SULLE CAUSE DELL’OSTILITÀ NEI CONFRONTI DEGLI EBREI
di Germar Rudolf, 1 settembre 1995
Introduzione
Nella sentenza del mio processo davanti al Tribunale distrettuale di Stoccarda, n. di riferimento KLs 83/94, emessa il 23 giugno 1995 con una condanna a 14 mesi di carcere senza possibilità di libertà condizionale, sono stato dichiarato quale individuo “profondamente antisemita”, il che, data l’assurdità di questa affermazione, ha suscitato ogni tipo di emozione nei miei parenti, amici e conoscenti, che andavano dalla profonda costernazione a una fragorosa risata. Soprattutto perché il tribunale stava cercando un movente per il crimine che mi era stato falsamente attribuito, ma non ne ha trovato nessuno a parte l'”antisemitismo”, questo movente è stato semplicemente costruito. Poiché prima dell’annuncio della sentenza non sapevo nemmeno cosa fosse il semitismo, per non parlare dell’antisemitismo, ho iniziato ad adottare un approccio indiretto a questa complessa questione, su cui presto avrò più di un anno della mia vita per riflettere. Presento qui i primi risultati delle mie riflessioni su un problema che finora mi ha toccato molto poco, ma che sembra essere il problema intellettuale centrale del nostro tempo. Esiste una prova migliore dell’importanza centrale di questo argomento del fatto che un giovane scienziato innocente e padre di famiglia debba trascorrere 14 mesi in prigione solo perché sostiene opinioni scientifiche e tecniche che non piacciono a certi semiti e filosemiti?
I
Gunnar Heinsohn ha posto di recente una domanda che, a suo parere, rimane ancora oggi irrisolta: perché si è potuto verificare il genocidio nazista, che egli ritiene sia stato dimostrato[1]. Heinsohn sostiene che, a parte le numerose e presumibilmente esaurienti domande su chi, come, dove, quando e quanto, la domanda sul perché è stata raramente posta, e tanto meno risolta; la ricerca tende a elevare questa domanda a qualcosa di misticamente insondabile, il che non favorisce la comprensione scientifica.
Egli ha elencato 42 risposte alla domanda “Perché Auschwitz?”, che a suo avviso dovrebbero essere prese sul serio e che sono state finora menzionate nel dibattito scientifico. Le ha discusse e contrastate con la sua tesi: lo sterminio di massa di Auschwitz fu il tentativo, seppur fallito, del nazionalsocialismo di sostituire il “Non uccidere!” ebraico con l’equivoco darwinismo sociale: “Uccidere il più debole”, al servizio di una visione del mondo razzista. Per poter abolire il quinto comandamento del Signore, il più primitivo portatore culturale del divieto umano di uccidere – l’ebreo – deve essere ucciso.
Ci sono tre aspetti interessanti nel libro di Heinsohn. In primo luogo, la sua prima tesi per spiegare Auschwitz è quella revisionista, che nega quella precedente. Fa riferimento a due vecchi libri di Paul Rassinier e a un opuscolo di Robert Faurisson del 1980, quindi fonti vecchie e improduttive, ma cita fonti nuove per confutarle, come il libro di recente pubblicazione “Negare l’Olocausto” di Deborah Lipstadt[2]. Poiché questi libri sono reazioni a pubblicazioni revisioniste più recenti, come il Rapporto Leuchter, viene da chiedersi perché Heinsohn non menzioni almeno queste fonti. D’altra parte, sarebbe probabilmente più sorprendente se citasse opere revisioniste più recenti[3], poiché ciò non sarebbe consuetudine nei circoli “accademici”.
