La persecuzione del Mahatma Gandhi
Della banalità della lotta del Mahatma Gandhi per i diritti civili in Sudafrica
Germar Rudolf ∙ giugno 24, 2024
Ultimo aggiornamento gennaio 2025
https://codoh.com/library/document/mahatma-gandhis-persecution/
Introduzione
Quando tra il 2005 e il 2009 languivo in un carcere tedesco a causa delle mie ricerche storiche, ho avuto l’opportunità di leggere molte opere di letteratura classica. Tra queste c’era anche un libro sulle opere fondamentali del Mahatma Gandhi, che spiegava i principi della sua lotta per i diritti civili e il diritto all’autodeterminazione del Sudafrica e dell’India.[1] Nel mio discorso di difesa pronunciato durante il processo tenutosi tra la fine del 2006 e l’inizio del 2007, ho usato diverse citazioni dalle opere di Gandhi che mi sono sembrate cruciali anche per la lotta per i diritti civili che combattiamo noi revisionisti. Si possono trovare tutte a pagina 184 del mio libro Resistance is Obligatory:[2]
“Finché esisterà la superstizione secondo la quale gli uomini dovrebbero obbedire a leggi ingiuste, esisterà la loro schiavitù”.[3]
“La democrazia non è uno Stato in cui le persone si comportano come pecore. Nella democrazia la libertà individuale, di opinione e di azione è gelosamente custodita”.[4]
“In altre parole, il vero democratico è colui che con mezzi puramente non violenti difende la sua libertà e quindi quella del suo Paese e, in ultima analisi, quella dell’umanità intera”.[5]
“Vorrei poter convincere tutti che la disobbedienza civile è un diritto intrinseco di un cittadino. Non può osare rinunciarvi senza cessare di essere un uomo.[…] Ma reprimere la disobbedienza civile significa tentare di imprigionare la coscienza.[…] La disobbedienza civile, quindi, diventa un dovere sacro, quando lo Stato è diventato illegale, oppure corrotto, che è la stessa cosa,.[…] È un diritto innato che non può essere ceduto senza rinunciare al rispetto di sé”.[6]
“Sono più che mai convinto che un individuo o una nazione abbia il diritto, e persino il dovere, di ricorrere a [disobbedienza civile], se è in gioco la sua esistenza”.[7]
Il Mahatma Gandhi è un gigante tra i personaggi favoriti della resistenza pacifica e della disobbedienza civile contro l’abuso di potere. Nel 2007, lo citavo con riverenza, stupore e ammirazione.
Lo scorso Natale, un mio sostenitore di origine indiana, dopo aver letto il mio libro Resistance is Obligatory, è stato così generoso da inviarmi in dono il libro su cui s’incentra il presente commento critico. Gli scritti di e su Gandhi che ho letto durante la mia detenzione esponevano i principi dell’attivismo di Gandhi svilupattosi nel corso dei decenni.[8] Non contenevano una descrizione dettagliata di queste lotte. Ricordo solo un breve riassunto di ciò che ha passato nei primi anni, mentre esercitava forti pressioni per la parità di diritti per gli immigrati indiani in Sud Africa.
Il libro qui commentato è una storia piuttosto dettagliata e avvincente dell’azione e delle esperienze di Gandhi in Sudafrica.
Fermare e invertire l’immigrazione di massa
I governanti europei del Sudafrica avevano bisogno di manodopera a basso costo per coltivare la terra delle loro aziende agricole e sgobbare nelle loro miniere d’oro e di diamanti. La schiavitù era stata abolita dall’impero britannico, e la popolazione indigena non aveva voglia di lasciarsi alle spalle la propria esistenza da età della pietra per lavorare duramente nei campi e nelle miniere dell’Uomo Bianco in condizioni assai terribili. Perciò, i Britannici furono costretti a incentivare l’immigrazione degli Indiani poveri in Sudafrica per svolgere questi lavori umili – come lavoratori a contratto. Tuttavia, i governanti europei non erano propensi a riconoscere a questi immigrati indiani uguali diritti, anche al termine del loro periodo contrattuale, dopo 5 anni. Infatti, verso la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, c’è stata un’inversione di tendenza: i timori degli Europei di essere alla fine superati per numero e sostituiti dagli Indiani hanno portato all’introduzione di leggi che limitavano l’immigrazione a persone che parlavano correntemente una lingua europea. Altre leggi miravano a rendere la vita degli Indiani già presenti in Sudafrica così miserabile da indurli a tornare in India volontariamente.
