Ma chi è dunque il Giovanni dell’Apocalisse?

MA CHI È DUNQUE IL GIOVANNI DELL’APOCALISSE?

Chi è l’autore del quarto Vangelo, quello che comunemente viene attribuito a “Giovanni”? E chi è il Giovanni autore dell’Apocalisse? Le risposte a queste domande sembrerebbero scontate, almeno per coloro che seguono le spiegazioni degli esegeti cattolici tradizionali. Il Giovanni del quarto Vangelo e dell’Apocalisse è Giovanni il Galileo, fratello minore di Giacomo e figlio di Zebedeo.

Ad esempio, ecco cosa scrive la Sacra Bibbia curata da mons. Salvatore Garofalo nell’introduzione al quarto Vangelo:

“Il quarto vangelo si presenta come opera di un discepolo anonimo, «prediletto da Gesù», che non si fa fatica a identificare con Giovanni, figlio di Zebedeo e di Salome, fratello dell’apostolo Giacomo, già discepolo del Battista e poi intimo di Gesù nel gruppo dei dodici apostoli, testimone privilegiato della gloria del Figlio di Dio”[1].

Tra gli studiosi contemporanei, però, c’è qualcuno che ha provato a percorrere una strada diversa. Intendo riferirmi al prof. Claude Tresmontant. Tresmontant è stato un filosofo e teologo francese, docente universitario di filosofia medievale e di filosofia della scienza presso la Sorbona di Parigi. All’inizio degli anni Ottanta scrisse un libro – Le Christ hébreu – che venne caldamente elogiato da Mons. Francesco Spadafora.

Ma Tresmontant si occupò anche, e a lungo, dell’Apocalisse di Giovanni, a cui dedicò due libri: la traduzione commentata del libro di Giovanni, pubblicata nel 1984, e Enquête sur l’Apocalypse, pubblicata nel 1994. In quest’ultimo libro, Tresmontant propose una tesi ardita (forse troppo ardita): il Giovanni autore dell’Apocalisse non sarebbe Giovanni il figlio di Zebedeo, ma un altro Giovanni, Giovanni il kôhen, che fu sommo sacerdote del Tempio di Gerusalemme tra l’anno 36 e l’anno 37 dell’era cristiana. Tresmontant giunge a questa conclusione partendo da una sua personale lettura di un documento storico molto antico: si tratta della lettera di Policrate, vescovo di Efeso, indirizzata al papa Vittore negli anni compresi tra il 189 e il 199. Viene citata per ben due volte nella Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea. Leggiamo il testo di Eusebio (III, 31):

“Abbiamo già riferito nelle pagine precedenti il tempo e il genere di morte di Pietro e Paolo, e anche il luogo in cui sono stati deposti i loro corpi, dopo che lasciarono questa vita. Come pure si è già precisato quando morì Giovanni. Il luogo della sua sepoltura è indicato in una lettera che Policrate, vescovo della diocesi di Efeso, scrisse a Vittore, vescovo di Roma. In essa sono così ricordati lo stesso Giovanni e l’apostolo Filippo con le sue figlie: «Grandi astri si sono spenti in Asia, ma risorgeranno l’ultimo giorno dell’avvento del Signore, quando scenderà in gloria dal cielo a richiamare tutti i santi: Filippo, uno dei dodici apostoli, riposa a Hierapolis con due sue figlie che si serbarono vergini tutta la vita, mentre la terza, vissuta nello Spirito Santo, è sepolta ad Efeso; anche Giovanni, colui che si abbandonò sul petto del Signore, che fu sacerdote e portò il petalon, martire e maestro, giace ad Efeso»”[2].

Che cos’era il petalon? La traduttrice che ha tradotto il predetto testo della Storia ecclesiastica da me citato ha aggiunto in nota:

“Lamina d’oro fissata sulla mitra del sacerdote presso gli Ebrei”.

Per saperne di più, occorre leggere Esodo 28, 36:

“Farai una lamina d’oro puro e su di essa inciderai come sui sigilli “Consacrato a Jahve”. La munirai di un nastro di porpora viola e la disporrai sul turbante: deve restare sulla parte anteriore del turbante. Starà sulla fronte di Aronne e Aronne porterà così le colpe per le offerte sacre che i figli di Israele presenteranno: per tutte le loro offerte sacre. Sarà, quindi, sempre sulla fronte di Aronne per attirare su di loro la benevolenza al cospetto di Jahve”.

