Gian Pio Mattogno: Alle origini della questione palestinese

Gian Pio Mattogno 

ALLE ORIGINI DELLA QUESTIONE PALESTINESE.

LE BATTAGLIE DI MOHAMMED AMIN EL-HUSEINI, GRAN MUFTI DI GERUSALEMME,

NELLE PAGINE DI «ORIENTE MODERNO» (1940-1943)

 

Mohammed Amin el-Huseini (il cui nome è declinato in diverse forme) è certamente una delle figure del mondo arabo più odiate dalla Sinagoga.

Così ne tratteggia in breve il pensiero e l’azione l’ebraica Holocaust Encyclopedia (Hajj Amin al-Husayni: The Mufti of Jerusalem, encyclopedia.ushmm.org).

Al-Huseini fu il Mufti (la principale autorità religiosa musulmana) di Gerusalemme, sotto l’autorità politica del Mandato britannico in Palestina, dal 1921 al 1937.

Egli si batté per l’istituzione di una federazione o uno Stato panarabo; si oppose contro ulteriori immigrazioni di ebrei in Palestina e promosse sé stesso come leader religioso panarabo e musulmano.

In esilio fra il 1937 e il 1945, el-Huseini, sostenendo di parlare a nome della nazione araba, cercò l’alleanza delle potenze dell’Asse e il loro riconoscimento pubblico dell’indipendenza degli Stati arabi, del diritto di formare un’unione araba-musulmana, di invertire i passi già fatti verso la creazione di uno Stato ebraico in Palestina.

In cambio, collaborò con i governi tedesco e italiano trasmettendo via radio propaganda filo-Asse, antibritannica e antiebraica al mondo arabo, incitando alla violenza contro gli ebrei e le autorità britanniche in Medio Oriente e reclutando giovani di fede islamica nelle Waffen-SS e nelle unità ausiliarie.

Arrestato dalle autorità francesi nel 1945, l’anno dopo riuscì a fuggire in Egitto.

«El-Huseini dedicò il resto della sua vita a sostenere il nazionalismo palestinese e ad agitarsi contro lo Stato di Israele. Continuò a produrre e diffondere propaganda antisionista, antiebraica e antisraeliana».

Durante l’ultima guerra la rivista «Oriente Moderno» (“Rivista mensile d’informazione e di studi per la diffusione e la conoscenza dell’oriente, sopra tutto musulmano, pubblicata a cura dell’Istituto per l’Oriente”)

pubblicò una serie di articoli sulla questione palestinese e su el-Huseini, riportando anche il testo di alcuni suoi interventi pubblici.

Queste pagine costituiscono un significativo contributo alla comprensione delle origini della questione palestinese e dell’aggressione sionista dal punto di vista arabo.

La posizione generale della rivista al riguardo viene compendiata in una recensione del volume di J.M.N. Jeffries, Palestine: the Reality (London, 1939), passato sotto silenzio dalla stampa sionista, da parte di Virginia Vacca (La questione della Palestina in un libro di J.M.N. Jeffries, O.M., n. 4 (aprile 1940), pp. 177-181).

In un volume di 40 capitoli e 735 pagine Jeffries si propone di dare alla tesi araba palestinese una dimostrazione così completa, minuta e definitiva che nessuno dopo di lui sia obbligato ad affrontarla ancora una volta e gli Inglesi si sentano obbligati a vergognarsi della loro condotta in Palestina, a partire dalla Dichiarazione Balfour, redatta dai Sionisti per invito di Balfour e quindi emessa da Balfour come dichiarazione politica del Governo britannico.

Gli articoli principali di tale Dichiarazione sono tutti di fabbricazione sionista, come risulta da un semplice confronto fra il testo proposto dai Sionisti e quello definitivo.

Conducendo contemporaneamente le trattative con gli Arabi, con la Francia e con gli Ebrei, incompatibili fra di loro, ma assecondando in realtà i disegni sionisti, i britannici mirarono fin dal primo momento alla creazione di uno Stato ebraico (nel 1917 la popolazione “non ebraica” di cui si fa menzione nei documenti rappresentava il 91 per cento della popolazione palestinese).

Il Mandato Palestinese era fuori di ogni legalità. Per tre anni la Palestina fu governata da una amministrazione civile manifestamente illegale, ogni atto della quale doveva dunque ritenersi nullo.

Dal 1923 al 1938 il popolo palestinese vive una vera e propria tragedia.