La lotta di Gandhi contro queste leggi assomiglia per certi versi alla lotta degli odierni gruppi che lottano per i diritti civili in Europa e negli Stati Uniti, facendo pressione per garantire uguali diritti, compresa la cittadinanza, a tutti gli immigrati, e per una politica di immigrazione più liberale. Mentre Gandhi non si opponeva alle restrizioni sull’immigrazione in quanto tali – capiva e rispettava il timore degli Europei di trovarsi in minoranza – violava intenzionalmente le leggi che proibivano l’ingresso di Indiani non registrati in alcune province sudafricane (che avevano leggi diverse in merito).
In quegli anni, le autorità sudafricane introdussero le carte d’identità obbligatorie per gli immigrati, con foto o impronte digitali come unici identificatori, per riuscire a distinguere i nuovi immigrati non registrati (quindi illegali) da quelli che si erano stabiliti in Sudafrica prima dell’introduzione delle leggi che limitavano l’immigrazione. Queste carte d’identità erano un serio pomo della discordia per Gandhi e i suoi sostenitori. Quello che oggi noi tutti diamo per scontato – documenti d’identità rilasciati dallo Stato con foto con dati biometrici – all’epoca costituiva un oltraggio, sufficiente per inscenare una rivolta.
Persecuzione – Un confronto
Gandhi fu incarcerato tre volte durante il suo soggiorno in Sudafrica. Inizialmente, la pena massima per i reati in questione era di tre mesi di reclusione. Gandhi fu condannato prima a due mesi e poi a tre mesi, che dovette scontare interamente. In seguito, fu condannato a nove più tre mesi, quindi a un anno in totale, tra l’altro, per istigazione alla violazione delle leggi sudafricane sull’immigrazione. Tuttavia, a seguito di proteste di massa e scioperi, fu rilasciato dopo sole sei settimane, giungendo poi a un accordo con il governo sudafricano, la qual cosa costituì una clamorosa vittoria per il suo movimento. Ciò pose fine alla persecuzione di Gandhi in Sudafrica.
Per un revisionista europeo dei giorni nostri, sembra il paradiso. La massima pena detentiva più breve per la violazione delle leggi sulla “negazione” è quella di sei mesi del Lussemburgo, mentre la massima pena detentiva più lunga la si trova in Austria con 20 anni di reclusione (se il reato di negazione è stato commesso assieme al tentativo di risveglio del nazionalsocialismo). Ho trascorso un totale di 45 mesi nelle carceri tedesche per due reati diversi (14 più 30 mesi, più un mese di reclusione negli Stati Uniti in attesa della deportazione). Nessun revisionista viene mai rilasciato in anticipo, e se qualcuno dovesse osare organizzare proteste e scioperi contro tale incarcerazione, rischierebbe anche l’arresto.
Durante l’intera lotta di Gandhi in Sudafrica, il giornale che aveva fondato per informare sulla lotta in corso per i diritti civili, intitolato Indian Opinion, usciva senza impedimenti, tranne che per occasionali carenze di personale e vincoli finanziari. Le autorità sudafricane non hanno mai interferito in alcun modo. Non sono mai state segnalate confische di numeri, irruzioni nelle redazioni, confische di macchine da stampa, arresti di redattori, autori, tipografi, distributori o editori.
Le confische di periodici e libri revisionisti sono la norma nell’Europa continentale. Periodici come Inconvenient History non poterono resistere a lungo prima che i loro uffici venissero perquisiti dalla polizia, che tutti i numeri fossero confiscati e dati alle fiamme sotto la supervisione della polizia, che tutti i mezzi per produrre nuove copie ed edizioni fossero distrutti (stampanti, computer, supporti dati, ecc.) e che chiunque fosse coinvolto venisse perseguito: editori, redattori, autori, tipografi, distributori, importatori, esportatori, gestori di magazzini, venditori e acquirenti di copie multiple.
Le associazioni create da Gandhi e dai suoi sostenitori per organizzare la loro lotta contro le autorità sudafricane, comprese le principali proprietà immobiliari per radunare i suoi seguaci, non sono mai state oggetto di persecuzione né sono mai state ostacolate.
