Quella foto della liberazione di Dachau falsificata dal U. S. Holocaust Memorial Museum

Quella foto della liberazione di Dachau falsificata dal U. S. Holocaust Memorial Museum

IL U. S. HOLOCAUST
MEMORIAL MUSEUM FALSIFICA UNA FOTO PER RASTRELLARE FONDI

Dallo Smith’s Report n°62, febbraio/marzo 1999[1]:

Leggendo un recente appello di raccolta fondi del US
Holocaust Memorial Museum, il ricercatore CODOH[2]
Richard Widmann ha individuato una
foto che ritiene di aver riconosciuto. Scattata qualche tempo dopo la
liberazione americana di Dachau, l’immagine mostra detenuti in salute che salutano
allegramente sotto una bandiera americana messa su un pennone di fortuna.

C’era solo un problema, però: la didascalia del Museo
recita:

“Ex detenuti di Dachau festeggiano, il 30 aprile del 1946,
il primo anniversario della loro liberazione issando per gratitudine una
bandiera americana fatta in casa. National Archives, Washington” – ma Widmann
ritiene che sia datata solo pochi giorni dopo la presa di Dachau.

La foto ha interessato a lungo i revisionisti, ed è apparsa
in pubblicazioni sia standard che revisionistiche, incluso il libro Innocent at Dachau di Joseph Halow (dalla pagina 156). I revisionisti hanno interpretato
questa e altre foto analoghe di Dachau e di altri campi liberati, che mostrano
la buona salute e il buon morale di molti detenuti, come contrastanti con i
tentativi di dipingere le vittime devastate dal tifo e da altre epidemie quale risultato tipico e deliberato della politica tedesca.

Widmann si è chiesto se poteva essersi sbagliato. E quale
poteva essere stato lo scopo dell’USHMM nel mettere sulla foto una data erronea e ingannevole. L’appello, naturalmente, era per raccogliere fondi, per
contribuire a fare in modo che, secondo le parole dell’USHMM, “tutte le
generazioni a venire ricorderanno l’Olocausto”. Delle dozzine di foto dell’Olocausto
che compaiono nell’appello, quella dei detenuti che issano la bandiera americana
coincide in parte con una che ritrae “sopravvissuti di Buchenwald” ebrei
riuniti sotto la bandiera israeliana.

[…]

Quando il USHMM ricorda l’”Olocausto”, possiamo essere certi
che, come Norman Finkelstein ha definito il termine, “l’’Olocausto’ è in realtà
il resoconto sionista” di ciò che è accaduto agli ebrei durante la guerra.
Quando il USHMM si appresta a raccogliere fondi da contributori volontari
(invece che dai contribuenti americani da cui riceve una gran parte dei propri
finanziamenti), ricorre innanzitutto a sionisti ricchi.

[…]

La foto di Dachau? I tipi che hanno messo assieme questa operazione di raccolta fondi
attentamente studiata avevano bisogno di una bandiera americana, ma di una più
piccola, per mostrare tutto ciò, sì. Anche gli americani hanno la loro
importanza – ma sappiamo tutti chi comanda.

Che dire però della data in questione? Widmann, lavorando
congiuntamente a Joseph Halow, che fece lo stenografo nei processi per i
crimini di guerra di Dachau, ha identificato la foto come numerata 207745, grazie
alla copia della collezione personale di Halow. L’originale sta nei National
Archives di Washington D. C., e reca un timbro con la data sul retro.

Lo staff dei National Archives ha confermato che la foto fu
davvero scattata il 30 aprile del 1945, e non nel 1946 come sostiene il museo.
C’è da stupirsi della temerarietà del Museo nel pensare che tutti sarebbero
stati ingannati da una truffa che induceva a credere che i “sopravvissuti” fossero
tornati a Dachau un anno dopo e che, per giunta, si fossero rimessi i loro
panni di carcerati.

Anche così, l’immagine di una folla di detenuti in salute a
Dachau subito dopo la liberazione va in senso contrario agli sforzi di
propaganda del Museo. Dopo tutto, lo stimolo principale per i gentili che
visitano il Museo è il nesso tra la presa dei campi da parte degli americani –
in mezzo alle scene di orrore “a tutta prova” – e l’ordine di Hitler camere a
gas-sterminio-Olocausto. E così, mantieni la foto, falsifica la didascalia, cambia
la data e che i fatti vadano al diavolo!

Il USHMM ammette di raccogliere fondi “per cambiare il modo
di pensare delle persone”. Falsificare i fatti – anche in modi meschini come descrivere
e datare falsamente una foto relativamente trascurabile – è un modo indegno di
cambiare il pensiero delle persone. È più compatibile con la propaganda,
l’”autocritica”, il lavaggio del cervello, e altri metodi totalitari per
controllare – e per cambiare – “il modo in cui le persone pensano”, di quanto
lo sia con i valori democratici della libera ricerca, senza compromessi, della
verità. E se il Museo non si fa scrupolo a fornire una descrizione falsa di
quest’immagine, perché non dovrebbe falsificare prove più importanti della
leggenda dell’Olocausto?    

[1]
Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo:
http://www.fpp.co.uk/Auschwitz/docs/fake/USHMMDachauFake.html

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