«Nel trionfo del Sionismo il Jeffries vede soltanto abilità di capi ebrei, debolezze e incoscienza di uomini politici inglesi. Con una specie di pudore, egli considera il popolo britannico del tutto estraneo alla cosa. Il popolo britannico invece, saturo com’è di Vecchio Testamento e portato all’esaltazione imperialistico-religiosa, è capace di entusiasmarsi all’idea che il rimpatrio di Israele faccia parte della missione inglese nel mondo ‒ e non pensa neppure lontanamente a collocare gli Ebrei nell’Australia (che ha un abitante per chilometro quadrato)» (p. 180).

I contorni della figura di Mohammed Amin el-Huseini vengono così tratteggiati da Maria Vella, Mohammed Amin el-Huseini Gran “Mufti” di Palestina, (O.M., n. 11 (novembre 1942), pp. 445-450).

La sua famiglia, giunta in Palestina otto secoli or sono, che gode di un grande prestigio sia religioso che politico, risale al Profeta dell’Islam e prende il nome da el-Huseini, nipote del Profeta.

Nato nel 1895 a Gerusalemme, Amin el-Huseini studia religione all’Università di el-Azhar del Cairo. Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale entra nella Scuola Ufficiali di Complemento di Costantinopoli, poi viene aggregato alla 46a Divisione e continua ad essere un ufficiale dell’esercito turco per tutta la durata della guerra.

Nel 1917 gli inglesi entrano in Palestina e El-Huseini capisce subito la loro politica fatta di raggiri. Con la Dichiarazione Balfour essi promettono di concedere agli ebrei la Palestina come territorio nazionale nello stesso momento in cui promettevano agli Arabi di farne una parte dei paesi arabi uniti e indipendenti.

El-Huseini, che aveva combattuto le aspirazioni ebraiche fin dal 1912, prende a combattere la politica anglo-ebraica in Palestina, percorrendo il paese, organizzando dimostrazioni e il primo Congresso Arabo-Palestinese del 1920, che proclama la decisa opposizione degli Arabi alla politica anglo-ebraica.

Condannato dal tribunale militare britannico a dieci anni di lavori forzati, riesce a riparare in Transgiordania e di là a Damasco, dove fugge all’arrivo dei Francesi.

Vive per un po’ di tempo nel deserto tra i beduini nomadi. Rifiuta l’amnistia e fa ritorno a Gerusalemme solo a seguito della malattia del fratello maggiore, dopo la cui morte viene eletto Gran Mufti all’età di 26 anni e diventa il più alto rappresentante della nazione araba.

Da allora lotta con tutte le sue forze per spezzare le catene imposte al mondo arabo e fondare uno Stato libero in Palestina.

Nel 1929 è ancora accusato di suscitare agitazioni antiebraiche in Palestina. Viene inviata una Commissione d’inchiesta britannica. Un famoso avvocato degli ebrei, sir Boyd Merriman, gli rinfaccia la condanna del 1920, al che il Gran Mufti risponde:

«Duemila anni fa, a duecento metri da questo luogo, i predecessori dei tuoi rappresentanti (gli Ebrei) riuscirono a influire sui governati di allora per l’emanazione della sentenza di crocifissione di Cristo benché fosse il più elevato messaggero di pace. Non è meraviglia dunque che i discendenti di quegli Ebrei siano riusciti a influire sui governati d’oggi (gli Inglesi) per far emanare una sentenza di condanna a soli dieci anni contro una persona come me».

La Commissione d’inchiesta riconosce che causa delle agitazioni è la politica britannica e invita il Gran Mufti a recarsi a Londra nel 1930 per trattare col Governo britannico circa l’avvenire della Palestina. Ma in seguito alle proteste dei sionisti e agli intrighi degli ebrei, le proposte britanniche vengono modificate. Ciò rafforza nel Gran Mufti la convinzione che la Palestina si può salvare solo mettendo sulla bilancia il peso del mondo arabo-islamico unito con quello palestinese contro gli ebrei.

Nel 1931 organizza a Gerusalemme un Congresso Generale Arabo Musulmano per esaminare la questione palestinese, al quale partecipano delegazioni di ogni parte del mondo musulmano. Viene nominato Presidente del Congresso e di un Comitato Esecutivo che decide di riunirsi permanentemente per fissare una linea politica lungimirante. Allo scopo di attuare questo programma viaggia e stringe rapporti con l’Iraq, l’India, l’Afghanistan ed altri paesi.