Il 9 novembre 2003, alcuni revisionisti hanno fondato in Germania l'”Associazione per la Riabilitazione dei Perseguitati per Confutazione dell’Olocausto”,[9] allo scopo di “eliminare l’isolamento dei perseguitati precedentemente prevalente, attraverso sforzi organizzati, garantire che la loro lotta per la giustizia riceva la pubblica attenzione necessaria e fornire i mezzi finanziari per una battaglia legale vincente”, dunque, un perfetto equivalente dell’organizzazione di Gandhi, da lui chiamata “Satyagraha”. L’obiettivo di questo gruppo tedesco era quello di “riaprire i procedimenti penali che avevano portato a condanne per negazione o banalizzazione dell’Olocausto in conformità con il paragrafo 130 (3 e 4) del codice penale tedesco”.[10]
I membri fondatori furono, tra gli altri: Robert Faurisson, Jürgen Graf, Ursula Haverbeck-Wetzel, Gerd Honsik, Horst Mahler, Germar Rudolf, Bernhard Schaub, Hans Schmidt, Wilhelm Stäglich, Fredrick Töben, Ernst Zündel, Ingrid Zündel-Rimland, Anneliese Remer (vedova di Otto Ernst Remer)
Il 7 maggio 2008 (attenzione alla tempistica: il “giorno della liberazione” della Germania ricorre l’8 maggio), il Ministro dell’interno tedesco Wolfgang Schäuble dichiarò anticostituzionale questa organizzazione per i diritti civili e la mise al bando.[11] A quel punto, molti dei membri principali di questo gruppo erano stati arrestati e condannati a lunghe pene detentive (Horst Mahler, Ernst Zündel e il sottoscritto). Da quel momento in poi, chiunque avesse cercato di tenere in piedi questa organizzazione o di fondarne una simile per i diritti civili avrebbe violato il codice penale. Quindi, se il Comitato per il Dibattito Aperto sull’Olocausto [CODOH] fosse stato un’organizzazione inserita in una lunga lista di Paesi europei che dichiarano fuori legge l’opposizione alle leggi anti-revisioniste sulla censura, sarebbe stato bandito e sciolto molto tempo fa, e tutti i membri e i volontari recalcitranti sarebbero stati arrestati, processati, condannati e reclusi per anni.
Gandhi afferma ripetutamente che ebbero delle difficoltà a organizzare la loro lotta per mancanza di fondi. Ecco tutti i vincoli finanziari che ho dovuto affrontare. Fino al 2004 gestivo un conto bancario, di solito tramite amici o parenti, per le normali operazioni commerciali in Germania. Tuttavia, nell’estate del 2004, il mio conto bancario tedesco è stato “sequestrato” dal governo tedesco e tutto il capitale ivi contenuto confiscato. Un mio caro amico che aveva gestito per me quel conto bancario tedesco è stato arrestato e la sua casa, del valore di circa un quarto di milione di dollari, è stata confiscata come “garanzia” per una multa di quell’ordine di grandezza, prevista in un futuro processo contro di me per la vendita di “letteratura di contrabbando”. (Il mio amico e la sua casa alla fine hanno ottenuto una liberatoria.) In Europa le banche chiudono i conti di individui e imprese revisioniste con una certa regolarità, anche in Paesi in cui contestare la narrazione ortodossa dell’Olocausto in quanto tale non è un crimine (HSBC e Barclays nel Regno Unito, per esempio). I portali di pagamento online come PayPal, Authorize.net, Wise e Square si rifiutano di fare affari con i revisionisti e, nel corso dei decenni, una lunga serie di sistemi di pagamento hanno chiuso i nostri account e ci hanno banditi. Inoltre, American Express ha vietato l’uso delle proprie carte sui siti web revisionisti.
In altre parole: Gandhi non ha mai veramente affrontato una persecuzione degna di questo nome. I Britannici e i Sudafricani lo hanno praticamente lasciato fare a modo suo. In effetti, tra loro c’erano molti suoi fan e sostenitori. Mi chiedo come sarebbero stati, Gandhi e il suo movimento, se le autorità e le società sudafricane e britanniche avessero applicato gli stessi metodi di persecuzione che le autorità e le società moderne usano contro noi revisionisti.
Razzismo nascosto
I primi scritti di Gandhi (dal 1903 al 1907) contengono una serie di osservazioni sulla popolazione indigena del Sudafrica che sono di natura chiaramente razzista. Mentre, in quei primi anni, Gandhi combatteva la sua battaglia contro il razzismo europeo nei confronti degli Indiani, non aveva evidentemente scrupoli a mostrare lo stesso tipo di razzismo contro le persone che considerava inferiori ai suoi simili.[12] Tuttavia, la lettura del successivo resoconto della sua lotta in Sudafrica risulta molto diversa. In uno dei primi capitoli intitolato “Storia” (pp. 7-18), fornisce una descrizione dettagliata della popolazione indigena del Sudafrica e dei suoi costumi, ma senza usare termini dispregiativi. Al contrario, alcuni dei termini da lui usati sono piuttosto favorevoli. Sembra quindi che Gandhi, nei suoi ultimi anni, abbia corretto i suoi pregiudizi iniziali.
