitorum, éd. F. Peña, Roma, 1578, pp. 66, 133, 158-159, 241-243, cfr. le annotazioni di Peña; Marquard de Susannis, De Judaeis et aliis infidelibus, Venezia, 1558; A. Ricciulli, Tractatus de jure personarum extra Ecclesiae gremium existentium, I, II, Roma, 1622, pp. 129-132; G. Sessa, Tractatus de Judaeis, eorum privilegiis, observantia et recto intellectu, Torino, 1717; tutti i commentatori delle Decretales, V, VI; F. Revira Bonet, Armatura de’ forti ovvero memorie spettanti agli infedeli Ebrei che siano o Turchi, Roma, 1794; U. Robert, Les signes d’infamie au moyen âge, Juifs, Sarrasins, hérétiques, lépreux, cagots et filles publiques, in Mémoires de la société nationale des antiquaires de France, 5ᵃ série, Paris, 1889, t. IX, pp. 57-172; J. Guttmann, Das Verhaeltniss des Thomas von Aquino zum Judenthum uns zur jüdischen Literatur, Göttingen, 1891; C. Auzias-Turenne, Les Juifs et le droit ecclésiastique, in Revue catholique des institutions et du droit, II série, Paris, 1893, t. XI, pp. 289-319; H. Gayraud, L’antisémitisme de saint Thomas d’Aquin, III éd., Paris, 1896; S. Reinach, L’inquisition et les Juifs, in Revue des etudes juives, Paris, 1900, t. XLI, Actes et conférences, pp. XLIX-LXIV; S. Deploige, Saint Thomas et la question juive, II éd., Paris, 1902.
- LA CHIESA E GLI EBREI
La polemica antigiudaica
- Le controversie orali. ‒ II. Gli scritti. ‒ III. L’apologetica cristiana. ‒ IV. Le conversioni. ‒ V. Gli attacchi contro il giudaismo e il tono della polemica.
- Le controversie orali
- Fino al 1100. ‒ Benché piuttosto rare, le discussioni tra ebrei e cristiani non furono inusuali. Numerose opere di polemica antigiudaica si presentano sotto forma di un dibattito tra due interlocutori, uno dei quali è cristiano e l’altro è ebreo. Il più delle volte questo non è che un artificio letterario. Non è certo, ad es., che s. GIUSTINO abbia ingaggiato con un ebreo una controversia le cui idee principali sono riportate nel Dialogo con Trifone. Talvolta, almeno nel medio evo, una discussione autentica fu raccontata da uno degli antagonisti o da entrambi. Cfr.O. ZOECKLER, Der Dialog im Dienste der Apologetik, Gütersloh, 1893. In ogni caso, l’esistenza delle controversie orali è attestata di buon’ora. È in seguito ad una discussione tra un cristiano ed un proselito ebreo che TERTULLIANO scrisse il suo Adversus Judaeos. ORIGENE apprese l’ebraico per poter disputare con gli ebrei e raccomanda lo studio dei libri biblici per poter replicare loro; egli dice di aver avuto delle controversie con loro, C. Cels., I, XLV, XLIX, LV, LVI; II, XXXII. S. EPIFANIO ebbe una discussione con il rabbino ISAAC di Salamina. S. ISIDORO di Pelusio, Epist., I, XVIII, CXLI, DCI; II, XCIX; III, XIX, XCIV; IV, XVII, parla di diversi cristiani che avevano subito l’assalto degli ebrei. GREGORIO di Tours, H. F., VI, V, riassume una discussione che ebbe a sostenere, di concerto con il re Chilperico, contro l’ebreo PRISCUS. A Pavia, ALCUINO assistette casualmente ad un dibattito fra l’ebreo JULIUS e maestro PIETRO da Pisa. S. NILO il giovane ebbe delle conversazioni teologiche con il medico ebreo SABBATAI DONNOLO. A sua volta, s. PIER DAMIANI racconta che, ai suoi tempi, le discussioni tra ebrei e cristiani erano frequenti.
- Dopo il 1100. ‒ Con l’avanzare del medio evo le discussioni si fanno più frequenti. Lo spirito di INNOCENZO III, impetuoso e combattivo, anima i cattolici. I Domenicani e i Frati minori danno una svolta alla polemica antigiudaica. Ebrei battezzati entrano nei loro ordini. Grazie ad essi, il clero e i monaci vengono iniziati alla letteratura rabbinica. Soprattutto i Domenicani studiano l’ebraico, l’arabo, la Bibbia e il Talmud, allo scopo di munirsi di armi efficaci. Dai loro ranghi escono polemisti preparati, talvolta ebrei di nascita. La creazione di sei scuole di lingue orientali in Europa, decretata dal concilio di Vienne (1311), facilita il compito.
Le più importanti controversie orali fra cristiani ed ebrei furono quelle di Parigi (1240), presso la corte di s. Luigi, fra l’ebreo battezzato NICOLAS DONIN e R. YEHIEL di Parigi; di Barcellona (1263), alla presenza del re Jayme, fra il domenicano PABLO CHRISTIANI, ebreo battezzato, e MOISE NAHMAN; di Tortosa (1413-1414), davanti a Benedetto XIII (Pietro de Luna), fra il medico ebreo convertito GEROLAMO DE SANTA FEDE e ventidue rabbini. Altre controversie, meno solenni, avevano avuto luogo davanti ad uditori più ristretti, ora per comune accordo fra cristiani ed ebrei, ora provocate dagli ebrei coi loro attacchi e scherni, ora imposte dai cristiani, specialmente in Spagna, dove gli ebrei battezzati, volendo a tutti i costi convertire i loro antichi correligionari, si avvalevano di ordini reali che obbligavano gli ebrei a venire a discutere con loro.
La controversia pubblica non era senza pericoli per la causa cristiana. Essa correva il rischio di essere mal difesa. Lo sfidante poteva essere abile. Talune materie non sono suscettibili d’una discussione pubblica proficua. L’obiezione è facile da cogliere, rimane; la risposta, anche eccellente, è al di sopra della massa degli auditori, e si dimentica subito. Sono note le parole di s. Luigi «che nessuno, se non è un buonissimo chierico, deve disputare con quella gente; il laico, quando [l’ebreo] intende sparlare della legge cristiana, non deve difenderla che con la spada, che deve infilare nel ventre tanto quanto vi può entrare». Il re, osserva M. SEPET, Saint Louis, II éd., Paris, 1898, pp. 75-76, distingue tra chierici e laici e si esprime, «nelle sue conversazioni familiari con una veemenza umoristica, le cui pie asperità sarebbe un po’ goffo prendere assolutamente alla lettera». Ma i polemisti, da parte loro, segnalarono i pericoli e l’inanità di queste discussioni pubbliche. Cfr. PIETRO di Blois, Contra perfidiam Judaeorum, I. S. TOMMASO d’Aquino, IIᵃ IIᵃᵉ, q. 10, 7, tracciò le regole da seguire. GREGORIO IX (bolla Sufficere debuerat, 5 marzo 1233) ingiunse ai vescovi di Germania di non consentire queste controversie orali in pubblico. Esse non ebbero luogo sempre di più che eccezionalmente.
Al contrario, le controversie private sono avvenute in ogni tempo, sia che si siano svolte tra un piccolo numero di disputanti, come quelle che si ebbero con PICO della Mirandola, come riferisce MARSILIO FICINO, Epistolae, 1497, fol. 182-183, sia che si sia trattato di conversazioni tra un cristiano ed un ebreo, del genere di quelle di HUET con il più dotto degli ebrei di Amsterdam. Cfr. HUET, Demonstratio evangelica, praef. 2, Paris, 1679, pp. 2-3.
- Gli scritti
- Dalle origini al 313. ‒ Lo PSEUDO-BARNABA; s. GIUSTINO, Dialogo con il giudeo Trifone; TERTULLIANO, Adversus Judaeos; s. CIPRIANO, Testimonia ad Quirinum; PSEUDO-CIPRIANO, De montibus Sina et Sion; l’Adversus Judaeos (sembra ricollegarsi alla cerchia di Novaziano); NOVAZIANO, De cibis judaicis; CELSO, Ad Vigilium episcopum de judaica incredulitate (pref. della traduzione latina del Dialogo di Aristone di Pella); De solemnitatibus , sabbatis et neomeniis, scritto prima del concilio di Nicea, secondo PITRA, Spicilegium solesmense, Paris, 1852, t. I, pp. XI-XII, che ha pubblicato questo estratto, pp. 9-13. Questi scritti, eccetto l’ultimo, si trovano in MIGNE. Lo stesso vale, salvo altra indicazione, per quelli che seguiranno (è appena il caso di rammentare che le edizioni di Migne sono insufficienti per ciò che riguarda l’antichità cristiana). Frammenti di s. IPPOLITO (autenticità dubbia); s. MELITONE; MURINO di Alessandria (p.p. PITRA, Spicilegium solesmense, t. I, pp. 14-15). Trattano, anche se non esclusivamente, degli ebrei: s. IRENEO; ORIGENE, C. C. , I-II; COMMODIANO, etc. Scritti perduti: ARISTONE di Pella, Dialogo di Giasone e Papisco; MILZIADE; forse s. APOLLINARE; s. SERAPIONE di Antiochia; TEODOTO di Ancira; ZOFIRO; ARTAPANO. Sulla letteratura relativa alla Pasqua, cfr. C. WERNER, Geschichte der apologetischen und polemischen Literatur der christlichen Theologie, 2ᵃ éd., Ratisbona, 1889, t. I, pp. 62-67.
- Dal 313 al 1100. ‒ In Oriente: EUSEBIO, Dimostrazione evangelica; s. GREGORIO di Nissa (le sue Ἐκλογαί hanno subito delle alterazioni); s. GIOVANNI CRISOSTOMO; un sermone Contro i giudei, i pagani e gli eretici (tra gli spuria di Crisostomo); s. BASILIO di Seleucia; il Dialogo dei giudei Papisco e Filone con un monaco (del VII o VIII sec., p.p. A.-C. Mc GIFFERT, Dialogue between a christian and a jew, Marburg, 1889, pp. 49-83); il Dialogo di Atanasio e Zaccheo e il Dialogo di Timoteo e Aquila (dell’VIII sec., p. p. F.-C. CONYBEARE, Analecta oxoniensa, Oxford, 1898; frammenti del secondo, P. G., LXXXVI, 251-255); la Disputa contro i giudei (falsamente attribuita a s. Anastasio il Sinaita, P. G., t. LXXXIX, coll. 1203-1282); e, fra quelli che trattano i giudei assieme ad altri argomenti, s. EFREM (p.p. LAMY, Malines, 1882-1092); s. ISIDORO di Pelusio; TEODORO ABUCARA (P. G., t. XCVII, e meglio G. GRAF, Die arabischen Schriften der Theodor Abû Qurra Bischofs von Harrân, Paderborn, 1910).
I racconti di controversie apocrife: Acta sancti Silvestri (in B. MOMBRITIUS, Sanctuarium seu vitae sanctorum, rééd. Paris, 1910, t. II, pp. 508-531, controversia davanti all’imperatore Costantino e sua madre, leggenda d’origine orientale, redazione probabilmente della fine del V sec.); la controversia alla corte dei sassanidi (pressappoco dello stesso periodo, p.p. E. BRATKE, Das sogenannte Religionsgespraech am Hofe der Sassaniden, Leipzig, 1899); il Dialogo con il giudeo Herban dell’enigmatico s. GREGENZIO di Tafar. Frammenti di EUSEBIO di Emesa (p.p. L.-J. DELAPORTE, Elie de bar Sinaya métropolitain de Nisibe, Chronique, trad., Paris, 1910, p. 311); di ANTIOCO di Tolemaide; di s. CIRILLO di Alessandria; di TEODORETO di Cirro; di s. GEROLAMO di Gerusalemme (dell’VIII piuttosto che del IV sec., cfr. P. BATIFFOL, Revue des questions historiques, Paris, t. XXXIX, pp. 248-255); di LEONZIO di Neapolis (Cipro); di STEFANO di Bosra (p.p. J.-M. MERCATI, Theologische Quartalschrift, Tübingen, 1895, t. LXXVII, pp. 663-668); di un anonimo (p.p. A.-M. BANDINI, Catalogus codicum manuscriptorum bibliothecae Mediceae-Laurentianae, Firenze, 1764, t. I, p. 165). Uno scritto di DIODORO di Tarso è andato perduto.
In Occidente: EVAGRIO, Altercatio Simonis judaei et Theophili christiani; il De altercatione Ecclesiae et Synagogae dialogus; s. AGOSTINO; due scritti pseudo-agostiniani: il Contra Judaeos, paganos et arianos sermo de symbolo e l’Adversus quinque haereses seu contra quinque hostium genera; SEVERO di Minorca; s. MASSIMO di Torino; s. ISIDORO di Siviglia; s. ILDEFONSO di Toledo; s. Giuliano di Toledo; PAOLO ALVARO di Cordoba; il chierico HENRI; s. AGOBARDO di Lione; AMOLONE di Lione; RABANO MAURO; FULBERTO di Chartres; s. PIER DAMIANI. Molti scrittori, che non hanno composto un trattato contro i giudei, si occupano di essi in diverse opere, in particolare s. AMBROGIO, s. LEONE MAGNO, s. SIDONIO APOLLINARE, s. GEROLAMO, CASSIODORO, s. GREGORIO MAGNO, s. BRUNO di Wurtzburg. Un’opera di VOCONIO o BUCONIO, vescovo di Mauritania, è andata perduta.
- Dal 1100 al 1500. ‒ In Oriente: EUTIMIO ZIGABENO; ANDRONICO I COMNENO; GIORGIO o GREGORIO di Cipro, patriarca di Costantinopoli; l’imperatore GIOVANNI CANTACUZENO (p.p. GUALTERUS, Basilea, 1543). Scritti inediti dello stesso Giovanni Cantacuzeno sotto il nome di CRISTODULO (il suo nome da monaco prima dell’abdicazione); di MICHELE GLICA; di NICOLA d’Otranto (Hydruntinus); di TADDEO di Pelusio; di TEOFANE di Nicea; di MATTEO BLASTARES (Hieromonachus); di GIOVANNI SAITA di Cidonia (Creta); di GENNADE SCHOLARIUS, patriarca di Costantinopoli.
In Occidente. Scritti dei cristiani di nascita: ODDONE di Cambrai; GILBERTO CRISPINO; GILBERTO DI NOGENT; RUPERTO di Deutz; ABELARDO; PIETRO IL VENERABILE; PSEUDO-GUGLIELMO di Champeux (una sorta di contraffazione di Gilberto Crispino); RICCARDO DI SAN VITTORE (si tratta del De Emmanuele libri II, che interessa la polemica antigiudaica senza essere direttamente contro i giudei); INGHETTO (Ignetus) CONTARDO (p.p. F. CARBON, Venezia, 1672); PIERRE de Blois; GAUTIER de Chântillon e BAUDOUIN de Valencienne; GIACCHINO da Fiore (inedito); ALANO di Lilla, De fide catholica, III; anonimi (P. L., t. CCXIII, coll. 749-808; Bibliotheca maxima Patrum, Lyon, t. XXVII, p. 619; Histoire littéraire de la France, Paris, 1763, t. XII, pp. 436-437; MARTÈNE e DURAND, Thesaurus novus anecdotorum, Paris, 1717, t. V, coll. 1497-1506). A partire dal momento in cui si ferma la Patrologia latina di Migne: le Extractiones de Talmut (forse del domenicano THIBAUT di Sassonia, p.p. I. LOEB, Revue des études juives, Paris, 1881, t. II, pp. 248-70, t. III, pp. 39-55); s. TOMMASO d’Aquino, De regimine Judaeorum ad ducissam Brabantiae, in Opera, Parma, 1865, t. XVI, pp. 292-294; RAIMONDO MARTINI, domenicano, Pugio fidei adversus Mauros et Judaeos (p.p. J. DE VOISIN, Paris, 1651); R. LULLO, Liber de gentili et tribus sapientibus; V. PORCHETO DE’ SELVATICI (Selvaticus), Paris, 1520; NICOLA da Lira (probabilmente non d’origine ebraica); il domenicano LAUTERIO DE BATINEIS; l’agostiniano BERNARDO OLIVER; GIACOMO CIVEROSO di Daroca (Aragona); il carmelitano JEAN de Baconthorpe; l’agostiniano PAOLO da Venezia; l’umanista GIANNOZZO MANETTI; STEFANO BODIKER, vescovo di Brandeburdo; il domenicano GIOVANNI LOPEZ; il cardinale GIOVANNI DI TORQUEMADA; NICCOLO’ CUSANO (nel suo Dialogus de pace seu de concordia fidei, Basilea, 1565, si rivolge ai pagani, agli ebrei e ai musulmani); MARSILIO FICINO, De religione christiana et fidei pietate, Paris, 1510 (la II parte quasi interamente contro gli ebrei); il domenicano P.G. SCHWARTZ (Niger); s. ANTONINO da Firenze, Dialogus discipulorum Emauntinorum cum peregrino, Firenze, 1480; il veneziano PAOLO MOROSINI (Maurocoenus), De aeterna temporalique Christi generatione, Padova, 1473; PIETRO BRUTO (de Brutis), Victoriae adversus Judaeos, Vicenza, 1489; J. PEREZ d’Ayora († 1490), Lyon, 1512; un anonimo, Pharetra fidei catholicae sive disputatio judaei et christiani, Leipzig, 1494; SAVONAROLA, Triumphus crucis, Firenze, 1497 (una parte del IV libro), Dialogus spiritus et animae, Venezia, 1538 (III libro).
Oltre che nelle opere di polemica antigiudaica diretta, gli ebrei compaiono negli scritti contro gli eretici, come quelli di EVERARDO di Béthune e di LUCA di TUY, nei libri dei commentatori della Scrittura, dei teologi e canonisti, nei predicatori, negli epistolari, negli storici e cronachisti, negli autori di sacre rappresentazioni, nei satirici, nei narratori e nei poeti.
In Occidente. Scritti degli ebrei battezzati. R. SAMUEL de Fez (Marochianus), De adventu Messiae, P.L., t. CXLIX, coll. 337-368 (molto probabilmente apocrifo, composto forse dall’ebreo convertito PABLO de Valladolid nel 1339). Nel XII sec. PIETRO ALFONSO, Dialogi, P.L., t. CLVII, coll. 535-572; il premostratense HERMANN (JUDAS de Cologne), De sua conversione (P.L., t. CLXX, coll. 805-836, trad. A. DE GOURLET, Paris, 1902). Nel XIII sec. GUGLIELMO di Bourges (frammenti in J. HOMMEY, Supplementum Patrum, Paris, 1685, pp. 412-418); il domenicano P. CHRISTIANI (processo verbale latino della sua disputa con Nahmanide (1263) in WAGENSEIL, Tela ignea Satanae). Nel XV sec. J. DE SANTA FE, Contra Judaeorum perfidiam (o Hebraeomastix), in M. DE LA BIGNE, Bibliotheca Patrum, IV éd., Paris, 1624, t. IV², pp. 741-794; P. DE BONNEFOY, Liber fidei, (p.p. P. FAGIUS (BUCHLIN), Isni, 1542, cfr. Revue des études juives, 1882, t. IV, pp. 78-87, t. V, pp. 57-67, 283-284); PABLO de Bourgos o DE SANTA MARIA, Scrutinium Scripturarum, Mantova, 1475; NEUMIA, figlio di Haccana, due lettere in difesa del cristianesimo, Roma, intorno al 1480; il francescano ALFONSO DE SPINA, Fortalitium Fidei (numerose edizioni; la prima, s.i.l., nel 1487); PEDRO DE LA CABALLERIA, Zelus Christi, Venezia, 1592. Fra gli scritti non pubblicati citiamo quelli di ALFONSO e JUAN de Valladolid, di ASTRUC RIMOC di Fraga, di ALBERTO (detto Novellus) di Padova, di JUAN di Spagna, conosciuto anche con il nome di JUAN L’ANTICO di Toledo, etc.
- Dal 1500 al 1789. ‒ Gli scritti si moltiplicano considerevolmente. La stampa facilita la loro diffusione. Hanno per autori cattolici, ebrei battezzati (ALFONSO di Zamora, VICTOR DE CARBEN, etc.), greci scismatici, come MELEZIO PEGAS (che pubblicò un trattato, in greco e ruteno, a Lemberg, nel 1593), protestanti.
La letteratura antigiudaica è simile innanzitutto a quella del passato. L’istituzione delle predicazioni per gli ebrei (1584) porta ad una forma nuova di polemica, di cui abbiamo un esempio, peraltro incompleto, nei cento sermoni di G.-M. VINCENTI, Il Messia venuto, Venezia, 1659. Spesso gli ebrei sono combattuti nelle opere che stabiliscono in generale la verità del cristianesimo. Le più note sono: il De veritate fidei christianae dello spagnolo J.-L. VIVÈS, Basilea, 1543; il Traité de la verité de la religion chrétienne di P. DU PLESSIS-MORNAY Anvers, 1579; Les trois vérités contre tous athées, idolâtres, Juifs, mahométans, hérétiques et schismatiques di P. CHARRON, Paris, 1595; soprattutto il De veritate religionis christianae di H. GROTIUS, Paris, 1627 (cfr. l’ed. in tre volumi, Halle, 1734-1739), le Pensées di PASCAL e il Discours sur l’histoire universelle di BOSSUET; cfr. P. MONTMÉDY, Triumphus religionis de atheismo, gentilismo, judaismo et haeresi sive de religionis successu et antiquitate ex libro J.-B. Bossuet Discours sur l’histoire universelle, Ratisbona, 1715. Ricordiamo ancora: D. HUET, Demonstratio evangelica, Paris, 1679; C.-F. HOUTTEVILLE, La verité de la religion chrétienne, Paris, 1722, etc. La trattatistica De vera religione, inaugurata da Marsilio Ficino, e che nel XVIII sec. viene adottata in tutti i corsi di teologia, è in larga misura il punto d’approdo e di qui in poi la forma principale della polemica religiosa antigiudaica.
Abbiamo già parlato della querelle di Reuchlin. La questione della cabala fece fiorire tutta una letteratura, chimerica e puerile, sull’utilizzo dei libri cabalistici a profitto del cristianesimo. Il libro più importante fu la Kabbala denudata seu doctrina Hebraeorum transcendentalis et metaphysica atque theologica di C. KNORR DE ROSEN, Sulzbach e Frankfurt, 1677-1678. Se non altro, l’occuparsi del Talmud e della Cabala contribuì ad una migliore conoscenza dell’ebraico. Con GILBERT GAULMIN, JOHN LIGHTFOOT e RICHARD SIMON lo spirito scientifico permeò, non sempre correttamente, lo studio delle questioni ebraiche. I progressi dell’esegesi biblica furono d’ausilio a quelli della polemica antigiudaica. Basato su una migliore comprensione del testo originale, l’argomento tratto dall’Antico Testamento acquista maggior forza. Gli scritti degli ebraisti, ad es. l’Adventus Messiae, Roma, 1694, di C.G. IMBONATI, e il Della vana aspettazione degli Ebrei del loro re Messia, Parma, 1773, di G.B. DE ROSSI, beneficiarono della conoscenza della lingua ebraica degli autori.
Inoltre, si combatterono gli ebrei con le loro stesse armi: i loro scritti. Il cistercense G. BARTOLOCCI, Bibliotheca magna rabbinica, Roma, 1675-1693; il protestante J.A. EISENMENGER, Entdecktes Judenthum (Il giudaismo svelato), Frankfurt, 1700; un altro protestante, J.-C. WAGENSEIL, Tela ignea Satanae, Altdorf, 1681; un altro protestante ancora, J. WUELFER, Theriaca judaica, Nürnberg, 1681, etc. attaccarono i libri ebraici e li pubblicarono per dimostrare la loro ostilità verso il cristianesimo. Era l’antisemitismo degli eruditi, teologico e apologetico. Un antisemitismo nel quale le considerazioni teologiche non ebbero spazio o ne ebbero in modo ridotto fu quello di PIERRE DE LANCRE, di F. DE TORREJONCILLO, dell’autore del Libro dell’alboraico, di SCHUDT, di VOLTAIRE, etc. Precursore dell’antisemitismo moderno, questo antisemitismo solo indirettamente si ricollega alla polemica antigiudaica cristiana.
- Dal 1789 ai giorni nostri. ‒ Distinguiamo due categorie di opere. In primo luogo quelle indirizzate agli ebrei o che si riferiscono alla loro conversione: le dodici lettere dell’ebreo LOMBROSO e dell’ab. CONSONI, Des obstacles qui s’opposent à la conversion des Israélites et des moyens de les surmonter, in MIGNE, Démonstrations évangéliques, Paris, 1849, t. XVIII, pp. 431-452; P.-L.-B. DRACH, De l’harmonie entre l’Église et la Synagogue, Paris, 1844 (dapprima redatta sotto forma di tre lettere d’un rabbin converti aux Israélites ses frères, Rome, 1825, 1828, 1833); J-M. BAUER, Le judaïsme comme preuve du christianisme, Paris, 1866; gli scritti degli abati LÉMANN, in particolare A. LÉMANN, Histoire complète de l’idée messianique chez le peuple d’Israël, Lyon, 1909; P. LOEWENGARD, La splendeur catholique. Du judaïsme à l’Église, V éd., Paris, 1910. In secondo luogo, quelle che non sono indirizzate direttamente agli ebrei, ma trattaggono argomenti dal giudaismo in favore della divinità del cristianesimo. Assieme alla trattatistica De vera religione e alle opere di apologetica in generale, andrebbero citati specialmente i lavori sui vari metodi di apologetica e sulle profezie, come pure quelli sull’argomento dedotto dalla dispersione del popolo ebraico e dalla sua condizione dopo la morte del Cristo, come l’ Evidence de la verité de la religion chretienne tirée de l’accomplissement littéral des prophéties constaté principalement par l’histoire des Juifs et des découvertes des voyageurs modernes di A. KEITH, in MIGNE, Démostrations évangéliques, 1843, t. X, pp. 385-474, e La désolation du peuple juif di M. SOULLIER, Paris, 1891. Ricordiamo infine Le messianisme chez les Juifs, Paris, 1909, del P. M.-J. LAGRANGE.
III. L’apologetica cristiana
Non è questa la sede per studiare il valore, le carenze, gli sviluppi dell’apologetica cristiana nel corso delle controversie con gli ebrei. Cfr. l’art. APOLOGETIQUE, t. I, coll. 190-225. Due punti devono invece attirare la nostra attenzione.
- ‒ Qual è la ragion d’essere del popolo ebraico e quale, in particolare, il suo ruolo dopo la morte di Gesù? S. AGOSTINO è stato il primo ad affrontare risolutamente questo problema. La soluzione da lui proposta ebbe successo nella Chiesa. Tutto il medio evo la adottò e Bossuet la riprese con lo splendore del linguaggio che conosciamo. Questa può riassumersi così: popolo di Dio, strumento nelle sue mani, la nazione ebraica appare non essere esistita per se stessa. Orientata verso il Cristo, ebbe ad annunciarlo e prefigurarlo. Ma non riconobbe nel Cristo il Messia atteso, il Salvatore del mondo. Tuttavia Dio ha voluto che continuasse, come un tempo, per molte anime, il cammino che conduce alla luce della verità. «I giudei custodiscono i libri che contengono le profezie relative al Cristo, dice s. AGOSTINO, In Joan., XXXV, 7. E, nel corso delle nostre discussioni con i pagani, quando mostriamo loro realizzato nella Chiesa del Cristo ciò che fu predetto del nome del Cristo, del corpo del Cristo, affinché non credano che queste profezie siano delle finzioni e che abbiamo scritto a cose fatte queste cose come se dovessero ancora accadere, noi presentiamo i libri dei giudei nostri nemici … E, riportando i libri che sono e sono sempre stati custoditi dagli ebrei, diciamo loro a ragione: Voi non avete nulla da obiettare a questa testimonianza, poiché questa viene da un popolo nemico della nostra fede, così com’è vostro nemico». Così, dispersa fra le nazioni, pur avendo conservato la sua indipendenza e i suoi caratteri distintivi, la nazione ebraica ha sempre la stessa missione: «i secoli passati l’hanno vista prefigurare colui che doveva risollevare l’umanità decaduta; eccola ora nello stesso ruolo, il dito rivolto verso il passato, a rivelare a coloro che le ignorano le promesse divine e a permetterne la realizzazione», P. BÉRARD, Saint Augustin et les Juifs, Besançon, 1913, p. 70.
- ‒ La dispersione degli ebrei fu considerata da un altro punto di vista da parte dei polemisti antigiudei. Profetizzata, il suo compimento è stato presentato di buon’ora, cfr. LE NOURRY, Dissert. in Apolog. Tertul., P.L., t. I, coll. 783-786, come una prova della divinità del cristianesimo. L’argomento è divenuto classico. BOSSUET, tra molti altri, lo ha illuminato con la luce del suo grande stile, Discours sur l’histoire universelle, II, XX-XXIV. Ora, esso dev’essere aggiornato. Mai Israele è stato così disperso come nella nostra epoca; tuttavia, non si trova più nella condizione umiliante di un tempo. A partire dal 1789 esso è riabilitato, arricchito, influente. Questo modo di presentare l’argomento che consisteva nel dire che Israele contituava ad esistere unicamente per essere, agli occhi di tutti, una testimonianza vivente della maledizione divina, Israele dovendo sempre vivere nell’obbrobbrio e nell’ignominia, va dunque rivisto, e bisognerebbe adattarlo allo stato attuale delle cose. Cfr. M. SOULLIER, La désolation du peuple juif, pp. 374-381; gli abati LÉMANN, La dissolution de la Synagogue en face de la vitalité de l’Église, Roma, 1870, poi riprodotto in La cause des restes d’Israël introduite au concile oecuménique du Vatican, pp. 54-69; H. HURTER, Theol. dogmat., IV éd., Inspruck, t. I, pp. 75-78.
Quale che sia la posizione sociale di molti ebrei, la massa è ancora disprezzata e sventurata, e l’ondata recente d’antisemitismo ha mostrato ciò che vi è di instabile nella fortuna di coloro che prosperano; rimane soprattutto il fatto che la Sinagoga e il popolo ebraico, riguardo alla vocazione nel Cristo, in quanto tali e in relazione a ciò che furono prima del Cristo, sono decaduti secondo l’annuncio delle profezie.
- Le conversioni
- Dalle origini al 313. ‒ Dopo le grandi retate all’indomani della Pentecoste, non fu facile guadagnare gli ebrei al cristianesimo. S. GIUSTINO, I Apol. LIII, stima che i cristiani venuti dal paganesimo sono più numerosi, e più autenticamente cristiani, più sinceri degli ebrei convertiti. Nella stessa Palestina la ricezione del Vangelo fu piuttosto scarsa. Gli Atti degli apostoli raccontano le prime missioni, e noi sappiamo che a Gerusalemme esisteva una chiesa cristiana governata dai Dodici, e successivamente da Giacomo il minore. Quando la città fu assediata da Tito, questi fedeli emigrarono al di là del Giordano e lì i loro fratelli di Galilea e Samaria li raggiunsero. In queste regioni di Damasco e della Decapoli, essi condussero una vita riservata. ORIGENE, In Joan., I, 1, stima a meno di 144 mila la cifra dei convertiti dal giudaismo. Il calcolo non potrebbe essere rigoroso, ma autorizza a concludere che la propaganda evangelica in ambiente giudaico ebbe un successo modesto. Al di fuori dei convertiti del Vangelo e del Nuovo Testamento, tra i cristiani d’origine giudaica vi fu un papa, s. EVARISTO ‒ e, secondo certi autori, anche s. ANACLETO ‒ e alcuni scrittori: lo PSEUDO-BARNABA, EGESIPPO secondo ogni verosimiglianza.
- Dal 313 al 1789. ‒ Tra queste due date, abbondarono le conversioni simulate. Vivendo in paesi cristiani, malvisti a causa del loro giudaismo, talvolta molestati, spogliati, esiliati se non rinunciavano alla propria religione, molti di loro soccombettero alla tentazione di vivere tranquilli fingendo di convertirsi al cristianesimo. Questo fu il caso di numerosi ebrei di Spagna che ricevettero il battesimo al tempo di Sisebuto e di Ferdinando. Questi ultimi non vanno inseriti nell’elenco dei giudei convertiti, come non debbono figurarvi quelle migliaia di giudei la cui conversione viene raccontata dai documenti apocrifi. Gli Acta sancti Silvestri, il racconto della controversia che ebbe luogo alla corte dei Sassanidi, il Dialogo di s. GREGENZIO si concludono con la conversione dei giudei che avrebbero assistito alle controversie tra giudei e cristiani. Questa conclusione è pura fantasia, come pure tutto il resto. Al contrario, la lettera di s. SEVERO, vescovo di Minorca, sulla conversione in massa dei giudei di quell’isola in seguito all’arrivo delle reliquie di s. Stefano ha resistito agli assalti della critica.