Considerata la sua scarsa considerazione del revisionismo, sembra necessario chiarire cosa si intenda effettivamente per Auschwitz. Mentre Gunnar Heinsohn, in conformità con le dottrine ufficiali, intende principalmente con questo termine l’insieme degli stermini industriali di massa di ebrei presumibilmente pianificati e attuati dal regime nazionalsocialista, i revisionisti sono convinti che non vi sia stato alcun sterminio industriale pianificato. Secondo Heinsohn, una spiegazione di Auschwitz sarebbe superflua per i revisionisti, se l’omicidio di massa ad esso associato non avesse avuto luogo[4]. Io, d’altra parte, credo che, anche in assenza di sterminio industriale, la domanda sul perché rimanga giustificata e una risposta necessaria. Perché resta un fatto che nella sfera d’influenza tedesca in tempo di guerra gli ebrei subirono molteplici ingiustizie sotto forma di privazione dei diritti, espropriazione, espulsione, deportazione, internamento e lavori forzati.
Anche secondo i revisionisti, le vittime di malnutrizione, mancanza di assistenza medica e sanitaria, superlavoro e maltrattamenti, nonché uccisioni durante punizioni draconiane o fucilazioni sommarie di ostaggi nell’ambito della lotta contro i partigiani, ammontano a centinaia di migliaia. Anche il nome Auschwitz simboleggia tutto questo: un campo in cui il governo del Reich inviò centinaia di migliaia di persone nonostante le epidemie che notoriamente vi imperversavano, esponendole così a un elevato rischio per la vita e l’incolumità fisica per grave negligenza[5]. Il motivo per cui ciò è accaduto verrà esaminato tra breve.
In secondo luogo, Heinsohn non sembra aver trovato nel dibattito accademico svoltosi fino ad oggi una teoria che renda le teorie antisemite di natura (pseudo-)scientifica oggetto di discussione, sulle quali, in fondo, il nazionalsocialismo ha costruito la sua politica ebraica. La base (pseudo-)razionale dell’ostilità nazionalsocialista verso gli ebrei non sembra quindi essere stata finora esplorata[6].
In terzo luogo, è sorprendente che Heinsohn non riconosca questa lacuna e non vi ponga rimedio, ma piuttosto che, contrariamente a quanto afferma, trascini la comprensione della persecuzione nazista degli ebrei in sé in una sfera irrazionale e mistica, anziché esaminarne le cause alla radice. Infatti, voler rendere comprensibile il suo contenuto concettuale del termine Auschwitz come una sorta di sacrificio simbolico agli ebrei per eliminare l’inibizione umana a uccidere non significa altro che concedere al nazionalsocialismo in toto una dimensione mistica di magia nera, in cui a volte, ad esempio una bambola, viene simbolicamente “uccisa” per ottenere qualcosa di completamente diverso, come causare danno a una persona.
Se i nazionalsocialisti avessero voluto ripristinare il diritto di uccidere assassinando persone con una certa visione del mondo, avrebbero avuto molte più ragioni per uccidere tutti i cristiani, per i quali il divieto di uccidere va oltre quello della religione ebraica a causa della loro pretesa universale e che hanno avuto e hanno un’influenza molto maggiore sulla formazione morale dell’uomo moderno rispetto agli ebrei.
Heinsohn adotta un approccio analogamente mistico altrove. In un articolo sulla spiegazione dell’antisemitismo, postula che il rifiuto degli ebrei del culto sacrificale di culture arcaiche e antiche sia la ragione dell’ostilità di queste culture nei confronti degli ebrei, che persiste ancora oggi. Spiega i pogrom ebraici come un violento tentativo da parte dei non ebrei di contrastare il rifiuto degli ebrei di sacrificare, offrendo gli ebrei stessi in sacrificio[7]:
“Le persone educate ad avere una visione apocalittica della realtà […] scelgono anche un re sacro in Hitler, un assassino rituale […]. Ma i sei milioni di ebrei che ora vengono gettati nelle fornaci dei campi di sterminio tedeschi non possono né portare la salvezza desiderata, né vengono uccisi da un Messia senza un coinvolgimento di colpa per la comunità. Il messaggio dell’ebraismo secondo cui non ci si può aspettare alcuna salvezza dal sacrificio umano […] deve essere annullato con lo sterminio degli ebrei […]. Il filosemitismo che spesso si verifica dopo i massacri ebraici assomiglia naturalmente all’ […] idolatria […] dell’essere vivente ucciso nel rituale sacrificale. […] Ma anche in Germania, essi [gli ebrei] sono di nuovo visti come ostacoli alla rimozione della colpa – questa volta la colpa tedesca[8] per l’assassinio degli ebrei. Per sradicare la credenza nel sacrificio umano che ha portato ad Auschwitz, lo Stato viene ora utilizzato per eliminare il senso di colpa per l’Olocausto”.