Conclusione
Numerose sono le ragioni per cui, ai giorni nostri, la persecuzione contro i revisionisti è molto più dura di quella che Gandhi abbia mai sperimentato. La più importante è che il campo in cui ha lottato con la sua disobbedienza civile non ha attaccato argomenti tabù né un importante, se non il più importante, pilastro psicologico dell’ordine mondiale del suo tempo. Le battaglie contro le discriminazioni razziale e l’appartenenza etnica (gli Indiani in Sudafrica), così come la lotta per la decolonizzazione nazionale e l’autodeterminazione dei Paesi del Terzo mondo (l’India) sono stati e sono tuttora argomenti che trovano appoggi e maggioranze di sostenitori ovunque. Noi revisionisti abbiamo semplicemente scelto l’argomento più difficile per ottenere uguali diritti civili. L’opinione pubblica è fermamente schierata contro di noi. Tanto più importante è seguire ciò che Gandhi chiamava “Satyagraha”: disobbedienza pacifica e conciliante e resistenza contro le leggi ingiuste, e il rigoroso riconoscimento che è inaccettabile schierarsi a favore, sostenere, giustificare, promuovere o tollerare la violazione dei diritti civili e dei diritti all’autodeterminazione di chiunque; sia per il passato, il presente o il futuro.
Note finali
[1] | Mahatma K. Gandhi, The Selected Works of Mahatma Gandhi, Vol. 4, The Basic Works,, Navajivan Publishing House, Ahmedabad, 1969. |
[2] | 2a ed., Castle Hill Publishers, Uckfield, 2016; https://armreg.co.uk/product/resistance-is-obligatory-address-why-freedom-speech-matters/. |
[3] | Shriman Narayan (a cura di), The Selected Works of Mahatma Gandhi, Vol. 4, Navajivan Publishing House, Ahmedabad 1969, p. 174. |
[4] | “Young India”, 2 marzo 1922; Ministero dell’informazione e della Radiodiffusione, Governo dell’India (a cura di), The Collected Works of Mahatma Gandhi (Electronic Book), Divisione Pubblicazioni Governo dell’India, Nuova Delhi 1999, 98 volumi (https://www.gandhiservefoundation.org/about-mahatma-gandhi/collected-works-of-mahatma-gandhi/), successivamente CWMG, qui vol. 26, p. 246. |
[5] | Harijan, 15 aprile 1939, CWMG, vol. 75, p. 249. |
[6] | “Young India”, 5 gennaio 1922; CWMG, vol. 25, pp. 391 e seguenti. |
[7] | “Young India”, 14 febbraio 1922. |
[8] | Tra queste anche le opere secondarie di Fritz Kraus (a cura di), Vom Geist des Mahatma, Holle, Baden-Baden 1957; e Michael Blume, Satyagraha. Wahrheit und Gewaltfreiheit, Yoga und Widerstand bei Gandhi, Dissertation, Hinder + Deelmann, Gladenbach 1987. |
[9] | Horst Mahler, “Verein zur Rehabilitierung der wegen Bestreitens des Holocausts Verfolgten,” “Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung”, 7(3&4) (2003), p. 448. |
[10] | Vedere https://de.wikipedia.org/wiki/Verein_zur_Rehabilitierung_der_wegen_Bestreitens_des_Holocaust_Verfolgten. |
[11] | Comunicato stampa del Ministero dell’interno tedesco del 7 maggio 2008; https://tinyurl.com/245zmj46. |
[12] | Vedere Arthur Kemp, The Racism of the Early Mahatma Gandhi“, “The Revisionist” 2(2) (2004), pp. 184-186; https://codoh.com/library/document/the-racism-of-the-early-mahatma-gandhi/. |
L’autore
Germar Rudolf è nato il 29 ottobre 1964 in Germania, a Limburg a. d. Lahn. Ha studiato chimica all’Università di Bonn, dove si è laureato nel 1989 come Dimplom-Chemiker, che negli Stati Uniti è paragonabile a un dottorato di ricerca. Dal 1990 al 1993 ha preparato una tesi di dottorato in tedesco presso l’Istituto Max Planck per la ricerca sullo stato solido, in collaborazione con l’Università di Stoccarda. Parallelamente e nel tempo libero, Rudolf ha preparato una perizia sulle questioni chimiche e tecniche delle presunte camere a gas di Auschwitz, The Rudolf Report (ora intitolato The Chemistry of Auschwitz), dove giunge alla conclusione che “le presunte strutture per lo sterminio di massa ad Auschwitz e Birkenau non erano adatte allo scopo come sostenuto”. Di conseguenza, negli anni successivi