Gian Pio Mattogno: Quella strana vocazione al suicidio della Chiesa conciliare

Gian Pio Mattogno 

QUELLA STRANA VOCAZIONE AL SUICIDIO DELLA CHIESA CONCILIARE

 

In occasione del centenario del Tempio Maggiore di Roma (1904-2004), Karol Wojtyla inviò «all’illustrissimo Dr. Riccardo Di Segni rabbino Capo di Roma» un messaggio nel quale, dopo aver rivolto il suo «deferente saluto» al rabbino Di Segni, esteso il suo «cordiale pensiero» a tutti i membri della comunità ebraica e riservato «un saluto particolare» al Gran Rabbino emerito Elio Toaff, si associava  alla «festa odierna, alla cui letizia tutti ci uniamo di cuore», e rimarcava che «la Chiesa ha ribadito in modo chiaro e definitivo il rifiuto dell’antisemitismo in tutte le sue espressioni»

(Messaggio del Pontefice Giovanni Paolo II, in Centenario Tempio Maggiore 1904-2004/5664-5765. Messaggio di saluto delle Autorità in occasione del Centenario del Tempio Maggiore, Roma 23 maggio 2004).

Nel ripercorrere questa nuova strada di fraternità, aggiungeva Wojtyla, «la Chiesa non ha esitato a “deplorare le mancanze dei suoi figli e delle sue figlie in ogni epoca”, ed in un atto di pentimento (teshuvà), essa ha chiesto perdono per le loro responsabilità in qualsiasi modo collegate con le piaghe dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo».

Non una parola sul secolare odio giudaico anticristiano, né su un qualche atto di teshuvà da richiedere alla comunità ebraica per gli insulti e le blasfemie contro Gesù e Maria contenuti nella tradizione rabbinico-talmudica.

Anzi, sottolineando il «profondo legame della Chiesa con la Sinagoga» e il «vincolo inscindibile tra noi e voi [sic!!]», così Wojtyla perorava la causa dei “fratelli maggiori”:

«Durante il Medio Evo, anche alcuni dei vostri grandi pensatori, come Yehudà ha-Levi e Mosè Maimonide, hanno cercato di scrutare in qual modo fosse possibile adorare insieme il Signore e servire l’umanità sofferente, preparando così le vie della pace.

«Il grande filosofo e teologo, ben noto a s. Tomaso d’Aquino, Maimonide di Cordoba (1113-1204), del quale ricordiamo quest’anno l’ottavo centenario della scomparsa, espresse l’auspicio che un miglior rapporto tra ebrei e cristiani possa condurre “il mondo intero all’adorazione unanime di Dio, come è detto: ‘Allora darò ai popoli un labbro puro, così che servano il Signore spalla a spalla’ (Sofonia 3,9)’ (Mishneh Torà, Hilkhot Melakhim IX, 4, ed. Gerusalemme, Mossad Harav Kook)».

Queste incredibili esternazioni di Wojtyla (o di chi gli ha confezionato il pasticciaccio) sono l’esempio più eclatante della vocazione suicida al cupio dissolvi della nuova Chiesa conciliare, che, per compiacere i “fratelli maggiori”, essa sta praticando masochisticamente su sé stessa, in quanto i sedicenti «grandi pensatori» ebrei al servizio dell’umanità sofferente evocati da Wojtyla furono in realtà due acerrimi nemici giurati della Chiesa e del cristianesimo!

Jehuda ha-Levi (Giuda Levita), vissuto tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo, autore del Kuzari, afferma esplicitamente l’ineluttabilità del futuro dominio universale del “popolo eletto” su tutti i popoli della terra, i quali un giorno adoreranno l’unico vero Dio, il Dio giudaico.

Israele, scrive, «è fra le nazioni quel che il cuore è rispetto agli altri organi» (Juda Hallévi, Le Kuzari. Apologie de la religion méprisée, Paris, 2001 [II, 36, p. 64]).