Heinsohn accusa poi il cardinale Josef Höffner di fomentare un clima da pogrom tra quei contemporanei che non sono disposti a tacere sulla visita di Kohl e Reagan alla tomba delle Waffen SS a Bitburg e sul periodo trascorso da Kurt Waldheim nella Wehrmacht in Jugoslavia, con la sua tesi secondo cui la colpa non può essere superata, ma può essere perdonata solo dalla grazia divina. Considerando che a Bitburg giacciono giovani soldati innocenti di una forza combattente, assassinati dagli americani in violazione del diritto internazionale, e che le accuse infondate contro Kurt Waldheim si basavano su documenti falsi, ciò dimostra chiaramente che tipo di bambino intellettuale sia Heinsohn.
Il filo conduttore che attraversa il libro di Heinsohn è la tesi secondo cui l’Ebraismo, con i suoi Dieci Comandamenti fondamentali, ha posto la prima pietra morale nel mare dell’amoralità umana più di 2000 anni fa e la mantiene ancora oggi. Nessuna religione ha introdotto il divieto dell’infanticidio e il divieto di uccidere in generale così precocemente e in modo così completo, rendendolo la massima suprema. Nessuna religione ha dichiarato la carità come preoccupazione centrale così precocemente e senza riserve come l’Ebraismo[9]. Un altro problema è che questo tipo di argomentazione è più che imbarazzante alla luce delle scoperte tutt’altro che nuove della ricerca comportamentale sull’inibizione geneticamente determinata di uccidere membri della propria specie e sugli istinti altruistici degli esseri umani, che sono stati espressi in vari modi in molte culture fin da tempi immemorabili[10]. Ma l’elogio da parte di Heinsohn dell’etica ebraica va addirittura oltre.
Per lui, l’attuale problema della sovrappopolazione esiste principalmente perché la Chiesa cristiana ha erroneamente universalizzato il divieto ebraico dell’infanticidio. Mentre l’ebraismo talmudico si aspetta che le donne ebree abbiano almeno due figli per riprodurre la popolazione e proibisce l’infanticidio, accetta la contraccezione e l’aborto per evitare figli indesiderati e quindi non amati. Il cristianesimo, d’altra parte, aveva già iniziato a criminalizzare l’aborto e la contraccezione, così come l’infanticidio, nel III secolo della nostra era. Il culmine dell’azione punitiva cristiana, la persecuzione delle streghe dalla fine del XV secolo in poi, era principalmente rivolto alle donne sagge con conoscenze in materia di contraccezione e aborto, ovvero le ostetriche e le “streghe delle erbe”[11].
Non c’è dubbio che i passi citati da Heinsohn esistano nell’Antico Testamento e nel Talmud, il libro di legge ebraico scritto nella tarda antichità e basato su numerose interpretazioni rabbiniche della Torah. Tuttavia, la selettività con cui Heinsohn cita questi passi[12] ricorda molto l’apologetica condotta dagli studiosi ebrei e filosemiti alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX, che dovettero respingere i feroci attacchi degli studiosi antisemiti, soprattutto del mondo di lingua tedesca[13].
Questo dibattito raggiunse il suo apice durante la Repubblica di Weimar. Sebbene gli scritti pubblicati all’epoca siano oggi rari, alcuni di essi si possono ancora trovare nelle grandi biblioteche. Vale la pena leggerli per scoprire a che punto fosse giunta la “questione ebraica” nel dibattito. Dopo averli letti, ci si rende conto che dopo la Seconda Guerra Mondiale non se ne è praticamente più discusso, ma che esiste solo un monologo da parte filosemita, che può permettersi praticamente qualsiasi cosa per quanto riguarda le interpretazioni unilaterali, poiché gli argomenti contrari oggi possono essere puniti dalla legge, ma in ogni caso portano alla stigmatizzazione sociale[14].