dovette subire dure misure di persecuzione. Si esiliò quindi in Gran Bretagna, dove fondò la piccola casa editrice revisionista Castle Hill Publishers. Quando, nel 1999, la Germania ne chiese alla Gran Bretagna l’estradizone, Rudolf fuggì negli Stati Uniti. Lì chiese asilo politico, ampliò la sua attività editoriale e nel 2004 sposò una cittadina statunitense. Nel 2005, gli Stati Uniti riconobbero la validità del matrimonio di Rudolf e pochi secondi dopo lo arrestarono e successivamente fu deportato in Germania, dove fu incarcerato per 44 mesi per i suoi scritti accademici. Alcuni degli scritti per i quali fu condannato erano stati pubblicati mentre Rudolf risiedeva negli Stati Uniti, dove le sue attività erano e sono perfettamente legali. Dal momento che non è un criminale secondo la legge degli Stati Uniti, nel 2011è riuscito a immigrare definitivamente negli Stati Uniti, dove si è riunito alla moglie e alla figlia, cittadine statunitensi. Attualmente risiede nello Stato di New York.
Chi dice no alla Storia di Stato e ai pericoli che comporta il sacralizzare, ricorrendo al codice penale, la versione unica di certe tragedie storiche, rischia di subire un pericoloso processo alle proprie intenzioni da parte dei custodi delle “verità ufficiali” contrari a ogni “revisionismo”. “Io sono uno storico revisionista” ha proclamato invece arditamente il politologo Sergio Romano, cosciente d’infrangere un tabu’ : il revisionismo è un termine fortemente ipotecato a senso unico. Ma lo storico, si è difeso Romano, deve essere disposto a non accettare ad occhi chiusi le verità rivelate, imposte da una sorta di dogmatismo storico-religioso che impedisce il normale lavoro di uno storico che è di voler accertare la verità, sulla base di nuove ricerche, accertamenti, approfondimenti. Dopo tutto i libri di storia, aggiungo io, non sono testi sacri religiosi. Eppure il contrario si verifica : un libro religioso – la Bibbia – è considerato un libro di storia dai fedeli di certe religioni. Da qui un fenomeno speculare o di reciprocità : certe pagine di storia, interpretate e diffuse dalle autorità religiose, assurgono per volere di queste autorità a testo sacro, senza possibilità di esegesi che non sia quella ufficiale.
Negazionisti e revisionisti
L’etichetta di “negazionista” spesso fa di tutt’erba un fascio. Supponiamo che il cosiddetto “negazionista” abbia scritto una serie di saggi e libri, consacrando anni di ricerche, a sostegno del suo punto di vista dubbioso o critico su una certa versione ufficiale della Shoah. Secondo voi, costui non meriterebbe di essere contestato e confutato con argomenti precisi da studiosi “seri” sui punti fatti da lui valere, invece di essere condannato a priori come “negazionista”? Altrimenti si pone d’autorità in uno steccato sacro invalicabile tutto ciò che riguarda questa tremenda pagina di storia, impedendo nei fatti ogni ricerca storica non ortodossa in relazione all’Olocausto. In altre parole si fa di una pagina di storia un “dogma”. Non dimentichiamoci che Pertini e tantissimi altri in Italia da perfetti “negazionisti” esaltarono Stalin. E contro di loro non vi fu nessun processo. Anzi tantissimi, anche dopo le denunce di Krusciov continuarono a negare, a giustificare e persino a esaltare i massacri di Stalin.
Occorrerebbe tenere nettamente distinte le due categorie: i negazionisti e i revisionisti. Accusare di “negazionismo” chiunque dimostri spirito critico nei confronti di certe verità storiche assurte a dogma religioso vorrebbe dire ritornare al fanatismo religioso di un passato morto e sepolto. O anche, piu’ vicino a noi, vorrebbe dire tornare alle verità di Stato degli esecrati totalitarismi dalle cui catene l’Europa si è liberata, da non molto.
Sergio Romano: ” In uno Stato libero nessuna autorità politica ha titolo per definire la realtà storica e per restringere la libertà dello storico sotto la minaccia di sanzioni penali.”