L’origine ebraica di s. ANGELO di Gerusalemme († 1220 a Licata, in Sicilia) e le conversioni degli ebrei da lui operate, come sono riferite da una Vita del santo scritta da ENOCH di Gerusalemme (intorno al 1227) e pubblicata dal carmelitano DANIEL DE LA VIERGE MARIE, secondo PAPEBROCH non meritano alcuna credibilità. Cfr. Acta sanctorum, Paris, 1867, maii, t. II, pp. *10-57. È difficile sapere quanto valgono le 25 mila conversioni e più avvenute in seguito al colloquio di Tortosa (1413-1414) secondo lo scritto di GEROLAMO DE SANTA FE e a dire di VICENTE FERRIER
Insomma, se ci atteniamo ai testi certi, le confessioni sincere non sembrano essere state estremamente numerose. Tuttavia ve ne furono. La sincerità della maggior parte dei convertiti che pubblicarono apologie del cristianesimo non è sospetta. Quando un PIETRO ALFONSO ricorda, Dial., praef., che, sapendolo cristiano, alcuni fra i giudei furono dell’avviso che era impudenza e disprezzo della Legge divina, altri che era inintelligenza delle Scritture, ed altri ancora che era vanagloria, quando egli dichiara che scrive ut omnes et meam cognoscant intentionem et audiant rationem … in qua christianam legem caeteris omnibus superesse conspicerem, con quale diritto dovremmo considerarlo ipocrita, e non è evidente, al contrario, per il modo in cui questo Dialogo è condotto, che «l’autore credeva fermamente alle verità che vi stabilisce, che la sua conversione era stata fatta con cognizione di causa», R. CEILLIER, Histoire des auteurs ecclésiastiques, Paris, 1757, t. XXI, p. 576? Altrettato si deve dire di HERMANN di Colonia, la cui autobiografia è così avvincente e d’una psicologia così precisa, e di altri ebrei, conosciuti o anonimi, che si sono convertiti liberamente. Supporre che siano stati mossi dalla prospettiva di vantaggi terreni è gratuito e ingiusto.
Di fronte a questa relativa rarità di conversioni, dobbiamo chiederci se gli ebrei possano davvero essere convertiti. Tutti ritengono che si convertiranno prima della fine dei tempi. Cfr. i testi raccolti da DRACH, De l’harmonie entre l’Église et la Synagogue, t. I, pp. 217-224; A. LÉMANN, L’avenir de Jérusalem, pp. 335-342; P. BÉRARD, Saint Augustin et les Juifs, pp. 65-69. Ma eccezion fatta per la scuola che si richiama al giansenista Duguet nel XVII e XVIII sec. e che, esaltando il ruolo futuro degli ebrei, cercò di provare che dopo la loro entrata prossima nella Chiesa trascorrerebbero molti secoli, cfr. J. LÉMANN, L’entrée des Israélites dans la société chrétienne, pp. 263-297, si impose negli spiriti la convinzione che sino alla fine dei tempi sarebbe impossibile condurre al cristianesimo il grosso degli ebrei. Alcuni, muovendo da ciò, giunsero alla conclusione che non ci si dovesse affatto preoccupare di evangelizzarli. S. BERNARDO, De Consider., III, I, 2-3, lo dice chiaramente al papa Eugenio III. Cfr. PIERRE DE BLOIS, Contra perfidiam Judaeorum, I, XXX. PAOLO ALVARO, di famiglia ebraica, dà a questa idea un’impronta di odio, Epist., XVIII, 23: Omnipotens Dominus Sabaoth conversionem vestram quasi quoddam facinus odit. Questo linguaggio è fuori della corrente tradizionale. Si ammette che, se è vero che gli ebrei si convertiranno collettivamente solo all’approssimarsi della fine dei tempi, essi però possono convertirsi individualmente. La Chiesa si adoperò a moltiplicare tali conversioni. Da questo punto di vista, uno degli atti più caratteristici fu, a Roma, con l’istituzione delle prediche obbligatorie, quello della casa dei catecumeni aperta, sotto l’influenza di s. IGNAZIO DE LOYOLA, dal papa PAOLO III (1543) per accogliere gli ebrei che si preparavano al battesimo.
- Dal 1789 ai giorni nostri. ‒ Si sarebbe potuto credere che l’emancipazione ebraica arrestasse l’ondata delle conversioni. È avvenuto esattamente il contrario. Un ebreo convertito, l’ab. I. GOSCHLER, lo rimarca in una nota della sua traduzione del Dictionnaire encyclopédique de la théologie catholique, III éd., Paris, 1870, t. XII, p. 453: «L’emancipazione completa degli ebrei di Francia, mescolandoli in tutte le classi della società, facendoli partecipare, a loro insaputa, a tutti i benefici del cristianesimo, sia che i loro figli ricevano l’educazione nelle istituzioni pubbliche, sia che i più intelligenti e studiosi di essi occupino le funzioni amministrative, giudiziarie, industriali, siedano nei consigli municipali, nelle assemblee legislative, nelle società dei dotti, o servano nelle file dell’esercito; questa emancipazione civile e politica, diciamo, da cinquanta anni a questa parte ha fatto per la conversione religiosa degli ebrei più di quanto abbiano fatto le persecuzioni e le esclusioni in diciotto secoli. In Francia, da mezzo secolo a questa parte, la Chiesa ha certamente accolto nel suo seno più figli d’Israele di quanti ne abbia visto abbracciare la sua fede a partire dal suo insediamento nelle Gallie».
Prima di lui, l’ex rabbino DRACH aveva segnalato «questo movimento davvero straordinario nella nazione ebraica» e vi aveva visto «un segno sicuro degli ultimi tempi del mondo», De l’harmonie entre l’Église et la Synagogue, t. I, p. 224, cfr. 3-4, 26-27, 31-32, 45, 85, 90, 224-228. Nel 1879 le Archives israélites, uno dei principali organi del giudaismo, si chiedevano: «Per quale ragione in questi ultimi cinquant’anni quasi tutte le ricche famiglie israelitiche si sono convertite?» E citavano i nomi, osservando, ad es., che «di tutti i discendenti di Mosé Mendelssohn non ve n’è più nessuno che appartenga al culto ebraico». Al che, uno di questi convertiti, il P. M.-A. RATISBONNE, dopo aver riportato il testo delle Archives, osservava, in Jérusalem, Annales de la mission de N.-D. de Sion en Terre Sainte, n. 10, Marseille, septembre 1879, pp. 17-21: «Colui che pone questa domanda misteriosa ai suoi correligionari della Sinagoga, oggi voltairriana, avrebbe potuto aggiungere al suo elenco di “convertiti ricchi” volumi e volumi pieni di migliaia e migliaia di altri nomi, oltre a quelli degli opulenti banchieri o negozianti, raccolti da un capo all’altro in tutte le contrade d’Europa. Perché dimenticare di scrivere sul catalogo tanti medici, pittori, avvocati, scrittori rinomati, amministratori, industriali, generali di divisione, ufficiali di tutte le armi, semplici soldati, artigiani d’ogni tipo, e perfino venerabili e dotti rabbini …? Al giorno d’oggi le conversioni si moltiplicano all’infinito». La raccolta delle Annales de la mission de Notre-Dame de Sion permetterebbe di stilare un elenco considerevole di conversioni dal 1789 ai giorni nostri. Non tutti gli ebrei che hanno ricevuto il battesimo sono venuti al cattolicesimo. Un numero assai grande sono passati al protestantesimo o alla «ortodossia» russa.
Che non tutte queste conversioni siano state irreprensibili, che talvolta abbiano avuto luogo non per convinzione religiosa, ma per motivi umani, in vista di un matrimonio, per non rimanere ai margini della buona società e, quando l’emancipazione è stata lenta e incompleta, per aver accesso a certe carriere, che vi siano state conversioni fittizie e superficiali, è fuor di dubbio. Ma in generale la sincerità delle conversioni è più certa che in passato. Le conversioni sincere sono state numerose; in esse sono assenti le motivazioni sospette; alla conoscenza della verità si sacrificano il quieto vivere, i vantaggi materiali, i rapporti familiari; a prezzo di un vero eroismo, si superano difficoltà d’ogni genere, compresa, dicono i fratelli LÉMANN, La cause des restes d’Israël, p. 78, «quella che a noi e ad altri era sempre apparsa la più insormontabile … quella del disonore che vi è, secondo una massima tanto falsa quanto crudele», per un onest’uomo a cambiare religione; in queste conversioni, lungi dal guadagnare sul piano umano, si perde molto, e una volta convertiti si ha una dignità di vita, una bellezza di carattere, una fermezza di convinzioni e degli ardori di devozione che testimoniano di una sincerità perfetta. E. DRUMONT, La France juive devant l’opinion, XII éd., Paris, 1886, p. 31, dice che esistono «in questo ambito fatti veramente commoventi». LIEBERMANN, il primo ebreo moderno che la Chiesa abbia beatificato, i due fratelli RATISBONNE, il P. HERMANN, per citare solo questi, hanno mostrato eloquentemente fino a dove può giungere il valore di una conversione.
- Gli attacchi contro il giudaismo e il tono della polemica
- I rigori contro gli ebrei. ‒ La polemica antigiudaica è stata spesso di un’estrema vivacità. Dapprima avevano dato l’esempio lo PSEUDO-BARNABA ed in seguito TERTULLIANO. Anche gli spiriti ritenuti più pacati, in particolar modo un PIETRO IL VENERABILE, si abbandonarono ad eccessi di linguaggio sconcertanti. Gli ebrei convertiti non sempre ebbero verso i loro antichi correligionari la dolcezza che sarebbe stata necessaria.
Questi eccessi dei polemisti in parte si spiegano con il genere delle loro opere e con le abitudini del tempo. Si tratti dei cristiani o degli ebrei, entro certi limiti in ciò vi è una scusa valida. Quando, ad es., il diacono GUGLIELMO di Bourges, ebreo convertito, cfr. HOMMEY, Supplementum Patrum, pp. 416-417, suddivide il suo trattato contro gli ebrei in trenta capitoli quia Judaei pro triginta argenteis Christum sibi traditum per invidiam tradiderunt, questo modo di procedere è offensivo e peraltro maldestro, poiché gli ebrei non potrebbero essere attratti da un inizio simile. Ma innanzitutto, p. 413, egli ci dice che, avendo appreso che stava componendo un libro di controversie, gli ebrei lo tacciavano di audacia e di ignoranza, e gli scagliavano addosso queste parole: Tu es asinus, tu es canis. Tutto ciò aiuta se non a giustificare, almeno a comprendere il suo modo di procedere.
Vi è un’altra cosa che determina la violenza espressiva dei polemisti: l’indignazione che procurano loro le blasfemie dei giudei. A proposito del Perfecto odio oderam illos del salmo CXXXVIII, 22, s. GEROLAMO dice: Si expedit odisse homines et gentem aliquam detestari, miro odio aversor circumcisionem, usque hodie enim persequuntur Dominum nostrum Jesum Christum in synagogis Satanae. Un AGOBARDO e un AMOLONE, che riprendono il secondo, Contra Judaeos, XLI, il versetto del salmista, e il primo, De judaicis superstitionibus, X, sia il versetto che il commento di s. Gerolamo, sono scossi e in qualche misura non si contengono unicamente a causa delle maledizioni dei giudei contro il Cristo e della loro guerra al cristianesimo. Non tutti gli scrittori sono altrettanto violenti. Quelli che li imitano cedono alla stessa impressione.
- La benevolenza verso gli ebrei. ‒ GRAETZ, trad., t. V, p. 78, dice che s. Gerolamo ha «inoculato nel mondo cattolico il suo odio per l’ebreo». No, s. Gerolamo non odia gli ebrei. Se fosse giusto odiare un uomo e una nazione, si expedit odisse, egli detesterebbe proprio questa nazione e questi uomini, in ragione del loro accanimento blasfemo. Ed è vero che AGOBARDO li ritiene assolutamente detestabili, De jud. sup,, IX-X, ma in quanto blasfemi, nel senso in cui la Scrittura esorta ad odiarli, sicuti et odiendos illos demonstrat Scriptura. I cristiani odiano l’errore e il male, non odiano i malvagi e coloro che sbagliano. La polemica antigiudaica, quali che siano i suoi impeti riprovevoli, non è basata sull’odio per gli ebrei.
Prendete i più violenti dei polemisti, un Agobardo, un Amolone, un Pietro il Venerabile, e constaterete che essi non sono estranei ai sentimenti di benevolenza. AGOBARDO precisa, De insolentia Judaeorum, IV, che non li si deve molestare, né attentare alla loro vita, alla loro salute, alle loro ricchezze, che si deve unire l’umanità alla prudenza. AMOLONE, Contra Judaeos, XLVIII, LIX, LX, gli fa eco: egli vuole che, lungi dal nuocergli in qualche cosa, si abbia a cuore la loro salute, compassionem et benignitatem apostoli, Rom., IX-XI, quantum, Deo largiente, possumus, studentes imitari. PIETRO IL VENERABILE, Adversus Judaeorum inveteratam duritiem, prol., li esorta a convertirsi: Cur saltem hoc non movet, dice, cur non movet hoc quod totum robur fidei christianae, quod tota spes salutis humanae, ex vestris litteris originem habet? Cur non movet quod patriarchas, quod prophets praeanuntiatores, quod apostolos predicatores, quod summam ac supercoelestem Virginem matrem Christi, quod Christum ipsum, auctorem salutis nostrae, qui et expectatio gentium a propheta vestro dictus est … , de genere vestro, de stirpe magni Abrahae descendentes suscepimus?
Se gli scrittori bellicosi utilizzano un simile linguaggio, non sorprende che lo si ritrovi sotto la penna degli spiriti irenici. S. GIUSTINO, Dial., XVIII, XXXV, XCVI, CVIII, dice loro: «Voi siete nostri fratelli» ed afferma che i cristiani devono rendere loro amore per odio. Non parliamo di NICCOLO’ CUSANO, pacifico e tollerante fino all’eccesso nel suo De pace seu concordantia fidei, poiché, per unificare tutte le religioni sotto la bandiera della Chiesa, era disposto a sacrificare le cerimonie del culto cristiano e ad accettare la circoncisione, né del beato RAIMONDO LULLO, così imparziale e cortese nel suo Libro del gentile e dei tre saggi. Ma come non menzionare s. BERNARDO, Epist., CCCLXV, in quel discorso di Mayence dove diceva ai crociati infiammati contro gli ebrei: «Non toccate i figli d’Israele e parlate loro solo con benevolenza, poiché essi sono la carne e le ossa del Messia e, se li molestate, rischiate di ferire la pupilla dell’occhio del Signore»? Cfr. T. RATISBONNE, Histoire de saint Bernard et de son siècle, V éd., Paris, 1864, t. II, pp. 95-97 (estratti di R. JOSEPH BEN MEIR, che da bambino aveva assistito alle scene che racconta circa il ruolo di s. Bernardo). Come dimenticare le belle pagine poco note di s. TOMMASO, In epist. ad Romanos, IX, lect. Iª, Opera, Parma, 1862, t. XIII, pp. 91-93, sull’amore di s. Paolo per gli ebrei suoi fratelli e sulla loro multiforme dignità, derivante, in particolare, eorum ex prole, cum dicit: Ex quibus est Christus secundum carnem?
Nel XVII e XVIII sec. vi fu tutta una letteratura favorevole agli ebrei. Ne abbiamo un esempio tipico nel Discours adressé aux Juifs et utile aux chrétiens pour les confermer dans leur foi del fratello ARCHANGE, Lyon, 1788. L’autore invita i «cari israeliti», i «cari figli di Giacobbe», il «caro popolo», come li chiama, ad abbandonarsi a Gesù: «Nato dal vostro sangue, figlio dell’Eterno, egli è vostro fratello, onnipotente accanto al padre comune».
Sarebbe un bel florilegio quello delle parole di benevolenza dei cristiani verso gli ebrei. Vi si riunirebbero, in primo luogo, i testi che riguardano la preghiera per gli ebrei. Oltre alla preghiera ufficiale della Chiesa del venerdì santo, vi sono la preghiera e le esortazioni a pregare da parte delle anime credenti e amorose. «Noi preghiamo per voi», diceva s. GIUSTINO. Come riferisce EUSEBIO, De martyribus Palestinae, VIII, s. PAOLO di Gaza, prima del suo martirio, ottenne dal boia un breve rinvio dell’esecuzione, e pregò cattolicamente per tutti i fedeli e infedeli, ed espressamente per la conversione degli ebrei. La tradizione si è conservata fino ai giorni nostri. Il P. E. REGNAULT, Messager du coeur de Jésus, mai, 1889, assegnava agli associati dell’Apostolato della preghiera la conversione degli ebrei come intenzione speciale del mese. I fratelli RATISBONNE ottennero da GREGORIO XVI la missione positiva di convertire gli ebrei. L’opera di Notre-Dame de Sion, da essi fondata, ha avuto uno sviluppo considerevole. La preghiera vi ha un ruolo capitale. Una arciconfraternita, il cui scopo era di pregare per la conversione di Israele, contava, nel maggio 1911, 107.232 membri. Cfr. Annales de la mission de Notre-dame de Sion en Terre-Sainte, n. 126, Paris, 1911, p. 9.
Seguirebbero poi i testi che fanno appello all’umanità, alla compassione, all’amore verso gli ebrei. Alcuni li abbiamo citati. Da s. Giustino ai fratelli Lémann la scelta sarebbe abbondante.Uno dei più belli sarebbe la conclusione dell’Adversus Judaeos di s. AGOSTINO: Haec, carissimi, sive gratanter sive indignanter audiant Judaei, nos tamen, ubi possumus, cum eorum dilectione praedicemus. Nec superbe gloriemur adversus ramos fractos; sed potius cogitemus cujus gratia, et quanta misericordia, et in qua radice inserti sumus, non alta sapientes, sed humilibus consentientes, non eis cum praesumptione insultando. Il P. HERMANN diceva: «Per salvare uno solo dei nostri poveri fratelli, mi trascinerei in ginocchio fino in capo al mondo», C. SYLVAIN, Vie du P. Hermann, Paris, 1881, p. 58.
In qua radice inserti sumus: i testi sulle origini ebraiche del cristianesimo arricchirebbero infine questa antologia. Come ha potuto scrivere B. LAZARE, L’antisémitisme, p. 69: «Ci si sforzò di dimenticare l’origine ebraica di Gesù e quella degli apostoli, e che era all’ombra della sinagoga che il cristianesimo era cresciuto; ed ancor oggi, nell’intera cristianità, chi vorrebbe dunque riconoscere che ci si inchina davanti ad un povero ebreo e ad una umile ebrea di Galilea?»
- AGOSTINO, s. BERNARDO, PIETRO IL VENERABILE, s. TOMMASO e il buon fratello ARCHANGE, di cui abbiamo letto le parole, attestano l’inesattezza di questa affermazione. Sarebbe facile raccogliere testi analoghi sparsi nella letteratura ecclesiastica. S. GREGORIO MAGNO, Moral., XIV, 39, XXXV, 14, parla del Dio salvatore, nato dalla razza dei giudei, loro fratello. S. ILDEFONSO, De virginitate perpetua sanctae Mariae, III, IV, VII, ricorda al giudeo i miracoli di quel Gesù che è ex traduce tua, ex stirpe tua, ex propagine generis tui, e che Maria è giudea: sit rogo, jam sit, rogo, judaee, gratissimum tibi tantae Virginis decus in tua cognatione repertum … , unde jam veni mecum ad hanc virginem, e, con l’insistenza monotona, ma qui affettuosa e toccante che gli è abituale, egli accumula sinonimi per esprimere il suo disegno di convincere i giudei: ipso (il Cristo) ducente, sequar eum (il giudeo); ipso praeeunte, curram post illum …, et, in quantum ipse permiserit, asseverem tibi, ostendam tibi …, convincam, probem … BARTOLOCCI, Bibliotheca magna rabbinica, t. I, p. 135, provava stupore nel vedere le grandi famiglie di Roma d’orine ebraica dissimulare la loro discendenza così onorevole da una nazione ex qua tot viri sancti, tum ex Veteri tum ex Novo Testamento, apostoli omnes, ipsaque beatissima Virgo Maria exorti sunt, ac eius Filius Christus Dominus ex ea nasci voluit.
L’atto di contrizione che viene solennemente pronunciato il venerdi santo nella chiesa delle religiose di Notre-Dame de Sion, costruita a Gerusalemme sulle rovine dell’Ecce homo, contiene le seguenti parole: «Ricordatevi della vostra prima alleanza, poiché le loro primizie erano sante; essi hanno per padri i patriarchi, ed è dalle loro tribù che sono usciti sia gli apostoli che hanno portato il vostro Vangelo fino ai confini del mondo, sia Maria, vostra Madre Immacolata, e voi stesso, divino Emmanuel, che siete nostro Dio benedetto in tutti i secoli». E, nella supplica ai Padri del concilio del Vaticano che recò 510 firme episcopali in favore del Postulatum pro Hebraeis, gli abati LÉMANN fecero valere queste due ragioni: quia ex eis est Christus secundum carmen, et ut soror nostra, beata Virgo Maria, optatissimo sibi gaudio materna inter viscera perfundatur quando supremum sublimis sui cantici suspirium senserit exauditum: Suscepit Israel puerum suum. Cfr. La cause des restes d’Israël introduite au concile oecuménique du Vatican, pp. 81, 90, 92, 95, 107-108, 120, 139, 146, 149,, 156, 192, 196, 197, 226, 246, e la lettera d’approvazione del cardinale COULLIÉ, p. 11. Cfr. anche NEWMAN, Notes de sermons, trad. FOLGHERA, Paris, 1914, p. 239; J. CELLIER, Pour et contre le Juifs, Saint-Amand, 1896, pp. 1, 10-18, 58-65, 363; A.-D. SERTILLANGES, Protestants et Juifs, in Nos luttes, Paris, 1903, p. 203, etc.
Bibl. ‒ Lavori complessivi o relativi ad un periodo della storia della polemica: C.G. Imbonati, Bibliotheca latino-hebraica sive de scriptoribus latinis qui ex diversis nationibus contra Judaeos vel de re hebraica utcumque scripsere, Roma, 1694; J.C. Wolf, Bibliotheca hebraea, Hamburg, 1715, t. II, pp. 96-144; J.A. Fabricius, Delectus argumentorum et syllabus scriptorum qui veritatem religionis christianae adversus atheos, epicureos, deistas seu naturalistas, idololatras, Judaeos et Muhammedanos lucubrationibus suis asseruerunt, Hamburg, 1725; K. Werner, Der heilige Thomas von Aquino, Ratisbona, 1858, t. I, pp. 623-663; Geschichte der apologetischen und polemischen Literatur der christlichen Theologie, II éd., Ratisbona, 1889, t. I, pp. 2-84; Geschichte der neuzeitlichen christlich-kirchlichen Apologetik, II éd., Ratisbona, 1889; A.C. McGiffert, Dialogue between a Christian and a jew, Marburg, 1889, pp. 12-27; S. Krauss, The Jews in the works of the Church Fathers, in The jewish quarterly review, London, 1893-1894, t. V, pp. 122-157, t. VI, pp. 82-99, 225-261; A. Klentz, Der Kirchenväter Ansichten und Lehren über die Juden, Münster, 1894; C. Siegfried, Ueber Ursprung und Entwicklung des Gegensatzes zwischen Christentum und Judentum, Jena, 1895; E. Le Blant, La controverse des chrétiens et des Juifs aux premiers siècles de l’Église, in Mémoires de la société nationale des antiquaries de France, VI série, Paris, 1898, t. VII, pp. 229-250; J. Martin, L’apologétique traditionelle, Paris, 1905, 3 voll.; J. Geffcken, Zwei Griechische Apologeten, Leipzig, 1907; G. Ziegler, Der Kampf zwischen Judenthum und Christenthum in der ersten drei christlischen Jahrhunderten, Berlin, 1907; O. Zöckler, Geschichte der Apologie des Christentum, Gütersloh, 1907; J. Juster, Examen critique des sources relatives à la condition juridique des Juifs dans l’empire romain, Paris, 1911, pp. 27-54.
Monografie: E.F. Scott, The apologetic of the New Testament, New York, 1907; E. Monier, Les débuts de l’apologetique chrétienne. L’apologetique des âpotres avant saint Jean, Brignais, 1912, pp. 3-43; J. Rivière, Saint Justin et les apologistes du second siècle, Paris, 1907, pp. 250-274; A. d’Alès, La théologie de Tertullien, Paris, 1905, pp. 5-22; P. Manceaux, Histoire littéraire de l’Afrique chrétienne, Paris, 1902-1906, t. I, pp. 293-301, t. II, pp. 277-284, t. III, pp. 468-469, 475-476; P. Berard, Saint Augustin et les Juifs, Besançon, 1913; V. Tiollier, Saint Grégoire le Grand et les Juifs, Brignais, 1913; T. Reinach, Agobard et les Juifs, in Revue des etudes juives, 1905, t. L, Actes et conferences de la société des etudes juives, pp. LXXXI-CXI; I. Lévi, Controverse entre un juif et un chrétien au XIᵉ siècle, in Revue des études juives, 1882, t. V, pp. 238-249; B. Monod, Le moine Guibert et son temps, Paris, 1905, pp. 197-216; F. Strowsky, Pascal et son temps, II éd., Paris,1908, t. III, pp. 222-268; M.-J. Lagrange, Pascal et les prophéties messianiques, in Revue biblique, 1906, t. III, pp. 533-560.
Conversioni: L. Gherardini, Catalogo dei neofiti illustri usciti per misericordia di Dio dall’ebreismo e poi rendutisi gloriosi nel cristianesimo per esmplarità di costume e profundità di dottrina, Firenze, 1658; Heman, art. Mission unter den Juden, in Realencyklopädie, III éd., Leipzig, 1903, t. XIII, pp. 171-192; J. F.A. de Le Roi, Die evangelische Christenheit und die Juden unter dem Gesichtspunkt der Mission, Karlsruhe, 1884-1892, 3 voll.; P. Bernard, La crise religieuse d’Israël. Le movement de conversion, in Etudes, Paris, 1907, t. CXII, pp. 228-242.
Conclusione
- La condotta degli ebrei verso i cristiani. ‒ B. LAZARE osserva, L’antisémitisme, pp. 1-21, che ovunque gli ebrei si stabilirono si sviluppò l’antisemitismo. «Poiché i nemici degli ebrei appartenevano alle razze più diverse, vivevano in paesi molto lontani gli uni dagli altri, erano retti da leggi differenti, governati da principî contrapposti, non avevano gli stessi costumi né le stesse abitudini, erano animati da spiriti dissimili che non permettevano loro di giudicare tutte le cose allo stesso modo, le cause generali dell’antisemitismo debbono dunque risiedere necessariamente nello stesso Israele e non in coloro che lo combatterono», e se non sempre i persecutori degli israeliti ebbero il diritto dalla loro parte, sono stati gli ebrei a causare, almeno in parte, i loro mali. «Di fronte all’unanimità delle manifestazioni antisemite, è difficile ammettere, come troppo spesso si è portati a fare, che esse furono sempre dovute a una guerra di religione».
Per quale ragione l’ebreo fu «universalmente odiato»? Perché ovunque, e fino ai giorni nostri, l’ebreo fu «un essere asociale», che si vantava della sua eccellenza, disprezzava ciò che non è ebreo e costituiva uno Stato nello Stato. Se si fosse attenuto al puro mosaismo, si sarebbe potuta verificare la sua fusione con gli altri popoli. Ma una cosa impedì ogni fusione: l’elaborazione del Talmud, il dominio e l’autorità dei dottori talmudisti. L’ebreo che invocava il Talmud si isolava dal resto degli uomini. Non era questione solo di asocialità; qui entrava in gioco l’esclusivismo. Egli entrava in contatto con il resto degli uomini per ragioni patriottiche, religiose, economiche, per servirsene, per commerciare con loro, per fare proseliti, ma rimanendo in disparte, rifiutando di sottomettersi ai loro costumi, reputando malvagie le loro idee, la loro influenza, il loro modo di vivere, proclamando che bisognava attendere, senza mescolarsi con questi «impuri», il ristabilimento dell’impero degli ebrei.
Questo odioso isolamento gli ebrei lo misero in pratica nei confronti dei cristiani. È proprio per non aver voluto isolarsi in questo modo, per aver rotto il «muro di separazione» tra pagani e cristiani e, di conseguenza, per adempiere ai suoi destini universali che la Chiesa si è separata dalla Sinagoga. È specialmente dai cristiani che il Talmud isolò gli ebrei.
Che gli ebrei abbiano sofferto a causa della distruzione di Gerusalemme è naturale, come pure che si siano sforzati di riconquistare l’indipendenza. Ed è altresì comprensibile che non abbiano visto di buon occhio la Chiesa staccarsi dalla Sinagoga, e non solo dei pagani, ma anche degli ebrei passare al cristianesimo. Che abbiano cercato di frapporre ostacoli, che abbiano accresciuto l’opera di proselitismo, testimoniato risentimento verso i transfughi, invidiato i progressi del cristianesimo, tutto ciò non sorprende; è umano e c’era da aspettarselo.
Ma nel loro malcontento essi hanno oltrepassato ogni misura. Non solo hanno fatto di tutto per perseguitare in prima persona, ma si sono anche associati al paganesimo persecutore in tutti i modi che l’odio suggeriva loro, additando i fedeli all’azione penale delle leggi, plaudendo ai supplizi, suscitando le persecuzioni con le calunnie che propagarono. COSTANTINO coglierà con una sola espressione l’impressione prodotta da tutti questi ricordi: inimicissima Judaeorum turba, i giudei sono la razza estremamente ostile ai cristiani.
Se, dopo il trionfo del cristianesimo, fossero restati tranquilli, se avessero rinunciato alle loro abitudini aggressive, se non avessero dato ai cristiani diffidenti, ai cristiani disposti a far espiare i loro torti così gravi e a non tollerare la recidiva, nuovi motivi di lamentele, impercettibilmente la situazione si sarebbe fatta più distesa. Ma gli ebrei non si rassegnarono ai doveri di quiete e riservatezza che dettavano loro le circostanze. La vittoria del cristianesimo apparve loro intollerabile. E, come abbiamo visto in dettaglio, continuarono, con parole ed atti, a dichiararsi nemici dei cristiani e del cristianesimo. L’espressione di Costantino è rimasta vera: per secoli essi sono stati la nazione inimicissima.
- La condotta dei cristiani verso gli ebrei. ‒ A. Lo Stato ‒ a) I capi di Stato. ‒ Questi presero, all’indomani del trionfo della Chiesa (313), delle misure legislative miranti ad impedire agli ebrei di turbare la fede o la tranquillità dei fedeli. L’insieme di tali misure fu adottato dalla Chiesa. I legislatori non stabilirono pene contro crimini chimerici; quelli di cui si è parlato sono contemplati perché sono esistiti ed è da temere che possano essere commessi di nuovo.
Oltre che per la fede dei singoli individui, in numerose circostanze gli ebrei costituirono un pericolo per la nazione che li aveva ospitati. Si comprende perché i capi di Stato fossero irritati dalla loro ostilità dichiarata o sorda, e perché i tradimenti degli ebrei, reali, se ve ne furono, o presunti tali, abbiano attirato su di essi una repressione energica. I loro eccessi usurai d’ogni genere giustificarono, con le loro perfidie, i rigori di cui furono fatti segno. In tutto ciò, né gli ebrei furono sempre innocenti, né i capi di Stato sempre irreprensibili. La Chiesa non è tenuta a rispondere dei torti di questi ultimi, non avendo approvato i loro abusi. Certamente è accaduto che, nelle loro relazioni con gli ebrei, Stato e Chiesa abbiano agito costantemente di concerto, che i principi siano stati costantemente mossi da motivi religiosi. Il re che trattò più duramente gli ebrei fu FILIPPO IL BELLO, il meno religioso di tutti.
Le leggi ostacolarono la conversione degli ebrei con il sequestro dei beni di coloro che ricevevano il battesimo, col pretesto che l’ebreo divenuto cristiano cessava di essere sottoposto alle tasse che gravavano su quelli della sua nazione e diminuivano di conseguenza le risorse del suo signore. Fin dagli inizi del medio evo questa consuetudine si introdusse in quasi tutti i paesi dell’Europa. GIOVANNI XXII (bolla Cum sit absurdum, 19 giugno 1320) ed altri papi protestarono. Alcuni re, come CARLO VI di Francia, emanarono degli editti contro questa pratica, ma invano. PAOLO III (bolla Cupientes Judaeos, 21 marzo 1542) ci informa che ai suoi tempi essa esisteva quasi ovunque.
- b) Il popolo. ‒ La Chiesa non è responsabile neppure di ciò che ha fatto il popolo, sia che questo abbia maltrattato gli ebrei per ragioni non confessionali, sia che abbia perseguito in essi i nemici della fede. Sempre volubile, fino ai limiti estremi, il popolo era trascinato dalla foga di un cuore barbaro. Da un lato, il suo temperamento superstizioso subiva il prestigio delle operazioni magiche in cui gli ebrei erano divenuti maestri; dall’altro, il minimo incidente lo trascinava a collere inconsulte e alle peggiori violenze. L’anticristianesimo degli ebrei era notorio. Il loro lealismo verso la nazione sospetto. Se circolava la voce che avevano tradito un regno, una città, che avevano insultato la religione cristiana, i suoi riti, i suoi ministri, l’indignazione popolare montava fino al parossismo. Anche senza ulteriori prove, era uno scatenamento furioso. I misfatti accertati disponevano a credere a quelli dubbi o immaginari. L’accusa di omicidio rituale aggravò una condizione già incresciosa. Ma ciò che il popolo vide soprattutto nell’ebreo fu l’usuraio, e questo, dice B. LAZARE, fu «odiato dal mondo intero».