Tuttavia, alcuni degli scritti più importanti di questa letteratura secondaria e terziaria sulle scritture ebraiche, che all’epoca ebbero un ruolo importante da parte degli antisemiti, vengono qui brevemente elencati e si tenta di fare un piccolo riassunto per cercare di dare una risposta al perché.
Innanzitutto, è necessario chiarire che, fino alla fine del Terzo Reich, il termine antisemitismo non aveva le connotazioni negative che ha oggi. Al contrario, a quel tempo si trattava di una chiara designazione di posizione, altrettanto discreta quanto l’anti-nazionalismo o l’anti-bolscevismo. A quel tempo, soprattutto in Germania, non esisteva un rituale di distanziamento dall’antisemitismo, come oggi è essenziale se si vuole vivere dignitosamente. All’epoca, se qualcuno si definiva non antisemita, si poteva certamente credere, mentre oggi si tratta di dichiarazioni di facciata, e chi le pronuncia di solito non sa nemmeno da cosa sta effettivamente prendendo le distanze[15].
II
Il dott. Erich Bischoff, orientalista e testimone esperto in queste controversie, fu senza dubbio uno degli autori più in vista nel dibattito sull’antisemitismo dell’epoca, grazie ai suoi numerosi contributi[16]. Lui, che pubblicava nella casa editrice antisemita per eccellenza, la Hammer-Verlag, veniva spesso citato dagli antisemiti come un esperto neutrale[17], cosa che senza dubbio era. Non si considerava un antisemita[18]. Gli scritti di Bischoff sono ancora oggi una lettura obbligata per chiunque voglia comprendere gli eventi dell’epoca. Gunnar Heinsohn sembra non averlo mai sentito nominare.
Anche l’Institutum Judaicum, attivo a Berlino dalla metà degli anni ’80 del XIX secolo, ha prodotto una serie di scritti, il primo dei quali, intitolato Jüdisches Fremdenrecht (“Legge sugli stranieri ebrei”), è probabilmente il più importante in questo contesto[19]. Inoltre, il Buch vom Kahal (Libro del Kahal)[20], deve parimenti essere menzionato, in cui sono stati pubblicati e analizzati i verbali del Consiglio degli ebrei del ghetto di Minsk, conservati per molti decenni, in particolare per quanto riguarda le usanze ebraiche.
Anche il più importante antisemita tedesco, Theodor Fritsch, contribuì a questa disputa con opere allora riconosciute, come il libro Der Streit um Gott und Talmud (“La disputa su Dio e il Talmud”)[21].
Poiché non è importante qui stabilire se le opinioni espresse in questi scritti siano corrette, ma solo se e in che misura possano fornire una risposta alla domanda revisionista “Perché Auschwitz?”, vorrei limitarmi alle affermazioni contenute in queste pubblicazioni. Il lettore dovrebbe quindi tenere sempre presente che questi sono i fondamenti teorici dell’antisemitismo radicale all’inizio del XX secolo, e non necessariamente dimostratisi equilibrati, esaustivi e scientificamente provati[22].
La disputa centrale nel dibattito sull’antisemitismo dell’epoca ruotava attorno alle questioni relative alla misura in cui i libri della legge ebraica Talmud e Shulchan Aruch 1. corrispondessero ai concetti morali cristiani o occidentali, 2. in che misura fossero validi per gli ebrei dell’epoca e 3. come si potesse spiegare la loro origine.
