Gian Pio Mattogno: Le “lacrime di Esaù” e l’eterna autocommiserazione della storiografia ebraica

Gian Pio Mattogno 

LE “LACRIME DI ESAÙ” E L’ETERNA AUTOCOMMISERAZIONE

DELLA STORIOGRAFIA EBRAICA

Quel che rende spesso insopportabile la lettura degli storici ebrei dell’antisemitismo, col consueto codazzo di Shabbath Goyim di complemento, è il tono vittimistico, piagnucoloso e di autocommiserazione che accompagna ogni pagina dei loro scritti, dove i buoni sono sempre gli “eletti” e i cattivi sono sempre gli “antisemiti” .

(Tralascio qui l’apologetica giudaica vera e propria e le strategie menzognere e truffaldine messe in atto dai mentitori professionali della Sinagoga e dai loro utili idioti, a partire da rabbi Yehiel di Parigi all’epoca del processo contro il Talmud fino ai giorni nostri, passando per i vari Solomon Klein, Hermann Cohen, Joseph Bloch e compagnia cantando. Oltre agli studi specifici che ho dedicato all’argomento, cfr. alcuni esempi in andreacarancini.it: Strategie dell’apologetica giudaica talmudista. Una mistificazione esemplare del Gran Rabbino Solomon Klein; Strategie dell’apologetica rabbinico-talmudica: una “maligna furfanteria” del rabbino Joseph Samuel Bloch contro August Rohling; Il padre I.B. Pranaitis; L’apologetica rabbinico-talmudica e il caso di Erich Bischoff; Una sub-apologia del Talmud: Talmud per principianti o Talmud per fessi?; Amnesie e dissimulazioni dell’apologetica giudaica. Massimo Giuliani interprete di Maimonide).

Su questo stesso argomento, muovendo dalle “lacrime di Esaù”, ha scritto un pregevole articolo Spencer J. Quinn (Esau’s Tears, Occidental Observer, theoccidentalobserver.net).

L’autore esordisce affermando che molte delle grandi opere di contro-semitismo (counter-Semitism), come le definisce, degli ultimi cinquanta anni, sono splendidi libri d’assalto che espongono le loro argomentazioni contro il potere e la sovversione ebraica.

Le più famose sono: The Culture of Critique di Kevin MacDonald; 200 anni insieme di A. Solzenicyn; Storia ebraica, religione ebraica di I. Shahak e Russofobia di I. Shafarevich.

Meno comuni, aggiunge, sono le opere difensive di contro-semitismo, quelle che scagionano i gentili dalla demonizzazione che spesso si riscontra nella storiografia ebraica.

In quest’ultimo genere di opere rientra il libro di Albert Lindemann Esau’s Tears (1997).

L’autore, che non sostiene affatto l’antisemitismo né tantomeno ne fa ammenda, si propone nondimeno di difendere in una certa misura i popoli europei, e in particolare gli antisemiti del XIX secolo e dell’inizio del XX, dal senso di colpa collettivo con cui gli storici di sinistra – molti dei quali ebrei – li infangano continuamente.

Lindemann si sforza di sottolineare due punti:

1) molte idee ed episodi storici che oggi verrebbero etichettati come antisemitismo in realtà erano perfettamente ragionevoli, basati su dati veri e provocati da un comportamento ebraico palesemente scorretto. Anche degli ebrei del passato la pensavano in questo modo, e secondo gli standard moderni anch’essi dovrebbero essere qualificati come antisemiti;

2) questa resistenza contro gli ebrei non porta necessariamente e inesorabilmente all’omicidio di massa, come vorrebbero darci ad intendere molti storici di sinistra. Questa tesi, scrive Lindemann, è fuorviante, perché influenzata da credenze legate all’epoca, che potevano riscontrarsi perfino negli stessi ebrei.

Lo storico ebreo Salo Baron coniò l’espressione “teoria della lacrima” per descrivere “l’eterna autocommiserazione che caratterizza la storiografia ebraica”, in tedesco Leidengeschichte, storia della sofferenza.