- La Chiesa. ‒ I partigiani più convinti della tolleranza religiosa non possono pretendere che i nostri antenati giudicassero secondo le loro idee e che la Chiesa praticasse la tolleranza nel senso moderno del termine. Proclamandosi e credendosi la Chiesa autentica, la sola da prendere sul serio, la Chiesa non poteva professare l’indifferenza religiosa; essa reclamava per tutti il diritto di abbracciare il cristianesimo; non tollerava che la dottrina cristiana venisse combattuta, ostacolata, messa in pericolo. Questo spiega tutta la sua legislazione relativa agli ebrei. Essa vuole che gli ebrei non siano di ostacolo alla diffusione del Vangelo, che non costituiscano un pericolo per la fede dei cristiani. Ora, questo ostacolo, questo pericolo essi lo costituivano, naturalmente e con tutte le loro forze. Ma pur impedendo di nuocere ai cristiani e al cristianesimo, la Chiesa garantiva agli ebrei la libertà di praticare la propria religione. Essa condannò ogni violenza, ogni vessazione, ogni ingiustizia, sia nei principi che nel popolo. Protesse gli ebrei quando tutti li maltrattavano. E, cacciati da ogni dove, gli ebrei godettero sempre una relativa tranquillità negli Stati della Santa Sede. Sorvegliati più da vicino, meno liberi, nella seconda metà del XVI sec. non furono oggetto d’una proscrizione generale.
Anche quando infierì, la Chiesa amò gli ebrei, distinguendo le persone dagli atti. Nei testi più duri dei pontefici romani, dei Padri, dei polemisti, appare qua e là un’espressione che rivela il fondo di un pensiero generoso e affettuoso. Diremmo, con I. LOEB, Réflections sur les Juifs, p. 27, che tutto nella Chiesa nutre l’odio contro gli ebrei? «È impossibile, anche oggi, che la lettura pubblica dei Vangeli, lo sviluppo di certi testi dal pulpito, i racconti della Passione, non conservino, fino ad un certo punto, l’odio contro gli ebrei e non assicurino la persistenza dei sentimenti antisemiti». Il rilievo è giusto. Ma è colpa della Chiesa? Se gli ebrei, durante l’epoca delle persecuzioni, non fossero stati quei nemici implacabili del cristianesimo che abbiamo visto, i cristiani non avrebbero mostrato ostilità e diffidenza nei loro confronti. Ma come deporre le armi? Essendo oggi gli ebrei così accaniti contro i cristiani quanto lo furono i loro antenati contro il Cristo e gli apostoli, non c’è da stupirsi che il culto pubblico, la lettura del Vangelo e della Passione abbiano potuto contribuire a conservare e perpetuare questo atteggiamento ostile.
L’importanza degli inizi è straordinaria. Gli ebrei cominciarono male, e il resto fu conseguenza. Gli ebrei furono aggressori; i cristiani reagirono. Non volendo avere la peggio, gli ebrei ripresero la battaglia. Divennero la «nazione nemica» per eccellenza. Nel periodo delle origini, potevano esserlo senza pericolo. Ma dopo il 313 si presentarono dei pericoli, che però non li fermarono affatto. I capi di Stato, il popolo, la Chiesa, ciascuno a modo suo e secondo il proprio temperamento, repressero gli eccessi degli ebrei. Da parte dei principi e del popolo talvolta si rispose agli eccessi con altri eccessi. Questo è riprovevole. La Chiesa fu più moderata. Non praticò verso gli ebrei la tolleranza religiosa così come la proclamano, soprattutto in teoria, i nostri contemporanei. La Chiesa non tollerò che gli ebrei fossero d’ostacolo alla fede cristiana. La Chiesa rispettò la loro libertà e salvaguardò i loro diritti, ma a condizione che non ostacolassero il cristianesimo. Le parole di AGOBARDO, De insolentia Judaeorum, IV, riassumono la sua condotta: Observemus modum ad Ecclesia ordinatum, non utique obscurum sed manifeste expositum, qualiter erga eos cauti vel humani esse debeamus. E le parole di s. AGOSTINO, Adversus Judaeos, X, rivelano lo spirito della Chiesa: Haec, carissimi, sive gratanter sive indignanter audiant Judaei, nos tamen, ubi possumus, cum eorum dilectione praedicemus.
II
CONTROVERSIE CON GLI EBREI
Questo non è che uno schizzo incompleto: uno schizzo, sia perché un argomento così vasto non potrebbe essere approfondito in poche pagine, sia perché molti testi, soprattutto orientali, non sono stati ancora pubblicati. Non tratteremo della questione relativa al giudeo-cristianesimo e all’affare della Pasqua, né della polemica degli ebrei contro i cristiani, ma bensì unicamente della polemica dei cristiani contro gli ebrei.
La suddivisione adottata è quella della storia stessa del giudaismo post-cristiano:
- Dalle origini al trionfo della Chiesa (313). ‒ Il cristianesimo e il giudaismo si separano e il giudaismo prende parte, in una certa misura, alle persecuzioni contro i cristiani.
- Dal 313 al 1100. ‒ Lo Stato, divenuto cristiano, comincia a legiferare contro gli ebrei; in generale, l’applicazione delle leggi è piuttosto benevola.
III. Dal 1100 al 1500. ‒ La legislazione antigiudaica si aggrava; gli ebrei sono trattati con maggior rigore ed infine espulsi da quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale.
- Dal 1500 al 1789. ‒ Gli ebrei vivono in uno stato di prostrazione, ma a poco a poco la loro sorte si allevia; il fermento dei principî che farà prevalere la Rivoluzione francese prepara per essi tempi propizi.
- Dal 1789 ai giorni nostri. ‒ È l’epoca dell’emancipazione civile, e successivamente delle lotte dell’antisemitismo.
Bibl. generale ‒ Non esiste un lavoro generale soddisfacente. Per la bibliografia cfr. C.G. Imbonati, Bibliotheca latino-hebraica sive de scriptoribus latinis qui contra Judaeos vel de re hebraica utcumque scripsere, Roma, 1694 (pieno di inesattezze); J.C. Wolf, Bibliotheca hebraea, Hamburg, 1715, t. II, pp. 96-144; J.A. Fabricius, Delectus argomentorum et syllabus scriptorum qui veritatem religionis christianae adversus atheos, epicureos, deistas seu naturalistas, idololatras, Judaeos et mahummedanos lucubrationibus suis asseruerunt, Hamburg, 1725 (accurato); A.C.Mc Giffert, Dialogue between a christian and a jew, Marburg, 1889, pp. 12-17 (carente); J. Juster, Examen critique des sources relatives à la condition juridique des Juifs dans l’empire romain, Paris, 1911, pp. 27-54, e Les Juifs dans l’empire romain, leur condition juridique, économique et sociale, Paris, 1914, t. I, pp. 60-119 (numerose informazioni, non va oltre il periodo dei Padri).
Per lo studio delle idee, oltre alle tre opere (superficiali) di K. Werner, Geschichte der apologetischen und polemischen Literatur der christlichen Theologie, II éd., Ratisbona, 1889, t. I, pp. 2-84; Der heil. Thomas von Aquino, Ratisbona, 1858, t. I, pp. 623-663; Geschichte der neuzeitlichen christlich-kirchlichen Apologetik, II éd., Ratisbona, 1889, cfr. J. Martin, L’apologétique traditionnelle, Paris, 1905, 3 voll. (interessante, un po’ sistematica); O. Zöckler, Geschichte der Apologie des Christentums, Gütersloh, 1907 (incompleto).
Per la conoscenza dell’ambiente e delle condizioni storiche in cui si è sviluppata la controversia cfr. lo storico ebreo H. Grätz, Geschichte der Juden, Leipzig, 1860-1875, 11 voll., trad franc. abbreviata L. Wogue e M. Bloch, Paris, 1882-1897, 5 voll.; F. Vernet, Juifs et chrétiens, in Dictionnaire apologétique de la foi catholique, Paris, 1915, t. II, coll. 1651-1764.
- Dalle origini al trionfo della Chiesa (313). ‒ 1° Gli scritti. ‒ 1. Scritti conservati. ‒ Tutta la polemica antigiudaica è in germe nel Nuovo Testamento, e in particolare in s. Paolo; la lettera ai Galati può essere considerata il primo monumento di questa letteratura. Cfr. E.F. Scott, The apologetic of the New Testament, New York, 1907; E. Monier, Les débuts de l’apologetique chétienne. L’apologetique des apôtres avant saint Jean, Brignais, 1912, pp. 3-43.
Al di fuori del Nuovo Testamento ci sono pervenuti, in parte o completi: Aί διᾲήκαι τῶν ιϐ’ πατριαρών, I testamenti dei dodici patriarchi, P.G. t. II, coll. 1037-1150 e, meglio, éd. R.H. Charles, Oxford, 1908; trad. fr. in Migne, Dictionnaire des apocryphes, Paris, 1856, t. I, coll. 853-936. Apocrifo d’origine ebraica, con importanti interpolazioni cristiane, forse della fine del I sec., tendente a far riconoscere il Cristo dai giudei. ‒ Pseudo-Barnaba, Έπιστολή, P.G., t. II, coll. 727-782 (testo greco incompleto dei c. I-IV e della metà del c. V scoperti da Tischendorf nel 1859), ed ed. completa e trad. Hemmer-Oger-Laurent, in Les Pères apostoliques, Paris, 1907, t. I, pp. 30-101; scritta tra il 117 e il 137. Cfr. t. II, coll. 416-422. S. Giustino, Πρός Τρύφωνα Ἰουδαῖον διάλογος, P.G., t. VI, coll. 471-800, ed ed. e trad. G. Archambault, Paris, 1909, 2 voll.; scritto intorno al 155. Tertulliano, Adversus Judaeos, P.L., t. II, coll. 597-642; scritto tra il 200 e il 206, a proposito di una discussione recente, sicuramente a Cartagine, fra un cristiano e un proselito giudeo, sulla questione di sapere se i gentili erano esclusi dalle promesse divine. Si è supposto, senza valide prove, che i soli primi otto capitoli sarebbero autentici e che il resto non sarebbe che una grossolana compilazione realizzata soprattutto con frammenti dell’Adversus Marcionem. ‒ Clemente Alessandrino, Στρωματεῖς, VII, c. XV, cfr. XVIII, P.G., t. IX, coll. 524, 553-558, afferma che risponderà ai greci e ai giudei che obiettano contro il cristianesimo le discussioni degli eretici; scritti tra il 202 e il 211. ‒ S. Ippolito († dopo il 235), Ἀποδεικτκή πρός Ἰουδαίους, P.G., t. X, coll. 787-797, un solo frammento la cui autenticità è dubbia. ‒ Origene, componendo i suoi Ἐξαπλᾶ Βιβλία, P.G., t. XV- XVI (frammenti), terminati intorno al 245, volle fornire lo strumento per conoscere il testo ebraico e citarlo, nella controversia con i giudei, e togliere loro un motivo di derisione di cui si valevano perché si credevano autorizzati a tacciare i loro contraddittori d’ignoranza. Cfr. il suo Ἐπιστολή πρός Αφρίκανον, n. 5, P.G., t. XI, coll. 60-61. Nel Κατά Κελσοῦ, intorno al 244-249, egli confuta ciò che Celso, con un goffo procedimento retorico, mette sulle labbra di un giudeo contro il Cristo e contro i giudei convertiti al cristianesimo. Cfr. preaf., c. VI, libro I, c. XXVIII, ; libro II, c. I, P.G. t. XI, coll. 650, 713, 792.
- Cipriano, Testimonia ad Quirinum, P.L., t. IV, coll. 679-780, prima del 250, in tre libri, i primi due dei quali riuniscono metodicamente passi della Scrittura, allo scopo di provare la decadenza dei giudei, la vocazione dei gentili e la verità del cristianesimo. In appendice alle opere di s. Cipriano spesso si inserirono i seguenti tre piccoli trattati, che però non sono suoi: De montibus Sina et Sion, P.L., t. IV, coll. 909-918; queste due montagne rappresentano l’una l’Antico e l’altra il Nuovo Testamento. L’opera è forse della prima metà del III sec. e verosimilmente di provenienza africana; Adversus Judaeos, P.L., t. IV, coll. 919-926: un discorso che è stato ricollegato all’ambiente di Novaziano; Ad Vigilium episcopum de judaica incredulitate, P.L., t. III, coll. 119-132, lettera con l’invio della traduzione del Dialogo di Aristone di Pella che ritroveremo fra breve; l’autore è un Celso, peraltro sconosciuto, che visse forse nel III sec. Cfr. t. I, col. 1868; t. III, col. 2465.
Lattanzio, Divinarum institutionum, l. IV, c. II, P.L., t. VI, col. 425, intorno al 311, dichiara che questo l. IV, che tratta della verità del cristianesimo, è contro i giudei. Cfr., dello stesso, Epitome divinarum institutionum, c. XLII-LI, P.L., t. VI, coll. 1048-1058. ‒ Commodiano, forse ebreo di nascita, sembra dover essere collocato nel III sec. o, al più tardi, nel IV, malgrado i tentativi fatti per anticiparne la datazione. Cfr. A. d’Alès, Commodien, in Recherches de science religieuse, Paris, 1911, t. II, pp. 480-520. Il titolo del suo scritto, Carmen apologeticum adversus Judaeos et gentes, è stato concepito dal suo primo editore, il futuro cardinale Pitra, Spicilegium Solesmense, Paris, 1852, t. I, p. XXI, e non indica molto esattamente il contenuto; ma in quest’opera, e ancor più nelle Instructiones, P.L., t. V, coll. 189-262, Commodiano espone le ragioni per cui pagani e giudei dovrebbero abbracciare il cristianesimo. Cfr. t. III, coll. 412-419.
- Scritti perduti. ‒ Aristone di Pella, Ἰάσωνος καί Παπίσκου άντιλογία περί Χριστοῦ, fra il 135 e il 165. Questo scritto, del quale Origene, Κατά Κελσοῦ, l. IV, c. LII, col. 1113, dà il titolo e che fu celebre nell’antichità cristiana, non è stato conservato se non nella sua traduzione latina di un Celso prima menzionato. A. Harnack, Die Altercatio Simonis judaei et Theophili christiani, Leipzig, 1883, ha supposto che il Dialogo di Aristone sia servito di base all’Altercatio e fu utilizzato da diversi controversisti successivi. Questa ipotesi ebbe una certa eco. Cfr. t. I, col. 1869. P. Corssen, Die Altercatio Simonis judaei et Theophili christiani auf ihre Quellen geprüft, Berlin, 1890, ha dimostrato che esso non si basa sull’Altercatio Simonis et Theophili, e lo stesso Harnack ha accettato queste conclusioni. Cfr. T. Zahn, Forschungen zur Geschichte des neutestamentlichen Kanons und der altchristlichen Litteratur, Erlangen, 1891, t. IV, pp. 308-329. Non è neppure provato che Aristone abbia servito da fonte ai diologhi tra un giudeo e un Cristiano pubblicati da A.C. Mc Giffert e F.C. Conybeare, di cui parleremo più in là, checché ne abbiano pensato gli editori.
- Melitone di Sardi, intorno al 150, Ἐκλογαί, in sei libri, estratti di Mosè e dei profeti relativi al Cristo. Eusebio, H.E., l. IV, c. XXVI, P.G., t. XX, coll. 396-397, ne cita la prefazione, la lettera ad un cristiano di nome Onesimo, che contiene il catalogo dei libri dell’Antico Testamento. – S. Apollinare di Ierapoli, prima del 180, Πρός Ἰουδαίους, in due libri. Cfr. Eusebio, l. IV, c. XXVII, col. 397. – L’apologista Milzide, prima del 190, Πρός Ἰουδαίος. Cfr. Eusebio, l. V, c. XVII, col. 476. – S. Serapione di Antiochia, una lettera a un tale Domno che, al tempo della persecuzione di Settimio Severo (202), s’era allontanato dalla fede in Cristo passando al giudaismo. Cfr. Eusebio, l. VI, c. XII, coll. 544-545. – Ammonio di Alessandria, di cui Origene fu uditore, Περί τῆς Μωυσέος καί Ἰησου συμφωνίας. Cfr. Eusebio, l. VI, c. XIX, col. 568.
- Scritti problematici. ‒ Non sappiamo se Lattanzio abbia realizzato il suo disegno, Divin. institut., l. VII, c. I, P.L., t. VI, col. 739, di combttere i giudei in un trattato particolare. ‒ J. Rendell Harris, Testimonies, Cambridge, 1916, t. I, constatando delle analogie, nell’utilizzo dell’argomento scritturale, tra Giustino, Tertulliano e gli altri scrittori che hanno combattuto il giudaismo, ha creduto di poter concludere che tali punti di incontro si spiegherebbero con l’esistenza di una raccolta di testimonianze dell’Antico Testamento a cui essi avrebbero attinto. Tale raccolta non sarebbero che i Logia compilati, secondo Papia, in Eusebio, l. III, c. XXXIX, col. 300, da s. Matteo in lingua ebraica, fonte non soltanto degli scrittori ecclesiastici, ma anche di quelli del Nuovo Testamento. In questi antichi Logia di s. Matteo avremmo un rimaneggiamento greco in un manoscritto del XVI sec. (nel monastero di Iveron, sul monte Athos) che contiene uno scritto di un monaco Matteo contro i giudei. Fino a prova contraria, malgrado l’erudizione e l’ingegnosità dispensate per renderle accettabili, queste ipotesi appaiono inconsistenti. Tutt’al più si potrebbe ammettere come possibile l’esistenza di una raccolta di testimonianze anteriori a quelle di Cipriano e di Melitone di Sardi; ma anche questa è una pura congettura. Cfr. A. d’Alès, Testimonia et Logia, in Recherches de science religieuse, Paris, 1917, t. VIII, pp. 303-326. Circa altre ipotesi relative all’esistenza di questa raccolta cfr. art. IRÉNÉE, t. VIII, col. 2516.
- Scritti dove gli ebrei sono combattuti indirettamente. ‒ Oltre agli scritti che attaccano gli ebrei direttamente, ve ne sono molti altri che si indirizzano ad essi, ma li combattono en passant o indirettamente, confutando alcune delle loro dottrine principali. È il caso di tutte le opere di apologetica cristiana. L’autore della Lettera a Diogneto afferma che i cristiani non osservano il culto giudaico perché è puerile e indegno del vero Dio. Cfr. t. IV, coll. 1366-1369. La prova della divinità del Cristo e del cristianesimo dedotta dai profeti occupa una parte rilevante non solo nel Dialogo con Trifone di s. Giustino, ma anche nella sua prima Apologia. Cfr. J. Martin, L’apologétique traditionnelle, Paris, 1905, t. I, pp. 14-21. Lo stesso vale per s. Ireneo. Cfr. t. VII, coll. 2464-2466.
L’autore del Contra haereses sottolinea, in tutto il libro IV, l’unità e la continuità tra Israele e la Chiesa. Cfr. A. Dufourcq, Saint Irénée (La pensée chrétienne), Paris, 1905, pp. 3-5, 173-211. L’Adversus Marcionem di Tertulliano sviluppa, in una forma un po’ differente, l’argomento delle profezie messianiche presentato nell’Adversus Judaeos. Cfr. A. d’Alès, La théologie de Tertullien, Paris, 1905, p. 9. Il libro IV del Περί ἀρχῶν di Origene riprende la dimostrazione di Ireneo sui rapporti tra i due Testamenti; da segnalare soprattutto i c. I-V, P.G., t. XI, coll. 344-352, sulla divinità del cristianesimo provata dal compimento delle profezie nella persona e nell’opera del Cristo.
2°. La natura degli scritti. ‒ Gli scritti contro i giudei hanno per autori giudei convertiti (lo pseudo-Barnaba), pagani convertiti (s. Giustino), cristiani di nascita, laici (probabilmente s. Giustino), preti, vescovi. Vi sono rappresentati quasi tutti i generi: trattati didattici, raccolte di testi, scritti giudaici interpolati, lettere, discorsi, la prefazione di una traduzione, la poesia, la critica testuale e l’esegesi biblica, scritti indirizzati direttamente ed esclusivamente ai giudei e scritti dove questi non compaiono che marginalmente e di riflesso. I Dialoghi di Aristone di Pella e di s. Giustino provengono da una controversia reale tra cristiani e giudei, oppure nella loro forma dialogica bisogna vedere un semplice espediente letterario? Non lo sappiamo. All’inizio il giudaismo ignorò sistematicamente il cristianesimo. Ma questo non poteva durare; giudei e cristiani finirono per incontrarsi. È in seguito ad una discussione fra un cristiano ed un proselito giudeo che Tertulliano scrisse l’Adversus Judaeos. Origene, Κατά Κελσοῦ. l. I, c. XLV, cfr. XLIX, LV, LVI, P.G., t. XI, coll. 744, 753, 761, 764, parla di discussioni che ebbe con dei rabbini, in presenza di una folla che doveva fungere da giudice della contesa, e se egli cominciò a scrivere gli Hexaples, ciò fu per munire i cristiani di armi di buona qualità nelle controversie con loro. Riguardo a s. Giustino, Eusebio, H.E., l. IV, c. XVIII, P.G., t. XX, col. 376, dice che il suo Dialogo nacque da una discussione che ebbe, ad Efeso, «con il più celebre dei giudei del tempo». Si tratterebbe del famoso rabbi Tarphon di Lidda? È possibile, ma non certo. Ad ogni modo, il Dialogo non fu composto che intorno al 152, circa vent’anni dopo la data in cui si pensa sia avvenuta la discussione.
3° Il contenuto degli scritti. ‒ 1. Parte positiva della controversia. ‒ a) L’argomento profetico. ‒ L’argomento tratto dalle profezie e dal loro compimento costituisce l’essenziale della polemica antigiudaica. La Scrittura annuncia che la Legge sarà abrogata, che i giudei saranno rigettati come popolo di Dio e che i gentili prenderanno il loro posto. Gesù di Nazareth è il Figlio di Dio incarnato, il Messia atteso; egli ha realizzato le profezie messianiche, che si applicano a lui nei minimi particolari. Queste due idee costituiscono la suddivisione dei primi due libri dei Testimonia di s. Cipriano ( il terzo concerne la pratica della vita cristiana). Esse si ritrovano, benché in un ordine un po’ differente e abbastanza slegato dal resto, nel Dialogo con il giudeo Trifone: caducità della Legge, divinità del Cristo, vocazione dei gentili, e ritornano ovunque.
- b) La realtà della Chiesa. ‒ Le profezie non si separano dalla Chiesa. La perfezione della Chiesa, l’eccellenza della sua dottrina, la sua propagazione meravigliosa malgrado tutti gli ostacoli e contrariamente a tutte le previsioni umane, garantiscono l’origine divina del cristianesimo. Le profezie è la Chiesa che «nello stesso tempo le realizza, le spiega e le giustifica». J. Martin, L’apologetique traditionnelle, t. I, p. 35; cfr. alcuni bei testi, pp. 13-14, 17-18, 22-24, 33-34 (s. Giustino); pp. 77-78 (Clemente Alessandrino); pp. 92-93, 97-99; 101-114 (Origene).
- c) Necessità delle disposizioni morali. ‒ Del resto, le profezie sono difficili, spesso oscure. Dio le rende intelligibili a quelli ch sono ben disposti. Per comprenderle, per discernere il loro compimento, ci vuole un animo preparato, umile, distaccato da se stesso. «Solo l’uomo veramente saggio nel Cristo è nella condizione di spiegare i discorsi profetici oscuri e confusi», dice Origene, Κατά Κελσοῦ, l. VII, c. XI, P.G., col. 1436. Ed anche per il Vangelo bisogna osservare, l. I, c. XLII, col. 737, che «la lettura di questa storia richiede un animo sincero, una ricerca attenta, e, se è permesso parlare così, un’attitudine a penetrare nello spirito degli scrittori». Cfr. L. Martin, t. I, pp. 14-35 (s. Giustino); 82-85 (Tertulliano); 90 (s. Cipriano); 92-114 (Origene).
- Parte negativa. ‒ Vengono confutati gli argomenti dei giudei. ‒ a) L’abbandono della legge. ‒ Vengono respinte le accuse derivanti da questo abbandono. Si insiste sul fatto che i giudei, un tempo fedeli al Dio dei loro padri e legati alla legge cerimoniale, sono ridotti all’impotenza dopo che è stato loro impedito l’accesso al tempio. Si indica inoltre il duplice ruolo delle osservanze dell’Antico Testamento, pedagogiche e simboliche: pedagogiche ‒ avevano per scopo di impedire ai giudei di cadere nell’oblio di Dio e nell’idolatria; simboliche ‒ rappresentavano ed prefiguravano le realtà superiori della fede cristiana. Cfr. K. Werner, Geschichte der apologetischen und polemischen Literatur der christlichen Theologie, II ed., Ratisbona, 1889, t. I, pp. 58, 67-72.
- b) La Trinità divina. ‒ Viene respinto il rimprovero di distruggere l’unità della natura divina sostenendo la trinità delle persone e, in modo particolare, la divinità del Cristo. Punto importante, il solo al quale abbiano attinto le rare vestigia di polemica che si ritrovano negli scritti rabbinici. Cfr. M.J. Lagrange, Le messianisme chez les Juifs, Paris, 1909, pp. 295-300.
- c) La vita e la morte del Cristo. ‒ Ci si libera facilmente dell’obiezione tratta dal supplizio ignominioso inflitto al Cristo, dalla sua vita povera ed umile, che non sfugge alla calunnia e all’oltraggio grossolano. Questi attacchi dei rabbini, semplicemente odiosi, sono stati conosciuti da Giustino, Tertulliano, Origene e dal martire Pionio. H.L. Strack, Jesus, die Häretiker und die Christen nach den ältesten jüdischen Angaben, Leipzig, 1910, pp. 8-10, 14. Celso li mette sulla bocca del giudeo che fa parlare contro il cristianesimo; essi sono giudicati come meritano da Origene.
4° Il valore degli scritti. ‒ Tutti questi scritti hanno un valore disuguale, ma non vi manca del buon materiale. La raccolta di s. Cipriano è utile. Il Dialogo con Trifone, ed anche l’Adversus Judaeos di Tertulliano, che è la sua opera migliore, nonché il trattato di Origene Contro Celso hanno dato all’apologia del cristianesimo una parte della sua forma definitiva. Il problema dei rapporti fra Antico e Nuovo Testamento viene risolto rigorosamente. L’argomento delle profezie tiene conto giustamente di tutto il contesto biblico: è l’intero Antico Testamento, non questo o quel documento isolato più o meno discutibile che rende testimonianza a tutto il Nuovo Testamento. Inoltre, gli antichi controversisti hanno ben compreso che la forza probante dell’argomento profetico richiede, per essere accettato, buone disposizioni d’animo e che la realtà della Chiesa garantisce la divinità della sua origine. Giustissima è l’idea da essi sviluppata, poi costantemente ripresa, che l’esecuzione di molte delle osservanze principali della Legge mosaica è divenuta materialmente impossibile dopo la distruzione del tempio. Notiamo ancora che s. Giustino è al corrente dell’esegesi giudaica; Origene conosce l’ebraico, ha discusso con dei rabbini e i suoi Hexaples furono un’opera scientifica notevole.
Sfortunatamente altri controversisti con conobbero l’ebraico; era una grave lacuna non poter ricorrere al testo originale. Inoltre, il testo dei Settanta che utilizzavano aveva delle interpolazioni e la loro esegesi fu talvolta errata; accanto a interpretazioni perfettamente fondate, essi ne offrono altre dubbie, errate e puerili. La sottigliezza eccessiva e l’allegorismo imperante viziano in alcuni punti gli scritti di Giustino, Tertulliano e Origene, e ancor più quelli di molti altri. Lo pseudo-Barnaba, ad es., e l’autore del De montibus Sina et Sion vanno troppo oltre. Indubbiamente i rabbini prediligevano lo stesso metodo allegorico, il quale consisteva nel dedurre conclusioni dogmatiche dai minimi dettagli di un testo; ma, in materia di allegoria, il difficile non è trovare, ma far accettare dagli altri ciò che si è trovato. Nell’ardore della lotta e in questa ricerca febbrile dell’allegoria, alcuni sacrificano a torto l’Antico Testamento: a leggere lo pseudo-Barnaba e la Lettera a Diogneto si crederebbe che le osservanze giudaiche furono vane e che il culto che i giudei resero a Dio è quasi assimilabile all’idolatria. Infine, il tono di questi scritti è abbastanza duro e a tratti virulento, specialmente nello pseudo-Barnaba, in Tertulliano, nell’Adversus Judaeos dello pseudo-Cipriano e in Commodiano.
L’invettiva è un’arma inefficace per conquistare gli avversari e, quando lo pseudo-Cipriano termina il suo Adversus Judaeos, P.L., t. IV, coll. 924-925, invitando i giudei a convertirsi, ci si rende conto di quanto abbia sbagliato. S. Giustino, che supera su tutta la linea, malgrado l’assenza di composizione e una certa rozzezza letteraria, gli scrittori antigiudei di questo periodo, è invece d’un temperamento irenico. Se denuncia con vigore gli eccessi dei giudei, ha per essi e per la loro testimonianza una carità evangelica: «Noi non odiamo né voi, dice, né coloro che da voi hanno ricevuto la cattiva opinione che hanno di noi, ma preghiamo affinché voi tutti otteniate misericordia», Dial., c. CVIII, cfr. XVIII, XCVI.
Bibl. ‒ A. Harnack, Die Altercatio judaei et Theophili christiani nebst Untersuchungen über die antijüdische Polemik in der alten Kirche (Texte und Untersuchungen, t. I, fasc. 3), Leipzig, 1883; Judentum und Judenchristentum in Justin’s Dialog mit Tripho, Leipzig, 1913; E. Le Blant, La controverse des chrétiens et des Juifs aux premiers siècles de l’Église, in Mémoires de la société nationale des antiquaires de France, VI série, Paris, 1898, t. VII, pp. 229-250 (cita anche gli scrittori posteriori alla pace della Chiesa); P. Monceaux, Histoire littéraire de l’Afrique chrétienne, Paris, 1902-1906, t. I, pp. 293-301 (Tertulliano); t. II, pp. 277-284 (Cipriano); t. III, pp. 468-476 (Commodiano); J. Martin, L’apologetique traditionnelle, Paris, 1905, t. I, pp. 1-114, 199-202, 227-237; A. d’Alès, La théologie de Tertullien, Paris, 1905, pp. 5-22; J. Rivière, Saint Justin et les apologistes du second siècle, Paris, 1907, pp. 250-274; G. Ziegler, Der Kampf zwischen Judentum und Christentum in der ersten drei Jahrhunderten, Berlin, 1904; M.J. Lagrange, Saint Justin (Les saints), Paris, 1914, pp. 24-66.
- Dal 313 al 1100. ‒ 1° Gli scrittori orientali. ‒ 1. IV secolo. ‒ Eusebio di Cesarea combatte il giudaismo nella grande opera di controversia, di cui la Προπαρασκευὴ εὺαγγελική, P.G., t. XXI, e l’ Εὐαγγελκὴ ἀπόδειξις, P.G., t. XXII, coll. 13-794, costituiscono le due parti, soprattutto nell’Απόδειξις, iniziate probabilmente prima del 313, ma terminate molto tempo dopo, come pure nella Θεοφάνεια, una delle ultime opere di Eusebio, che è una specie di compendio dell’Απόδειξις, t. XXIV, coll. 609-690 (frammentaria, una versione siriaca integrale è stata pubblicata da s. Lee, Eusebius on the Theophania, Cambridge, 1843) e nelle Προφητικαί ἐκλογαί, t. XXII, coll. 1012-1262. ‒ Eusebio di Emesa († 359), Contro i giudei; ne possediamo alcune righe in Elia di bar Sinaya, metropolita di Nisibi, Cronaca, trad. L.J. Delaporte, Paris, 1910, p. 311. ‒ S. Efrem († 373), Contro i giudei, un sermone per la domenica delle Palme, testo siriaco e trad. lat. in Opera omnia, ed. Evodio Assemani, Roma, 1743, t. III, pp. 209-224. ‒ S. Gregorio di Nissa, Λόγος καηᾀηᾀτικός. P.G., t. XLV, colll. 9-106, trad. franc. L. Méridier, Paris, 1908; prima del 385, ad uso di coloro che devono istruire i catecumeni per rispondere alle contestazioni di pagani, giudei ed eretici. Le Ἐκλογαί μαρτυριῶν πρὸς Ίουδαίους pubblicate con il suo nome, t. XLVI, coll. 193-234, sono gravemente alterate, se non apocrife. ‒ S. Giovanni Crisostomo, Λόγοι κατά Ἰουδαίων, P.G., t. XLVIII, coll. 843-942, nove sermoni pronunciati dal 387 al 389; cfr. Usener, Religionsgeschichtliche Untersuchungen, Bonn, 1889, pp. 227-240. Il Πρός τε Ἰουδαίους καί Ἕλληννας ἀπόδειξις ὅτι ἐστί ϑεός ὁ Χριστός, t. XLVIII, coll. 813-838 non è sicuramente autentico, mentre il Πρὸς Ἰουδαίους καί Ἓλληνας καί αἱρετικούς, t. XLVIII, coll. 1075-1080 è sicuramente non autentico
Classifichiamo fra gli scritti orientali, per via dell’origine siriaca dell’autore, il Liber fidei de S. Trinitate et incarnatione Domini, P.G., t. XXXIII, coll. 1541-1546, del giudeo convertito Isaac, tornato poi di nuovo al giudaismo. Egli potrebbe anche essere l’autore delle Quaestiones Veteris et Novi Testamenti, falsamente attribuite a s. Agostino: la XLIV, P.L., t. XXV, coll. 2240-2243 (non compare in alcuni manoscritti) è contro i giudei. Cfr. sopra coll. 1-6. ‒ Una leggenda, creata in Oriente verso la fine del IV sec. e importata in Occidente verso la fine del V, vuole che l’imperatrice Elena, ancora pagana ma attratta dal giudaismo, sapendo che Costantino era cristiano, lo abbia esortato a farsi giudeo; Costantino avrebbe deciso che, al fine di far conoscere quale fosse la vera religione, avesse luogo, a Roma, un dibattito tra cristiani e giudei, e i cristiani, rappresentati dal papa Silvestro, avrebbero riportato una sonora vittoria. Questa discussione costituisce la seconda parte, più recente, della leggenda. Cfr. una vecchia traduzione dal greco in Boninus Mombritius, Sanctuarium seu vitae sanctorum, n. e., Paris, 1910, t. II, pp. 508-531; una redazione greca molto antica degli Atti di Silvestro in F. Combefis, Illustrium Christi martyrum lecti triumphi, Paris, 1660, pp. 254 sgg. (un frammento in P.L., t. VIII, col. 814); una redazione siriaca in J.P.N. Land, Anecdota syriaca, 1868, t. III, pp. 46-76; una trad. tedesca fatta sull’ed. siriaca e su un ms. del British Museum da V. Ryssel, Die Sylvesterlegende, in Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen, Brunswick, 1895, t. XCV, pp. 1-54.