Si pensava che la prima domanda avesse già ricevuto una risposta chiara all’epoca, ovvero che la legge scritta ebraica non potesse essere conciliata con la nostra comprensione della legge. In primo luogo, il Talmud e lo Shulchan Aruch non sono formalmente organizzati, ma rappresentano piuttosto una raccolta caotica di leggi che si contraddicevano a vicenda su ampi ambiti; in secondo luogo, buona parte di queste leggi avrebbe permesso agli ebrei, impunemente, di considerare i non ebrei, e tra questi in particolare i cristiani, come persone di minor diritto. Era quindi permesso o addirittura obbligatorio mentire loro, ingannarli e sfruttarli. Un giuramento davanti a un tribunale non ebraico non era valido. La proprietà dei non ebrei doveva essere considerata senza padrone, la loro vita valeva quanto quella degli animali. Inoltre, i testi di legge ebraica prescrivevano in vari punti che gli ebrei dovessero comportarsi con giustizia nei confronti dei non ebrei, se non ci fosse altro modo per farlo, per il bene della pace e per evitare di danneggiare la reputazione dell’ebraismo[23]. Questi codici legali contengono anche passaggi estremamente misogini e norme sessualmente perverse, che per motivi di buon gusto eviterò di menzionare qui. Il fatto è che molte di queste norme sono in contraddizione con altre, così che in definitiva ognuno possa ottenere ciò che desidera dai codici.
Nel suo Libro del Shulchan Aruch[24], E. Bischoff concluse che non esisteva al mondo nessun’altra religione, visione del mondo o società politicamente costituita che stabilisse nei suoi codici giuridici così tante cose contraddittorie come la religione ebraica. Inoltre, probabilmente non esiste alcun codice giuridico al mondo che consideri i comportamenti altrimenti interpretati come chiaramente immorali esenti da punizione o addirittura obbligatori quando si tratta di azioni verso gli estranei, ovvero che richieda un comportamento etico solo nei confronti dei membri della propria etnia. Sebbene altre religioni abbiano talvolta agito secondo simili massime etnocentriche o religio-centriche, queste non sono mai state contemplate dai loro codici giuridici. La storia del cristianesimo, ad esempio, è una sequenza di privazioni dei diritti e massacri di non cristiani, che non erano in alcun modo contemplati dagli insegnamenti di Cristo.
Simili parallelismi potrebbero probabilmente essere riscontrati per tutte le religioni e anche per tutti i popoli, i quali, tuttavia, quando si comportavano in modo non etico nei confronti degli altri, di solito agivano in violazione delle proprie leggi scritte – se ne avevano. Elevare l’etnocentrismo al rango di legge significherebbe, ad esempio, elevare il machiavellismo agli statuti dell’ONU, e quindi a principio guida dei popoli e delle nazioni (cosa che, tra l’altro, è avvenuta in parte negli articoli 53 e 107, le clausole antitedesche sullo Stato nemico). Alla luce dei massacri in Ruanda, Somalia e Serbia/Bosnia, ciò sarebbe onesto e coerente, ma certamente non disinnescherebbe il conflitto.
Elevare l’etnocentrismo spietato a legge scritta e vincolante era quindi riservato all’ebraismo. La letteratura antisemita che si concentrava su questi passaggi nei testi di legge ebraica, quindi, talvolta interpretava la fede ebraica come satanica in sé[25].
La seconda questione sulla validità di questi codici di legge per l’ebraismo contemporaneo trovò una risposta radicale, in particolare con la pubblicazione del Libro del Kahal, secondo cui, per l’ebraismo orientale che dominava l’Europa all’epoca e persisteva nella vita del ghetto, tale validità era pienamente garantita anche per quanto riguarda i passaggi che erano chiaramente da considerarsi immorali. Anche nell’Europa centrale, episodi analoghi portati all’attenzione del pubblico rivelarono che il Talmud veniva ancora utilizzato nella sua interezza per educare i giovani ebrei, almeno fino alla fine del XIX secolo.
Erich Bischoff notò che l’ebraismo riformato moderno aveva preso le distanze più o meno energicamente da questi testi di legge. Tuttavia, l’ebraismo non aveva altra scelta che conservare il Talmud e lo Shulchan Aruch nella loro interezza se non voleva degenerare nell’arbitrarietà, poiché l’ebraismo era fondato sul Talmud e sullo Shulchan Aruch come i propri unici codici di legge. Poiché nell’ebraismo non esiste un’autorità che decida sui dogmi e sulle leggi validi, come il Papa nel cattolicesimo, ci si deve basare su ciò che è stato formulato migliaia di anni fa[26].