Nel frattempo, l’avvento al potere in Germania del Partito Nazional-Socialista mette in guardia l’Europa contro il pericolo ebraico. Gli ebrei riprendono a sommergere la Palestina con la loro immigrazione, che come un torrente rischia di ingoiare gli Arabi in brevissimo tempo.

Nel 1936 uno sciopero conduce alla rivolta armata. Successivamente, quando appare un progetto di spartizione territoriale, si riaccende la rivolta in tutta la Palestina. Gli Inglesi tentano di arrestare il Gran Mufti, ma questi riesce a fuggire in Siria, dove rimane sino al principio del secondo conflitto mondiale, poi in Iraq, dove stabilisce l’accordo per una politica indipendente dalla Gran Bretagna e più vicina all’Asse per l’attuazione delle mete nazionali. Dopo l’entrata degli Inglesi in Iraq, trova scampo infine in Europa, dove riprende la sua lotta per il raggiungimento degli scopi nazionali.

Nell’ottobre 1941 i giornali italiani comunicano che il Gran Mufti è giunto sano e salvo in un aerodromo dell’Italia meridionale, accolto dai familiari precedentemente arrivati in Italia dalla Palestina e da altri rifugiati arabi. Verosimilmente avrà importanti colloqui politici con personalità islamiche residenti in Italia e con eminenti personalità della capitale.

Il 27 ottobre viene trasmesso in arabo dalla radio di Bari un annuncio, nel quale si afferma che l’arrivo di el-Huseini in un paese amico dopo lungo e periglioso viaggio è un segno della Divina Provvidenza, e ciò è di buon augurio per la lotta che tutti gli Arabi, capeggiati dal Gran Mufti, stanno conducendo contro il dominio e lo sfruttamento anglo-ebraico.

Il 4 novembre parte per Berlino, dopo aver rilasciato all’agenzia Stefani una dichiarazione, in cui ringrazia il Duce e il Governo italiano per le cortesi attenzioni ricevute da un paese amico. Si dice per nulla sorpreso né preoccupato per gli attacchi della propaganda britannica, cui risponderà se non perseverando negli sforzi comuni per la causa alla quale ha dedicato tutta la sua esistenza (M.N., Amin el-Huseini in Italia. Sua partenza per Berlino, O.M., n. 11 (novembre 1941), pp. 551-552).

Quando cominciano le ostilità in Iraq, emette da Baghdad una fetwà, dove invita i fratelli musulmani di tutto il mondo alla guerra santa per Dio e per la difesa dell’Islam e dei suoi territori contro le mire imperialistiche del nemico inglese (Fetwà di Amin el-Huseini per la guerra santa del maggio, ivi, pp. 552-553).

Il 22 agosto 1942 il Gran Mufti invia attraverso Radio Bari un messaggio al popolo dell’India e in particolare ai musulmani indiani (Messaggio del “Gran Mufti” di Palestina agli Indiani in generale e ai Musulmani dell’India in particolare (22 agosto 1942), O.M., n. 9 (settembre 1942), pp. 368-370).

Dopo aver lodato il popolo indiano per le sue lotte contro il dominio britannico, afferma di conoscere benissimo, per averle provate sulla propria pelle, le angherie degli inglesi che hanno consegnato la Terra Santa agli ebrei ed ora occupano i luoghi santi musulmani. Esorta il popolo dell’India a non lasciarsi sedurre dalla propaganda inglese. Esso troverà nel mondo musulmano un sicuro alleato contro l’oppressore.

Alla fine del 1942, nel venticinquesimo anniversario della Dichiarazione Balfour, il Gran Mufti rilascia questo comunicato:

«La ricorrenza della Dichiarazione Balfour suscita negli Arabi diversi sentimenti: essa ricorda loro le pericolose aspirazioni ebraiche sui Paesi arabi e sui Luoghi Santi dell’Islam, il tradimento dell’Inghilterra e le mancate promesse fatte agli Arabi. La dichiarazione Balfour, quindi, comprova chiaramente l’inimicizia che nutrono gli Inglesi per gli Arabi e per l’Islam, il connubio tra Inglesi ed Ebrei, l’appoggio dato dai primi ai secondi contro gli Arabi. Inoltre, essa conferma la cessione di uno dei più nobili territori arabi a questa razza errante ed espone i Luoghi Santi musulmani al pericolo ebraico.

