Gesù, Figlio dell’uomo e giudice degli uomini

Chi ha letto i Vangeli avrà fatto caso al fatto che Gesù, parlando di sé stesso, si definisce come “Figlio dell’uomo”. Qualcuno, si sarà anche reso conto che tale espressione ricorre già nel libro del profeta Daniele, nei versetti 7, 13-14:

“Io stava ancora assorto nella visione notturna, quand’ecco venire in mezzo alle nuvole del cielo uno dalle sembianze del Figlio dell’uomo che si avanzò fino al Vegliardo di giorni, e davanti a lui fu presentato. E questi gli conferì la potestà, l’onore e il regno; tutti i popoli, le schiatte e le lingue serviranno a lui; la sua potestà sarà una potestà eterna che non gli sarà mai tolta, e il suo regno, un regno che non sarà mai distrutto”[1].

Ma cosa vuol dire esattamente Figlio dell’Uomo?

Una preziosa indicazione al riguardo ci viene fornita nel libro di Antonio Socci, Indagine su Gesù[2]. Ecco cosa scrive Socci:

“Buona parte dei critici moderni ha affermato che in realtà l’immagine di Daniele era solo un simbolo, che indicava un personaggio collettivo, il popolo di Israele o il popolo dei santi di Dio e quindi non aveva valore messianico, non si riferiva a colui che era atteso. Altri (Vermes) hanno affermato che l’autodefinizione di Gesù come «Figlio dell’uomo» non ha significati particolari, ma vuol dire semplicemente «io». Ma – come ha mostrato il professor Paolo Sacchi – tutte queste ipotesi possono essere accantonate, perché c’è un testo che ci rivela esattamente come gli ebrei del tempo di Gesù interpretavano la figura del «Figlio dell’uomo» di Daniele e cosa intendeva dire Gesù attribuendosi quella stessa espressione. Questo straordinario documento è il Libro delle parabole che – sottolinea Sacchi — «è datato con sicurezza a circa l’anno 30 a.C.». Ebbene «vi appare una figura chiamata Figlio dell’Uomo che ha le seguenti caratteristiche: è una persona, non una collettività; ha una natura superumana, perché è creato prima del tempo e vive tuttora, conosce tutti i segreti della Legge e perciò ha il compito di celebrare il Grande Giudizio alla fine dei tempi. Questa figura dotata delle funzioni di giudice escatologico» osserva Sacchi «doveva essere ben nota alla gente perché nessuno domanda mai a Gesù che cosa mai sia questo Figlio dell’Uomo»[3]”.

Aggiunge Socci:

“Sacchi, dopo aver esaminato i passi del Vangelo dove Gesù parla del Figlio dell’Uomo (sé stesso) e ne rivela i poteri, nota: «Dunque, per Gesù il Giudice escatologico (questo lo sapevano tutti) poteva rimettere i peccati al momento del Giudizio finale e questo appare ben chiaro dalla lettura del Libro delle parabole; ma Gesù aggiunge ‘qui sulla terra’. Se anche non si identificò col Figlio dell’uomo delle credenze del tempo, Gesù affermò almeno di avere quei poteri che si attribuivano comunemente alla figura del Figlio dell’uomo e li aveva già, cioè da sempre» (p. 77)”[4].

Dunque, se il prof. Sacchi e Socci hanno ragione – e io penso che l’abbiano – l’espressione Figlio dell’uomo è un attributo del Cristo Giudice. Il Figlio dell’uomo che “viene sulle nubi” designa il potere di Gesù di giudicare gli uomini. Un esempio eloquente di questo potere ci è dato dai versetti del Vangelo di Marco 14, 60-62:

“Allora il sommo sacerdote si alzò in mezzo e interrogò Gesù: «Non rispondi nulla? Che cosa attestano costoro contro di te?». Egli però taceva e non rispose nulla. Il sommo sacerdote lo interrogò di nuovo: «Tu sei il Messia, il Figlio del Benedetto?». Gesù disse: «Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo sedere a destra della Potenza e venire con le nubi del cielo»”[5].

In questo caso, Gesù è venuto “con le nubi del cielo” due volte: la prima, quando ha giudicato l’anima di coloro che lo avevano condannato (giudizio particolare), e una seconda volta, nel 70 d.C., quando ha punito l’empietà della impenitente nazione giudaica (con la distruzione di Gerusalemme e del tempio da parte delle truppe romane).

Concorda con questo punto di vista il preterista americano Jay Rogers:

“Leggere ‘venire nelle nubi’ come un’espressione isolata potrebbe dare l’impressione che questa si riferisca ad un evento escatologico. Invece, “venire con le nubi” è utilizzata nel corso della Scrittura come un’immagine del Figlio di Dio che siede in giudizio alla destra di Dio Padre mentre governa le nazioni con una verga di ferro (confronta il Salmo 110). Gesù evocò questa immagine quando parlò di sé stesso come il “Figlio dell’Uomo”. Giovanni 5, 26-27: “Perché come il Padre ha la vita in sé stesso, così ha concesso anche al Figliuolo di averla in sé, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è il Figliuol dell’uomo”. Potremmo supporre che questi versetti si riferiscano all’Ultimo Giudizio, piuttosto che a Gesù come attualmente regnante sopra le nazioni. Tuttavia, se leggiamo Daniele 7:13, 14 in connessione con Matteo 24:30, 31, allora vediamo che il “segno del Figlio dell’uomo in cielo…il Figlio dell’uomo che viene sulle “nubi” è il dominio e la gloria del suo regno. “E manderà i suoi angeli al suono di gran tromba ed essi raccoglieranno i suoi eletti dai quattro punti dell’orizzonte, da un estremo all’altro dei cieli” è un versetto che si riferisce alla crescita del regno di Dio, non alla consumazione finale. Il potere di questo regno si presentò nel primo secolo dopo Cristo nei giorni dell’Impero Romano: “nei giorni di questi re” (Daniele 2:44)”[6].

Quindi l’espressione “Figlio dell’uomo” non solo è un attributo messianico ma designa il potere che ha Gesù di giudicare gli uomini, al termine della vita di ciascuno (giudizio particolare) e alla fine del mondo (giudizio universale).

 

[1] La Sacra Bibbia, a cura di Giuseppe Ricciotti, Salani Editore, 1991, p. 1214.

[2] Antonio Socci, Indagine su Gesù, BUR Saggi, Milano 2009.

[3] Ivi, pp. 167-168.

[4] Ivi, p. 168, nota 272.

[5] La Sacra Bibbia, a cura e sotto la direzione di mons. Salvatore Garofalo, Marietti Editore, Casale Monferrato 1966, pp. 98-99.

[6] Jay Rogers, In The Days of These Kings – The Book of Daniel in Preterist Perspective, Media House International, Clermont 2017, p. 242

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