Mentre la fazione apologetica sottolineava ripetutamente che le leggi ebraiche radicali e antiumane erano una conseguenza della persecuzione, a cui gli ebrei potevano sfuggire solo attraverso un isolamento estremo, persino ostile, la fazione antisemita cercava altrove la giustificazione dell’estremismo ebraico. Il Prof. Passarge, ad esempio, come geografo ed etnologo, credeva che la ragione dell’amoralità ebraica risiedesse nel loro passato nomade dei millenni precristiani[27].
In effetti, il Talmud fu creato nel periodo tra il II e il IV secolo d.C., soprattutto in Oriente, quando non vi erano particolari misure di ghettizzazione o persecuzione. E anche allora, le leggi ebraiche orali registrate nel Talmud non sarebbero emerse dal nulla, ma avrebbero avuto una storia di molti secoli alle spalle. Heinsohn scrive che a partire dal I secolo a.C. circa, l’ebraismo si sviluppò in una religione con elevati standard morali, allontanandosi dalle leggi brutali dei popoli del Vicino Oriente[28].
Il Talmud, basato sulle leggi trasmesse oralmente all’epoca e trascurato da Heinsohn, parla purtroppo un linguaggio un po’ diverso. Tuttavia, è indubbiamente vero che l’origine delle leggi ebraiche può essere ricercata nelle spietate e brutali leggi della vita orientale di quel tempo[29]. Questa vita fu fissata dogmaticamente nei libri di legge ebraici ed esportata in Europa, dove era destinata a incontrare rifiuto e ostilità di fronte ai concetti morali cristiani occidentali.
Il resto della storia può essere descritto come un processo di mutazione e selezione. Secondo Passarge, quegli ebrei che attenuarono il nucleo radicale della loro religione scomparvero per assimilazione dopo poche generazioni, poiché l’abbandono delle rigide leggi ebraiche spesso significava un percorso verso l'”Ebraismo riformato” di Gesù Cristo, ovvero nel seno delle chiese cristiane. L’Ebraismo poteva quindi sopravvivere in Europa come tale solo se si definiva rigorosamente in contrasto con i concetti morali europei. Secondo Passarge, questa amoralità ebraica a sua volta poteva sopravvivere solo nell’isolamento dei ghetti, perché se vissuta liberamente, i duri conflitti con il resto della popolazione erano l’inevitabile conseguenza.
Il Prof. Passarge descrive questa oscillazione storicamente documentata tra ghetto e assimilazione da un lato, e la fuga degli ebrei dal ghetto e i conseguenti conflitti con la popolazione, compresi i pogrom, dall’altro. A suo avviso, il confronto tra la prima generazione di ebrei emancipati e il popolo ospitante portò a conflitti anche quando gli ebrei si riformarono, cioè si allontanarono dalle leggi talmudiche. Le ragioni di ciò erano che gli ebrei erano stati profondamente influenzati dagli insegnamenti del Talmud prima della loro riforma. La vita ebraica nel ghetto fu plasmata da questi scritti in modo così profondo come non lo fu per nessun altro popolo.
Il risultato di questa educazione straordinariamente autoritaria, persino spietata, fin dall’infanzia, fu costituito da persone che, attraverso lo studio delle scritture, erano estremamente resilienti mentalmente e spesso superiori ad altre persone sotto questo aspetto, ma che mostravano uno stato mentale “completamente deviante dal pensiero occidentale”[30], che non poteva essere compreso né con le nostre leggi logiche né con i nostri concetti morali. Nonostante l’emancipazione formale dell’individuo dalle rigide regole della sua religione, non ci si poteva aspettare che un ebreo riformato o persino un convertito fosse in grado di liberarsi da questo stato d’animo. La solidarietà con gli altri ebrei, un certo atteggiamento distante, se non ostile, quantomeno incomprensivo nei confronti del popolo ospitante, concetti morali distorti e strutture di pensiero illogiche, a volte persino paranoiche, difficilmente potevano essere superati.