Gli israeliti, figli di Giacobbe, sono «tutti degli eletti e tutti simili al cuore». Essi sono stati separati da tutti gli altri uomini, egualmente figli di Adamo, «per via di privilegi divini che hanno fatto di loro una specie diversa, una specie angelica» (I, 103, pp. 33-34).

Al pari dei maomettani, i cristiani «hanno cercato il divino là dove non si trova», ed inoltre «hanno alterato la maggior parte dei precetti tradizionali» (IV, 13, p. 166).

Tutte le religioni apparse dopo la religione di Mosè (e dunque anche quella cristiana), «benché esteriormente la respingano, in realtà non ne sono che delle varianti. Queste religioni hanno il compito di spianare la via e preparare il terreno per il Messia, oggetto delle nostre speranze, che è il frutto, e di cui diventeranno tutte il frutto. Esse allora lo riconosceranno, e l’albero diventerà uno solo. E quel giorno esse esalteranno la radice che prima avevano vilipeso» (IV, 13, p.173).

Insomma, i rabbini Di Segni e Toaff, «specie diversa, specie angelica», sarebbero il cuore, mentre Wojtyla, in quanto non ebreo, appartenente ad una categoria umana inferiore, non sarebbe che uno degli altri organi, ed avrebbe il compito di spianare la via all’avvento dell’èra messianica, quando il cristianesimo, al pari di tutte le altre religioni, sarà destinato a scomparire e ad essere soppiantato dall’unica vera religione, la religione giudaica!

(Per evitare questa figura barbina, ai compilatori del messaggio papale sarebbe bastato leggere, o rileggere, la Bibliotheca Judaica Antichristiana. Qua editi ed inediti judaeorum adversus christianam religionem libri recensentur, Parmae, MDCCC, pp. 37-38, di Giovanni Bernardo De Rossi, che annovera esplicitamente il Kuzari fra le opere anticristiane).

Ancora più infelice è il riferimento a Maimonide, il quale, a dire di Wojtyla, nella sua opera Mishneh Torah avrebbe auspicato una umanità futura pacificata, e intenta «all’adorazione unanime di Dio».

Ma non è assolutamente questo il senso da attribuire alle parole di Maimonide nel passo citato (interpretato invece correttamente da Moshe Ben-Chaim, Maimonides – Christianity and the True Messiah, mesora.org).

Maimonide afferma che il Messia purificherà il mondo intero per servire tutti insieme Dio.

Ma questo Messia, precisa subito dopo, non può essere Gesù di Nazareth, il quale aspirava ad essere il Messia e fu giustiziato da un tribunale.

Non vi è nulla, aggiunge, che possa costituire un ostacolo maggiore del cristianesimo (che altrove definisce una religione idolatrica da estirpare senza pietà), alla venuta del Messia (giudaico).

In definitiva, scrive, tutte le azioni di Gesù di Nazareth e di quell’Ismaelita (Maometto) che venne dopo di lui serviranno a preparare la venuta del Messia giudaico e al miglioramento del mondo intero, quando tutti invocheranno il nome di Dio e lo serviranno.

Ma il Dio da tutti invocato e servito non può che essere l’unico vero Dio, il Dio giudaico, il quale non tollera nessun’altra religione, e meno che mai la religione cristiana.

Maimonide afferma esplicitamente che nell’èra messianica «tutti faranno ritorno alla vera religione» (Hilchot Melachim 12, 1), cioè alla religione giudaica.

Di conseguenza il cristianesimo, adoperandosi, assieme all’islamismo, a preparare la via all’avvento dell’èra messianica ‒ la quale, secondo la tradizione rabbinico-talmudica, riserverà morte, distruzione e asservimento ai popoli del mondo non disposti a riconoscere l’assoluta e universale sovranità di Jahvè e di Israele ‒ sta preparando il proprio futuro annientamento!

Ma tutto questo evidentemente non bastava alla vocazione suicida della Chiesa conciliare.

I giorni 11-13 marzo 2007 (21-23 Adar 5767) (Ratzinger regnante) si tenne a Gerusalemme il VII incontro inter-religioso nell’ambito del Dialogo tra la Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l’ebraismo e il Gran Rabbinato d’Israele (Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, christianunity.va).