«D’altra parte, noi abbiamo orgoglio e ammirazione per l’audace e tenace resistenza che hanno opposto gli Arabi della Palestina sostenuti dalla forza morale araba e musulmana, contro le alleate forze del Sionismo e dell’imperialismo britannico. Forse la storia non ha mai registrato nelle sue pagine una resistenza così audace e continua come quella opposta dalla popolazione palestinese contro la pressione economica, politica e militare anglo-ebraica. Questa eroica resistenza ha influito moltissimo sui legami di solidarietà che uniscono la Nazione Araba ed i popoli islamici e sull’orientamento degli Arabi e dei Musulmani tutti contro la Gran Bretagna e il Sionismo, a fianco delle potenze dell’Asse che lottano per la eliminazione delle forze distruggitrici anglo-ebraiche.

«Le dichiarazioni dei capi sionisti come Weizman e Ben Gurion nelle quali si esprime la speranza di costituire uno Stato ebraico in Palestina, appoggiato dalla volontà di Churchill e di Roosevelt, principali sostenitori dell’ebraismo, costituiscono una nuova prova dell’inimicizia degli Alleati, non solo contro la Palestina, ma bensì contro tutti gli Arabi e i Musulmani.

«Non ci meravigliamo quindi se i propagandisti britannici nei Paesi arabi tentano di rassicurare le genti arabe per quanto riguarda le intenzioni, com’è noto, tutt’altro che buone. Siamo sicuri però che gli Arabi, che hanno dimostrato meravigliosa audacia, vitalità e fermezza, continueranno, con la stessa tenacia, la lotta fino alla vittoria.

«Solo allora essi e tutti i Musulmani potranno cessare di preoccuparsi per la sorte della Palestina, dopo che l’Inghilterra e l’ebraismo saranno definitivamente distrutti» (Dichiarazioni del Gran “Mufti” di Palestina nel XXV anniversario della Dichiarazione Balfour, O.M., n. 11 (novembre 1942), pp. 452-453).

Nello stesso mese commemora i martiri caduti per la causa araba. Prima che l’Asse, afferma, muovesse le armi per stroncare le cupidigie anglo-sassoni-giudaiche, una sola Nazione, la Nazione araba, decisa a raggiungere libertà, indipendenza, unità e sovranità, aveva combattuto per oltre vent’anni contro tali forze, affrontando la morte con animo tranquillo.

In molti si sono immolati e sacrificati per la propria terra. Questi martiri sono vittime del tradimento inglese, che ha perseguitato e decimato gli Arabi, «e continua a negoziare a loro danno soddisfacendo gli Ebrei ed altri a loro discapito, disponendo del loro territorio e concedendolo a chi l’Inghilterra favorisce» (Discorso del Gran “Mufti” di Palestina per la commemorazione dei martiri della causa araba, ivi, p. 453).

Dopo l’aggressione anglo-americano al Maghreb, il 25 novembre il Gran Mufti rilascia una nuova dichiarazione, nella quale stigmatizza le mene guerrafondaie e imperialistiche della plutocrazia giudeo-americana.

«L’America, da quando, dopo la passata guerra, si era rafforzata l’influenza degli Ebrei, diventò un ostacolo sulla via dell’indipendenza e della libertà degli Arabi. Essa ha sempre aiutato politicamente e finanziariamente il movimento sionista e ha favorito l’ebraicizzazione della Palestina». Fu l’America «sottostando all’influenza degli Ebrei», a sventare un progetto di restituire molti dei diritti ai Palestinesi dopo la rivolta del 1939.

«In questa guerra la forza dell’influenza giudaica in America è apparsa evidente. Gli Ebrei e i capitalisti, bramosi di estendere la loro influenza su nuove ricche contrade, hanno spinto l’America alla guerra e all’allargamento del conflitto. Gli abitanti del Maghreb conoscono bene le afflizioni che gli Ebrei hanno loro inflitto e sanno come essi siano la sorgente dell’aggressione e il suo strumento, come accaparrino i beni, come esauriscano la ricchezza del paese e ne accrescano la rovina.

«L’aggressione dell’America ai paesi del Maghreb ha rafforzato l’influenza degli Ebrei, ha raddoppiato il loro potere, ha aumentato la loro arroganza. L’America è il principale strumento degli Ebrei».

Si dice certo che i maghrebini si accorgeranno ben presto di essere schiavi degli ebrei, quindi dei nemici dell’arabismo, e che si asterranno dal cooperare con gli aggressori (Dichiarazioni del Gran “Mufti” di Palestina a proposito dell’attacco anglo-americano al Maghreb, O.M., n. 12 (dicembre 1942), p. 500).