Anche le generazioni successive di tali convertiti avrebbero perso gradualmente queste caratteristiche, a seconda di quanto fossero stati profondamente inseriti fin dall’inizio in un ambiente occidentale non ebraico. Dovrebbe essere ovvio che queste persone, che possiedono i migliori prerequisiti per una carriera intellettuale, non diventano esattamente portatori di cultura per i popoli ospitanti nel senso tradizionale del termine. Anzi, queste persone sono sempre state percepite da certi ambienti come un elemento corrosivo da eliminare, sia nella vita economica, sia in quella politica, sia in quella intellettuale e culturale[31].
III
In generale, l’opinione prevalente in alcuni ambienti accademici durante la Repubblica di Weimar era che l’ebraismo fosse ancora caratterizzato dalle leggi immorali del Talmud e dello Shulchan Aruch, come era stato indiscutibilmente per secoli, e che in quanto tale rappresentasse un pericolo per ogni società, motivo per cui tale pericolo doveva essere eliminato. Il Prof. Siegfried Passarge lo spiegò con particolare chiarezza nel suo epilogo al Libro del Kahal, dove, con la sua visione non razzista, vedeva il suo obiettivo nella scomparsa dell’ebraismo, che nella sua concezione della legge era arcaico e nomade, attraverso l’assimilazione nel mondo culturale europeo, per la quale era richiesta grande pazienza in vista di un processo durato diverse generazioni. Lui stesso sapeva di vedersi in opposizione ai forti movimenti razzisti, che consideravano i concetti morali legali degli ebrei stabiliti nel Talmud e nello Shulchan Aruch come nient’altro che una conseguenza della loro depravazione razziale, ma riconosceva in queste idee quei movimenti che, attraverso i loro eccessi violenti, avrebbero ripetutamente dato all’ebraismo l’opportunità di vedersi giustificato nei suoi concetti morali radicali e quindi di riattivarli[32].
Il fatto che l’ebraismo dipenda dall’antisemitismo come un pesce dall’acqua non è quindi qualcosa che si sa solo oggi.
Il fatto che queste idee dell’epoca sull’ebraismo come religione materialista, autoritaria e razzista, con forti tratti di criminalità organizzata dei colletti bianchi, siano da considerarsi la principale forza trainante di Auschwitz è dimostrato, ad esempio, dall’importanza che il libro Handbuch zur Judenfrage (“Manuale sulla questione ebraica”) ebbe nel Terzo Reich. Infatti, la discussione sulla questione ebraica condotta all’interno e attorno alla casa editrice Hammer delineò dettagliatamente le misure adottate in seguito contro gli ebrei sotto il nazionalsocialismo[33], e le sosteneva con argomentazioni (per quanto riguarda il razzismo, pseudo)scientifiche basate su una discussione che durava da secoli, se non millenni. Tra l’altro, è sorprendente che la questione dell’autenticità dei cosiddetti “Protocolli dei Savi di Sion” non abbia avuto quasi alcun ruolo nella discussione dell’epoca, perché, alla luce del materiale fornito dal Talmud e dallo Shulchan Aruch, non era realmente necessario addentrarsi in tali aspetti propagandistici. Il fatto che oggi si possa ascoltare una discussione su questi Protocolli solo quando si solleva il tema delle ragioni dell’antisemitismo potrebbe essere dovuto al fatto che i Protocolli possono essere facilmente utilizzati dagli apologeti per polemizzare e distrarre dai veri problemi[34]. In ogni caso, la visione di Hitler dei Protocolli avrà avuto poca influenza sulla sua opinione sugli ebrei. Potrebbe aver rappresentato solo un’ulteriore conferma della sua opinione, simile al ruolo iniziale degli ebrei nella Rivoluzione bolscevica.