- V secolo. ‒ Di Antioco, vescovo di Tolemaide, intorno al 400, papa Gelasio, Tract., III, c. XXVI, in A. Thiel, Epistolae rom. pontificum, Braunsberg, 1868, t. I, p. 552, cita un sermone contro i giudei. ‒ Filippo di Side, sincello di Crisostomo, riferiva, nella sua Χριστιανική ἱστορία, scritta intorno al 426, di una disputa di era stato testimone in Persia, fra cristiani, pagani e giudei. Un frammento in un ms. di Vienna (Austria); cfr. Mc Giffert, Dialogue between a christian and a jew, Marburg, 1889, p. 16. ‒ S. Cirillo di Alessandria († 444) combatte più o meno direttamente il giudaismo in Πρὸς τὰ τοῦ ἐν ὰθέοις Ἰουλιάνου, P.G., t. LXXVI, coll. 503-1064; Sul fallimento della sinagoga, t. LXXVI, coll. 1421-1422 (un frammento); Περὶ τῆς ἐν πνεύματι καί ẚληθείᾳ προσκυνήσεως, t. LXVIII, coll. 133-1125; soprattutto in un certo numero dei Γλαϕυρά, t. LXIX, coll. 9-679, in modo particolare coll. 154-176, 533-538, 589-606. Cfr. t. III, coll. 2483-2496. Il Liber adversus Judaeos pubblicato nell’ed. latina delle sue opere, Paris, 1604, t. I, pp. 733-734, non è suo.
- Isidoro di Pelusio († intorno al 450), Ἐπιστολαί, P.G., t. LXXVIII, combatte frequentemente i giudei o direttamente, o mostrando la differenza e l’armonia dei due Testamenti. Cfr. sopra, coll. 89-90, 92, 93. ‒ Teodoreto di Ciro († 457), Κατὰ Ἰουδαίων; un frammento in A.M. Bandini, Catalogus codicum mss bibliothecae Mediceae Laurentinae, Firenze, 1764, t. I, pp. 110-112. Su uno scritto apocrifo, cfr. Imbonati, Bibliotheca latino-ebraica, pp. 271-272. ‒ Basilio di Seleucia († dopo il 458), Ἀπόδειξις κατὰ Ἰουδαίων περὶ τῆς τοῦ Σωτῆρος Παρουσίας, il XXXVIII dei sermoni, P.G., t. LXXXV, coll. 399-426.
- VI secolo. ‒ E. Bratke, Das sogenannte Religionsgespräch am Hofe der Sassaniden, Leipzig, 1899 (Texte und Untersuchungen, n. s., IV, 3), ha pubblicato una controversia che si suppone avvenuta alla corte dei sassanidi, tra pagani, giudei e cristiani. L’autore vi si rivela ignorante di cose persiane; l’opera dovrebbe essere stata scritta in Asia Minore, nel VI sec. o forse nel IV.
- VII secolo. ‒ Giovanni Beth-Raban (intorno al 610), della scuola di Nisibi, Questioni contro i giudei. Cfr. G.S. Assemani, Bibliotheca orientalis Clementino-Vaticana, Roma, 1728, t. III a, p. 72. ‒ Leonzio di Neapolis (intorno al 620), Ὑπὲρ τῆς χριστιανῶν ἀπολογίας κατὰ Ἰουδαίων καὶ περὶεỉκὸνων, P.G., t. XCIII, coll. 1597-1612, due frammenti di un sermone, il secondo in una traduzione latina. ‒ Stefano, vescovo di Bostra, Κατὰ Ἰουὒαίων, un frammento in s. Giovanni Damasceno, Πρὸς τοὺς διαθάλλοντας τὰς ἁγίας εἰκόνας. l. III, c. XLII, P.G., t. XCIV, col. 1376. Cfr. G.M. Mercati, Stephani Bostrani nova de sacris imaginibus fragmenta e libro deperdito Κατὰ Ἰουὓαίων, in Theologische Quartalschrift, Tübingen, 1895, t. LXXVII, pp. 663-668.
Sotto il nome di s. Gregorio, arcivescovo di Taphar, in Arabia († 552), abbiamo una Διάλεξις μετὰ Ἰουδαίου Ἑρθαν τοὒνομα, P.G., t. LXXXVI, coll. 621-784, che riproduce verosimilmente una controversia con dei giudei alla corte del re degli Omeriti, intorno al 540. La veridicità della discussione e l’autenticità dell’opera sono molto sospette e la personalità stessa di Gregorio è enigmatica; l’opera potrebbe essere del VI sec. ‒ Διδασκαλία Ἰακώβου νεοθαπτίστου, scritta intorno al 670, è ritenuta l’opera di un tale giudeo Giacobbe convertito a forza e in seguito pervenuto all’adesione razionale e volontaria al cristianesimo; è più una lezione didattica che non un dialogo, in quanto gli uditori, anch’essi giudei convertiti a forza, non intervengono per chiedere spiegazioni. L’autore viveva probabilmente in Egitto o in Siria, non a Cartagine, dove si suppone essere avvenuto il fatto. Ed. del testo greco a cura di N. Bonwetsch, Doctrina Jocobi baptizati, Berlin, 1910, e F. Nau, La didascalie de Jacob, Patrol. Orient., Paris, 1912, pp. 745-780 (le due prime conferenze); ed. della versione etiope (un rimaneggiamento piuttosto che una traduzione) e trad. franc. di S. Grébaut, Sargis d’Aberga, P.O., t. III, pp. 555-643, t. XIII, pp. 1-105; ed. della versione slava nella Tschetjii Minei, 1911. Esiste anche una trad. araba.
Τρόπαια κατά Ἰουδαίων ἐν Δαμάσκῳ, discussione fittizia tra un monaco e dei giudei, in presenza di pagani, samaritani ed eretici, scritta nel 680 in una città soggetta agli Arabi; vi si trova l’eco della disputa delle immagini. Ed. e trad. franc. a cura di G. Bardy, Les trophées de Damas, P.O., Paris, t. XV, pp. 189-292. ‒ Tra gli spuria di s. Atanasio figurano, P.G., t. XXVIII, Πρὸς Ἀντίοχον ἂρχοντα περὶ πλείστων καὶ ảναγκαὶων ζητημάτων, generalmente citati con il titolo di Quaestiones ad Antiochum ducem, che è quello della trad. latina. La questione CXXXVII, coll. 683-700, spicca sulle altre per lo stile e la eccezionale lunghezza; inoltre, essa appare spesso isolata, ed anche anonima, nei manoscritti, mentre le Quaestiones sono attribuite, peraltro indebitamente, a s. Anastasio. È un vero e proprio trattato contro i giudei, impossibile da datare, e che noi inseriamo qui per via dei suoi rapporti con lo scritto che segue. ‒ Ἀντιβολή Παπίσκου καὶ Φίλονος Ἰουδαίων πρός μονακόν τινα, della fine del VII sec. o dell’VIII, ed. da A.C. Mc Giffert, Dialogue between a christian and a jew, Marburg, 1889, pp. 49-94, secondo un ms. incompleto. Esiste un’altra recensione, che si ispira alla prima redazione ed allo pseudo-Anastasio il Sinaita, e che presenta un ampio passo, pp. 66-73, che ritroviamo nella Quaestio ad Antioco, coll. 688-696. È difficile sapere quale dei due scritti dipenda dall’altro. Nell’incertezza ci limitiamo a giustapporli. ‒ Teodoro di Amasea (692); cfr. Fabricius, Delectus argumentorum, p. 121.
- VIII secolo. ‒ Ἀθανασίου ἀρχιεπισκόπου Ἀλεξανδρείας λόγος πρὸς Ζακχαίον νομοδιδάσκαλον τῶν Ἰουδαίων, non del IV sec., come sembra, ma solo dell’VIII; cfr. T. Zahn, Forschungen zur Geschichte des neutestamentlichen Kanons und der altchristlichen Literatur, Erlangen, 1891, t. IV, p. 322. Ed. a cura di F.C. Conybeare, The Dialogues of Athanasius and Zacchaeus and of Timothy and Aquila, in Anecdota Oxoniensa, classical series, part. VIII, Oxford, 1898. Una vecchia versione armena, che colma alcune lacune dell’originale, è apparsa nell’ed. dei Paralipomena armeniana di Atanasio pubblicati dai mechitaristi di Vienna. ‒ Διάγογος Χριστιανοῦ καὶ ἰουδαίου ὧν τάὀνόματα τοῦ μὲν χριστιανοῦ Τιμόθεος τοῦ δὲ ἰοδαίου Ἀκύλα, ed. Conybeare, op. cit.; frammento, P.G., t. LXXXVI, coll. 251-255. ‒ Διάλεξις κατὰ Ἰουδαίων, un frammento in Bandini, Catalogus codicum mss bibliothecae Medice-Laurentinae, t. I, p. 165. ‒ Gerolamo di Gerusalemme, Διάλογος περὶ τῆς ἁγίας Τριάδος, ἐρώτησις ἰουδαίου πρὸς τὸν χριστιανόν, P.G., t. XL, coll. 847-859 (frammenti), sembra essere vissuto non nel IV sec., come si diceva, ma nell’VIII. Cfr. sopra, col. 983. ‒ Abraham Bard-Shandad, siriano nestoriano, ha lasciato una Disputa contro i giudei. Cfr. t. I, col. 116. ‒ Teodoro Abucara (Abu Qorra), vescovo melchita di Harran, nato probabilmente verso la metà dell’VIII sec., scrisse in greco, siriaco e arabo Πρὸς Ἰῢυδαίον, P.G., t. XCVII, coll. 1529-1534; G. Graf, Die arabischen Schriften des Theodor Abû Qurra Bischofs von Harrân, Paderborn, 1910, ha pubblicato una versione tedesca di dieci trattati, più estesa dei brevi opuscoli di P.G. sulle stesse questioni: autorità della Legge di Mosè e del Vangelo, etc.
- IX secolo. ‒ Abraham Auni, siriano nestoriano, della metà del IX sec., Contro i giudei. Cfr. G.S. Assemani, Bibliotheca orientalis, t. IIIa, p. 509. Pseudo-Atanasio il Sinaita, Διάλεξις κατά Ἰουδαίων, P.G., t. LXXXIX, coll. 1203-1282; non è del Sinaita, ma solo del IX sec. Cfr. t. I, col. 1167.
- X secolo. ‒ Abu Ali ben Zeraah, siriano (intorno al 997) scrive contro i giudei. Cfr. K. Werner, Der heil. Thomas von Aquino, Ratisbona, 1858, t. I, p. 638, n. 2. ‒ Sabarjesus, figlio di Paolo, siriano nestoriano (verso la fine del X sec.), Disputa con un giudeo sul Cristo; cfr. Assemani, Bibliotheca orientalis, t. IIIa, p. 541.
- XI secolo. ‒ Un anonimo, probabilmente Jesu Jab, vescovo di Nisibi nel 1063, Trattato contro i maomettani, i giudei, i giacobiti e i melchiti (il c. II tratta del Cristo contro i giudei); cfr. Assemani, p. 303.
2° Gli scrittori occidentali. ‒ 1. IV secolo. ‒ S. Ambrogio († 397), Epist., LXXII-LXXVIII, P.L., t. XVI, coll. 1243-1269, tratta della Legge antica e nuova, della ragion d’essere e dell’abrogazione dell’antica Legge, si occupa dei cristiani, ma anche dei giudei, cfr. coll. 1258, 1267, 1268: deseramus umbram, solem secuti: ritus judaicos deseramus. Il De excidio urbis Hierosolymitanae, t. XV, coll. 1961-2206, e le Historiae de excidio Hierosolymitanae urbis anacephaleosis, coll. 2205-2218, liberi compendi di Giuseppe con modifiche in senso cristiano, sono state attribuite erroneamente a s. Ambrogio.
- V secolo. ‒ Prudenzio († 408), Apotheosis, v. 321-423, 504-552, P.L., t. LIX, coll. 950-958, 965-967, difende la divinità del Cristo contro i giudei. ‒ Severo, vescovo di Minorca, De Judaeis, P.L., t. XX, coll. 731-746, racconta, in una lettera del 418, la conversione dei giudei di Minorca. ‒ Evagrio, gallo-romano, Altercatio Theophili christiani et Simonis judaei, P.L., t. XX, coll. 1165-1182. L’opinione di Dom G. Morin, Revue d’histoire ecclésiastique, Louvain, 1900, t. I, pp. 267-270, che l’autore sarebbe non Evagrio, ma Gregorio di Elvira, è stata da lui abbandonata, Revue bénédectine, Maredsous, 1902, t. XVII, pp. 225-245. ‒ I Consultationum Zacchaei christiani et Apollonii philosophi libri tres, P.L., coll. 1071-1166, sono un unico corpus di teologia, dove l’autore replica indirettamente alle obiezioni giudaiche trattando della Trinità, dell’incarnazione etc., e combatte direttamente i giudei, l. III, c. IV-X, coll. 1112-1126. Si è supposto senza fondamento che l’autore potrebbe essere Evagrio. ‒ De altercatione Ecclesiae et synagogae dialogus, P.L., t. XLII, coll. 1130-1140, all’incirca dello stesso periodo dello scritto di Evagrio, talvolta falsamente attribuito a s. Agostino, testo carente, cfr. dom G. Morin, Revue d’histoire ecclésiastique, t. I, pp. 270-272. ‒ S. Gerolamo († 420) combatte spesso i giudei in vari suoi scritti. Soprattutto tradusse la Bibbia sul testo originale ad confutandos Judaeos etiam per ipsa exemplaria quae ipsi verissima confitentur, ut, si quando adversum eos christianis disputatio est, non habeant subterfugiendi diverticula sed suomet potissimun mucrone feriantur, dice, Apol. adversus libros Rufini, l. III, c. XXV, cfr. l. II, c. XXIV-XXXV, P.L., t. XXIII, coll. 476, 447-456.
- Agostino († 430), Tractatus adversus Judaeos, P.L., t. XLII, coll. 51-64; Epist., CXLIX, a s. Paolino di Nola; CXCVI, al vescovo Agellicus, P.L., XXXIII, coll. 630-645, 891-899. Nel suo Indiculus delle opere di Agostino, t. XLVI, col. 6, Possidio di Calamo classifica fra i suoi scritti contro i giudei, nel De diversis quaestionibus, la q. LVI, De annis quadraginta sex aedificati templi, t. XL, col. 39, che riguarda i giudei solo marginalmente e in modo indiretto. È stato talvolta pubblicato falsamente sotto il nome di s. Agostino, assieme al De altercatione Ecclesiae et synagogae dialogus, il Contra Judaeos, paganos et arianos, sermo de symbolo, i cui c. XI-XVIII, t. XLII, coll. 1123-1128, sono contro i giudei e furono trascritti separatamente nel medio evo. Cfr. M. Sepet, Les prophètes du Christ. Études sur les origines du théâtre au Moyen Age, in Bibliothèque de l’École des chartes, Paris, 1867, t. XXVIII, pp. 3-8. Ancora falsamente, è stato a lui attribuito l’ Adversus quinque haereses seu contra quinque hostium genera, il cui c. IV, coll. 1104-1106, è contro i giudei, e le Quaestiones Veteris et Novi Testamenti che, come abbiamo visto, sono forse dell’ebreo convertito, poi relapso Isacco. S. Leone († 461), Serm., XXIX (il IX in Nativitate Domini), P.L., t. LIV, coll. 226-229, intitolato Contra Judaeos et haereticos in un ms.; cfr. col. 226 n. ‒ S. Massimo di Torino († 470), Tractatus contra Judaeos, P.L., t. LVII, coll. 793-806.
- VI secolo. ‒ S. Gregorio di Tours († 595), Historia Francorum, l. VI, c. V, P.L., t. LXXI, coll. 573-575, racconta una controversia da lui sostenuta contro un giudeo in presenza del re Chilperico.
- VII secolo. ‒ S. Isidoro di Siviglia, prima del 633, De fide catholica ex Veteri et Novo Testamento contra Judaeos, P.L., t. LXXXIII, coll. 448-538. Cfr. sopra, coll. 104-105. ‒ S. Ildefonso di Toledo († 667), De virginitate perpetua S. Mariae adversus tres infideles, P.L., t. XCVI, coll. 53-102; il c. I, contro Gioviniano, il c. II contro Elvedio, i c. III-IV, coll. 64-102, contro i giudei. Cfr. t. VII, col. 742. ‒ S. Giuliano di Toledo († 690), De comprobatione aetatis sextae, P.L., t. XCVI, coll. 537-586. Giuliano, giudeo convertito, si propone di dimostrare che il Cristo è venuto e che si vive nella sesta età del mondo, contrariamente ai giudei, i quali affermano che è nella quinta e non nella sesta età che il Cristo deve venire. Questo scritto è stato pubblicato talvolta con il nome di Giuliano Pomerio.
- IX secolo. ‒ Agobardo, vescovo di Lione († 840), De insolentia Judaeorum, P.L., t. CIV, coll. 69-76; De judaicis superstitionibus, coll. 77-100; De baptismo judaicorum mancipiorum, coll. 99-106; De cavendo convictu et societate judaica, coll. 107-114. Cfr. t. I, coll. 613-615. ‒ Amolone, vescovo di Lione († 852), Epistola seu liber contra Judaeos, P.L., t. CXVI, coll. 141-184, falsamente attribuito a Rabano Mauro, cfr. P.L., t. CIV, coll. 82-83 n.; t. CVII, coll. 34-35. Cfr. t. I, col. 1126. ‒ Rabano Mauro († 856), Tractatus de variis quaestionibus Veteris et Novi Testamenti adversus Judaeos, non compare, come è stato detto, t. I, col. 1536, in P.L., t. CVII, coll. 401-594, ma in Martène e Durant, Thesaurus novus anecdotorum, Paris, 1717, t. V, coll. 403-594. ‒ Paolo Alvaro di Cordoba († 861), di discendenza giudaica, Epist.,XIV-XX, P.L., t. CXXI, coll. 478-514, soprattutto la lettera XVIII, contro Bodone, diacono del palazzo di Ludovico il Pio, che era divenuto giudeo, aveva assunto il nome di Eleazaro e si era stabilito a Saragozza (839); le lettere XV e XVII sono frammenti di Bodone. Cfr. t. I, col. 927.
- XI secolo. Il chierico Enrico scrisse, su richiesta dell’imperatore Enrico III, una risposta alla lettera di Vecelino, cappellano del duca Corrado, passato al giudaismo (1005). Si trova in Alberto, monaco di Saint-Symphorien di Metz, De diversitate temporum, l. II, c. XXIV, P.L., t. CXL, coll. 485-490. ‒ Fulberto di Chartres († 1029), Tractatus contra Judaeos, P.L., t. CXLI, coll. 305-318. Fulberto non ha scritto tre trattati antigiudaici, come è stato detto, t. VI, col. 965; ma il Tractatus che ha scritto è stato talvolta suddiviso in tre parti, dove li si è creduti tre sermoni. Cfr. P.L., t. CXLI, col. 178. ‒ S. Pier Damiani († 1072), Antilogus contra Judaeos, P.L., t. CXLV, coll. 41-58; Dialogus inter judaeum requirentem et christianum e contrario respondentem, coll. 57-68.
3° Scritti perduti. ‒ Diodoro di Tarso († prima del 394) scrisse Contro i giudei. Cfr. Suidas, Lexic., P.G, t. CXVII, col. 1249. ‒ Gennadii, De scriptoribus ecclesiasticis, c. LXXVIII, P.L., t. LVIII, col. 1103, segnala un Voconius (Buconius secondo un ms.), vescovo di Castellani (Mauritania), che scrisse adversus Ecclesiae inimicos Judaeos et arianos et alios haereticos. Ci si è chiesto se questo scritto debba essere identificato con lo pseudo-agostiniano Adversus quinque haereses seu contra quinque hostium genera. ‒ Possidio, nell’Indiculus delle opere di s. Agostino, P.L., t. XLVI, col. 6, menziona come scritti contro i giudei, assieme alla lettera CXCVI ad Asellico e la q. LVI del De diversis quaestionibus, una Quaestio de Judaeis ed inoltre tractatus duo. La Quaestio de Judaeis potrebbe essere dovuta ad una svista di Possidio, che avrebbe letto Quaestio de Judaeis il titolo della q. XLVI, t. XL, coll. 29-31, intitolata De ideis? Forse. Quanto ai «due trattati», uno è andato perduto, a meno che Possidio non abbia designato così la lettera a Paolino di Nola. Questa lettera, una risposta ad un questionario del santo, Epist., CXXI, t. XXXIII, coll. 462-470, non potrebbe essere piuttosto la Quaestio de Judaeis di cui parla Possidio?
Abbiamo uno scritto falsamente attribuito a s. Atanasio il Sinaita; non possediamo il trattato Contro i giudei di cui egli menziona il l. II, nell’In Hexaemeron, l. VI, P.G., t. LXXXIX, col. 933. ‒ È andato perduto anche il racconto di una controversia tra il giudeo Julius e maestro Pietro da Pisa, a Pavia, intorno al 755; et scriptam esse eamdem controversiam in eademcivitate audivi, dice Alcuino, che assistette per caso al dibattito. Epist., C, P.L., t. C, col. 314.
4° Scritti dove i giudei sono combattuti indirettamente. ‒ Basta gettare uno sguardo sugli indici dei volumi delle due Patrologie greca e latina per rendersi conto, per quanto troppo spesso siano incompleti, del grande spazio che gli ebrei vi occupano. Oltre agli scritti che hanno per scopo quello di combatterli direttamente, essi sono nominati, criticati, confutati un po’ ovunque, nelle opere apologetiche cattoliche: sermoni, commentari della Sacra Scrittura, testi che concernono i loro rapporti con i cristiani. Così, nel IV sec., s. Gaudenzio da Brescia, il quale ci informa, Serm., XXI, P.L., t. XX, col. 999, che il suo predecessore, s. Filastro, predicò contro i pagani, i giudei e gli eretici, attacca frequentemente i giudei nei suoi sermoni. Cfr. in modo particolare Serm., I-VII, X, sulla Pasqua;VIII-IX, sulle nozze di Cana; XI, sul paralitico; coll. 843-927. Nel V sec., s. Gerolamo e s. Agostino tornano costantemente alla carica; cfr. ad es. Agostino, Contra Faustum manichaeum, soprattutto l. XII, P.L., coll. 253-280. Nel VI sec., Cassiodoro battaglia con essi nella sua Expositio in psalterium, in particolare sul ps. LXIII, P.L., t. LXX, coll. 438-443; s. Gregorio Magno ha più di cinquanta lettere per risolvere vari punti relativi alla loro condizione giuridica, cfr. V. Tiollier, Saint Grégoire le Grand et les Juifs, Brignais, 1913, p. V, e si spiega su di essi e contro di essi nei Moralia e nelle Omelie. E questo dura fino all’XI sec., dove Brunone di Wurtzburg, per non citare che lui, se la prende a più riprese con i giudei nella sua Expositio psalmorum, P.L., t. CXLII, coll. 49-530.
5° La natura degli scritti. ‒ Di questi scrittori, tre sono stati giudei convertiti: Isaac, che ritornò al giudaismo, Giuliano da Toledo e Paolo Alvaro. L’autore della Didascalia di Giacobbe dice di essere un giudeo convertito; verosimilmente questa affermazione e la forma che riveste questo scritto di un’esposizione della verità del cristianesimo a dei giudei convertiti a forza non corrispondono ad una realtà storica. Probabilmente bisogna vedere pure finzioni letterarie nelle controversie che avrebbero avuto luogo davanti a Costantino e ai re degli Omeriti e di Persia, come pure nella maggior parte dei dialoghi tra giudei e cristiani. Almeno due di queste discussioni sono autentiche, quella che Gregorio di Tours ebbe con Priscus alla presenza del re Chilperico e quella di Pietro da Pisa, a Pavia, con il giudeo Julius; autentica è anche quella a cui Filippo di Side dice di aver assistito. Vi furono certamente altre controversie orali. Oltre alle informazioni fornite, con lo pseudo-Giovanni e Polibio, nella Vita leggendaria di s. Epifanio, c. VI, XXVI, XLVII, P.G., t. XLI, coll. 29, 56, 84, ricordiamo che s. Gerolamo tradusse l’Antico Testamento sul testo ebraico in vista delle controversie con i giudei, e osserviamo che s. Isidoro di Pelusio scrisse a diversi cristiani che avevano avuto delle discussioni con i giudei, l. I, epist., CXLI, CDI; II, XCIX; III, XIX, XCIV; IV, XVII, P.G., t. LXXVIII, coll. 275-278, 405-408, 541-544, 745-746, 798-800, 1063-1066. Cfr. s. Giovanni Crisostomo, Contro i giudei, serm., VII, n. 3, P.G., t. XLVIII, col. 920; Teodoreto, Epist., CXII, P.G., t. LXXXIII, col. 1316; la Vita di s. Nilo il giovane, scritta da uno dei suoi discepoli, c. VII, n. 50-51, negli Acta sanctorum dei Bollandisti, II éd., Paris, 1867, septemb., t. VII, pp. 290-291; s. Pier Damiani, Antilogus contra Judaeos, praef., P.L., t. CXLV, col. 41, etc.
Che sia sotto la forma di trattato dogmatico oppure di dialogo, la polemica antigiudaica si muove in questo quadro di idee. Ma, dopo il trionfo del cristianesimo e sempre di più nella misura in cui viene formulata la legislazione, civile ed ecclesiastica contro i giudei, essa assume un aspetto al tempo stesso giuridico e teologico. Per la prima volta, il De altercatione Ecclesiae et synagogae enumera le misure restrittive che colpiscono i giudei e i diritti che continuano a godere. Più d’uno dei nostri scrittori lo imitano. E uno degli ultimi, Amolone, si fonda sulle istituzioni imperiali e sui decreti dei concili relativi ai giudei. Contra Judaeos, P.L., t. CXVI, coll. 172, 174-177, 181-183. Oltre alle leggi degli imperatori e dei concili, Amolone cita gli atti e gli scritti dei santi Agostino, Gerolamo, Ilario, Ambrogio, Gregorio e di Agobardo, suo predecessore, coll. 143, 145, 171, 176, 180-181. Lo stesso Agobardo s’era richiamato agli «esempi e decreti dei Padri», cioè ai santi Ilario, Ambrogio, Cipriano, Atanasio, a s. Avito da Vienna e al concilio di Epaona, a s. Cesareo di Arles e al concilio di Agde (508), e ad altri quattro concili; aveva poi citato i santi Ireneo e Gerolamo, le Clementine che peraltro sapeva apocrife e, senza nominarlo, s. Agostino, cfr. De judaicis superstitionibus, c. II-X, XVI, P.L., t. CIV, coll. 79-88, 92-93.
Eusebio, se aveva utilizzato unicamente la Bibbia nella Dimostrazione evangelica indirizzata soprattutto ai giudei, aveva raccolto le testimonianze pagane nella Preparazione evangelica destinata in modo particolare ai pagani. Nella curiosa controversia fra cristiani, pagani e giudei alla corte dei Sassanidi, i documenti pagani, tra cui lo pseudo-Istaspe e gli oracoli sibillini, sono largamente utilizzati. F.C. Conybeare ha segnalato degli imprestiti ai vangeli apocrifi nei due Dialoghi da lui pubblicati e studiati nei loro rapporti con la letteratura anteriore; non tutto è ugualmente sicuro in questi raffronti e, in particolare, fintantoché non si sarà rinvenuto il Dialogo di Aristone di Pella, i tentativi che Conybeare ed altri hanno moltiplicato per attribuirgli sia questi Dialoghi che altri scritti saranno destinati all’insuccesso.
Evagrio, nell’Altercatio, frequenta costantemente i Tractatus Origenis, dove si vede oggi l’opera di Gregorio di Elvira. Cfr. P. Batiffol, Revue biblique, Paris, 1899, t. VIII, pp. 337-345; G. Morin, Revue d’histoire ecclésiastique, Louvain, 1900, t. I, pp. 267-268. H. Vogelstein – P. Rieger, Geschichte der Juden in Rom, Berlin,1896, t. I, pp. 163-164, hanno più affermato che non dimostrato la dipendenza dell’Altercatio da s. Gerolamo e del Contra Judaeos di Massimo da Torino dall’Altercatio. Non è neppure provato che il Dialogo con il giudeo Herban dipenda dalla lettera di Severo di Minorca, come ha supposto J. Juster, Examen critique, Paris, 1911, p. 49 n. Siamo meglio informati non sulle fonti dei Trofei di Damasco, che restano sconosciute, ma sulla loro influenza; è ad essi che si ispirano il Dialogo dei giudei Papisco e Filone con un monaco nelle sue due redazioni, lo pseudo-Atanasio il Sinaita e lo pseudo-Atanasio delle Questioni ad Antioco. Cfr. G. Bardy, P.O., t. XV, pp. 184-188.
La controversia antigiudaica si è sviluppata dapprima soprattutto in Asia e in Africa. Fino al IX sec., è assai viva in Oriente; all’epoca dei primi progressi dell’islamismo, essa inizia un periodo singolarmente attivo. A partire dal IX sec., l’ardore teologico dell’oriente va a scemare; d’ora in poi sarà l’Occidente a fornire i principali apologisti del cristianesimo contro gli ebrei.
6° Il contenuto degli scritti. ‒ L’apologetica antigiudaica è sostanzialmente la stessa che in passato: argomenti tratti dalle profezie, risposte alle obiezioni giudaiche.
- Parte positiva della controversia. ‒ a) L’argomento profetico. ‒ Si ripete ciò che è stato detto di buono e di meno buono; talvolta si aggiunge qualcosa. Ad es., non si ritorna sulla data dell’epoca messianica, sulle settimane di Daniele, etc. Si tratta ampiamente questo o quel punto dell’argomento profetico: Basilio di Seleucia calcola prima di tutto gli anni che separano Daniele dal Cristo; Giuliano da Toledo si propone di provare che la sesta età, quella del Messia, è precisamente quella in cui è nato Gesù, e Fulberto di Chartres compone un intero trattato sulla profezia di Giacobbe. Uno scritto, peraltro abbastanza debole, i Trofei di Damasco, contiene una pagina eccellente, e in parte nuova, sulle profezie fatte dal Cristo e realizzate. IV, 5-6, P.O., t. XV, pp. 269-273.
Eusebio aveva già imboccato questa via: la sua Teofania contiene un buonissimo sviluppo sull’annuncio della conquista del mondo da parte degli apostoli, pescatori ignoranti trasformati in pescatori di uomini, V, P.G., t. XXIV, coll. 623-624, ed un altro, VI, coll. 633-656, sulla distruzione del tempio e sui mali della nazione giudaica. S. Giovanni Crisostomo aveva evidenziato gli stessi argomenti nei suoi discorsi Contro i giudei, IV, 4-6; V, 1-6; VI, 3; P.G., t. XLVIII, coll. 876-881, 883-893, 905-908, ed anche, sia o no Crisostomo, l’autore della Dimostrazione contro i giudei e i gentili che il Cristo è Dio, 6-7, 11-16, P.G., t. XLVIII, coll. 820-823, 829-835.
- b) La realtà della Chiesa. ‒ Più compiutamente dei loro predecessori i nostri controversisti espongono, come un elemento capitale della dimostrazione cristiana, la realtà della Chiesa, della sua esistenza, della sua diffusione, della sua azione nel mondo. Eusebio, nel passo indicato e nella Dimostrazione evangelica, soprattutto il l. III; s. Giovanni Crisostomo, nei passi indicati; s. Agostino, Contra Faustum manichaeum, l. XII, c. XLIV, L., t. XLII, col. 278; lo pseudo-Atanasio il Sinaita, Disputa contro i giudei, P.G., t. LXXXIX, coll. 1219-1226; s. Idelfonso, De virginitate perpetua S. Mariae, c. VII, P.L., t. XCVI, coll. 83-84, etc., insistono su questo aspetto.