Il tema dell’incontro era: “La libertà di religione e di coscienza e i suoi limiti”.

Dal breve resoconto apprendiamo che «la tradizione ebraica pone l’accento sull’alleanza con Noè (Genesi 9, 9-12), quale espressione del codice morale universale che vincola tutta l’umanità. Questa idea è riflessa nella Scrittura cristiana nel libro degli Atti (15, 28-29)».

Una decina d’anni dopo, il 16 giugno 2016 (Bergoglio regnante), il Pontificio Consiglio per il Dialogo inter-religioso ha pubblicato un documento di 90 pagine sulla misericordia e le religioni non cristiane, dal titolo: “Celebrare la misericordia con i credenti di altre religioni” (Celebrating Mercy with Believers of Other Religions, by Pontifical Council For Inter-Religious Dialogue, catholicculture.org.)

Il documento è dedicato «a Papa Francesco. Con profonda gratitudine per il suo lavoro e il suo messaggio nel promuovere il dialogo inter-religioso»).

Nella sua Introduzione, il card. Jean-Louis Tauran afferma tra l’altro:

«Noi possiamo partecipare e sperimentare l’amore divino universale nella nostra condizione umana in modi diversi. Dopo il diluvio e l’alleanza con Noè e la sua discendenza, la via della bontà divina si è aperta attraverso la fedeltà ai cosiddetti precetti noachidi, che si possono riassumere nella proibizione dell’idolatria e della violenza contro il prossimo, e nel dovere di fondare una società regolata secondo giuste norme (cfr. Genesi 9, 1-17)».

Questa idea, il cosiddetto noachismo, si rifletterebbe negli Atti degli Apostoli (15, 28-29).

In realtà la dottrina noachide – vero cavallo di Troia dell’imperialismo ebraico ‒ non appartiene alla tradizione cristiana, ma fu escogitata dai rabbi d’epoca talmudica al solo scopo di assicurarsi una manovalanza di goyim giudaizzanti e giudaizzati al servizio di Israele (cfr. Il filosofo talmudista. Note critiche sulla perizia di Hermann Cohen nel processo di Marburgo del 1888, Effepi, Genova, 2019, pp. 105 sgg.).

Solo le acrobazie esegetiche delle moderne scuole conciliari possono rivendicare una qualche presenza del noachismo nelle Scritture cristiane (cfr. R. Fontana, Universalismo noachide e religioni (Osservazioni a margine di Atti 15), Universidad Eclesiàstica San Dàmaso, repositorio.sandamaso.es).

Ai giorni nostri gli adepti del noachismo formano un movimento a livello mondiale – sponsorizzato soprattutto da Chabad Lubavitch ‒ al momento ancora esiguo, ma in lenta e costante ascesa, specie negli Stati Uniti.

Che oggi gli ebrei talmudisti incoraggino gli ingenui e ignari goyim a farsi noachidi è dunque perfettamente comprensibile.

Più sorprendente è che fra questi goyim vi siano degli utili idioti proni ai voleri di Israele e disposti a praticare su sé stessi una vera e propria eutanasia spirituale, un dolce suicidio che consiste nel rinnegare la propria identità e le proprie tradizioni, diventare proseliti e fare essi stessi attività di proselitismo, mettendosi deliberatamente al servizio del Dio giudaico e del suo “popolo eletto”.

Quanto agli smemorati esegeti delle odierne scuole cattoliche conciliari, non è inopportuno rammentare loro che alla fine dell’Ottocento la “Civiltà Cattolica”, voce ufficiosa della Santa Sede, ebbe a definire il noachismo «un’invenzione talmudica, rabbinica e cabalistica intesa appunto allo scopo di fare, come i Talmudisti dicono, la siepe alla legge; cioè di sequestrare la razza ebrea dalle altre razze» (Di un recente libro “Pro Judaeis”, C.C., 1885, 1, pp. 294-295).

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