Secondo Tresmontant, il Giovanni sacerdote e martire di cui parla Policrate di Efeso non è altri che il sommo sacerdote Gionata figlio di Anano (Anna) di cui parla Flavio Giuseppe nelle sue Antichità giudaiche. Come è arrivato l’illustre studioso francese a questa conclusione? Per capirlo, vale la pena di ripercorrere il filo delle argomentazioni da lui esposte nel suo libro.

Nel Vangelo di Giovanni, versetti 1, 35 e seguenti, si parla dei primi discepoli di Gesù e in particolare di due discepoli che erano stati fino a quel momento con Giovanni il Battista. Uno dei due è nominato: si tratta di Andrea, fratello di Simon Pietro. L’altro non viene nominato. Secondo Tresmontant quello che non viene nominato è precisamente Giovanni il kôhen, quello “che si nasconde in tutto il Vangelo, quello che noi cerchiamo”. Matteo 26, Marco 14 e Luca 22 riferiscono poi delle disposizioni impartite da Gesù ai discepoli relative alla preparazione della Pasqua. I sinottici non riferiscono il nome del padrone di casa dove Gesù andò a consumare con i suoi discepoli l’ultima cena. Secondo Tresmontant è sempre Giovanni il kôhen (p. 268): “Se il Vangelo di Giovanni fosse stato scritto da Giovanni, figlio di Zebedeo, alla veneranda età di 96 o 98 anni, egli avrebbe riferito di questa spedizione dei due discepoli a Gerusalemme, poiché, secondo Luca 22, 8, egli era uno dei due”.

Poi c’è la questione del calendario. Nel fissare la data dell’Ultima Cena, i Vangeli di Matteo, Marco e Luca da un lato e il Vangelo di Giovanni, dall’altro, seguono un calendario differente. I quattro Vangeli sono d’accordo sul fatto che l’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli ha avuto luogo un giovedì, e la crocifissione il venerdì. Ma per Matteo, Marco e Luca, questo giovedì era un 14 nisan, e questo venerdì un 15 nisan. Mentre per il Vangelo di Giovanni il giovedì era un 13 nisan e il venerdì un 14 nisan. Per i sinottici, quel giovedì era già pasqua mentre per l’autore del quarto Vangelo era un giorno di preparazione. All’epoca, vi erano due calendari per la festa di pasqua: il calendario dei farisei e quello dei sadducei. Il popolo (e con esso gli evangelisti Matteo, Marco e Luca) seguiva il calendario dei farisei mentre il Giovanni del quarto Vangelo seguiva quello dei sadducei. Commenta Tresmontant (p. 275):

“È evidente che se il Giovanni del quarto Vangelo fosse stato Giovanni il Galileo, il figlio di Zebedeo, non si vede perché avrebbe modificato il calendario dei suoi compagni galilei, quello che si trova applicato da Matteo, Marco e Luca. Ma se il Giovanni del quarto Vangelo è kôhen, come ci dice Policrate, vescovo di Efeso, si comprende perché egli ha seguito il calendario del suo clan e della sua casta”.

Un altro dettaglio che, secondo Tresmontant, fa capire che Giovanni il figlio di Zebedeo non può essere l’autore del Vangelo a lui attribuito, è quello relativo all’arresto di Gesù. Sappiamo da Matteo (26, 56) e da Marco (14, 50), che, al momento dell’arresto, tutti i discepoli di Gesù abbandonarono il Maestro e fuggirono. Secondo Giovanni 18, 15-18, a seguire Gesù erano rimasti soltanto Pietro e “un altro discepolo”. Quest’ultimo, nonostante venga solitamente identificato con il Giovanni il figlio di Zebedeo, non può essere costui, in quanto l’evangelista ci fornisce le seguenti informazioni: il discepolo in questione “era conosciuto dal sommo sacerdote, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro”. Tresmontant fa notare che se Giovanni il figlio di Zebedeo si fosse arrischiato a entrare nella residenza del sommo sacerdote e ad impartire un ordine alla portinaia, quest’ultima non solo non gli avrebbe obbedito ma lo avrebbe fatto immediatamente arrestare.