- c) Necessità delle disposizioni morali. ‒ Essi insistono parimenti sulle buone disposizioni richieste per cogliere la forza probante delle profezie. Qua e là tacciano i giudei di malafede: è il caso di Paolo Alvaro, Ep., XVIII, 4, e di Isidoro di Siviglia. Ma questo linguaggio è eccezionale, ed Alvaro e Isidoro lo smentiscono subito. Cfr. J. Martin, L’apologétique traditionnelle, Paris, 1905, t. II, pp. 7-10,15-19. Ciò che si rimprovera loro non è la malafede che nega la luce, ma bensì l’incapacità di coglierla dentro se stessi, è l’indurimento volontario del cuore che si è reso incapace d’essere toccato. Caeci, obstinati, sono gli epiteti che li caratterizzano costantemente.
- Parte negativa. ‒ Vengono confutati gli argomenti dei giudei. ‒ a) L’abbandono della Legge. ‒ A questo argomento si replica come in precedenza. La dispersione dei giudei, profetizzata e compiuta, è parsa subito una prova decisiva della divinità del cristianesimo contro i giudei. Cfr. Le Nourry, Dissert. in Apolog. Tertulliani, P.L., t. I, coll. 783-786. Col passare del tempo la prova si rafforza: appare sempre più evidente che i giudei non sono un popolo come gli altri, che nella loro storia v’è qualcosa di straordinario. Sempre di più gli scrittori ecclesiatici vedono nella dispersione dei giudei in tutto il mondo la realizzazione delle profezie. In generale essi ne parlano brevemente, anche quelli che ritornano volentieri su questa considerazione, come Gerolamo, Agostino, Isidoro di Pelusio, etc. Talvolta vi insistono, in particolare Eusebio, Dimostrazione evangelica, l. VIII, e Giovanni Crisostomo, Contro i giudei, V, 1-6, 11; VI, 2-4, P.G., t. XLVIII, coll. 883-893, 900-901, 905-910.
- b) La trinità divina. ‒ Ci si spiega lungamente sull’unità della sostanza divina e sulla trinità delle persone. Con l’islamismo si produce un fatto nuovo. Praticamente i giudei hanno negli Arabi musulmani degli alleati naturali che insegnano, assieme a loro, un rigido monoteismo esclusivo che esclude sia la trinità delle persone che la tranità di natura. Ancora assieme a loro, e assieme agli iconoclasti, condannano il culto delle immagini. La polemica antigiudaica si incontra dunque frequentemente con la polemica anti-iconoclasta e con la polemica antimusulmana. M.D. Gibson, Studia sinaitica, t. VII, An arabic version of the Acts of the Apostles with a treatise on the triune nature of God, Cambridge, 1918, ha pubblicato un trattato sulla trinità, che risale verosimilmente all’VIII sec. e che confuta l’islamismo con gli argomenti scritturali impiegati negli scritti antigiudaici di s. Giustino e degli antichi controversisti. Teodoro Abucara disputa separatamente contro i giudei e contro i Saraceni; successivamente questi saranno combattuti più d’una volta nello stesso trattato.
- c) La vita e la morte del Cristo e l’offensiva giudaica. ‒ Per eludere la forza dei testi della Scrittura relativi ai dolori del Messia, i giudei hanno immaginato, forse già al tempo di Adriano, l’esistenza di due Messia; uno, della razza di David, nato al momento della distruzione del tempio e destinato a restare invisibile sino a quando verrà finalmente a riunire gli ebrei; l’altro, della tribù di Ephraim, che sarà ucciso nella guerra contro Gog e Magog. Amolone, Contra Judaeos, c. XII-XXIV, L., t. CXVI, coll. 148-157, stronca facilmente questa teoria inconsistente. Al tempo stesso i giudei hanno continuato a snaturare la vita del Cristo. Il Talmud è prodigo di oltraggi nei sui confronti. Cfr. H. von Laible, Jesus Christus im Thalmud, Berlin, 1891; A. Meyer, Jesus im Talmud, in E. Hennecke, Handbuch zu den neutestamentlichen Apokriphen, Tübingen, 1904, pp. 47-71. E nelle Toledot Jesu incontriamo le peggiori invenzioni d’un odio delirante. I. Loeb, La controverse religieuse entre les chretiens et les Juifs au Moyen Age en France et en Espagne, in Revue de l’histoire des religions, Paris, 1888, t. XVII, p. 317, cfr. 327, dice che «Agobardo certamente le conosceva», benché in una redazione differente da quelle che ci sono pervenute; donde conclude che le Toledot Jesu sono anteriori al IX sec. In realtà, Agobardo, De judaicis superstitionibus, c. IX, P.L., t. CIV, col. 86, si riferisce unicamente alla tradizione orale: qui quotidie, cum eis loquentes, mysteria erroris ipsorum audimus. Ed anche Amolone, c. X, XXXIX-XL, coll. 146-147, 167-169, si riferisce non ad uno scritto, ma a dei discorsi: dicunt. Le Toledot Jesu sono una redazione di racconti tradizionali, di cui ignoriamo la data precisa, ma che si può far risalire al IX o al X sec. Ad ogni modo, ciò che Amolone, c. XL, col. 169, chiama immanitas odii in Christum et rabies blasphemandi, come pure i maneggi dei giudei contro i cristiani, indigna i nostri controversisti.
Riguardo al Perfecto odio oderam illos del ps. CXXXVIII, 22, s. Gerolamo scrive: Si expedit odisse homines et gentem aliquam detestari, miro odio adversor cirumcisionem, usque hodie enim persecuuntur Dominum nostrum Jesum Christum in synagogis Satanae. Un Agobardo, un Amolone, che riprendono, quest’ultimo, c. XLI, col. 170, il versetto del salmista, e il primo, c. X, col. 88, sia il versetto che il commento di s. Gerolamo, sono scossi dalle blasfemie dei giudei. E, passando dalla difensiva all’attacco, ne denunciano ogni sorta di abusi e reclamano l’applicazione delle leggi nei loro confronti.
7° Il valore degli scritti. ‒ L’apologetica antigiudaica progredisce, senza essere irreprensibile. Più d’una volta l’interpretazione della Scrittura è carente; in particolare, si vede la Trinità nell’Antico Testamento più di quanto vi sia effettivamente affermata. Non sempre il testo citato è eccellente, né il senso sempre esatto. La conoscenza dell’ebraico è rara. Tuttavia l’ignoranza delle cose giudaiche non è generale. Un Amolone ed un Agobardo sono a conoscenza delle tradizioni rabbiniche e, prima di loro, un Epifanio, un Gerolamo, un Agostino. S. Gerolamo conosceva l’ebraico; i suoi lavori hanno tratto profitto dagli studi biblici. S. Isidoro di Siviglia ha scritto «un’opera curiosa e dotta», a giudizio di I. Loeb, op. cit., p. 321. Eusebio, s. Agostino, s. Giovanni Crisostomo hanno scritto pagine forti. Come s. Ireneo, ma in modo ancora più netto, Agostino risolve il problema capitale del rapporto tra i due Testamenti.
Sembra che in questa polemica vi sia stato di più dell’argomento tratto dalle profezie fatte dal Cristo, dalla condizione presente dei giudei, dalla parallela esaltazione della Chiesa, ed uno scrittore ebreo, B. Lazare, L’antisémitisme, Paris, 1894, p. 16, pensa che Giovanni Crisostomo «ha detto cose giuste» quando osserva che le cerimonie giudaiche non avevano lo stesso valore che nel tempio di Gerusalemme: «È ammirevole e incredibile che i giudei possano sacrificare in tutti i luoghi della terra dove non è permesso sacrificare, e che non sia invece consentito loro di recarsi a Gerusalemme, il solo luogo dove è permesso sacrificare», IV, n. 6, P.G., t. XLVIII, coll. 880-881. Le seguenti parole buttate lì en passant in uno scritto mediocre, i Trofei di Damasco, IV, 5, P.O., t. XV, pp. 271-272, aprono una prospettiva meravigliosa: «Egli ha detto, riguardo a colei che ha l’ha unto con la mirra: “Ovunque sarà predicato questo Vangelo, si parlerà pure di ciò che ella ha fatto, in ricordo di lei”. Ecco che ella è oggi predicata come tutti sanno».
Il tono di questi scritti è generalmente vivace. Molteplici sono gli epiteti duri. Quello di «perfidi giudei», il più comune, tende ad assumere un significato nuovo: in origine la «perfidia giudaica» è sinonimo di «incredulità giudaica», «incredulità che si ostina, che si accieca volontariamente»; poi passa da un significato intellettuale ad un significato morale, e designa l’astuzia e il tradimento. Ai giudei sono applicati, assieme alle espressioni severe dell’Antico Testamento, i giudizi aggressivi affibbiati ai pagani. Cfr. un elenco in J. Juster, Examen critique des sources relatives à la condition juridique des Juifs dans l’empire romain, Paris, 1911, pp. 31-34. Anche negli scrittori che più energicamente combattono i giudei si trovano dichiarazioni di devozione sovrannaturale e di amore sincero verso di essi. Cfr. non solo s. Agostino, Adversus Judaeos, c. X, P.L., t. XLII, coll. 63-64, e s. Leone, Serm., XXV, 2-3; LII, 5; LXX, 2, P.L., t. LIV, coll. 251, 316, 351, 381, ma anche Agobardo, De insolentia Judaeorum, c. IV, P.L., t. CIV, col. 74; Amolone, c. LIX-LX, col. 184.
Bibl. ‒ P. Corssen, Die altercatio Simonis judaei et Theophili christiani auf ihre Quellen geprüft, Berlin, 1890; S. Krauss, The Jews in the works of the Church Fathers, in The jewish quarterly review, London, 1893-1894, t. V, pp. 122-157, t. VI, pp. 82-99, 225-261; A. Klentz, Der Kirchenväter Ansichten und Lehren über di Juden, Münster, 1894; C. Siegfried, Ueber Ursprung und Entwicklung des Gegensatzes zwischen Christentum und Judentum, Jena, 1895; C. Douais, Saint Augustin et le judaïsme, in L’Université catholique, Lyon, 1894, t. XVII, pp. 5-25; Dom G. Morin, Deux écrits de polémique antijuive de la seconde moitié du IVᵉ siècle d’après le cod. Casin. 247, in Revue d’histoire ecclésiastique, Louvain, 1900, t. I, pp. 266-273 (si tratta dell’Altercatio Simonis et Theophili e dell’Altercatio Ecclesiae et sinagogae); J. Martin, L’apologétique traditionelle, Paris, 1905, t. I, pp. 180-188, 202-216, 237-249; t. II, pp. 3-19; T. Reinach, Agobard et les Juifs, in Revue des études juives, Paris, 1905, t. L, pp. LXXXI-CXI; P. Bérard, Saint Augustin et les Juifs, Besançon, 1913; V. Tiollier, Saint Grégoire le Grand et les Juifs, Brignais, 1913.
III. Dal 110 al 1500. ‒ 1° Gli scrittori orientali. ‒ 1. XII secolo. Michele Glycas (intorno al 1118), Περὶ τοῦ πῶς δεῖ πρὸς Ἰουδαίους ἀπαντᾷν, P.G., t. CLVIII, coll. 845-898; è la XIV delle lettere. ‒ Euthymius Zigabenus (intorno al 1118), Πανοπλία δογματκή, tit. VIII, Κατὰ Ἑβραίων, P.G., t. CXXX, coll. 257-306: estratti dei Padri. ‒ Mari ibn Suleiman (intorno al 1135), Il libro della torre, c. VII, in arabo. Cfr. G.S. Assemani, Bibliotheca orientalis, t. III a, pp. 585-586. ‒ Dyonisius Bar Salibi, metropolita di Amida († 1171), Contro i giudei e gli eretici, trattato d’un arcaismo accentuato. Cfr. J.R. Harris, Testimonies, Cambridge, 1906, t. I.
- XIII secolo. ‒ Nicola di Otranto (intorno al 1205), Dialogo con un giudeo, ined., Bibl. naz. di Parigi, cod. graec., 1255. ‒ Taddeo di Pelusia, Contro i giudei, ined., Bibl. naz. di Parigi, cod. graec., 887, 1285; suppl. graec., 120. Cfr. Mc Giffert, Dialogue, pp. 18-19. ‒ Un anonimo, che aveva seguito le lezioni di Raimondo Martini, l’autore del Pugio fidei, ha lasciato molti opuscoli in greco, l’ultimo dei quali, redatto nel 1292, è una Ομιλία ἐπὶ τῇ σημασίᾳ τοῦ ὀνόματος τοῦ τετραγαμματοῦ, che mira a scoprire la Trinità nel tetragamma divino. Cfr. Quétif-Échard, Scriptores ordinis Praedicatorum, Paris, 1721, t. I, pp. 397-398.
- XIV secolo. ‒ Pseudo-Andronico I Comneno, imperatore di Costantinopoli, Dialogus contra Judaeos christiani et judaei, P.G., t. CXXXIII, coll. 797-924, solo trad. latina. Lo scritto è del 1310 e dunque non è di Andronico I, morto nel 1184; cfr. F. Nau, P.O., t. VIII, col. 597. ‒ Matteo Ieromonaco (intorno al 1330), Contro i giudei, ined., Bibl. naz. di Parigi, cod. graec., 778, 1284, 1273. ‒ Giovanni Cantacuzeno, imperatore di Costantinopoli, abdicò nel 1354, divenne il monaco Cristodulo e con questo nome scrisse Contro i giudei, ined., Bibl. naz. di Parigi, cod. graec., 1243, 1275; suppl. graec., 120. Cfr. t. II, col. 1675. ‒ Teofano, arcivescovo di Nicea (1370), Contro i giudei, in tre libri, ined., Bibl. naz. di Parigi, cod. graec., 778, 1293. ‒ Imbonati, Bibliotheca latino-hebraica, pp. 276-278, e Fabricius, Delectus argumentorum, pp. 125-128, forniscono un’analisi di quest’opera secondo Possevino, che ebbe tra le mani un ms. ‒ Giovanni Saita di Cidonia (Creta), due Dialoghi contro i giudei, ined., Bibl. di Vienna (Austria), cod. 195. Cfr. Imbonati, p. 418. ‒ Amr ibn Matta di Tirhan e Salba ibn Yohanna di Mossul, che vissero nella prima metà del XIV sec., composero ciascuno una versione abbreviata del Libro della torre di Mari ibn Suleiman, con la differenza che Saliba vi inserisce delle aggiunte che mancano in Amr. Cfr. R. Duval, La littérature syriaque, Paris, 1899, p. 211. G.S. Assemani, Bibliotheca orientalis, sottolinea che Amr combatte i giudei, part. IV, c. I.
- XV secolo. ‒ Gennadios Scholarius, patriarca di Costantinopoli, che abdicò nel 1458 e si fece monaco, scrisse una Confutazione dell’errore giudaico ed esortazione alla verità cristiana in forma di dialogo (fra un cristiano e un ebreo), ms., Bibl. naz. di Parigi, cod. graec., 778, 1293, 1294. Sui trattati greci mss. della Bibl. naz., cfr. H. Omont, Inventaire sommaire des manuscrits grecs de la Bibliothèque nationale, Paris, 1886-1888, t. I, pp. 144, 167, 275, 277, 284, 286, 290; t. III, p. 218.
- Data sconosciuta. ‒ Il ms. Anepigrafo del monastero d’Iveron, sul monte Athos, che contiene un trattato del monaco Matteo contro i giudei, è del XIV sec., ma l’opera è più antica, e J.R. Harris, Testimonies, Cambridge, 1906, t. I, se n’è servito per sostenere l’ipotesi prima menzionata. ‒ Un Trattato della santissima Trinità contro i giudei, in greco, alla Vaticana, cod. 719. Cfr. Imbonati, p. 6. ‒ Tre scritti contro i giudei, in greco, Bibl. di Vienna (Austria), cod. 5, 244, 277. Cfr. Imbonati, n. 957, 958, 960, pp. 307-308.
2° Gli scrittori occidentali d’origine cristiana. ‒ 1. XII secolo. ‒ Può darsi che qualcuno di questi scritti sia della fine dell’XI sec. Il problema si pone, in particolare, per quello di Gilberto Crispino, che poniamo in testa alla serie: esso è dedicato a s. Anselmo, vescovo di Canterbury, e dunque è stato composto fra il 1093 e il 1109. I. Lévi, Controverse entre un juif et un chrétien au XIᵉ siècle, in Revue des études juives, Paris, 1882, t. V, p. 240, lo colloca nell’XI sec., forse prima del 1096, poiché non contiene allusioni alla crociata. Questa ragione è debole. Nell’incertezza, noi lo abbiamo collocato nel XII sec. per via dei punti di contatto con alcuni scritti del XII sec.
Gilberto Crispino, abate di Westminster, Disputatio judaei cum christiano de fide christiana, P.L., t. CLIX, coll. 1005-1030. Si tratta di una discussione con un giudeo che era stato istruito nelle lettere a Magonza; sembra che la controversia abbia avuto luogo in Inghilterra. ‒ Oddone, vescovo di Cambrai († 1113), Disputatio contra judaeum Leonem nomine de adventu Christi Filii Dei, P.L., t. CLX, coll. 1103-1112. La discussione ebbe luogo a Senlis. ‒ Pseudo-Guglielmo di Champeaux, Dialogus inter christianum et judaeum de fide catholica, P.L., t. CLXIII, coll. 1045-1072; non può essere di Guglielmo, poiché è dedicato ad Anselmo, vescovo di Lincoln, che divenne vescovo nel 1123, e Guglielmo morì nel 1122. È un plagio di Giberto Crispino, ma il tono è più vivace. ‒ Gilberto (da non confondere con Gilberto Crispino), Disputatio Ecclesiae et Synagogae, in Martène e Durand, Thesaurus novus anecdotorum, Paris, 1717, t. V, coll. 1497-1506. ‒ Gilberto di Nogent († 1124), Tractatus de incarnatione contra Judaeos, P.L., t. CLVI, coll. 489-528; De vita sua, l. II, c. V; l. III, c. XVI, coll. 903-904, 949-951.
Ildeberto di Lavardin († 1134), Sermo CI contra Judaeos de incarnatione, P.L., t. CLXXI, coll. 811-814. ‒ Ruperto di Deutz († 1135), Annalus sive dialogus inter christianum et judaeum, P.L., t. CLXX, coll. 559-610. ‒ Abelardo († 1142), Dialogus inter philosophum, judaeum et christianum, P.L., t. CLXXXVIII, coll. 1609-1682. Cfr. T. I, coll. 40-41. ‒ Pietro il Venerabile († 1156), Tractatus adversus Judaeorum inveteratam duritiem, P.L., t. CLXXXIX, coll. 507-650. ‒ Tractatus contra Judaeos, forse del 1148, pref. in Lebeuf, Mémoires concernant l’histoire ecclésiastique et civile d’Auxerre, Paris, 1743, t. II, p. 40. ‒ Tractatus adversum Judaeum, del 1160, P.L., t. CCXIII, coll. 749-808. ‒ Riccardo di S. Vittore (†1173), De Emmanuele libri II, P.L., t. CXCVI, coll. 601-666. Il l. I è contro un trattato di maestro Andrea, del quale è riportato un passo, coll. 601-604, e di cui esiste un ms. presso la biblioteca dell’Arsenal di Parigi, cod. 550, con il titolo: Objectiones Andreae secundum quod Judaei solent nobis opponere de nostro Emmanuele; Richard gli rimprovera di voler favorire la tesi giudaica. Il l. II è contro un discepolo di maestro Andrea. Cfr. P. Féret, La faculté de théologie de Paris. Moyen Age, Paris, 1894, t. I, p. 119.
Barthélemy, vescovo di Exeter († 1184), Dialogus contra Judaeos. Cfr. Imbonati, p. 325. ‒ Inghetto (Ignetus) Contardo, mercante genovese, Flagellum Hebraeorum, controversia con gli ebrei di Maiorca nel 1186, pubblicata da F. Carboni, Venezia, 1672. ‒ Gioacchino da Fiore († 1202), Contra Judaeos, nel ms. A 121 della biblioteca di Dresda, fol. 223-235. Cfr. P. Fournier, Études sur Joachin de Fiore et ses doctrines, Paris, 1909, pp. 3-4 n. ‒ L’autore del Liber de vera philosophia, della fine del XII sec., Bibl. di Grenoble, l. VIII, fol. 81-87: Quomodo sit disputandum cum paganis, Judaeis, manichaeis, arrianis, sabellianis. Cfr. P. Fournier, p. 60. ‒ Pierre de Blois († 1200), Contra perfidiam Judaeorum, P.L., t. CCVII, coll. 825-870. ‒ Gautier de Châtillon († 1200) e Baudouin de Valenciennes, Tractatus sive dialogus magistri Gualtieri Tornacensis et Balduini Valentianensis contra Judaeos, P.L., t. CCIX, coll. 423-458. Gli autori sono entrambi: Ego Guallerus … et Balduinus libellum scrpsimus. ‒ Alano di Lilla († intorno al 1203), De fide catholica contra haereticos sui temporis, t. III, Contra Judaeos, P.L., t. CCX, coll. 305-430. Cfr. t. I, col. 657.
- XIII secolo. ‒ Eberardo di Betunia (intorno al 1212?), Antihaeresis, c. XXVII, Disputatio contra Judaeos, c. XXVIII, Quaestiones ad decipiendum (cogliere in fallo) tam haereticos quam Judaeos, Bibliotheca Patrum, IV éd., Paris, 1624, t. IV a, coll. 1179-1192. Cfr. ivi t. IV, coll. 1995-1998. ‒ Pietro, arcivescovo di Londra (intorno al 1230), De adventu Messiae contra Judaeos libri III, in forma di dialogo tra Pietro e Simone, ined. Cfr. Fabricius, Delectus argumentorum, pp. 268-269.
Excerpta talmudica, contenente gli atti del processo contro il Talmud (1240-1248) e l’esposizione dei principali errori del Talmud, Bibl. Naz. di Parigi, ms. lat. 16558, redatto tra il 1248 e il 1255. Alcuni frammenti in Duplessis d’Argentré, Collectio judiciorum, Paris, 1755, t. I, pp. 146-156; l’indice in I. Loeb, La controverse de 1240 sur le Talmud, in Revue des études juives, Paris, 1880, t. I, pp. 259-260. N. Valois, Guillaume d’Auvergne, évêque de Paris, Paris, 1880, p. 135 n., congettura che l’autore potrebbe essere verosimilmente il domenicano Thibaut de Saxe.
Roberto Grossatesta, vescovo di Lincoln (†1253), traduttore del Testamento dei dodici patriarchi, ha scritto un De cessatione legalium, un frammento del quale apparve a Londra, 1658, assieme alla Vita. ‒ S. Tommaso d’Aquino († 1274), De regimine Judaeorum ad ducissam Brabantiae, in Opera omnia, Parma, 1865, t. XVI, pp. 292-294. ‒ Raimondo Martini, domenicano spagnolo, avrebbe scritto un Capistrum, che sarebbe forse Capistrum Judaeorum, e che peraltro nessuno afferma di aver visto. Egli scrisse nel 1278 il Pugio fidei adversus Mauros et Judaeos, pubblicato a Parigi nel 1651 da Bosquet, vescovo di Lodéve, e dal presidente J.P. de Maussac, con preziose note di J. de Voisin. La sua grande conoscenza dei libri giudaici ha fatto credere a torto che fosse un ebreo convertito. Ugualmente a torto, a quanto pare, si è preteso che un domenicano, Pietro da Barcellona, avrebbe scritto un altro Pugio fidei; è possibile che l’errore derivi dalla circostanza che un esemplare del Pugio fidei riportava solo le iniziali del nome dell’autore, a fratre R., e che queste sarebbero state lette a fratre P., identificando la P con Pietro e, dal momento che Raimondo, nato a Subiratz (Catalogna), entrò nell’ordine a Barcellona, si sarebbe inventato di sana pianta il domenicano Pietro da Barcellona. Cfr. Quétif-Echard, Scriptores ordinis Praedicatorum, t. I, p. 397. ‒ Vita sancti Theodardi archiepiscopi Narbonensis, c. I-II, in Acta sanctorum, III éd., Paris, 1861, mai, t. I, pp. 145-149; discussione leggendaria, in occasione della pena dello schiaffo che sarebbe stata inflitta tre volte l’anno ad un ebreo di Narbonne, tra gli ebrei e Teodardo anteriormente al suo episcopato (885). L’autore deve aver scritto prima del XIV sec.
- XIV secolo. ‒ Ricoldo di Monte Croce, domenicano († 1309), Contra errores Judaeorum, ms. nel convento di santa Maria Novella di Firenze, della fine del XVIII sec. Cfr. P. Mandonnet, Revue biblique, Paris, 1893, t. II, pp. 601602. ‒ Vittore Porcheto de’ Salvatici (Salvaticus), di Genova, certosino († 1315), Victoria adversus impios Hebraeos, Paris, 1520. ‒ Beato Raimondo Lullo († 1315), Il libro del gentile e dei tre saggi, in Obras, Palma, 1887, in spagnolo: trad. lat., franc., arab. ed ebr. Un cristiano, un ebreo e un saraceno discutono, davanti ad un pagano, sulle loro credenze. Cfr. M. André, Le B. Raymond Lulle, Paris, 1900, pp. 76-85. ‒ Nicola da Lira, francescano, fu ritenuto ebreo, come Raimondo Martini, per via della sua conoscenza dell’ebraico e della letteratura giudaica; spesso combatte gli ebrei nelle Postillae perpetuae in Vetus et Novum Testamentum, ad es. su Gen. XLIX, 10, ed. di Norimberga, 1497, t. I, fol. LXXXI b; ha scritto, intorno al 1305, un trattato contro gli ebrei, talora suddiviso in due parti, pubblicato con titoli diversi, di solito posto in appendice alle Postillae. Al termine del t. IV dell’ed. di Norimberga, fol. CCCXLVI-CCCLI, viene annunciato con questo titolo: Libellus in quo sunt pulcherrimae questiones judaicam perfidiam in catholica fide improbantes, e nella parte alta della pagina compaiono due titoli; dapprima Contra perfidiam Judaeorum, e poi Probatio incarnationis Christi.
Lauterius de Batineis, chiamato anche talvolta Lauterius o Laurentius de Valdinis o de Ubaldinis, domenicano fiorentino, Capistrum Judaeorum (1320); il prologo in Quétif-Echard, t. I, p. 589. ‒ Pietro da Penne, Thalamoth o Pharetra Judaeorum, intorno al 1330. Cfr. Quétif-Echard, t. I, p. 569. ‒ Giacomo Civerosus de Daroca (Aragona), Triumphus perfidiae Judaeorum de adventu Messiae, ms., Bibl. Vaticana, cod. lat., 1002. Cfr. Imbonati, p. 78. ‒ Giovanni Baconthorp (de Bachone), carmelitano inglese († 1346), De Judaeorum perfidia e De adventu Messiae. Cfr. Giovanni Tritemio (de Trittenhem), De scriptoribus ecclesiasticis, Paris, 1512, fol. 133 a. ‒ Bernardo Oliver, vescovo di Tortosa († 1348), Contra caecitatem Judaeorum, cit. da Alfonso de Spina, Fortalitium fidei, l. III, c. I; l. IV, c. II. ‒ Richard Fitz-Ralph, arcivescovo di Armagh († 1360), De inventionibus Judaeorum, Paris, 1511.
- XV secolo. ‒ S. Vincenzo Ferrier, che si occupò molto della conversione degli ebrei, specialmente in occasione del colloquio di Tortosa e San Mateo (1413-1414), scrisse un Tractatus adversus Judaeos, ms., Bibl. Vaticana, del quale il P. Fages, Histoire de S. Vincent Ferrier, II éd., Louvain, 1901, t. I, p. V, ha annunciato la pubblicazione. ‒ Thibaut de Saxe, domenicano, pronunciò un sermone al concilio di Costanza (1416) e scrisse Talmud sive objectiones contra Judaeos, in J.C. Wolf, Bibliotheca hebraea, Hamburg, 1735, t. IV, p. 556. ‒ Guy de Roussillon du Bouchage, vescovo di Avignone († 1428), De erroribus Judaeorum, ms., Bibl. Vaticana, cod. lat., 988. Cfr. Imbonati, p. 63. ‒ Paolo da Venezia, agostiniano († intorno al 1429), Contra Judaeos. Cfr. Tritemio, op. cit., fol. 149 b. ‒ Alfonso Tostat, vescovo di Avila († 1455), dopo l’ultimo volume dei commentari su s. Matteo, ha pubblicato degli Opuscola varia, Venezia, 1615, ciascuno con una pagina speciale. Il III, De sanctissima Trinitate, intende stabilire che ex auctoritatibus Veteris Testamenti personarum pluralitas, licet sit persuasibilis, necessario tamen non est convincibilis, p. 2, e che non si può argomentare con l’aiuto di questi testi contra Judaeos perfidos quamdiu manent in suo errore, p. 13; cfr. Comment. in Exodum, Venezia, 1615, t. II, pp. 280-281, ciò che dice su Es. 34,6. Il IV opuscolo, In locum Isaiae c. VII: Ecce virgo concipiet, etc., commentarium, si propone di studiare accuratamente questo versetto in qua catholicis adversus perfidiam Judaeorum immortalis jam lis facta est.
L’umanista Giannozzo Manetti († 1459), Adversus Judaeos et gentes, in dieci libri, ms., Bibl. di Urbino, cod. 58. Cfr. Imbonati, p. 51. ‒ S. Antonino da Firenze († 1459), Trialogus de duobus discipulis euntibus in Emmaus, Firenze, 1480; commento in forma di dialogo delle profezie messianiche. ‒ Stefano Bodecker, vescovo di Brandeburgo († 1459). Cfr. Fabricius, Delectus argumentorum, p. 574. ‒ Giovanni Lopez, domenicano (1464), Contra superstitiones Judaeorum. Cfr. Quétif-Echard, t. I, p. 826. ‒ Niccolò da Cusa (Cusanus, † 1464), Dialogus de pace seu concordantia fidei, in Opera, Basilea, 1565, pp. 862-879; esorta pagani, ebrei e musulmani ad aderire al cristianesimo. ‒ Lanzo Quirini, letterato veneziano († 1466), un trattato inedito contro gli ebrei. Cfr. G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Napoli, 1780, t. VI a, pp. 233-234. ‒ Dionigi il Certosino († 1471), Dialogion de fide catholica, l. VII, De probatione fidei christianae ex lege et prophetis et de Judaeorum erroribus, in Opera omnia, Montreuil-sur-Mer, 1899, t. XVIII, pp. 471-509. ‒ P. G. Schwartz (Niger), domenicano, De conditionibus veri Messiae, Esslingen, 1475; completato e tradotto in tedesco con il titolo: Der Stern des Messias, Esslingen, 1477. ‒ Paolo Morosini (Maurocoenus), patrizio veneziano, De aeterna temporalique Christi generatione in judaicae impugnationem perfidiae christianaeque religionis gloriam divinis enunciationibus comprobata, Padova, 1473.
Marsilio Ficino iniziò nel 1474 e terminò prima del 1478 il De religione christiana et fidei pietate, Paris, 1510; i c. XXVI-XXXVII, fol. 24-60, ad eccezione del c. XXXVI, che è contro i musulmani, sono contro gli ebrei; tradotto dal latino in italiano da Ficino e in francese da G. Le Fère de la Boderie, Paris, 1578; Cfr. t. V, coll. 2287-2289. ‒ J. Perez d’Ayora (Valencia), agostiniano, vescovo di Cristopoli (Tracia, † intorno al 1490), Contra Judaeos de Christo reparatore generis humani, Lyon, 1512. ‒ Pietro Bruto (de Brutis), veneziano, vescovo di Cattaro († 1493), Victoria adversus Judaeos, Vienne, 1489. ‒ Antonio d’Avila ed un priore del convento di Santa Croce di Segovia, Censura et confutatio libri Talmud, dopo il 1483. Cfr. I. Loeb, Revue des études juives, Paris, 1889, t. XVIII, pp. 231-237. ‒ Giovanni Pico della Mirandola († 1494) aveva iniziato un trattato contro i sette nemici della Chiesa, a cominciare dagli ebrei, il cui piano è abbozzato dal nipote Gianfrancesco, Joannis Pici vita, all’inizio dell’Opera omnia, Basilea, 1557. Abbiamo un saggio della sua polemica antigiudaica in Heptaplus, c. IV, pp. 51-55. ‒ Gerolamo Savonarola († 1498), Triumphus crucis sive de veritate fidei, l. IV, c. V, Leyde, 1633, pp. 341-362: egli osserva, p. 302, che ciò che ha esposto circa la divinità del cristianesimo, l. II, pp. 65-177, è valido anche contro gli ebrei. Inoltre, Savonarola combatte gli ebrei, Dialogus spiritus et animae interlocutorum, in sette libri, l. III, genova, 1536; trad. it., Venezia, 1547, e Dialogus rationis et sensus interlocutorum, incompiuto, l. III, Venezia, 1537.
Anonimo, Pharetra fidei catholicae sive disputatio Judaei et christiani, Leipzig, 1494. ‒ Imbonati, p. 133, attribuisce al cardinale J. de Torquemada († 1468) un Liber contra Israelitas nostri temporis, il cui vero titolo è in realtà Tractatus contra Madianitas et Ismaelitas adversarios et detractores illorum qui de populo israelitico originem traxerunt (terminato nel 1450); è un trattato contro gli statuti di certe chiese, contro gli «Ismaeliti dei nostri tempi», che allontanano gli ebrei convertiti dai capitoli di queste chiese. Cfr. Quétif-Echard, t. I, p. 842.