Questa espressione «viene spesso utilizzata non per presentare una narrazione equilibrata e disinteressata degli avvenimenti passati, ma per prevenire sofferenze future ignorando quelle che sono le colpe degli ebrei e denigrando i gentili. Questa “teoria della denuncia” della storiografia ebraica potrebbe fare il paio con la “teoria della lacrima” di Baron, poiché marchia i gentili con lo stigma della colpa eterna (la cui assoluzione può essere ottenuta, ovviamente, solo attraverso il filo-semitismo)».

Lindemann confuta entrambe le teorie.

Egli prende di mira in particolare tre popolari volumi di storia ebraica scritti da tre polemisti ebrei: The War Against the Jews (1975) di Lucy Dawidowicz; Antisemitism: The Longest Hatred (1991) di Robert Wistrich; Hitler’s Willing Executioners (1996) di Daniel Goldhagen.

Queste opere, come scrive Lindemann, hanno una tendenza alla narrazione colorita e indignata, accompagnata da un’analisi debole e a volte tendenziosa.

L’autore, il quale non cessa mai di impegnarsi per un ravvicinamento fra ebrei e non-ebrei, avverte gli ebrei che un approccio ostile, polemico e francamente disonesto della storia, accompagnato da un aperto anti-gentilismo, non potrà fare altro che «fornire ai veri antisemiti ulteriori munizioni da scagliare contro gli ebrei».

L’idea centrale di Lindemann trae origine dal libro della Genesi (25, 24 sgg.).

I fratelli gemelli Esaù e Giacobbe si contendono l’affetto del padre Isacco, che Giacobbe – il più giovane dei due – sottrae con l’inganno a Esaù. Infuriato e affranto, Esaù costringe Giacobbe a fuggire in Mesopotamia, dove dà origine al popolo ebraico. Esaù invece dà origine ai gentili.

Ora, si dice che l’antisemitismo avrà termine solo quando le lacrime di Esaù cesseranno di scorrere.

«Non credo che Lindemann – che non è ebreo – avrebbe potuto scegliere un titolo migliore per un’opera che contrasta la “teoria della lacrima” della storiografia ebraica. Anche i gentili hanno le loro proprie lacrime e, come il loro innocente antenato dell’Antico Testamento, spesso non nascono da fantasie o psicosi, ma dalle palpabili malefatte degli ebrei. Occhio per occhio, lacrima per lacrima».

Per sottolineare questo suo punto di vista, Lindemann procede esponendo un fatto scomodo dopo l’altro.

Non è vero che gli ebrei furono relegati nei ghetti: essi vi vivevano di loro spontanea volontà per tenersi separati dai gentili.

Non è vero che gli ebrei furono costretti a praticare l’usura: c’erano altre professioni aperte a loro, ma praticavano l’usura semplicemente perché volevano farlo, senza curarsi dei danni che cagionavano al popolino dei gentili (come ad es. in Russia, dove potevano tranquillamente possedere la terra, ma avevano deciso di non lavorarla da soli).

Gli ebrei, sottolinea Lindemann, non erano poi così innocenti come ci vengono presentati. L’autore si limita a ricorda la famosa espressione rabbinica: “Il migliore dei gentili dovrebbe essere ucciso”, ma in realtà la letteratura rabbinico-talmudica è piena zeppa di affermazioni ostili ai goyim.

Il libro del Deuteronomio, aggiunge, può ragionevolmente essere visto come un’approvazione del genocidio, e molti autori ebrei del passato hanno espresso opinioni che oggi chiameremmo sicuramente suprematiste, scioviniste e razziste.

Non sorprende allora che anche non pochi illuministi fossero irritatati dall’intolleranza e dal separatismo degli ebrei e si dichiarassero ostili alla loro emancipazione.

Emblematico è il caso dell’Alsazia durante la rivoluzione francese: qui molti alsaziani sperimentarono sulla propria pelle come i tradizionali vizi ebraici lungi dallo scomparire con le nuove leggi, erano in realtà peggiorati nella loro provincia, e gli ebrei, invece di cogliere l’opportunità di un nuovo onesto lavoro, avevano perseguito, con un successo ancora maggiore, le loro vecchie pratiche usuraie e sfruttatrici.

Gli ebrei orientali (Ostjuden), sudditi dello zar, che costituivano la più grande concentrazione degli ebrei al mondo, non erano meno avversati a causa delle loro usure nei confronti dei contadini, e Lindemann assolve il governo zarista per i pogrom dei primi anni ’80 dell’Ottocento, che mette a confronto con gli assassinii commessi in quel periodo da rivoluzionari ebrei.