Tresmontant fa inoltre rilevare che il discorso di Gesù detto “escatologico” è menzionato dai Vangeli sinottici (Matteo 24, Marco 13, Luca 21) mentre viene ignorato dal quarto Vangelo. Sappiamo dal Vangelo di Marco (13, 3) che quando Gesù parlò era presente un Giovanni che è sicuramente il figlio di Zebedeo, in quanto associato a suo fratello Giacomo. Se è costui l’autore del quarto Vangelo, è inconcepibile che non riferisca le parole di Gesù come gli altri evangelisti.

Non basta. Anche l’agonia del Getsemani, riferita dai sinottici, non viene menzionata dal quarto evangelista il quale, evidentemente, non era presente con gli altri discepoli, nonostante i due figli di Zebedeo vengano espressamente menzionati da Matteo (26, 36) e da Marco (14, 33). Secondo Tresmontant, il quarto evangelista si trovava già, in quel momento, nella residenza del sommo sacerdote.

C’è infine da notare che il quarto Vangelo è l’unico che non menziona la missione dei dodici apostoli, nominati e inviati da Gesù (Matteo 10, Marco 6, Luca 9), perché, a detta di Tresmontant, l’evangelista Giovanni era un kôhen ma non fece mai parte dei dodici.

Conclude Tresmontant (pp. 291-292):

“È dunque assai verosimile che colui che Policrate di Efeso chiama Giovanni è identico a colui che Giuseppe Flavio chiama Gionata. Ricordiamo brevemente quello che sappiamo di Gionata figlio di Anano, da parte di Giuseppe soprannominato Flavio. Venne nominato kôhen gadol da Vitellio nel 36 al posto di Giuseppe soprannominato Caifa. Venne deposto nel 37 dallo stesso Vitellio. Sotto l’amministrazione di Cumano (50-52) prende parte ad una delegazione giudaica inviata a Roma – è il regno dell’imperatore Claudio. Viene assassinato all’inizio del regno di Nerone (54-68), su ordine del procuratore Felice, 52-60. Aveva rifiutato l’offerta che gli aveva fatto Agrippa I, morto nel 44, di divenire di nuovo sommo sacerdote. Agrippa aveva nominato al suo posto il fratello Mattia”. Secondo Tresmontant, i nomi Ionatan (Gionata) e Iohanan (Giovanni) sono intercambiabili, e designano probabilmente la stessa persona”.

A questo punto si pone un quesito: il Giovanni autore del quarto Vangelo e il Giovanni dell’Apocalisse sono la stessa persona? Tresmontant risolve il dubbio in senso affermativo. Le date che egli riporta relative alla vita di Gionata figlio di Anano quadrano con quanto affermato da Epifanio di Salamina, santo e Padre della Chiesa, secondo il quale il Giovanni autore dell’Apocalisse profetizzò, da Patmos, all’epoca dell’imperatore Claudio (41-54)[3].

Fin qui, dunque, la ricostruzione di Tresmontant. Da parte mia, osservo che la sua identificazione dell’autore del quarto Vangelo e dell’Apocalisse col Gionata di Flavio Giuseppe, se un anno fa mi sembrava decisamente ardita, mi appare oggi francamente insostenibile. È vero che tra i discepoli di Gesù vi furono persone appartenenti non solo al popolo ma alle classi sociali più elevate. Sappiamo dai Vangeli che furono discepoli di Gesù due eminenti sinedriti come Nicodemo e come Giuseppe d’Arimatea. Sappiamo inoltre dagli Atti degli Apostoli (6, 7), che dopo la Pentecoste si convertirono numerosi sacerdoti: “Intanto l’evangelo cresceva, e a Gerusalemme si moltiplicava di continuo il numero dei discepoli, mentre folti gruppi di sacerdoti si sottomettevano l’uno dopo l’altro alla fede”. Ma la tesi di Tresmontant, secondo cui Giovanni/Gionata avrebbe avuto una doppia vita (quella di sommo sacerdote del Tempio ebraico e, nello stesso tempo, di discepolo prediletto di Gesù), e questo non per pochi mesi ma per più di 20 anni (!), mi sembra decisamente bislacca: il quarto Vangelo infatti parla del “discepolo che egli amava”, del discepolo prediletto, che si fa trovare presso la croce di Gesù accanto alla madre di Cristo, manifestando pubblicamente la propria fede in Colui che era stato appena condannato a morte dalle massime autorità giudaiche. Di sicuro, dopo una presa di posizione del genere, se fosse stato un sacerdote ebraico, le autorità giudaiche lo avrebbero espulso dalle proprie fila e Agrippa I non gli avrebbe certo proposto di diventare sommo sacerdote.