- Data sconosciuta. ‒ Altercatio synagogae et Ecclesiae, Colonia, 1537, dialogo tra Gamaliel e Paolo, al quale l’editore dà un’antichità sicuramente esagerata, attribuendola all’epoca di Carlo Magno. Cfr. I. Lévi, Revue des études juives, Paris, 1882, t. V, p. 245. ‒ Dialogus Ecclesiae et Synagogae, incunabolo senza indicazione di luogo e data, pubblicato da Gonzalve Garzia di Santa Maria, giureconsulto e certosino, intorno al 1500. ‒ Contra Judaeos, in Maxima bibliotheca veterum Patrum, Lyon, 1677, t. XXVI, pp. 619-623.
3° Scrittori cristiani d’origine ebraica. ‒ 1. XII secolo. ‒ Samuel de Fez (Marochianus), De adventu Messiae quem Judaei temere exspectant, P.L., t. CXLIX, coll. 337-368; si suppone essere una traduzione, da parte del domenicano Alphonse Bonhomme, di una lettera araba, composta intorno al 1072 e tenuta nascosta dagli ebrei. La lettera potrebbe essere apocrifa e il nome di Bonhomme e la traduzione fittizi. Secondo I. Loeb, Revue de l’histoire des religions, Paris, 1888, t. XVII, p. 331, l’autore sarebbe l’ebreo spagnolo convertito Paolo di Valladolid, che avrebbe composto questo opuscolo nel 1339, mettendovi molto del suo e utilizzando lo scritto di Samuel ibn Abbas, ebreo passato all’islamismo nel 1163, contro i suoi antichi correligionari. La questione meriterebbe un esame più accurato. Se l’opera non è dell’XI sec., essa sembra più del XII, che non del XIII o del XIV sec. ‒ Pietro Alfonso, già rabbi Moise Sephardi, battezzato nel 1106, il giorno della festa di S. Pietro, di cui prese il nome assieme a quello del re Alfonso VI di Castiglia, suo padrino, Dialogus Petri cognomento Alphonsi ex Judaeo christiani et Moysis Judaei, P.L., t. CLVII, coll. 535-572. Cfr. t. I, coll. 904-905. ‒ Hermann, già Judas, di Colonia, convertito dopo il 1127, De sua conversione opusculum, P.L., t. CLXX, coll. 805-836; trad. franc. A. de Gourlet (collana Science et religion), Paris, 1902. Cfr. qui t. III, col. 2258.
- XIII secolo. ‒ Guglielmo di Bourges, convertito da s. Guglielmo, vescovo di Bourges (1200-1209), diacono, Libri II bellorum Domini contra Judaeos et haereticos, intorno al 1230; il prologo, la clavis libelli e il cap. I in J. Hommey, Supplementum Patrum, Paris, 1685, pp. 412-418. Ms. In Bibl. nat. di Parigi, Cod. lat., 18 211. ‒ Pablo Christiani, allievo di un rabbino di Tarascona, divenuto cristiano e domenicano, sostenne nel 1263, a Barcellona, assieme a Raimondo Martini, una controversia contro il rabbino Moise ben Nahman, di cui abbiamo il processo verbale latino ad opera di Christiani ed una relazione ebraica di Moise ben Nahman. Cfr. I. Loeb, Revue des études juives, Paris, 1887, t. XV, pp. 1-18.
- XIV secolo. ‒Alfonso, detto di Valladolid dal suo luogo di residenza, o di Burgos dal suo paese d’origine, già Rabbi Abner, convertito dopo il 1295, scrisse già prima della conversione, in ebraico, in difesa del cristianesimo, un libro delle Battaglie di Dio, che tradusse successivamente in spagnolo, e, dopo la conversione, El mostrador de justicia, dove si propone di convertire gli ebrei dimostrando loro la verità del cristianesimo attraverso la Bibbia, il Talmud e il Midrash. Queste opere sono rimaste manoscritte. Su di lui e su altri scritti composti forse da lui, cfr. I. Loeb, Revue de l’histoire des religions, Paris, 1888, t. XVIII, pp. 141-143, e Revue des études juives, Paris, 1889, t. XVIII, pp. 52-63. ‒ Giovanni di Valladolid, nato intorno al 1335, si convertì in una data sconosciuta e compose, contro gli ebrei, la Concordia legum, citata da Alfonso de Spina nel Fortalitium fidei, e indubbiamente destinata a provare la conformità dell’Antico Testamento con il Nuovo Testamento. Cfr. I. Loeb, Revue de l’histoire des religions, t. XVIII, p. 144. ‒ F. Dioscarne, già Astruc Raimuch de Fraga, medico, scrive, dopo la conversione, intorno al 1391, una lettera in ebraico, in difesa del cristianesimo. Cfr. H. Grätz, Histoire des Juifs, trad. M. Bloch, Paris, 1893, t. IV, pp. 316-317.
- XV secolo. ‒ Gerolamo di Santa Fe, già Josué Lorca, scrisse nel 1412 l’ Hebraeomastix o Contra Judaeorum perfidiam et Thalmut tractatus duo, in M. de la Bigne, Bibliotheca Patrum, IV éd., Paris, 1624, t. IV a, coll. 741-774. Egli sostenne con i rabbini una grande controversia a Tortosa, in presenza di Benedetto XIII (Pietro de Luna), di cui era stato medico, nel 1413-1414. Cfr. il processo verbale in latino di questa controversia in Revue des études juives, Paris, 1922, t. LXXIV, pp. 22-32. ‒ Paolo di Burgos, o di Santa Maria, già Salomon Levi o Halevi, battezzato nel 1390 o 1391, vescovo di Burgos († 1435), Scrutinium Scripturarum, Strasburgo, 1469, in due parti: l’una (dialogo fra Saulo e Paolo) di polemica contro gli errori giudaici, l’altra (dialogo fra il maestro e il discepolo) di esposizione della fede cristiana. Scrisse anche delle Additiones alle Postillae di Nicola da Lira, pubblicate a volte assieme alle Postillae, ad es. nell’ed. di Norimberga, 1497; in quest’opera combatte contro Nicola da Lira, che ritiene troppo favorevole ai commentatori ebrei e al senso letterale della Scrittura, a detrimento del senso spirituale. Cfr. la sua Additio ai due prologhi di Nicola, t. I, fol. XVI b – XIX a, e la sua risposta alla lettera di un francescano che aveva difeso Nicola, fol. XIX-XX. Il francescano Matthias Doering († 1469) difese fortemente Nicola da Lira nelle Replicae, o Correctorium corruptorii, come le chiama, t. I, fol. XXI a, che seguono le Annotationes nelle edizioni di Norimberga ed in altre. Di Paolo di Santa Maria abbiamo altresì una breve lettera, ed. Geiger, Vienna, 1857, a Josué ben Josef ibn Vives (potrebbe essere Josuè Lorca), suo ex allievo, che aveva attaccato la fede cristiana, nella quale gli raccomanda di studiare il cristianesimo. Cfr. Revue des études juives, t. LXXIV, pp. 33-34.
Giovanni di Spagna, conosciuto anche col nome di Giovanni il vecchio da Toledo, convertito da s. Vincenzo Ferrier, combatté il giudaismo e scrisse sulla sua conversione. Cfr. H. Grätz, Histoire des Juifs, trad. M. Bloch, t. IV, p. 347. ‒ Paul de Bonnefoy, ebreo battezzato a Digione nel 1421, scrisse in ebraico un opuscolo tradotto dal protestante Paul Fagius (Buchlin), Liber fidei seu veritatis, Jena, 1542, e già tradotto in larga parte da Sebastian Münster, ma con delle modifiche che avevano per scopo di nascondere gli imprestiti, nelle quattro parti, non indicate dal titolo, all’inizio dell’ Evangelium secundum Matthaeum in lingua hebraica, opus antiquum sed jam recens evulgatum, Basilea, 1537. Cfr. M. Steinschneider, in Revue des études juives, Paris, 1882, t. IV, pp. 78-87; t. V, pp. 57-67. ‒ Pietro de la Caballeria, di Saragozza, scrisse nel 1450 Zelus Christi contra Judaeos, saracenos et infideles, Venezia, 1592. ‒ Alfonso de Spina, francescano, scrisse dal 1458 al 1461 il Fortalitium fidei contra Judaeos, Saracenos aliosque christianae fidei inimicos, la cui prima ed. apparve a Strasburgo, s.d., intorno al 1471, e che è stata spesso ristampato. Il l. III è diretto contro gli ebrei. ‒ Neumia, figlio di Haccana, e Haccana, figlio di Neumia: due lettere pro religione christiana, tradotte dall’ebraico. Cfr. L. Hain, Repertorium bibliographicum, Stuttgart, 1831, t. III, n. 11695. ‒ Alberto da Padova, detto Novellus, agostiniano, scrisse intorno al 1492 un Tractatus de adventu Messiae, inedito. Cfr. H. Hurter, Nomenclator litter., III ed., 1899, t. IV, col. 848. ‒ Paolo di Heredia, ebreo aragonese convertito (XV sec.), De mysteris fidei, utilizza contro gli ebrei il Talmud e la cabala. Cfr. Hurter, t. IV, col. 848. ‒ Giovanni Battista Graziadei (ovviamente il suo nome da convertito), medico romano, Liber de confutatione hebraicae sectae, Strasburgo, 1500.
4° Scritti dove gli ebrei sono combattuti indirettamente. ‒ Oltre che negli scritti di polemica diretta contro gli ebrei, questi sono menzionati e più o meno confutati e combattuti, persone e dottrine, in una moltitudine di opere del medio evo, teologia, commentari della Scrittura, sermoni, storia, letteratura propriamente detta: satirici, narratori, poeti, drammaturghi, etc. Citiamo, fra i teologi, Guglielmo d’Auvergne, De fide e De legibus, in Opera, Orléans et Paris, 1674, t. I, pp. 1-102; cfr. qui t. VI, col. 1970. Fra i commentatori della Bibbia, Ugo di Saint-Cher; cfr. l’Index copiosissimus, che forma il t. VIII dei suoi commentari, Lyon, 1645, alla voce Judaei (7 colonne). Fra i predicatori, s. Bernardino da Siena; cfr. K. Hefele, Der h. Bernhardin von Siena, Friburg-am-Brisgau, 1912, pp. 48-54. Il teatro religioso del medio evo ebbe il suo inizio nel sermone pseudo-agostiniano Contra Judaeos, paganos et arianos, la cui parte contro gli ebrei costituisce la sesta lezione, assai lunga, dell’ufficio di Natale e si trasformò dapprima in mistero liturgico e poi in mistero semiliturgico, nella chiesa e fuori la chiesa, in attesa di ritrovarsi parte integrante nel ciclo drammatico del XV sec. Cfr. M. Sepet, Les prophètes du Christ. Étude sur les origines du théâtre au Moyen Age, Paris, 1878. Anche il De altercatione Ecclesiae et Synagogae dialogus influì sull’evoluzione del teatro. L’esortazione religiosa predilesse la forma del dibattito, e si ebbero dibattiti fra Chiesa e Sinagoga, fra ebrei e cristiani. Cfr. De la desputoison de la Synagogue et de sainte Église, in A. Jubinal, Mystères du XVᵉ siècle, Paris, 1836, t. I, pp. 404-408. Infine l’arte, come la letteratura, contribuì a modo suo alla lotta contro il giudaismo. Cfr. P. Hildenfinger, La figure de la Synagogue dans l’art du Moyen Age, in Revue des études juives, Paris, 1904, t. XLVII, pp. 187-196.
5° La natura degli scritti. ‒ La controversia antigiudaica si sviluppa sempre di meno in Oriente e sempre di più in Occidente, soprattutto in Francia e in Spagna. Sempre di più inoltre vi prendono parte, oltre ai cristiani di nascita, anche ebrei convertiti, che documentano i loro nuovi fratelli ed entrano essi stessi in gioco. Per la prima volta, grazie a questi convertiti, anche la lingua ebraica viene qua e là utilizzata nella controversia. Un’altra novità è dovuta ad uno di essi, l’ebreo Giuda da Colonia, divenuto il cristiano Hermann: di lui possediamo una vera e propria piccola autobiografia molto avvincente.
Alcuni degli scritti hanno origine nelle discussioni orali. Queste ultime si sono moltiplicate. Alcune fecero scalpore come quella di Parigi (1240), presso la corte di s. Luigi, fra l’ebreo battezzato Nicolas Donin e rabbi Yehiel di Parigi; quella di Barcellona (1263), al cospetto del re Giacomo, fra il domenicano Paolo Cristiani, ebreo battezzato, e Moise ben Nahman; quella di Tortosa (1413-1414), alla presenza di Benedetto XIII (Pietro da Luna), fra il medico, ebreo convertito, Gerolamo di Santa Fe e ventidue rabbini. Altre controversie, meno solenni, avevano luogo davanti ad auditori più ristretti, sia di comune accordo fra cristiani ed ebrei, sia imposti dai cristiani, specialmente in Spagna, dove gli ebrei battezzati, volendo a tutti i costi convertire i loro antichi correligionari, si valevano di ordinanze reali che obbligavano gli ebrei a discutere con loro. In certi casi le controversie avevano un modo di procedere più familiare, più intimo: ad es. quella che diede origine alla Disputatio di Gilberto Crispino e, da parte ebraica, quell’opera curiosa, attribuita a Joseph lo Zelatore o l’Official, i cui materiali sono del XII e XIII sec, che contiene delle specie di brevi processi verbale di colloqui tra rabbini ed ebrei battezzati o cristiani di nascita, fra i quali figurano l’arcivescovo di Sens e vari vescovi, l’abate di Cluny, alcuni domenicani, il confessore della regina e lo stesso papa, probabilmente Gregorio X. Cfr. Z. Kahn, Étude sur le livre de Joseph le zélateur, in Revue des études juives, Paris, 1880-1881, t. I, pp. 222-246; t. III, pp. 1-38.
La controversia pubblica non era senza pericoli per la causa del cristianesimo. Questo rischiava di essere mal difeso. Lo sfidante poteva essere abile. Certe materie non sono affatto suscettibili di una discussione pubblica proficua. L’obiezione è facile da cogliere, rimane; la risposta, anche eccellente, è al di sopra della massa degli auditori, e si dimentica subito. I polemisti, ad es. un Pierre de Blois, Contra perfidiam Judaeorum, c. I, P.L., t. CCVII, coll. 825-826, e l’autore del Tractatus adversus Judaeum, c. I, P.L., t. CCXIII, col. 749, segnalarono i pericoli e l’inanità di queste discussioni pubbliche. S. Tommaso d’Aquino, Sum. theol., IIᵃ-IIᵃᵉ, q. X, a.7, tracciò le regole da seguire. Gregorio IX, con la bolla Sufficere debuerat del 5 marzo 1233, in Raynaldi, Ann. eccl., an. 1233, n. 19, ingiunse ai vescovi di Germania di non consentire in pubblico tali controversie orali. In seguito queste non ebbero luogo che eccezionalmente. Una delle più celebri ebbe come protagonista Pico della Mirandola, come riferisce Ficino, Epistolae, Norimberga, 1497, fol. CLXXXII-CLXXXIII.
La controversia scritta invece non viene meno. È attiva, incessante, spesso bellicosa, come attestano i seguenti titoli: Scudo, Baluardo, Fortezza della fede, o Pugnale della fede, Bavaglio degli ebrei, Frusta degli ebrei, Vittoria sugli ebrei, Trionfo, etc. Assieme agli ebrei, talvolta essa prende di mira gli altri nemici del cristianesimo, soprattutto i Saraceni. Pietro Alfonso, Dial., tit. V, P.L., t. CLVII, coll. 597-606, spiega per quale ragione, dopo aver abbandonato l’ebraismo, non diventa saraceno, ma cristiano.
Nonostante, secondo il costume medievale, difficilmente i nostri scrittori citino le loro fonti, oltre la Scrittura e i Padri, non si ha difficoltà a riconoscere che lo pseudo-Guglielmo è una contraffazione, ma con uno spirito più aggressivo, del pacifico Gilberto Crispino. Non è raro che l’autore dica dove ha attinto. Vittore Porcheto si dichiara tributario di Raimondo Martini; Alfonso de Spina, nel Fortalitium fidei, confessa gli ampi imprestiti che ha attinto ai suoi predecessori. A maggior ragione coloro i quali cercano i propri argomenti nella letteratura ebraica citano le loro fonti.
6° Il contenuto degli scritti. ‒ 1. Parte positiva della controversia. ‒ a) L’argomento profetico. ‒ Questo è ripreso in ogni forma. Ci si concentra sempre di più su alcuni testi: la profezia di Giacobbe, il Servo e l’Emmanuel di Isaia, le settimane di Daniele. Ci sono voluti interi volumi per descrivere le polemiche ebraiche sul c. LIII di Isaia e sulle settimane di Daniele. Cfr. A. Neubauer, The fifty-third chapter of Isaiah according to the Jewish interpreters, Oxford, 1876; Fraidl, Die Exegese der siebzig Wochen Daniels in der alten und mittleren Zeit, Graz, 1883. Le discussioni dei polemisti cristiani su questi ed altri passi fornirebbero materia per copiose monografie.
- b) La realtà della Chiesa. ‒ Qui il progresso si accentua. La trattatistica De vera religione, appena abbozzata in precedenza, si sviluppa ulteriormente. Nei nostri vari scrittori abbiamo ora elementi di assoluto valore. Pietro Alfonso stabilisce la divinità del cristianesimo con la natura del suo fondatore, con «lo splendore e la gloria della fede della santa Chiesa», Dial., tit. IX, coll. 627-638; Pietro il Venerabile la stabilisce col miracolo della conversione del mondo e della differenza tra la diffusione del cristianesimo e quella dell’islamismo, c. IV, L., t. CLXXXIX, coll. 587-602. Abelardo la dimostra, ma non sempre con rigore, con l’eccellenza della morale cristiana. Cfr. t. I, coll. 40-41. Con Marsilio Ficino siamo già al trattato quasi completo, benché non perfezionato in tutti i dettagli, e quasi al titolo del De vera religione. Cfr. t. V, coll. 2287-2289. Il Triumphus crucis sive de veritate fidei di Savonarola è un breve trattato di religione, che prelude ai metodi moderni.
- c) Necessità delle disposizioni morali. ‒ Fra i cristiani di nascita, Ruperto di Deutz è quello che ne espone meglio l’importanza capitale; per condurre l’ebreo alla vera fede egli conta esclusivamente sul cambiamento interiore, di cui l’ebreo si ostina a non capacitarsi. Fra gli ebrei battezzati, va consultato soprattutto Hermann di Colonia: dopo le Confessioni di s. Agostino, nessuno scritto, come il De sua conversione, esprime in modo penetrante il mistero e le angosce di una conversione, come pure la necessità di un cambiamento interiore affinché l’intelligenza si apra pienamente alla luce. Cfr. Nicola da Lira, Probatio incarnationis Christi, alla fine delle Postillae, Norimberga, 1497, t. IV, col. CCCLI b; Gerolamo di Santa Fe, Contra Judaeorum perfidiam, l. II, Pat., Paris, 1624, t. IV a, coll. 772-774; Marsilio Ficino, De religione christiana, c. XXXVII, Paris, 1510, fol. 60 a, sulle cause della rarità delle conversioni degli ebrei.
- Parte negativa. ‒ a) L’abbandono della Legge. ‒ Su questo era stato già detto tutto. Pietro Alfonso, Dial., tit. XII, P.L., t. CLVII, coll. 656-672, riassume bene l’intera questione, mostrando come la Legge cristiana compie e perfeziona la Legge mosaica. Cfr.C.U. Hahn, Geschichte der Ketzer im Mittelalter, Stuttgart, t. III, pp. 64-68.
- b) La Trinità divina. ‒ Come in passato, i nostri controversisti conciliano l’unità della natura e la trinità delle persone. Meglio che in passato, alcuni precisano che la Trinità non fu rivelata nell’Antico Testamento, che occulte et sub velamine, quoadusque venit Christus qui de tribus una personis fidelium illam mentibus pro eorum revelavit capacitate, come si esprime Pietro Alfonso, Dial., tit. VI, col. 611. Cfr. Alano di Lilla, De fide catholica, l. III, c. II, L., t. CCX, col. 402; l’autore del Contra Judaeos, in Max. bibl. Pat., Lyon, 1677, t. XXVII, p. 619, etc.; soprattutto Alfonso Tostat.
- c) La vita e la morte del Cristo e l’offensiva giudaica. ‒ La concezione virginale del Cristo è difesa con una insistenza pari all’insistenza degli attacchi degli ebrei. Pietro Alfonso vi si sofferma lungamente, Dial., tit. VII, coll. 613-617. Lo stesso vale per Gilberto di Nogent, L., t. CLVI, coll. 489-506; Gilberto Cristino, P.L., t. CLIX, coll. 1019-1020; lo pseudo-Guglielmo di Champeaux, P.L., t. CLXIII, coll. 1054-1055; Oddone di Cambrai, P.L., t. CLX, coll. 1110-1112. Quest’ultimo, nel suo breve trattato, parla unicamente della concezione virginale e della necessità della soddisfazione dell’Uomo-Dio per la salvezza dell’uomo, coll. 1103-1110.
All’offensiva giudaica i cristiani rispondono con una controffensiva diretta contro i libri degli ebrei. Pietro Alfonso, Dial., tit. I, coll. 541-567, riporta alcune delle favole del Talmud. Pietro il Venerabile, c. V, P.L., t. CLXXXIX, coll. 602-650, indirizza contro il Talmud una vigorosa requisitoria, che conclude così: Ex quo prophetia in Israel non apparuit, nihil aliud texuistis, nulla alia doctrina libros judaicos implestis nisi blasphema, sacrilega, ridiculosa et falsa. Il Talmud non è solo ridicolo, è anche pericoloso: vi si trovano insulti contro il Cristo, la religione cristiana e i cristiani, ma anche innumerevoli sconcezze e comportamenti immorali, massime che autorizzano e santificano ogni sorta di iniquità contro i cristiani. Questa fu l’accusa dell’ebreo battezzato Nicolas Donin nel corso della controversia del 1240. Essa fu ripresa nella maggior parte delle polemiche posteriori. Gerolamo di Santa Fe intitolò De judaicis erroribus ex Talmuth il II libro del suo grande trattato contro gli ebrei. Certi dettagli di questo attacco possono essere discutibili; non è esatto, come andava ripetendo recentemente R. Fleg, Anthologie juive. Du Moyen Age à nos jours,Paris, 1923, p. 403, che gli ebrei convertiti «falsarono scientemente l’interpretazione» del Talmud, e la campagna contro questo libro era fin troppo motivata. Cfr. F. Vernet, Dictionnaire apologétique de la foi catholique, Paris, 1915, t. II, coll. 1687-1691.
Nei libri ebraici non si vedono solo dei nemici; vi si scoprono anche degli ausiliari, e questa non è una contraddizione, poiché i nostri controversisti combattono questi libri in ciò che ai loro occhi essi contengono di male e li allegano in ciò che hanno di favorevole al cristianesimo. Paolo Cristiani è forse colui che inaugurò questa tattica. Dopo di lui molti scrittori, Alfonso di Valladolid, Gerolamo di Santa Fe, Alfonso de Spina etc. cercarono nel Talmud e nel Midrash prove della verità del cristianesimo. Fra tutti, Raimondo Martini conobbe la letteratura ebraica e l’utilizzò con una probità scientifica indiscutibile. Cfr. I. Loeb, in Revue de l’histoire des religions, Paris, 1888, t. XVIII, pp. 136-137; I. Lévi, Le ravissement du Messie-enfant dans le Pugio fidei, in Revue des études juives, Paris, 1922, t. LXXV, pp. 113-118. Raimondo Lullo segnala, da parte sua, l’esistenza della cabala e la crede destinata a rendere i più grandi servigi alla causa cattolica. Questo sentimento è condiviso da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. Cfr. t. II, col. 1271.
7° Il valore degli scritti. ‒ L’avvento del Messia, la forza dell’argomento profetico, l’abrogazione dell’antica Legge si impongono alla fede del cristiano. Non tutte le prove addotte ebbero lo stesso valore. In questa apologetica vi fu anche dell’incompleto e del mediocre. Lo pseudo-Andronico Comneno, tra gli altri, usa ed abusa del senso spirituale per dimostrare che l’Antico Testamento è la prefigurazione del Nuovo, e v’è da chiedersi se molti veri ebrei avrebbero approvato l’elogio che egli si fa fare dal suo interlocutore, c. XXIX, P.G., t. CXXXIII, col. 840: Belle et consentanee Dei vatis oracula sublimi sensu aperuisti, vere antiquas futurorum umbras et figuras docuisti.
Si continua, salvo eccezioni, a pretendere che la Trinità è chiaramente affermata nell’Antico Testamento e si attribuiscono a dei testi un valore che non hanno affatto. Con una tattica maldestra è precisamente con il dogma della Trinità, cioè con quello più difficile, che lo pseudo-Comneno, c. I, col. 800, e Guglielmo di Bourges, prol. e c. I, in J. Hommey, Supplementum Patrum, Paris, 1685, pp. 412, 417-418, iniziano la loro esposizione apologetica; altri, come Gautier de Chântillon, P.L., t. CIX, col. 426, meglio ispirati, iniziano con gli argomenti più facili e riservano la Trinità alla fine. Cfr. Alphonse Tostat, De sanctissima Trinitate, p. 13. Inoltre, molti dei nostri controversisti non conoscono l’ebraico e non citano dal testo ebraico della Scrittura; è abbastanza per compromettere le loro dimostrazioni.
Ma fortunatamente la conoscenza dell’ebraico si è estesa. Cfr. S. Berger, Quam notitiam linguae hebraicae habuerint medii aevi temporibus in Gallia, Paris, 1894. In certe università si studiano le lingue orientali. Domenicani e francescani si servono degli ebrei per decifrare gli scritti talmudici e rabbinici. Ebrei battezzati dispensano alla Chiesa il loro sapere e il loro proselitismo. Guglielmo di Bourges, prol., p. 412, indica bene il loro stato d’animo: Instigantibus, sicut credo, quibusdam fidelibus qui me in notitia linguae hebraicae credunt aliquantulum profecisse, compulsus sum de fide nostra catholica, secundum quam (sic) hebraica veritas testatur, disputationis librum componere contra perfidiam Judaeorum.
Si fa ricorso al testo ebraico della Bibbia. Gilberto Crispino dichiara che non c’è che da attenersi ai Settanta, P.L., t. CLIX, coll. 1027-1028. Pietro il Venerabile rinvia invece al testo ebraico, P.L., t. CLXXXIX, coll. 527, 617, e così pure Gautier de Châtillon, l. I, c. II, P.L., t. CCIX, col. 427 e, ancor meglio, Guglielmo di Bourges (cfr. la sua clavis belli, p. 416) e gli altri ebrei convertiti, e soprattutto Nicola da Lira, costantemente, cfr. Postillae, prol. II, Norimberga, 1497, t. I, fol. II b, e Raimondo Martini, che spiega chiaramente, Pugio fidei adversus Mauros et Judaeos, proem., Paris, 1651, pp. 7-8, le ragioni per cui non segue né la Settanta, né s. Gerolamo, ma l’originale ebraico.
Il difficile era di intendersi, a partire dal momento in cui si concordava sul testo, circa il senso da attribuirgli. Far ammettere agli ebrei, non tanto che talvolta si impone il senso spirituale, ma che in ogni caso il senso spirituale che si impone è quello che conclude a favore del cristianesimo, era un tentativo votato al fallimento. Più di un controversista non lo comprese. Cfr. Gilberto Crispino, P.L., t. CLIX, coll. 1024-1026; lo pseudo-Guglielmo di Champeaux, P.L., t. CLXIII, coll. 1047-1050, etc. Altri accettarono di tener conto del solo senso letterale. Cfr. Pietro il Venerabile, P.L., t. CLXXXIX, col. 617; Gautier de Chântillon, l. I, c. IX, P.L., t. CCIX, col. 432; l’anonimo , c. I, P.L., t. CCXIII, coll. 749-750, etc., soprattutto Nicola da Lira, prol. II, t. I, fol. II b, sul senso letterale fondamento del senso mistico e spirituale: propter quod, sicut aedificium declinans a fundamento disponitur ad ruinam, sic expositio mystica discrepans a sensu litterali reputanda est indecens et imepta, vel saltem decens caeteris paribus et minus apta, etc.
Tutto sommato, nell’insieme la polemica antigiudaica fa progressi. Da punti di vista diversi, autori come Pietro Alfonso, Pietro il Venerabile, Gerolamo di Santa Fe, Raimondo Martini, Savonarola, per limitarci ad essi, hanno scritto opere notevoli in se stesse ed in grado di impressionare ebrei seri e in buona fede. A giudicare dal Contro la legge dei Saraceni, questo trattato di Ricoldo di Santa Croce è quello di cui si deve più rimpiangere la perdita; assieme al Pugio fidei di Raimondo Martini esso fu il più dotto di questo periodo.
La virulenza del tono di questi scritti si spiega con i costumi del tempo e con le lamentele contro gli ebrei. Un Pietro il Venerabile, temperamento irenico come pochi, rimase quasi sconvolto dalle abominazioni che scoprì nel Talmud. Ma la cortesia e la benevolenza non sono sconosciute ai nostri polemisti. Esse compaiono nei due scritti, peraltro così dissimili, di Gilberto Crispino e Raimondo Lullo. Niccolò Cusano fu pacifico e tollerante fino all’eccesso poiché, per unificare tutte le religioni sotto la bandiera della Chiesa, era disposto a sacrificare le cerimonie del culto cristiano. La maggior parte di questi scrittori, ivi compresi i più veementi, qua e là lasciano intendere che amano gli ebrei e che la polemica, per quanto dura sia, si ispira ad un autentico interesse per le anime. Cfr. Pietro il Venerabile, prol., P.L., t. CLXXXIX, col. 509.
Bibl. ‒ C.U. Hahn, Geschichte der Ketzer im Mittelalter, Stuttgart, 1850, t. III, pp. 54-68; M. Steinschneider, Polemische und apologetische Literatur in arabischer Sprache zwischen Muslimen, Christen und Juden, Leipzig, 1877; I. Loeb, La controverse de 1240 sur le Talmud, in Revue des études juives, Paris, t. I, pp. 247-261; t. II, pp. 248-270; t. III, pp. 39-57; t. XVIII, pp. 231-237; La controverse de 1263 à Barcelone entre Paulus Christiani et Moïse ben Nahman, ivi, 1887, t. XV, pp. 1-18; Polémistes chrétiens et juifs en France et en Espagne, ivi, 1889, t. XVIII, pp. 43-70; La controverse religieuse entre les chrétiens et les Juifs au Moyen Age en France et en Espagne, in Revue de l’histoire des religions, Paris, 1888, t. XVII, pp. 311-337, t. XVIII, pp. 133-156; I. Lévi, Controverse entre un juif et un chrétien au XIᵉ siècle (su Gilberto Crispino e i controversisti posteriori), in Revue des études juives, Paris, 1882, t. V, pp. 238-249; J. Denifle, Quellen zur Disputation Pablos Christiani mit Moses Nachmani zu Barcelona 1263, in Historisches Jahrbuch, Münster, 1887, t. VIII, pp. 225-244; A. Neubauer, Jewish Controversy and the Pugio fidei, in Expositor, London, 1888, pp. 81-105, 179-197; J. Guttman, Das Verhältniss des Thomas von Aquino zum Judenthum und zur jüdischen Literature, Göttingen, 1891; Die Scholastik des dreizehte Jarhunderts in ihren Beziehungen zum Judenthum, Breslau, 1902; H. Gayraud, L’antisémitisme de saint Thomas d’Aquin, III éd., Paris, 1896; S. Deploige, S. Thomas et la question juive, II éd., Paris, 1902; B. Monod, Le moine Guibert et son temps, Paris, 1905, pp. 197-216; J. Martin, L’apologétique traditionelle, Paris, 1905, t. II, pp. 19-38; O. Zöckler, Geschichte der Apologie des Christentums, Gütersloh, 1907, pp. 205-218, 247-251; A. Posnanski, Le colloque de Tortose et de san Mateo (7 février 1413-13 novembre 1414), in Revue des études juives, Paris, 1922-1923, t. LXXIV, pp. 17-39, 160-168; t. LXXV, pp. 74-88, 187-204; t. LXXVI, pp. 37-46.
- Dal 1500 al 1789. ‒ 1° Gli scritti. ‒ Essi pullulano, grazie alla diffusione della stampa. Catalogare tutta questa letteratura sarebbe assai lungo e di scarso profitto. Cfr. un elenco accurato, che va fino al 1723, in Fabricius, Delectus argumentorum, pp. 576-663. Indichiamo le principali correnti che essa segue e gli scritti importanti o particolari.
- In Oriente. ‒ Melezio Pegas, patriarca di Alessandria, Ὑπὲρ τῆς Χριστιανῶν εὐσεθείας πρὸς Ἰουδαίους ἀπολογία, Lemberg, 1593, testo greco e traduzione rutena. ‒ Cirillo Lukaris (1620), Σύντομος Πραγματεία κατὰ Ἰουδαίων, Costantinopoli, 1627.