Il 6 dicembre 1942 il Gran Mufti è in Germania e rilascia un’intervista al “Völkischer Beobachter”, in cui afferma che la principale aspirazione dei paesi arabi, i quali occupano una posizione strategica molto importante per la zona del Mediterraneo, per la via delle Indie e per il punto d’incontro dei tre continenti, è di ottenere la libertà e di sviluppare senza ostacoli le proprie condizioni economiche e sociali. Gli Arabi si sono rivoltati quando hanno visto che l’Inghilterra li aveva traditi e aveva spartito i loro paesi fra gli Inglesi, i Francesi e gli Ebrei.  Alla domanda quale sia la parte del sionismo nel conflitto arabo-inglese, il Gran Mufti risponde:

«Il sionismo è un pericolo mortale che minaccia non soltanto gli Arabi della Palestina, ma tutto il mondo arabo e tutto il Vicino Oriente. La persuasione degli Arabi che l’influenza ebraica in Inghilterra e in America sia assoluta è uno dei motivi principali che ha indotto gli Arabi a entrare in guerra contro l’Inghilterra ed i suoi alleati ed a collaborare con la Germania e i suoi alleati, che vogliono liberare il mondo dal pericolo ebraico» (Dichiarazioni del Gran “Mufti” di Palestina sul nazionalismo arabo e l’avvenire dei paesi arabi, O.M., n. 1 (gennaio 1943), pp. 2-4).

Alcuni giorni dopo, il 18 dicembre, inaugura nella capitale tedesca l’Istituto Islamico di Berlino.

I peggiori nemici dei Musulmani, dice tra l’altro nel discorso di inaugurazione, sono gli ebrei e i sostenitori degli ebrei. Tutti i Musulmani conoscono la storia dell’ostilità degli ebrei verso di loro e verso la loro religione fin dall’alba della storia dell’Islam. Il profeta li condannò con queste parole: “Certamente troverai che i più violenti per ostilità contro coloro che credono sono gli Ebrei” (Corano, V, 85).

Il nobile Corano e la storia del Profeta sono pieni delle azioni degli ebrei e di testimonianze di intrighi, inganni e cattive azioni ai danni dei Musulmani. Gli ebrei sono elemento di corruzione sulla terra, suscitano disordini, eccitano le nazioni le une contro le altre. Quest’ultima guerra, ha dichiarato il loro capo Weizman, è una “guerra ebraica”, e l’ebraismo mondiale conduce le forze degli Alleati verso il male, come guidava le forze dei nemici al tempo di Maometto.

«L’influenza ebraica in Inghilterra e in America e l’influenza ebraica celata dietro il Comunismo distruttivo delle religioni e dei principii hanno eccitato gli uomini l’uno contro l’altro e li hanno condotti a questa guerra micidiale le cui sventure non rallegrano se non gli Ebrei.

«I nemici odierni dei Musulmani sono gli Ebrei e i loro alleati inglesi, americani e comunisti. L’Inghilterra, grande loro alleata, oggi, dalla volontà ebraica capitalista, ha una storia piena di offese antiche  e recenti ai Musulmani; essa ha aggredito in molti paesi musulmani donne, bambini, vecchi e innocenti; durante la rivolta in Palestina e in altre occasioni ha applicato metodi di repressione che ricordano quelli dei secoli oscuri e s’è servita della scienza moderna per rendere la repressione più spietata e dolorosa» (Discorso del Gran “Mufti” di Palestina all’inaugurazione dell’Istituto Islamico di Berlino (18 dicembre 1942), ivi, pp. 4-6).

Nel 1930 venne mandato alla forca il primo gruppo arabo condannato a morte dagli inglesi per aver partecipato alla rivolta contro l’ingiustizia britannica e contro l’invasione ebraica, allo scopo di realizzare l’indipendenza e la libertà della patria.

Il 17 giugno 1943, il Gran Mufti commemora da Radio Bari il XIII anniversario del sacrificio di quegli uomini. Egli ricorda che da quando gli inglesi, in combutta con gli ebrei, usurparono questa terra dai loro legittimi padroni, i fieri arabi non cessarono di offrire la propria vita per la difesa della patria.