Ma c’è un altro punto che mi sembra opportuno sottolineare: la delegazione di cui parla Tresmontant venne inviata a Roma nei primi anni Cinquanta. Sono gli anni successivi al Concilio di Gerusalemme (circa 49-50). Ebbene, osserva a questo proposito Wikipedia che “Circa gli anni successivi agli eventi narrati negli Atti, le antiche tradizioni cristiane concordano nel collocare l’operato di Giovanni in Asia (cioè l’attuale Anatolia occidentale), in particolare a Efeso, con una breve parentesi di esilio nell’isola di Patmo”[4]. Se Giovanni in quegli anni si trovava in Asia non poteva certo far parte di una delegazione di maggiorenti ebrei non cristiani inviata a Roma.

Ma allora, se l’identificazione proposta da Tresmontant tra l’autore del quarto Vangelo (e dell’Apocalisse) e Giovanni/Gionata il kôhen è sbagliata, come deve essere interpretata la predetta lettera di Policrate, secondo cui il discepolo prediletto di Gesù portava il petalon? A mio modestissimo avviso, l’informazione di Policrate non deve essere presa alla lettera: egli voleva semplicemente dire che il Giovanni in questione era un sacerdote di importanza ragguardevole, non che egli avesse indossato materialmente la lamina d’oro dei sommi sacerdoti ebraici.

Incidentalmente, sempre a proposito di Giovanni e dell’Apocalisse, c’è un altro dato interessante emergente dal predetto documento: tra i “luminari” dell’Asia minore menzionati da Policrate nella sua lettera al papa, vi sono, oltre a Giovanni, sepolto a Efeso, Policarpo e Trasea, sepolti a Smirne, Sagari, sepolto a Laodicea, e infine Melitone, sepolto a Sardi. Efeso, Smirne, Laodicea, Sardi: sono quattro delle sette chiese che compaiono nell’Apocalisse! Se ci si domanda perché mai Giovanni inviò i messaggi proprio a queste chiese, la lettera di Policrate è una conferma storica che la menzione di queste chiese nell’Apocalisse è evidentemente legata all’attività missionaria di Giovanni. Non sono nomi simbolici.

Infine, se Tresmontant ha negato – sia per il quarto Vangelo che per l’Apocalisse – la paternità dell’apostolo Giovanni, il figlio di Zebedeo, non bisogna dimenticare che questa paternità venne autorevolmente ribadita nel 1907 dalla Pontificia Commissione Biblica, quando quest’ultima era ancora organo del magistero (come ricordò a suo tempo proprio il compianto Mons. Spadafora[5]). E il magistero cattolico non può essere preso sottogamba dai cattolici.

Detto questo, non voglio sminuire eccessivamente la credibilità, come studioso, del prof. Tresmontant. Egli era pur sempre un erudito geniale, anche se purtroppo non sempre rigoroso, ed è stato uno dei rari esegeti cattolici dell’Apocalisse ad essere un convinto preterista. Ad esempio, si rese conto che per cercare di capire l’Apocalisse bisogna studiare a fondo le opere di Flavio Giuseppe, a cominciare dalla Guerra giudaica. In altre parole, pur essendo (anche) un teologo, ha sottoposto l’Apocalisse al vaglio della critica storica. E questo è un titolo di merito che nessuno gli può negare.

 

[1] La Sacra Bibbia – tradotta dai testi originali e commentata, a cura e sotto la direzione di mons. Salvatore Garofalo, Marietti editore, Casale Monferrato 1966, p. 163.

[2] Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, Rusconi Libri, Milano 1979, p. 200.

[3] (Adversus haereses, 51, 33, PG 41, 949).

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_(evangelista)

[5] Francesco Spadafora, La «Nuova Esegesi» – Il trionfo del modernismo sull’Esegesi Cattolica, Editore Amis de saint François de Sales, 1996, pp. 41-42.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Recent Posts
Sponsor