- In Occidente. Gli scritti dei cattolici di nascita. ‒ a) XVI secolo. ‒ Fino Fini († 1519), Flagellum in Judaeos, pubblicato dal figlio Daniele, Venezia, 1538. ‒ Charles de Bouelles (Bovilli), canonico di Noyon, Dialogi duo de S. Trinitate inter christianum et Judaeum, paris, 1513. ‒ Marco Marulo, erudito dalmata, De fide Christi contra Judeos, Basilea, 1513. ‒ M. Tommaso Taxaquet, vescovo di Lérida, Brevis christianae ac catholicae fidei defensio et Judaeorum, mahumedanorum ac haereticorum oppugnatio, Roma, 1515. ‒ Cipriano Benet, domenicano, Aculeus contra Judaeos, Roma, 1515. ‒ Antonio Marinari, carmelitano, Consonantiae Jesu Christi et prophetarum, Paris, 1541; rist. con il titolo: Concordia Veteris et Novi Testamenti, Paris, 1586. ‒ Juan Luis Vives, De veritate fidei christianae libri quinque contra ethnicos, Judaeos, Agarenos sive mahumetanos et perverse christianos, Basilea, 1513. ‒ Gilbert Genebrard, clunista, Contra R. Josephum Albonem, R. Davidem Kimchium et alium quemdam judaeum anonymum nonnullos fidei christianae articulos oppugnantes, Paris, 1566. ‒ Pierre Chagnon, teologo di Condom, discepolo di Montaigne e autore de La sagesse, ha pubblicato Les trois vérités contre tous athées, idolâtres, Juifs, mahométans, hérétiques et schismatiques, in tre libri, Paris, 1594; nuova ed. (senza il nome dell’autore), 1595.
- b) XVII secolo. ‒ Domingo Garzias, Propugnaculum christianae religionis contra Judaeos, Saragozza, 1606. ‒ John Thraske, Treatise of liberts against judaisme, London, 1610. ‒ Zacharias Boverius, cappuccino, Demonstrationes symbolorum verae et falsae religionis adversus atheistas, Judaeos, haereticos, Lyon, 1617. ‒ Vicente da Costa Matos, Breve discurso contra a perfidia heretica do judaismo, Lisbona, 1622. ‒ Timeteo de Ciabra, carmelitano portoghese, La honda de Davido o cinco sermones del Santissimo Sacramento contra los Judios, Roma, 1631. ‒ Ignazio Landriani, olivetano, Virginis partus ejusque filii Emmanuel divinitatis et humanitatis scripturalis atque demonstratio adversus Hebraeos et haereticos, Milano, 1641. ‒ Melchiorre Palantrotti, Disputa del cristiano con l’ebreo, Roma, 1647, ed altre opere. Cfr. Imbonati, p. 161. ‒ Giovanni Maria Vincenti, veneziano, chierico regolare, Il Messia venuto (cento sermoni), Venezia, 1659. ‒ Francesco Carboni, l’editore del Flagellum Hebraeorum di Inghetto Contardo, scrisse Le piaghe dell’ebraismo novamente scoperte col lume delle più preziose dottrine d’antichi scrittori cattolici, ebrei e gentili, Venezia, 1674 (messo all’indice con un decreto del 26 settembre 1680). ‒ C.G. Imbonati, Adversus Messiae a Judaeorum blasphemiis ac haereticorum calumniis vindicatus, Roma, 1694 (in appendice alla Bibliotheca latino-hebraica, paginazione speciale).
- c) XVIII secolo. ‒ Vincenzo Lodovico Gotti, domenicano e cardinale, Veritas religionis christianae et librorum quibus inninitur contra atheos, polytheos, idololatras, mahomedanos et Judaeos demonstrata, 1735-1740, 12 voll. ‒ François-Ilharat de la Chambre, dottore della Sorbona, pubblicò anonimo un Traité de la véritable religion contre les athées, les déistes, les païens, les Juifs, les mahométans et toutes les fausses religions, Paris, 1737, 5 voll. Cfr. Soprattutto il t. III, pp. 231-481. ‒ Statler, Démonstration évangelique ou certitude de la religion révélée par Jésus-Christ démontrée contre tous les philosophes antichrétiens anciens et modernes, contre les Juifs et les mahométans, trad. della Demonstratio evangelica, Augsburg, 1770, in Migne, Démonstrations évangéliques, Paris, 1843, t. X, coll. 485-1018. ‒ G.B. de Rossi, Della vana aspettazione degli Ebrei del loro re Messia, Parma, 1773. ‒ Pierre Thomas Laberthonie, domenicano, Défense de la religion chrétienne contre les incrédules, les Juifs, etc., Paris, 1779, 5 voll. ‒ Beurier, eudista, Conférences ou discours contre les ennemis de notre sainte religion, à savoir les athées, les déistes, les tolérants, les Juifs …, Paris, 1779.
- Gli scritti degli ebrei convertiti. ‒ a) XVI secolo. ‒ Victor von Carben, rabbino di Colonia, convertito nel 1472, raccontò la sua conversione in un libro apparso in tedesco senza indicazione di luogo e data e nuovamente pubblicato, accresciuto, in latino con il titolo: Opus aureum ac novum … in quo omnes Judaeorum errores manifestantur … declarantur etiam mores … ac tandem ex Veteri tantum Testamento convincuntur, Colonia, 1509; Paris, 1511; Strasburgo, 1519 (trad. ted.); Cunitz, 1550, con il titolo: Judenbüchlein. Il Propugnaculum fidei christianae, Colonia, 1514, è la stessa opera con un altro titolo oppure un’opera differente? ‒ Alfonso de Zamora, convertito nel 1501, incaricato della correzione del testo ebraico della poliglotta di Ximenez, ha pubblicato una Epist. ad infideles Hebraeos Urbis Romae, in Introductio artis grammaticae hebraicae, Alcala, 1526. ‒ Paul Weidner, Loca praecipua fidei christianae collecta et explicata, Vienna, 1559. ‒ Ernest Ferdinand Hessus, Flagellum judaicum, Fritzlar (Hesse), 1589.
- b) XVII secolo. ‒ Giulio Cesare Misuracchi, Ragionamenti della venuta del Messia contro la durezza e ostinazione ebraica, Orvieto, 1629. ‒ Giovanni Battista Jonas, già R. Jonas, convertito nel 1625, traduce in ebraico i Vangeli, Roma, 1668, come pure il Piccolo Catechismo di Bellarmino, che egli completa con annotazioni tratte dai rabbini, Roma, 1658, e compone un Dialogo, rimasto manoscritto, contro gli ebrei. Cfr. G. Bartolocci, Bibliotheca magna rabbinica, Roma, 1683, T. III, pp. 48-52. ‒ Christian Held, Victoria christiana contra Judaeos, Kiel, 1681.
- c) XVIII secolo. ‒ Christian Lebrecht Felss, Wegweiser der Juden, Frankfurt, 1703. ‒ John Xerez, Adress to the jews, London, 1711. ‒ Cfr. in Fabricius, Delectus argumentorum, pp. 630-633, un elenco di ebrei convertiti con i titoli dei loro scritti a favore della fede cristiana.
- Gli scritti dei protestanti. ‒ a) XVI secolo. ‒ Giovanni Calvino, Responsa ad viginti tres objectiones judaeicujusdam (la n. 358 delle lettere). Cfr. Fabricius, p. 583. ‒ Sebastian Münster, Colloquium cum judaeo pertinaciter suis de Messia opinionibus addicto, in ebraico e in latino, Basilea, 1539. Abbiamo già parlato della sua traduzione del Vangelo di s. Matteo e dell’uso che fece del Libro della fede dell’ebreo convertito Paul de Bonnefoy. ‒ M. Kromer, Unterredung vom Glauben zwischen ihm und einem judischen Rabbi Jacob von Brucks, Cunitz, 1550, in appendice allo Judenbüchlein di Victor de Carben. ‒ T. Bibliander (Buchman), De Judaeorum et christianorum defectione a Christo. Ecclesia et fide catholica, Basilea, 1553. ‒ Philippe du Plessis-Mornay, De la verité de la religion chrétienne contre les athées, épicuriens, païens, Juifs, mahumédistes et autres infidéles, Anversa, 1579. I c. VI, XXVII-XXXI, che si riferiscono specialmente agli ebrei, sono apparsi separatamente, in una traduzione tedesca, con il titolo Juden-Bekehrung, 1602. L’opera fu tradotta in latino (dall’autore, Anversa, 1581), in italiano e in inglese. Del du Plessis-Mornay cfr. anche: Avertissement aux Juifs sur la venue du Messie, Saumur, 1607, importante.
- b) XVII secolo. ‒ J. Buxtorf padre, Ad Quaestiones et objecta judaei cujusdam ἀντερωτήσεις et responsa christiani, in appendice a Synagoga judaica, Basilea, 1641 (I ed. 1604), pp. 467-498. ‒ Hugo Grotius (Groot) scirsse in prigione (1620), in versi fiamminghi, modificò e traspose in latino il De veritate religionis christianae, Paris, 1627; cfr. l’ed. di Halle, 1734-1739, t. III, c. II, pp. 12-74, sulle varie edizioni; c. III, pp. 75-112, sulle traduzioni in tutte le lingue; c. IV, pp. 113-132, sui commentatori. L’intero l. V è contro il giudaismo, ed. di Halle, t. I, pp. 291-370, cfr. Annotationes, t. II, pp. 439-542; in francese in Migne, Démonstrations évangéliques, Paris, 1843, t. II, coll. 1087-1102. ‒ J. Christoph Wagenseil, Tela ignea Satanae hoc est arcani et horribiles Judaeorum adversus Christum Deum et christianam religionem ἀνέκδοτοι, Altdorf, 1681; è una raccolta di scritti ebraici con la loro confutazione (messa all’indice, decreto del 2 luglio 1686). ‒ Philipp van Limborch, De veritate religionis christianae amica collatio cum erudito judaeopotius , Gouda, 1687 (messa all’indice, decreto del 18 dicembre 1749). ‒ A. Pfeiffer, Theologiae sive ματαιολογίας judaicae atque mohammedicae seu turco-persicae principia sublata et fructus pestilentes, Leipzig, 1687. ‒ J.A. Eisenmenger, Entdecktes Judenthum, Frankfurt, 1700.
- c) XVIII secolo. ‒ J.J. Schudt, Judaeus christicida gravissime peccans et vapulans, sive demostratio caedem et rejectionem Jesu Nazareni veram esse causam Judaeorum exilii omnisque illorum miseriae originem, Frankfurt, 1704. ‒ Charles Lesley, vescovo anglicano († 1722), Méthode courte et aisée contre les Juifs, in Migne, Démonstrations évangéliques, Paris, 1843, t. IV, coll. 959-992. ‒ Stanhope, Défense de la religion chrétienne contre les Juifs et contre les faux sages tant païens que chrétiens, ivi, t. VI, coll. 485-602.
- Gli scritti sull’utilizzo dei libri ebraici. ‒ I libri ebraici beneficiarono innanzitutto del movimento del Rinascimento. Leone X pensionò degli ebrei convertiti che si incaricarono di tradurli; egli si interessò alla pubblicazione del Talmud. Ma vi furono proteste, e si accese un vivo dibattito, sfruttato subito dalla Riforma tedesca, sulla questione di sapere se questi libri fossero un ostacolo alla conversione degli ebrei e, di conseguenza, dovessero essere distrutti, oppure se potessero rendere dei servigi all’apologetica cristiana.
- a) A favore dei libri ebraici. ‒Johannes Reuchlin, che già nel suo De verbo mirifico, Basilea, 1494, aveva lodato i libro ebraici, e che aveva scritto il piccolo trattato Perché gli ebrei sono da così lungo tempo nell’angoscia, 1505, li difese in molti scritti, il più eclatante dei quali fu Der Augenspiegel, 1511. ‒ Pietro Colonna, detto Galatino, dal nome del suo paese, Galatina, in Puglia, ebreo convertito, francescano, Opus de arcanis catholicae veritatis hoc est in omnia difficilia loca V. Testamenti in Talmud aliisque hebraicis libris contra obstinatam Juaeorum perfidiam absolutissimus commentarius, Ortona, 1518, diverse edizioni. ‒ Paolo Ricci, ebreo convertito, medico dell’imperatore Massimiliano I, prese le parti di Reuchlin, scrisse parecchie opere contro gli ebrei, Philosophica, prophetica ac thalmudistica pro christiana veritate tuenda cum juniori Hebreorum synagoga disputatio, etc. ‒ Il cardinale Egidio da Viterbo. Cfr. t. VI, col. 1369. ‒ A questo movimento si ricollegherà più tardi, quando l’ardore della lotta sarà venuto meno, il cistercense Giulio Bartolocci da Celleno, Bibliotheca magna rabbinica, 4 in-fol., Roma, 1675-1693, il cui scopo, come dichiara nella prefazione, è di utilizzare i libri ebraici: quorum lectione contra ipsosmet christianae religionis hostes pugnare et propriis armis eosdem confondere ediscemus. Sul suo scritto contro gli ebrei (manoscritto) cfr. Imbonati, discepolo di Bartolocci, Bibliotheca latino-hebraica, p. 148.
- b) Contro i libri ebraici. ‒ Johannes (già Joseph) Pfefferkorn, ebreo convertito, che doveva fare una brutta fine, scrisse tra l’altro Der Judenspiegel, 1507, nel quale esortava gli ebrei a convertirsi e di conseguenza a rinunciare alla lettura del Talmud; successivamente Der Judenfeind, 1511, contro Reuchlin, etc. ‒ L’inquisitore domenicano J. Hochstratten, Destructio cabbalae seu cabbalisticae perfidiae, Colonia, 1519. ‒ Arnold Luydius di Tonges, Articuli sive propositiones de judaico favore nimis suspectae ex libello teutonico Joannis Reuchlin, Colonia, 1512, etc.
Nella querelle di Reuchlin il problema fu soprattutto il Talmud, molto meno la cabala. Quando la Chiesa condannò i libri ebraici, all’inizio fu preso di mira unicamente il Talmud. La cabala era meno sospetta, sembrava più atta a confermare i dogmi cristiani. Sui libri pro e contro la cabala cfr. t. II, coll. 1271-1273, 1290.
- Scritti dove gli ebrei sono combattuti indirettamente. ‒ Pascal, Pensées, I ed. postuma, Paris,1669. ‒ 2. Daniel Huet, vescovo di Avranches, Demostratio evangelica, Paris, 1679, opera composta in seguito a discussioni con quello degli ebrei di Amsterdam qui inter illos peritissimus ac totius judaicae disciplinae consultissimus habebatur, praef., p. 2; trad. in Migne, Démonstrations évangeliques, Paris, 1843, t. V, coll. 7-936. ‒ Bossuet, Discours sur l’histoire universelle, Paris, 1681, soprattutto, nella parte II, «La suite de la religion», i c. XX-XXIV, XXIX-XXXI, Oeuvres, éd. Lachat, Paris, 1864, t. XXIV, pp. 467-512, 553-570. P. Montmédy ha pubblicato Triumphus religionis de atheismo, gentilismo, judaismo et haeresi, sive de religionis successu et antiquitate ex libro J.B. Bossuet, Discours sur l’histoire universelle, Ratisbona, 1715. Va citata anche, assieme a molti sermoni di Bossuet, la IIᵉ instruction sur la version du Nouveau Testament imprimée à Trévoux. Dissertation préliminaire sur la doctrine et la critique de Grotius e la Défense de la tradition et des saints Pères, Première partie, l. III, c. XXI-XXX, t. III, pp. 478-510; t. IV, pp. 111-125, sulle lodi di Richard Simon a Grozio per i suoi commenti sulla Bibbia, in particolare sulle profezie messianiche: Bossuet rimprovera a Grozio di finire per «annientare la prova della religione attraverso le profezie» che aveva stabilito nel De veritate religionis christianae. ‒ Il protestante Jacques Abbadie, Traité de la vérité de la religion chrétienne, Rotterdam, 1684, 2 voll.; Traité de la divinité de Notre-Seigneur Jésus-Christ, Rotterdam, 1689. Cfr. t. I, coll. 7-8.
Baltus, gesuita, La religion chrétienne prouvée par l’accomplissement des prophéties, Paris, 1728; Défense des prophéties de la religion chrétienne, Paris, 1737, 3 voll., contro Grozio e Richard Simon. ‒ Ab. Houtteville, La vérité de la religion chrétienne prouvée par les faits, Paris, 1722. Quest’opera fu criticata, specialmente dall’orientalista Étienne Fourmont, Lettre de Rabbi Ismaël ben Abraham juif converti à l’abbé Houtteville, Paris, 1722; Houtteville pubblicò un’edizione corretta, Paris, 1741, 3 voll., che fu seguita da un’edizione postuma, 1749, 4 voll. ‒ Bergier, Traité historique et dogmatique de la vraie religion, Paris, 1787, 12 voll., soprattutto la seconda parte, c. VII-IX, t. VII, pp. 107-587.
Si potrebbero citare altresì la maggior parte dei teologi di questo periodo, soprattutto gli autori di trattati De vera relione, ma anche numerosi altri, ad es. Petau, Dogm. theol. Suarez, In IIIᵃᵐ, disp. I, Contra Judaeos, Messiam jam venisse, éd. Vivès, Paris, 1860, t. XVII, pp. 5-25; De incarnatione Verbi, l. XVI, in quo adversus samosatenos recentiores sive socinianos necnon Judaeos Christi incarnati Verbi ac Dei hominisque dogma defenditur, éd. Fournials, Paris, 1867, t. VII, c. VI-X, pp. 310-331 (contro gli ebrei); molti dei commentatori della Scrittura, molti storici etc., senza parlare dei canonisti che si occupano della condizione legale degli ebrei, e molti di coloro che, da Lutero a Voltaire, passando per Simone Majoli, Pierre de Lancre, Francisco de Torrejoncillo, l’autore del Libro dell’Alboraico (Bibl. naz. di Parigi, fondo spagnolo, ms. 356, etc.), eludono la controversia dottrinale per porsi sul terreno sociale o preludere agli attacchi dell’antisemitismo del XIX sec.
2° La natura degli scritti. ‒ La letteratura antigiudaica assomiglia innanzitutto a quella del passato. Il titolo stesso degli scritti è spesso ricalcato sulle opere anteriori. Essi hanno per autori cattolici di nascita, ebrei battezzati, quasi tutti, se non tutti, divenuti cattoli, e protestanti. In Oriente i controversisti si fanno sempre più rari; ve ne sono di meno in Spagna, altrettanti, se non di più, in Francia, in misura maggiore in Italia e in Germania. La stampa li incoraggia e favorisce la diffusione delle loro opere, e al tempo stesso mette in circolazione le opere antiche.
La conoscenza della lingua e dei libri ebraici si sviluppa. La controversia antigiudaica la utilizza e talora la amplia volentieri. Si adorna di testi ebraici e, al fine di riprodurli secondo le regole, stampa il latino in cui essi sono introdotti da destra a sinistra, risalendo dalla fine del volume all’inizio; così fanno, tra gli altri, Bartolocci e Imbonati. Alcuni degli ebrei convertiti hanno la buona idea di scrivere in ebraico per avvicinare più facilmente gli ebrei e condurli al cristianesimo; oppure traducono in ebraico il Nuovo Testamento, preferibilmente i Vangeli, o dei libri cattolici. P.N. Lebrecht pubblica in ebraico e in tedesco Eckstein des wahren christlichen Glaubens, Dresda, 1719. Jean André pubblica in ebraico una Lettre parénétique à la synagogue des Juifs, Paris, 1552. Giovanni Battista Jonas traduce, assieme al Piccolo catechismo di Bellarmino, i vangeli, che sono pubblicati a Roma nel 1668, e il resto del Nuovo Testamento, che non viene pubblicato; egli rivede la traduzione ebraica dei primi tre libri della Summa contra Gentes di s. Tommaso. Domenico di Gerusalemme, convertito verso il 1600, professore di ebraico al collegio romano dei neofiti, traduce il Vangelo in ebraico. Un protestante dal nome tipicamente ebraico, Elia Schadaeus, scrive in ebraico e in tedesco una Admonitio ad Judaeos in mysterio S.Pauli de conversioneJudaeorum ad Rom., XI, Strasburg, 1592 e, dice Fabricius, Delectus argumentorumdegli apostoli, p. 582, germanice litteris hebraicis vulgavit Luca, Giovanni, gli Atti degli apostoli, le lettere ai Romani e agli Ebrei ed alcune profezie, secondo la traduzione di Lutero. Il pastore M. Christian Mollerus pubblica l’intero Nuovo Testamento in lettere ebraiche per gli ebrei, Frankfurt, 1700. Il protestante J.G. Meuschen pubblica Novum Testamentum ex Talmude et antiquitatibus Hebraeorum illustratum, Leipzig, 1736, dove riporta diversi lavori suoi e di tre studiosi protestanti, il più importante dei quali è quello di B. Scheid, Praeterita praeteritorum. Loca talmudica (che si riferiscono al Nuovo Testamento), pp. 1-232.
Una forma non nuova ma più comune della controversia antigiudaica è quella del sermone. A Roma gli ebrei furono abbligati (1577) ad assistere a delle prediche cristiane, e Gregorio XIII fondò, per avere dei predicatori competenti, una scuola i cui allievi, in numero di circa 30, reclutati per i due terzi fra gli ebrei convertiti, imparavano, oltre alle scienze teologiche, l’ebraico, l’arabo e il caldaico. Ogni sabato, all’uscita dalla sinagoga, almeno un terzo della popolazione del ghetto, a partire dai dodici anni, doveva ascoltare una predica, pacata e imparziale, sul testo biblico di cui il rabbino aveva dato lettura. Ovunque vi fossero ebrei, per quanto possibile i vescovi adottarono la stessa misura. La prescrizione fu poco eseguita al di fuori di Roma. A Roma l’ordinanza di Gregorio XIII è rimasta in vigore, non senza interruzioni, fino a Pio IX, che l’annullò nel 1848. Fra i predicatori, Imbonati, Bibliotheca latino-hebraica, pp. 62-63, indica i domenicani Gregorio Buoncompagni († 1688) ed il suo successore Gregorio Compagni, revisore della Bibliotheca latino-hebraica; egli menziona alcuni sermoni manoscritti indirizzati agli ebrei. Una delle più curiose raccolte di sermoni fu quella di Giovanni Maria Vincenti, Il Messia venuto, Venezia, 1659 (messo all’indice, decreto del 18 giugno 1680). Cfr. Imbonati, pp. 112-119.
Man mano che avanziamo verso i tempi moderni, gli scritti indirizzati esclusivamente contro gli ebrei sono sempre meno numerosi. Gli ebrei sono combattuti più volentieri nelle opere che hanno per scopo generale l’apologia del cristianesimo, e ciò spesso non tanto al fine di convertire i nemici della fede cristiana, quanto piuttosto per rinsaldare in questa fede coloro che l’hanno ricevuta con il battesimo. Il fatto è che gli ebrei non sono più i nemici principali del cristianesimo. È sopravvenuto il deismo, e poi razionalismo, che si fa ogni giorno più audace, e l’ateismo, ed anche il protestantesimo, che spesso entra in lotta con gli ebrei, ma che non tarda altresì, in qualche misura, a favorire il razionalismo.
L’apologetica cattolica rivolge i propri sforzi verso questi nuovi obiettivi; gli ebrei non vengono dimenticati, ma impegnano di meno il pensiero cristiano. Dalla polemica dapprima contro i pagani e gli ebrei, poi quasi esclusivamente contro gli ebrei e gli eretici, e più tardi contro gli ebrei e i musulmani, si è dovuti passare alla prova della verità della religione cristiana «contro atei, epicurei, pagani, ebrei, maomettani ed altri infedeli», come suona il titolo del libro del Plessis-Mornay. La trattatistica De vera religione, inaugurata da Marsilio Ficino e Savonarola, si costituisce progressivamente in tutti i suoi elementi. Grozio ne traccia le linee guida: preamboli sull’esistenza e la provvidenza di Dio e sull’immortalità dell’anima, divinità del Cristo e del cristianesimo, autenticità e veridicità del Nuovo Testamento, confutazione del paganesimo, del giudaismo, dell’islamismo. Inoltre la trattatistica De Ecclesia si distacca da quella De fidei. Verso la metà del XVIII sec. la forma classica del De vera religione e del De Ecclesia Christi va quasi a confluire nei Religionis naturalis revelatae et catholicae principia, Paris, 1754, 2 voll., del sorbonista Joseph Hooke.
In molti casi è facile ritrovare le fonti principali dei nostri autori. Fino Fini dipende da Pietro Bruto. Galatino ha attinto molto, senza confessarlo, a Raimondo Martini, sia direttamente che per il tramite di Vittore Porcheto. Pascal si è preparato alla sua apologia del cristianesimo forse attraverso lo studio delle Trois vérités di Pierre Charron, certamente attraverso quello di Grozio, soprattutto del Pugio fidei di Raimondo Martini, che è stato per lui non un ispiratore dottrinale, ma un manuale di esegesi ebraica. Cfr. L. Brunschvicg, Pensés de Pascal, Paris, 1904, t. I, pp. XC-XCIII.
3° Il contenuto degli scritti. ‒ 1. Parte positiva della controversia. ‒ a) L’argomento profetico. ‒ Ora si espongono l’insieme e i particolari delle profezie; Huet, nella grande Demonstratio evangelica, praef., n. 1, p. 2, afferma di scegliere unicum de multis argumentum ex prophetiarum eventu conflatum, e lo spinge sino in fondo, insistendo sulla forza probante dell’argomento globale, spectanda tota series est, prop. IX, c. CLXXI, n. 2, p. 631. Ora ci si sofferma sull’una o sull’altra delle profezie più note. Cfr. in Fabricius, Delectus argumentorum, alcuni elenchi di lavori sulle profezie di Giacobbe, pp. 585-588; Isaia, c. LIII, pp. 584-585; Daniele, pp. 591-592; Aggeo, pp. 596-597; Geremia, pp. 598-599; sui personaggi dell’Antico Testamento, pp. 610-613. Grozio in Annotationes in totam Scripturam sacram, Amsterdam, 1679, e Richard Simon in Histoire critique des principaux commentateurs du Nouveau Testament, Rotterdam, 1693, minimizzarono la portata dell’argomento profetico. Bossuet, che arrivò ad accusarli di «annientare la prova della religione attraverso le profezie», Défense de la tradition et des saints Pères, Iʳᵉ part., l. III, c. XXII, Oeuvres, Paris, 1862, t. IV, p. 113, se ebbe il torto di non applicarsi abbastanza ad una legittima esegesi e di dare troppo peso al senso simbolico non stabilito, non aveva torto a lamentarsi dell’abbandono quasi totale del senso simbolico e della svalutazione dell’argomento profetico così in onore nel Nuovo Testamento e nei padri.
Neppure Pascal è senza punti deboli; pur comprendendo l’importanza di una solida esegesi, egli fu limitato dalla scienza del suo tempo e dalla brevità della sua vita, e la parte storica della sua argomentazione è debole. Nondimeno «ha intravisto, ha visto, ha proclamato la vera soluzione, e le brevi note che la contengono sono forse ciò che di più bello ha pensato e scritto», dice P. Lagrange, Pascal et les prophéties messianiques, in Revue biblique, 1906, p. 550. Riprendendo il punto di vista degli apostoli e del Cristo, Pascal mostra in modo eccellente che tutte le profezie si riferiscono all’avvento di un ordine spirituale nuovo, quello della carità o della santità; ora è incontestabile che questa predicazione è stata realizzata dal cristianesimo e solo dal cristianesimo.
- b) La realtà della Chiesa. ‒ La composizione della trattatistica De vera religione e De Ecclesia Christi è il punto d’approdo di una lunga serie di sforzi per stabilire che le profezie sono state realizzate e giustificate dalla Chiesa. Oltre ai teologi che elaborano questi trattati, l’idea è diffusa un po’ ovunque fra i nostri controversisti. Un Vivès, ancor prima di Grozio, ha scritto al riguardo cose eccellenti. In Pascal, sulla divinità del cristianesimo provata dalla trascendenza della natura del Cristo e dall’avvento prodigioso della nuova fede, non v’è uno studio completo, ma sono presenti vive illuminazioni. Cfr. H. Petitot, Pascal, sa vie religieuse et son apologie du christianisme, Paris, 1911, pp. 329-341. Bossuet è ammirevole in ciò che dice dei miracoli del Cristo e degli apostoli, del modo in cui il cristianesimo conquista il mondo, dello spettacolo della perfezione morale che gli conferisce e di questo «miracolo sempre esistente che conferma la verità di tutti gli altri: ed è la serie della religione sempre vittoriosa degli errori che tentarono di distruggerla». Discours sur l’histoire universelle, IIᵉ, c. XXXI, Oeuvres, Paris, 1864, t. XXIV, p. 566.
- c) Necessità delle disposizioni morali ‒ Questa non è riconosciuta da Huet, che nondimeno si vanta di fornire un argomento tale che «non lascia la possibilità né di sfuggirvi, né di resistervi», una dimostrazione così perfetta che constet hoc genere demonstrationis quod non minus certum sit quam demonstratio quaevis geometrica, praef., n. 2, pp. 2-3. Lui stesso non sempre persiste in questo atteggiamento impossibile. Egli indica fra le cause dell’incredulità «le cattive disposizioni» di coloro che studiano il cristianesimo, e dice: «Sebbene la verità della religione sia dimostrata fino all’evidenza, le mie prove non potranno ispirare la fede senza il soccorso della grazia», e conclude la prefazione supplicando il Signore onnipotente di benedire il libro e di agire sullo spirito dei lettori «in modo tale da eliminare loro ogni indurimento, di preparare il loro cuore come una buona terra e di piantarvi il germe della fede» praef., n. 1, 4-5. Cfr. la prefazione delle edizioni successive, Démonstrations évangéliques, t. V, coll. 11-12. ‒ Vivès, De veritate fidei christianae, l. III, c. III, Quomodo disputandum, Lyon, 1551, p. 249, nella ricerca laboriosa della verità tramite le Scritture chiede all’ebreo che vuole giungere ad una conclusione di allontanare animorum tenebrae, ira, odium, invidia, arrogantia, pertinacia, quae etiam rebus dilucidissimis atque in ipso meridie tetram caliginem densasque tenebras offunderent; haec in primis necesse est jubeamus conquiescere, imo abesse quam longissime, dum de sanctis oraculis disserimus. Pascal insiste sulla necessità, per trovare Dio, di disposizioni morali che gli ebrei carnali non ebbero e senza le quali vanamente si affronterebbe l’esegesi delle profezie. Houtteville, che si è ispirato a Pascal e lo cita, sviluppa la stessa idea, La religion chrétienne prouvée par le faits, Paris, 1749, t. IV, pp. 40-64; cfr. la sua bella preghiera, pp. 331-334, 434-438.
- Parte negativa. ‒ a) L’abbandono della Legge. ‒ Galatino, De arcanis catholicae veritatis, l. IV, c. I, Basilea, 1550, pp. 301-303, indica correttamente le obiezioni degli ebrei del suo tempo contro l’avvento del Messia e, di conseguenza, contro l’abbandono della Legge. Ve ne sono sette principali, di cui dice: Haec sunt potissima Judaeorum recentiorum adversus nos objecta. Le obiezioni che Galatino confuta, c. II-VIII, pp. 303-317, sono le seguenti: il Messia arriverà alla fine dei giorni e molti giorni sono passati dopo il Cristo; la montagna del Signore non è ancora innalzata al di sopra delle montagne e delle colline; non tutte le nazioni sono affluite verso Gesù di Nazareth: non hanno ancora detto: «Venite, saliamo verso la casa di Giacobbe»; le armi di guerra non sono state ancora trasformate in strumenti di agricoltura; la pace perenne non è ancora arrivata; gli animali carnivori non hanno ancora rinunciato all’uso delle carni e, dopo aver abbandonato la loro ferocia, non abitano tranquillamente con animali pacifici. Cfr. c. IX-XIII, pp. 317-330, la discussione di altri cinque argomenti. Imbonati, Adventus Messiae, par. 5, Roma, 1694, pp. 91-111, espone in una forma un po’ diversa le obiezioni ebraiche. Tutti i nostri controversisti replicano che l’antica Legge è abrogata, che il Messia è già arrivato ed è Gesù di Nazareth, che le profezie si sono compiute in lui, poiché annunciano non già un regno terreno, glorioso e prospero, a profitto degli ebrei, ma bensì un regno di un Messia totalmente spirituale e si riferiscono a una Chiesa universale.
- b) La Trinità divina. ‒ Questa è difesa non solo contro gli ebrei, ma anche contro i musulmani e gli atei. Contro gli ebrei vengono ripresi e ampliati alcuni argomenti tratti dal Talmud e dalla cabala. Uno dei più sostenuti è quello che si deduce dai nomi di Dio nell’Antico Testamento, in particolare dal tetragramma. Cfr. Galatino, l. II, c. X-XI, pp. 74-84 e, per gli altri nomi, c. IX-XII-XVIII, pp. 70-74, 84-97; S. Rittangel, forse ebreo, poi luterano, Veritas religionis christianae in articulis de SS. Trinitate et Christo ex Scriptura, rabbinis et cabbala, Frankfurt, 1699.
- c) La vita e la morte del Cristo e l’offensiva giudaica. ‒ Prosegue la controffensiva contro gli ebrei. L’affare Reuchlin si conclude con una condanna dell’Augenspiegel come «pericoloso, sospetto, pieno di parzialità verso gli ebrei». Giulio III ordina di ricercare e bruciare il Talmud (1554). Un numero incalcolabile di esemplari sono dati alle fiamme sotto Paolo IV, soprattutto a Cremona, dove un ebreo convertito, Sisto da Siena, ne esegue la distruzione. Cfr. la sua Bibliotheca sancta, Paris, 1610, pp. 120, 310. L’Index librorum prohibitorum di Pio IV (1564) proibisce il Talmud e le sue glosse, annotazioni, interpretazioni ed esposizioni, specificando che questi libri saranno tollerati solo se appariranno senza il nome di Talmud e senza ingiurie contro il cristianesimo. Donde le edizioni espurgate: Bartolocci, Pfeiffer, Eisenmenger, Wagenseil, Schudt, già citati, ed altri ancora, come il protestante J. Wülfer, Theriaca judaica, Norimberga, 1681, stigmatizzano i libri ebraici per la loro ostilità contro tutto ciò che è cristiano, dottrine e persone. I libri cabbalistici, a loro volta, sono condannati da Pio V (1566) e Clemente VIII (1593), come quelli thalmudici. Cfr. Sisto da Siena, pp. 63-64.