Egli dice di affermare tutto ciò «in risposta al Congresso giudaico convocato in Filadelfia ai primi dello scorso mese, Congresso in cui vennero illustrate l’ambizione, la spudoratezza e la malignità degli Ebrei. In occasione di questo Congresso numerosi capi giudaici, religiosi, politici ecc., pronunciarono discorsi di un unico tono con i quali sollecitarono i propri alleati e sostenitori anglo-americani a far loro raggiungere pienamente e integralmente i propri scopi infernali, mediante la creazione di un focolare ebraico nei paesi arabi, e ciò secondo le promesse fatte loro. Con spudoratezza essi chiedono agli Arabi di lasciare a loro la Palestina e di tollerare le loro ambizioni in tutta la patria araba. Le ambizioni degli Ebrei sono maggiormente chiarite nel discorso che il dott. Weizman ha pronunciato in occasione del Congresso in questione e che io prego ogni Arabo di leggere attentamente.

«Gli Ebrei, da lungo tempo, hanno disegnato una carta geografica da loro chiamata “la Grande Palestina”. Tale carta geografica comprende la Palestina, la Transgiordania, la Siria e buona parte del Regno egiziano, di quello saudiano e di quello iracheno, in maniera che si stende dal Mediterraneo a Bassora.

«Il dott. Weizman e gli altri oratori hanno chiesto la soppressione dei limiti dell’emigrazione in Palestina, per lasciarla libera e aperta al giudaismo internazionale. Essi non si contentano che gli Ebrei immigrati in Palestina abbiano raggiunto la cifra di oltre 500.000, quando il loro numero all’inizio dell’occupazione britannica era di 45.000. Avventurieri ebrei, respinti da tutto il mondo, continuano ad affluirvi, pubblicamente e clandestinamente. L’Inghilterra è in connivenza con loro e facilita con tutti i mezzi l’emigrazione per soddisfare gli Ebrei.

«Weizman chiede agli Arabi di lasciare la Palestina agli Ebrei perché gli Arabi disporrebbero di numerose altre regioni con territorio superiore alle loro necessità (…) Weizman e il suo popolo ed il mondo intero sappiano che la Palestina è araba e non ebraica. Essa rimarrà eternamente tale (…) Che cosa rimarrebbe agli Arabi se la Palestina diventasse ebraica e se la mano giudaica si estendesse a tutta la patria araba? Quale ambizione è più smodata di quella degli Ebrei?

«La strana mentalità ebraica di eccessivo egoismo, di smodata ambizione e di speculazione su tutte le risorse mondiali è propria degli Ebrei stessi. Questa mentalità, che si è consolidata con l’andare dei secoli, ha fatto degli Ebrei una piaga generale, una disgrazia cronica contro il mondo e contro essi stessi, togliendo ogni possibilità di collaborare con loro o di tollerarli.

«Il mondo intero in ogni epoca ed in ogni luogo effettuò esperimenti in materia, ma tutti i tentativi subirono uno scacco completo e generale, perché gli Ebrei hanno sempre sfruttato le tolleranze altrui nel proprio interesse ed a danni degli altri. Si sono arricchiti provocando la povertà dei popoli, si sono impadroniti del benessere a disagio del mondo, mediante i complotti e gli intrighi da essi creati. Hanno corrotto la moralità e la fede e si sono impadroniti della vita economica e della propaganda politica dominando gli interessi dei popoli e le fonti di vita del mondo».

Questa è la lotta fra il diritto e l’ingiustizia. Tutti gli arabi devono stare in guardia contro gli inganni e gli intrighi che gli anglo-americani ebraici vanno tramando. Il paese arabo è uno, e l’unità della patria araba non potrà mai essere realizzata senza la Palestina.

«Ci difenderemo con le nostre armi e col nostro sangue fino a che non salveremo il nostro paese da ogni ambizione e invasione criminosa. Tale paese lasceremo ai nostri figli, come è stato lasciato a noi dai nostri padri, privo di qualsiasi vincolo».

Tutto questo basta e avanza per spiegare l’odio della Sinagoga.

A distanza di molti anni, e soprattutto in tempi bui come i nostri, queste parole del Gran Mufti di Gerusalemme risuonano oggi come un lascito e un ammonimento per le nuove generazioni di palestinesi che lottano contro l’imperialismo plutocratico giudeo-americano e contro l’entità pirata criminale sionista che ne costituisce l’avamposto nel Vicino Oriente.

One Comment
    • MDA
    • 7 Ottobre 2025

    mi sembra di essere lì a tel abib o jaffa nel 1880….mi sembra di sentirli.

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