Gli stessi ebrei, ricorda Lindemann, propagarono idee che successivamente avrebbero respinto sdegnosamente, come ad esempio il suprematismo imperialista di Israele e il determinismo razziale.

Un altro caso emblematico è quello di Disraeli.

«Nel suo romanzo Coningsby, Disraeli descrisse un vasto e segreto potere ebraico, deciso a dominare il mondo. Il suo nobile personaggio ebreo, Sidonia (che Disraeli fece sapere essere ispirato a Lionel Rothschild), descrive la razza come un fattore determinante di suprema importanza (“tutto è razza; non esiste altra verità”). La razza, sosteneva, era sempre stato un fattore centrale nell’ascesa della civiltà, e la civiltà occidentale non avrebbe potuto prosperare senza la razza ebraica».

(Cfr. L’ebreo Disraeli e la costruzione dell’impero anglo-giudeo-massonico dei mercanti, andreacarancini.it).

Persino un Rothschild, in una corrispondenza privata, attribuì categoricamente l’antisemitismo all’ “arroganza, alla vanità e alla indicibile insolenza” degli ebrei.

Un esempio di tale insolenza è lo storico ebreo del diciannovesimo secolo Heinrich Graetz, il quale disprezzava la Germania pur vivendoci. Una volta ebbe ad affermare che gli ebrei convertiti al cristianesimo sono in realtà come dei combattenti che indossano l’uniforme del nemico per colpirlo ed annientarlo con maggiore facilità.

Tali atteggiamenti distruttivi, chiarisce Lindemann, non erano poi così infrequenti fra gli ebrei di spicco, e l’idea che gli ebrei fossero distruttori della cultura rifletteva una realtà innegabile.

Spesso usavano la stampa contro i cristiani e i goyim in generale, né mancavano le truffe in cui furono coinvolti, come dimostra lo scandalo del Canale di Panama alla fine del XIX secolo. Gli antisemiti non avevano dunque torto quando accusavano gli ebrei di misfatti e cattiva condotta.

Per una storia dell’antisemitismo dal 1870 al 1939 non c’è niente di meglio che Esau’s Tears.

Ed ecco un lungo elenco che annovera i vari Herder, Wagner, Broca, Marr, Ritter, von Schönerer, Stoeckel, von Vogelsang, Böckel, Dühring, von Treitschke, Chamberlain, Lueger, Drumont.

Lindemann afferma che in generale l’antisemitismo non si radicò nella popolazione europea, ad eccezione della Russia e della Romania, e questo forse perché gli ebrei assimilati e sefarditi occidentali erano in generale più educati e rispettosi dei loro confratelli orientali askenaziti, che spesso perseguivano spietatamente il denaro o la rivoluzione.

«Nel primo capitolo del libro Lindemann sostiene che “la nozione di antisemita come perdente è un concetto che necessita di un’analisi seria”. Questo perché gli storici altamente influenti della scuola ebraica della denuncia disumanizzano e demonizzano continuamente gli antisemiti della storia, come se stessero inquadrando un caso di omicidio di primo grado in tribunale, con una vittima: ovviamente, i sei milioni di ebrei.

«Le prove a discolpa vengono minimizzate o ignorate, e si perseguono obiettivi diversi dalla ricerca imparziale della verità.

«Negli ultimi capitoli di Esau’s Tears, Lindemann condanna naturalmente la soluzione finale di Adolf Hitler, ma umanizza comunque l’uomo. Sottolinea ciò che oggi molti di noi sanno: che Hitler e i nazisti furono in gran parte una reazione alle atrocità dei sovietici, un popolo che la scuola della denuncia della storia ebraica raramente discredita con lo stesso vigore con cui discredita i nazisti e i loro innocenti predecessori antisemiti.

«Se Esau’s Tears ci insegna qualcosa, è che da tutto questo non può venire nulla di buono, se non un aumento ulteriore dell’antisemitismo».

A parte le ultime discutibili considerazioni storiche, su cui esiste tutta una letteratura critica, l’analisi dell’autore sull’eterna autocommiserazione della storiografia ebraica è largamente condivisibile.

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