In disaccordo su ciò che si deve fare dei libri ebraici, i polemisti cristiani concordano nel riconoscere che si può trarre profitto dall’apologetica antigiudaica. Pochissimi la trascurano. Un Pascal comprende la loro utilità; non essendo in grado di affrontarli direttamente, li studia tramite il Pugio fidei di Raimondo Martini. Gli ebrei convertiti e gli ebraizzanti sempre più numerosi attingono senza intermediari alle fonti ebraiche. Anche i predicatori adducono la cabala e il Talmud. Il VII dei 100 sermoni di G.M. Vincenti, Il Messia venuto, 1695, prova il mistero della Trinità con le spiegazioni della Scrittura da parte dei rabbini; l’VIII con la cabala; il LIII è intitolato: Che ‘l Messia è venuto per la famosa cabala delli antichi savi ebrei, etc.
4° Il valore degli scritti. ‒ Le prove del dogma della Trinità che Vincenti deduce dalla cabala e dagli scritti rabbinici, quelle che Galatino trae dal tetragramma biblico e dagli altri nomi divini non sono veramente probatori. Ancora troppo spesso l’esegesi è superficiale e poco critica. Perfino uno studioso del valore di Huet, la cui lunga prop. IX, Jesus Nazarenus est Messias, pp. 330-639, che contiene l’armonia dell’Antico e del Nuovo Testamento, è nel complesso notevole e veramente impressionante, vi frammischia dettagli carenti e in tutto il suo libro appaiono pretese ingiustificate, bizzarrie, guazzabugli e punti deboli scioccanti.
La difficoltà principale era sempre quella del senso della Scrittura. Se in tutti casi si fosse ammesso il solo senso letterale, si sarebbero potute avere più possibilità di arrivare ad una intesa. Ma quando si passava al senso spirituale, il punto di vita ebraico era difficilmente accettabile dalla polemica cristiana. Sia l’obiezione ebraica confutata da Galatino, l. V, c. IX, pp. 423-425 e che Imbonati espone così: Messiam fuisse a Deo promissum ad salvandum liberandumque Israelem de captivitate … unde, secundum hoc, erat expediens quod, tempore sui adventus, Judaei positi essent in captivitate, de qua ipse Messias trahere debebat eosdem; sed iste quem dicis Messiam fecit contrarium quia, quando venit, Judaei erant in Judaea et Jerusalem in bona tranquillitate, et, paulo post ejus adventum, fuerunt ab eorum inimicis expugnati, victi et destructi, a patria expulsi, et per diversas mondi partes dispersi ac positi in captivitate … ; ergo ille non erat verus Messias in lege promissus, sia altresì l’obiezione, in se stessa perfettamente puerile, ma molto sfruttata dagli ebrei, in qua maxima tripudiant, dice Imbonati, p. 107, che si richiama ai testi di Ezechiele su Gog e Magog; cfr. Galatino, l. V, c. XII, pp. 425-428; Imbonati, pp. 107-111.
Fra le interpretazioni ebraiche c’è quella del celebre rabbino Abarbanel, che vede in Gog e Magog semplicemente Edom e Ismael; Edom, cioè i cristiani che combattono contro Ismael, vale a dire i Turchi, ed aggiunge che, secondo la profezia, una volta sterminati Edom e Ismael, Israele cesserà di essere sottomesso, come pure Giuda, alle nazioni, e servirà il Messia che Dio allora susciterà. Come si può essere d’accordo con gente che accettava e si atteneva a simili spiegazioni?
Tuttavia, dal momento che la tradizione ebraica ammetteva che la Scrittura in generale e le profezie in particolare sono suscettibili di un senso spirituale, malgrado tutto c’era qualche speranza di far presa su di essi insistendo sul senso spirituale. In un passo notevole della Histoire critique du texte du Nouveau Testament, c. XXII, Rotterdam, 1689, pp. 261-262, Richard Simon, che non è sospetto di una compiacenza esagerata per l’allegorismo, dice: «Mi sono sempre servito di questo metodo quando ho incontrato degli ebrei che attaccavano gli scritti degli evangelisti e degli apostoli … Vedendosi incalzati dagli stessi principî dei loro dottori, essi non mi hanno mai data altra risposta se non che le interpretazioni mistiche ed allegoriche dei loro antichi maestri offrivano un grande vantaggio alla religione cristiana … Si deve imboccare questa via nelle dispute che si hanno con gli ebrei sulla religione». Infatti argomenti per noi irrilevanti colpirono e convertirono diversi ebrei. Viene citata tutta una serie di ebrei convertiti dallo studio della cabala. Cfr. P.L.B. Drach, De l’harmonie entre l’Église et la Synagogue, Paris, 1844, t. II, pp. XXXII-XXXV. Cfr. In Bartolocci, t. IV, pp. 528-549, come il rabbino Salomon Meir ben Moise Navarra, cabbalista rinomato, battezzato (25 giugno 1644) con il nome di Prospero Rugerii, convertì il ricco gioielliere David Tintore, chiamato «il duca degli ebrei», mostrandogli i misteri della fede cristiana racchiusi nella prima parola della Genesi e nel razionale del gran sacerdote.
Per convincere gli ebrei accorti e in buona fede non c’erano solo argomenti di questo genere, deboli in se stessi, ma capaci di mettere in moto un’anima ed abbandonarla all’azione di Dio, innalzando poi quest’anima ai più bei chiarori e disponendola adeguatamente a ricevere la verità divina. Quando Galatino, l. IV, c.XX, pp. 259-265, e Imbonati, par. IV, pp. 86-91, riprendendo la tesi di Raimondo Martini provano, sulla base dell’autorità dei rabbini, i quali assegnano al mondo una durata di 6.000 anni, che il Messia deve essere già venuto, l’argomento colpisce nel segno. Ciò che colpisce ancor più nel segno è l’argomento tratto dal compimento della profezia relativa alla distruzione del tempio e allo stato di dispersione del popolo ebraico, ridotto alla perpetua impossibilità di osservare la Legge, e questo «in una così lunga e profonda notte senza stelle», come dice loro du Plessis-Mornay, ed allora più che mai non sono più zelanti per essa. Cfr. Avertissement aux Juifs sur la venue du Messie, Saumur, 1607, pp. 1, 227-228.
I progressi degli studi bibici e della conoscenza dell’ebraico da parte dei controversisti cristiani rendevano più degna d’attenzione la loro polemica. Infine, per agire sullo spirito degli ebrei, molti ebbero dalla loro il prestigio del talento, come du Plessis-Mornay, e perfino del genio quando questi scrittori furono Bossuet e Pascal, che indubbiamente non si indirizzarono direttamente agli ebrei nei loro libri, ma la cui voce era abbastanza potente da arrivare fino a loro.
Il tono della controversia variò a seconda dei controversisti. Fu d’una violenza estrema con Lutero, Voltaire e i precursori degli odierni antisemiti. Gli ebrei convertiti furono abbastanza spesso duri con i loro vecchi correligionari; Galatino, l. I, c. III, p. 9, definisce gli ebrei del suo tempo omnium gentis suae immundissima faex. Le testimonianze di benevolenza non mancano negli scritti dei polemisti. Du Plessis-Mornay, Avertissement, pp. 2, 228, vede in essi fratelli degni di compassione. Vincenti, in appendice ai 100 sermoni intitolati Il Messia venuto, pubblicò un trattato dal titolo Utrum expediat principibus christianis in suis ditionibus retinere an vero eos expellere e, dice Imbonati, Bibliotheca latino-hebraica, p. 113, primam partem tanquam christianae pietati et caritati magis congruam solidis argumentis propugnat. Nella letteratura suscitata, nel XVII e XVIII sec., dall’esame della questione del tempo della conversione degli ebrei, molte pagine sono caratterizzate da un moto di simpatia verso Israele. Cfr. J. Lémann, L’entrée des Israélites dans la société française, VI éd., Paris, 1886, pp. 262-284. Uno degli scritti più caratteristici, che sembra essere sfuggito all’attenzione degli storici, è quello di fratello Archange, Discours adressé aux Juifs et utile aux chrétiens pour les confirmer dans leur foi, Lyon, 1788.
Bibl. ‒ Sulla querelle di Rechlin: L. Geiger, Johannes Reuchlin, sein Leben und seineWerke, Leipzig, 1871; L. Janssen, L’Allemagne et la Réforme, trad. E. Paris, Paris, 1889, t. II, pp. 37-66; A. Humbert, Les origines de la théologie moderne, Paris, 1911, pp. 165-178. ‒ Su Lutero e gli ebrei: H. Grisar, Luther, Freiburg im Breisgau, 1912, t. III, pp. 340-346. ‒ Su Münster: M. Steinschneider, Le Livre de la foi et Sébastien Münster, in Revue des études juives, Paris, 1882, t. V, pp. 57-67. ‒ Su Pascal: F. Strowski, Pascal et son temps, Paris, 1908, t. III, pp. 239-268 (le fonti di Pascal: molto probabilmente Charron, sicuramente Grozio e Raimondo Martini); M.-J. Lagrange, Pascal et les prophéties messianiques, in Revue biblique, 1906, pp. 533-560; H. Petitot, Pascal, sa vie religieuse, et son apologie du christianisme, Paris, 1911, pp. 264-305; R. Jolivet, Pascal et l’argument prophétique, in Revue apologétique, 15 jouillet et 1° août 1923, pp. 486-522. Su Pascal, Huet, Bossuet cfr. J. Martin, L’apologétique traditionnelle, Paris, 1905, t. III.
- Dal 1789 ai giorni nostri. ‒ 1° Gli scritti. ‒ 1. Scritti dei cristiani di nascita. ‒ A. Keith, anglicano, Évidence de la vérité de la religion chrétienne tirée de l’accomplissement littérale des prophéties constaté principalment dans l’histoire des Juifs et les découvertes des voyageurs modernes, in Migne, Démonstrations évangéliques, Paris, 1843, t. XV, coll. 385-474. ‒ Des ostacles qui s’opposent à la conversion des Israélites et des moyens de les surmonter, dodici lettere scambiate tra l’ebreo Lombroso di Milano e il sacerdote Consoni, a Orsinovi, nel 1844, in Démonstrations évangéliques, 1849,t. XVIII, coll. 451-552. ‒ M. Souillier, La désolation du peuple juif, Paris, 1891. ‒ J. Cellier, Pour et contre les Juifs, Saint-Armand, 1896.
- Scritti degli ebrei convertiti. ‒ P. L.-B. Drach, De l’harmonie entre l’Église et la Synagogue ou perpétuité et catholicité de la religion chrétienne, Paris, 1844, 2 voll. L’essenziale si trovava già in Iʳᵉ, IIᵉ, IIIᵉ lettre d’un rabbin converti aux Israélites ses frères, la Iʳᵉ, Paris, 1825; la IIᵉ, Paris, 1828; la IIIᵉ Roma, 1833; trad. ted. a cura di L. Baumblatt, di Frankenthal, ebreo convertito da queste lettere. ‒ M.-A. Ratisbonne, racconto della sua conversione (1842), riprodotto ampiamente in J. Cellier, Pour et contre les Juifs, pp. 66-87. ‒ J.-M. Bauer, a partire da Le judaïsme comme preuve du christianisme, Paris, 1866. ‒ I fratelli Augustin e Joseph Lémann, La question du Messie et le concile du Vatican, Paris, 1869; La dissolution dela Synagogue en face de la vitalité de l’Église, Roma, 1870, replica all’Univers israélite, che aveva combattuto il precedente opuscolo; La cause des restes d’Israël introduite au concile oecuménique du Vatican, Lyon, 1912 (vi si trova riprodotta La dissolution de la Synagogue, pp. 54-69). Del solo Augustin Lémann, Histoire complète de l’idée messianique chez le peuple d’Israël. Ses développements, son altération, son rajeunissement, Lyon, 1909 (unicamente secondo la Bibbia). ‒ Paul Loewengard, La splendeur catholique. Du judaïsme à l’Église, Paris, 1910; Les magnificences de l’Église, Paris, 1913. L’autore, con una lettera del 23 giugno 1914 al Gil Blas, annunciò il suo ritorno al giudaismo; è morto in un manicomio, ma, poco tempo prima di perdere la ragione, era ritornato al cristianesimo sotto l’influenza di un ebreo convertito come lui. ‒ Paul Samuel, Le livre de ma conversion, Bruxelles, 1921. ‒ Albert Lopez, La lumière d’Israël. Histoire d’une âme juive, Paris, 1923.
- Scritti ispirati ad un antisemitismo religioso. ‒ L’antisemitismo non è specificamente cristiano; esso è stato sovente estraneo alle preoccupazioni cristiane, e spesso anticristiano. Non parleremo qui degli scritti originati da un antisemitismo puramente economico, o sociale, o nazionale, o etnico; basterà segnalare gli scritti principali ispirati ad un antisemitismo religioso che combatte il giudaismo, il suo culto, le sue tradizioni, la sua morale, i suoi libri, in primo luogo il Talmud. ‒ Luigi Chiarini, nato in Toscana, professore di lingue orientali a Varsavia († 1832), Théorie du judaïsme appliquée à la réforme des Israélites de tous le pays d’Europe et servant en même temps d’introduction à la version du Talmud de Babylone, Paris, 1830, 2 voll. ‒ L. Rupert, L’Église et la Synagogue, paris, 1859. ‒ Gougenot des Mousseaux, Le juif, le judaïsme et la judaïsation des people chrétiens, Paris, 1869. ‒ A. Rohling, Der Talmudjude, VI éd., 1878, trad. franc. augmentée, Paris, 1889. ‒ E.-A. Chabauty, Les Juifs nos maîtres, Paris, 1882. ‒ Édouard Drumont, La France juive, Paris, 1885, 2 voll., opera d’un antisemitismo sia economico che religioso, nazionale ed etnico, che ha fatto fiorire un’abbondante letteratura antigiudaica. ‒ L. Bloy, La salut par les Juifs, Paris, 1892. ‒ Dom Besse, O.S.B., Les religions laïques, Paris, 1913, pp. 101-115.
- Scritti dove gli ebrei sono combattuti indirettamente. ‒ Lo sono nella trattatistica De vera religione, che ormai fa parte di tutti i corsi di teologia, in una moltitudine di scritti di apologetica dalle forme più svariate e di lavori dedicati alla Scrittura: critica testuale, esegesi, storia, etc. Citiamo soltanto: L.-E. de la Hogue, Tractatus de religione, Dublino, 1808; Paris, 1815. ‒B. F.-L. Liebermann, Demonstratio christiana et catholica, all’inizio delle Institutiones theologicae, Magonza, 1819; nuov. éd., Tournai, 1850. ‒ G. Frémont, Jésus Christ attendu et prophétisé, Paris, 1888-1889, 2 voll. (sermoni); Les principes, Paris, 1912, t. XI. – Abbé de Broglie, Questions bibliques, pubblicate da C. Piat, 1897, Paris, pp. 244-380 delle profezie. ‒ J. Touzard, Comment utiliser l’argument prophétique, Paris, 1911 (estratto dalla Revue du clergé français, Paris, 1908, t. LVI, pp. 513-548); L’argument prophétique, in Revue pratique d’apologétique, Paris, 1907-1909, t. V, pp. 757-772; t. VI, pp. 906-933; t. VII, pp. 81-116, 731-750. ‒ M.-J. Lagrange, Le messianisme chez les Juifs, Paris, 1909.
2° La natura degli scritti. ‒ I trattati scritti direttamente ed esclusivamente all’indirizzo degli ebrei si fanno rari. Gli ebrei sono inglobati nel quadro complessivo della dimostrazione cristiana e cattolica. Ovviamente gli ebrei convertiti si rivolgono innanzitutto ai loro vecchi correligionari quando pubblicano il racconto della loro conversione o libri di discussione religiosa.
3° Il contenuto degli scritti. ‒ 1. Parte positiva della controversia. ‒ a) L’argomento profetico. ‒ Troppo spesso questo viene ridotto allo studio di un piccolo numero di testi, estrapolati dal contesto e dal quadro in cui assumono il loro vero significato. Una delle cause è la mancanza di spazio in questa trattatistica De vera religione, dove bisogna essere succinti per non estendere oltre misura una dimostrazione complessa. Ridotto in questo modo, l’argomento perde la sua forza probante. Di nuovo troppo spesso lo si sostiene sulla base di un’esegesi lacunosa. L’ab. de Broglie, il P. Lagrange, J. Touzard etc. hanno mostrato che l’argomento doveva essere perfezionato; grazie ad essi sta beneficiando dei progressi degli studi biblici.
- b) La realtà della Chiesa. ‒ L’argomento profetico si avvale anche dei lavori che hanno posto in bella luce la realtà della Chiesa, «testimonianza irrefragabile della sua divina missione», come si esprime il concilio del Vaticano, di quella Chiesa la cui vita meravigliosa rivela il senso degli annunci profetici dell’Antico Testamento e di tutto il passato ebraico. Non c’è bisogno di essere un grande dottore per comprenderlo. Il povero Loewengard fu conquistato dalla visione della «magnificenza della Chiesa eterna», cfr. La splendeur catholique, c. XVIII, pp. 159-199, ed ha trovato accenti commoventi per chiamare le anime «verso Quella che possiede il tesoro delle magnificenze: la santa Chiesa cattolica, apostolica e romana». Les magnificences de l’Église, p. IV.
- c) Necessità delle disposizioni morali. ‒ Anche qui registriamo un progresso notevole. Nell’ordine teologico, l’insegnamento degli antichi controversisti sulla necessità di tali disposizioni per raggiungere le verità che comportano degli obblighi morali è stato corroborato, rinnovato e ampliato da L. Ollé-Laprune, La certitude morale, Paris, 1880, e da tutta una serie di lavori che lo hanno accompagnato. Nell’ordine pratico, c’erano da affrontare risolutamente le difficoltà che aveva un ebreo di abbandonare la religione dei padri. Cfr. la corrispondenza tra Lombroso e Consoni, Démonstrations évangeliques, t. XVIII, soprattutto pp. 451-460; Drach, De l’harmonie, t. I, p. 66; [J.-B. Pitra], Vie du R.P. Liberman, Paris, 1855, pp. 42-43; i fratelli Lémann, La cause, p. 78; Annales de la mission de Notre-Dame de Sion en Terre sainte, Paris, 1912, n. 127, p. 6, etc. Da sempre si era pregato affinché gli ebrei ottenessero la grazia che trionfa su ogni ostacolo. Si sono organizzate opere di preghiera, aggiungendovi opere di espiazione e di educazione cristiana. Due ebrei convertiti, i fratelli Ratisbonne, hanno ottenuto dalla Santa Sede la missione di lavorare alla conversione degli ebrei con questi mezzi. Notre-dame de Sion fondata da essi (1857) a Gerusalemme, all’Ecce homo, è il focolare di queste opere. Essa si irradia nel mondo intero, grazie all’opera di una confraternita di preghiere per la conversione degli ebrei che contava 107.232 membri nel 1911, cfr. Annales, Paris, 1911, n. 126, p. 9, e 800.000 nel 1923; cfr. A. Lopez, La lumière d’Israël, p. 244.
- Parte negativa. ‒ a) L’abbandono della Legge. ‒ L’argomento tratto dalla dispersione ebraica, dalla distruzione del tempio e dall’impossibilità per gli ebrei di compiere la Legge, insisteva su ogni sorta di calamità che hanno oppresso questa nazione. Lo si è dovuto parzialmente aggiornare. Mai il popolo d’Israele è stato così disperso come nella nostra epoca. Ma esso non si trova più nella condizione umiliante di un tempo. Dopo il 1789 è riabilitato, arricchito, influente. Questo modo di presentare l’argomento che consisteva nel dire che Israele sussiste unicamente per essere, agli occhi di tutti, una prova vivente della maledizione divina, in virtù della quale Israele doveva sempre vivere nell’obbrobbrio e nell’ignoranza, va dunque rivisto. Si è cercato di farlo. Cfr. tra gli altri i fratelli Lémann, La dissolution de la Synagogue en face de la vitalité de l’Église, in La cause, pp. 51-69. Quale che sia la condizione sociale di molti ebrei, la massa è ancora disprezzata e sventurata, e la recente ondata di antisemitismo, si è detto, mostra quanto sia instabile la fortuna di quelli che prosperano. Cfr. M. Souillier, La désolation du peuple juif, Paris, 1891, pp. 374-381. Rimane soprattutto vero che la Sinagoga e il popolo ebraico, in quanto costituenti un popolo sui juris, si sono allontanati da tutto ciò che li caratterizzava, sono decaduti rispetto a ciò che furono prima del Cristo, proprio come hanno annunciato i profeti.
- b) La Trinità divina. ‒ Si è ripetuto, e molto bene, che il dogma della trinità delle persone non contraddice quello dell’unità della natura. Il progresso è consistito principalmente nel mostrare che l’Antico Testamento non contiene la chiara rivelazione del mistero della Trinità, ma prepara alla rivelazione che il Cristo doveva farne. Cfr. J. Lebreton, Les origines du dogme de la Trinité, Paris, 1910, pp. 88-125, 441-446.
- c) La vita e la morte del Cristo e l’offensiva giudaica. ‒ Nella letteratura suscitata dall’antisemitismo, da una parte e dall’altra vi sono state violenze verbali che hanno eguagliato, se non addirittura superato, tutto ciò che le epoche anteriori avevano conosciuto. La letteratura apologetica si è placata considerevolmente; né l’offensiva giudaica, né la controffensiva cristiana hanno avuto la foga di un tempo. L’utilizzo di libri ebraici è proseguito. Il libro di Drach tende a provare che nella tradizione della Sinagoga, nel Talmud e nella cabala si trovano in modo netto e preciso la Trinità, la maternità miracolosa della Vergine immacolata e i diversi segni dai quali si doveva riconoscere il Messia, indicati in modo tale che sembrano verificarsi esattamente in Nostro Signore Gesù Cristo. Cfr. anche A. Lémann, Histoire complète de l’idée messianique, pp. 281-300.
4° Il valore degli scritti. ‒ Vi compaiono dei punti deboli. In particolare, questo utilizzo dei libri ebraici non è sufficientemente critico. Drach rende la cabala più antica e più cristiana di quanto essa non sia in realtà, ed attribuisce all’antica sinagoga conoscenze che non ebbe nei termini da lui stabiliti. Anime squisite di apostoli e di santi, spiriti eminentemente rabbinici, troppo dipendenti da Drach, troppo fiduciosi in una interpretazione allegorica della Scrittura, i fratelli Lémann sono dei mistici e dei poeti, non degli studiosi. Dove l’apologetica giudaica è in progresso è meno nei libri che si indirizzano agli ebrei che nelle opere d’apologetica generale, di cui fa parte integrante.
Quale può essere la sua efficacia? Qui dobbiamo distinguere. È evidente che l’israelita che non ha conservato la fede, che si è gettato nel puro razionalismo, non potrebbe essere toccato dall’argomento profetico basato sull’ispirazione divina delle Scritture. Per lui un’apologetica valida sarà quella valida per gli altri razionalisti. Ma, poiché la realtà dell’ebraismo entra come un elemento in questa apologetica, da un lato è da temere che il pregiudizio ebraico si frapponga tra questo israelita e la luce cristiana, dall’altro che vi siano delle possibilità perché il carattere eccezionale della storia del popolo ebraico, così palesemente differente da quella di tutti gli altri popoli, solleciti pienamente la sua attenzione e renda più semplice l’accesso al cristianesimo.
E se l’israelita è un uomo di fede e in buona fede? L’apologetica antigiudaica, basata sulle profezie dell’Antico Testamento e sulla realizzazione nel Nuovo Testamento delle antiche promesse, corroborata dalla grande realtà della Chiesa, non può non impressionarlo, purché lo studi con diligenza. Come potrebbe non essere colpito dai testi che annunciano il Messia, i suoi dolori, la sua morte, la sua gloria, se egli si limita a giustapporli senza preoccupazioni scientifiche, come ad es. quelli che compaiono in Lopez, La lumière d’Israël, pp. 143-152, o più completamente in A. Lémann, Histoire complète de l’idée messianique, pp. 15-75? Quando passerà dall’Antico al Nuovo Testamento, se lo legge con animo retto, potrà contemplare senza emozione la figura del Cristo? E quanti dettagli che da soli lo faranno riflettere e forse lo convertiranno!
Nelle Conférences ou discours contre … les athées, les déistes, les tolérants, les Juifs …, ristampate a Parigi, 1801, pp. 162-163, Beurier, dopo aver dimostrato la divinità del Cristo con le profezie che lo concernono, la stabiliva con la realizzazione di quelle fatte dal Cristo. Egli si fermava giustamente alle parole relative alla peccatrice che aveva unto la sua testa con un unguento prezioso: Sinite eam. Amen dico vobis: ubicumque praedicatum fuerit Evangelium istud in universo mundo, et quod fecit haec narrabitur in memoriam ejius, Marc. XIV, 6, 9. Al che si chiedeva: «Se Gesù Cristo non fosse stato profeta, avrebbe poture prevedere che un’azione di una semplice donna, un’azione compiuta in una cena familiare in fondo ad una borgata, dovesse essere un giorno annunciata, resa pubblica, raccomandata in tutte le parti del mondo? Invece è proprio ciò che è accade tutti gli anni da diciassette secoli, e di cui possono essere altrettanti testimoni quanti cristiani vi sono nel mondo». L’argomento è magnifico, e si comprende come un Lopez, La lumière d’Israël, pp. 55, 65, 100, 102, ne sia rimasto colpito e vi abbia visto il punto di partenza della sua conversione.
Ma quand’anche tutte le altre considerazioni non riuscissero a persuaderlo, ve n’è una che non potrebbe lasciare indifferente l’israelita credente, e cioè che il giudaismo non contiene che rovine: il tempio distrutto, i sacrifici aboliti, il gran sacerdote e il gran sinedrio scomparsi, come pure i leviti, la Legge di Mosè impraticabile. Cfr. le forti pagine di Beurier, pp. 195-203. E, con l’aiuto della grazia, egli potrà concludere che la Chiesa cattolica possiede l’eredità del popolo eletto da Dio: «il tempio, il sacerdozio, l’altare, il sacrificio perpetuo …; nei suoi molteplici uffici si ritrova il canto dei salmi, la lettura della Legge e dei profeti. Così l’israelita che viene ad essa completa e corona semplicemente la sua religione, non la cambia, ma vi ritorna», Lopez, La lumière d’Israël, pp. 217-218; cfr. Loewengard, La splendeur catholique, pp. 241-245; Les magnificences de l’Église, pp. 211-214.
«Così non è fondato, ha detto Drach, De l’harmonie, t. I, p. 64, il rimprovero che i filosofi ebrei rivolgono ai nostri fratelli convertiti di aver disertato la religione dei padri. Lungi dall’abiurare la religione dei padri, l’israelita che si fa cattolico è un fanciullo smarrito, un figliol prodigo che la riflessione e il pentimento riportano nella casa paterna». Con ciò si indebolisce e, con l’aiuto della grazia, si supera la difficoltà più insormontabile che esiste per un israelita a diventare cattolico: «un uomo d’onore non deve mai cambiare religione». Senza contare che non v’è nulla di disonorevole, ma al contrario è onorevolissimo abbandonare l’errore per la verità, «l’israelita divenuto cattolico non cambia religione, ma completa e perfeziona la propria religione». Lémann, La cause, p. 78. Sic perficientes coronantesque religionem mosaicam, non mutantes, dice da parte sua il Postulatum presentato, su iniziativa dei fratelli Lémann, al concilio dei Vaticano affinché venisse indirizzato un appello alla nazione ebraica, p. 92.
Sono da leggere le pagine dove i fratelli Lémann hanno ripercorso la storia di questo Postulatum pro Hebraeis per gli Israeliti rimasti carissimi a Dio a causa dei loro padri, carissimi propter patres, dice s. Paolo, Rom., XI, 28, per il popolo che ci dato Gesù e Maria, pp. 81, 92,107-108, 120, etc. Furono raccolte 510 firme episcopali, e tutti i Padri del concilio avrebbero firmato se i due fratelli, obbedendo ad un delicato sentimento di deferenza, non avessero voluto cedere la gloria di un numero più grande di firme al Postulatum pro infallibilitate. Con l’aiuto della letteratura ecclesiastica potremmo facilmente comporre un bel florilegio di testi, i quali ci ricordano che dobbiamo al popolo ebraico sia Maria che Gesù. Questo pensiero è l’ispiratore di tutte le opere di controversia antigiudaica. Quando lo evocano, anche i polemisti più impetuosi, come un Pietro il Venerabile, Tractatus adversus Judaeorum inveteratam duritiem, praef., P.L., t. CLXXXIX, col. 509, si commuovono. Non c’è uno che non abbia voluto sottoscrivere quanto s. Ildefonso esprime con la monotona insistenza, qui però affettuosa e toccante, che gli è abituale, De virginitate perpetua S. Mariae adversus tres infideles, c. III, IV, VII, P.L., t. XCI, coll. 67, 69, 76. Il Cristo, dice all’ebreo, è ex traduce tua, ex stirpe tua, ex propagine generis tui; bene!, prosegue, ipso (il Cristo) ducente sequar eum (l’ebreo), ipso praeeunte curram post illum …, et, in quantum ipse permiserit, asseverem tibi …, convincam, probem … Maria è ebrea: sit rogo jam sit, rogo, judae, gratissimum tibi tantae Virginis decus in tua cognatione repertum …; unde jam mecum ad hanc Virginem.
Bibl. ‒ Sull’antisemitismo religioso cfr. B. Lazare, L’antisémitisme. Son histoire et ses causes, Paris, 1894, pp. 222-245; A. Leroy-Beaulieu, Israël chez les nations, Paris, 1893, pp. 5-49; Les doctrines de haine. L’antisémitisme, l’antiprotestantisme, l’anticléricalisme, Paris, 1902.
sulla “Legge” ebraica
Il grande intellettuale, romanziere, storico israeliano Avraham B. Yehoshua, in “Israel, un examen moral”, afferma che “i principi alla base dell’odio contro gli ebrei sono enunciati con una chiarezza, una precisione, una concisione sorprendenti”. Dove? Nel “libro d’Esther” (Antico Testamento), scritto tra il 400 e il 200 prima di Cristo. Ecco il passo significativo: Aman dichiarò al re Xerxsès (Ahasuerus): “C’è un popolo separato e disperso fra i popoli di tutte le provincie del tuo regno, le cui leggi sono diverse da quelle di ogni altro popolo, e che non osserva le leggi del re; non è quindi interesse del re tollerarli. Se aggrada al re, che si ordini per iscritto di farli perire”. Aman, in sostanza, denunciava più di due mila anni fa l’idea, anche in quei tempi inaccettabile, dello “stato nello stato”. Yehoshua conclude: “Questo è il fondamento dell’antisemitismo secondo la dottrina sionista; questa è la sua radice; né la gelosia, né il cristianesimo, né l’Islam, né la posizione di intermediario economico, né l’eccellenza universitaria, né l’arcaismo religioso nei ghetti, ma il fatto stesso della dispersione, dell’estraneità, del carattere alloctono, della differenza, dell’assenza di limiti di cui fanno a meno gli ebrei e che poteva, in determinate circostanze, suscitare nei loro confronti un’ostilità omicida da parte dei popoli che li avevano accolti”.
Yehoshua accusa gli ebrei di violare la reciprocità: “Nelle nostre relazioni con le nazioni del mondo, noi violiamo un principio di reciprocità”. Se infatti le altre nazioni avessero associato “una appartenenza religiosa ad una appartenenza nazionale specifica, noi non avremmo avuto modo di esigere uno status civico e nazionale tra loro, e tutti gli ebrei avrebbero dovuto abbandonare la diaspora e tornare in Israele”. Non è normale per una nazione tollerare una presenza antinazionale. “L’appartenenza a una nazione è incondizionata, allo stesso titolo che i legami familiari”, “neppure a un traditore non si può revocare l’appartenenza nazionale”. Ma gli ebrei hanno fatto quasi sempre scacco all’obbligo dell’adesione al paese da cui venivano accolti.
La Legge ebraica è molto di più che una normale legge. Essa investe l’intero essere umano, anche nei gesti quotidiani. Spinosa, citato da Bernard Lazare, precisa che le leggi di Dio non erano destinate all’intera umanità: “le leggi rivelate da Dio a Mosè non erano altro che leggi per il governo speciale degli ebrei”. Questa Legge, precisa Lazare, “prescriveva loro anche norme di igiene e di moralità; non solo designò il territorio dove dovevano essere offerti i sacrifici, ma determinò anche il modo in cui quel territorio doveva essere governato. Ciascuna delle leggi date, siano esse agrarie, civili, profilattiche, teologiche o morali, procedeva dalla stessa autorità, sicché tutti questi codici formavano un tutto, un sistema rigoroso al quale nulla si poteva togliere per paura del sacrilegio”.