Che Hitler fosse lungi dall’essere un solitario nelle sue opinioni sulla Rivoluzione di Ottobre può essere constatato, per esempio, dagli ammonimenti di S. Passarge. Tuttavia, alla luce del ruolo degli ebrei nelle atrocità bolsceviche in Russia, il Prof. Passarge non fu il primo a mettere in guardia contro nuovi pogrom, più terribili di qualsiasi cosa fosse mai accaduta prima[35]. Sonja Margolina, ad esempio, riferisce di ebrei russi che all’epoca videro la situazione esattamente allo stesso modo[36]. Il fatto che l’escalation del trattamento riservato agli ebrei dalla Germania nazista, iniziata con la campagna di Russia del 1941, dovesse concludersi in quel modo è stato recentemente spiegato da Joachim Hoffmann.[37]
Nuovi documenti rinvenuti negli archivi russi dimostrano che Stalin aveva pianificato la guerra come una guerra di sterminio contro la Germania ben prima del 1941, con tutte le atrocità effettivamente commesse al fronte e nella guerra partigiana. Non è forse chiaro che durante la guerra la Wehrmacht tedesca fu costretta ad adottare misure draconiane contro i commissari politici di Stalin e contro i partigiani, quei gruppi di persone che dovevano eseguire l’ordine di sterminio di Stalin? Il fatto che gli ebrei costituissero una quota estremamente sproporzionata di questi gruppi ebbe le consuete, seppur a volte esagerate, conseguenze.
È vero che il terrore bolscevico non rimase, come nei primi tempi, spesso nelle mani degli ebrei, ma in seguito, sotto Stalin, anche gli ebrei ne divennero vittime. Tuttavia, contrariamente all’opinione di G. Heinsohn[38], ciò non toglie che gli antisemiti considerassero la svolta della Rivoluzione russa verso il terrore sanguinario come un prodotto della decomposizione ebraica, e quindi una conferma della loro tesi sulla nocività degli ebrei in sé. In questo senso, l’antisemitismo dell’epoca non vedeva la lotta contro gli ebrei come una lotta contro il bolscevismo, ma come una lotta contro un potere che avrebbe inevitabilmente portato a conseguenze disumane, tra cui il bolscevismo.
IV
È degno di nota, in questo contesto, che gli oppositori più determinati, vale a dire i razzisti, dell’amoralità ebraica prima e durante il nazismo, abbiano propagato o applicato un’amoralità simile per sbarazzarsi dei loro oppositori. Dopotutto, la privazione dei diritti e il trattamento degli ebrei, dichiarati subumani in alcune forme di propaganda, non seguivano altro che le regole etnocentriche che erano state precedentemente aspramente criticate nel Talmud: classificare le persone di altre fedi come persone di diritti inferiori e successivamente privarle dei diritti e sfruttarle (espropriazione, lavori forzati, ecc.). Perseguitando gli ebrei per essere ebrei secondo il modo ebraico, Hitler stesso divenne, in un certo senso, il “capo degli ebrei”. Il fatto che abbia avuto il sostegno di molti ebrei sionisti in questo fino al 1941 chiude il cerchio[39].
La forma ebraica di nazionalismo talmudico, sciovinista e razzista, e di etnocentrismo estremo, potrebbe anche essere brevemente descritta come nazionalsocialismo ebraico, con l’ebraismo millenario che rappresenta l’originale e il nazionalsocialismo tedesco, che non è millenario, il cattivo plagio perché fallito. Cosa ha sbagliato l’antisemita Hitler? Il vero antisemita[40] che vuole combattere con successo l’ebraismo, deve combattere ogni antisemitismo non oggettivo espresso pubblicamente, che a lungo termine giova solo all’ebraismo, allo stesso modo in cui combatte il filosemitismo attraverso un’adeguata critica oggettiva[41]. L’estremo antisemitismo di Hitler non solo provocò una resistenza mondiale da parte degli ebrei, ma aiutò anche l’ebraismo del dopoguerra a raggiungere una forza che in precedenza si pensava impossibile.
Infine, l’etnocentrismo del nazionalsocialismo, simile al Talmud ma apertamente espresso e attuato, sfidò la resistenza degli altri popoli in un modo che l’etnocentrismo talmudico nascosto non avrebbe mai potuto fare in modo così estremo.
La teoria di Heinsohn secondo cui Hitler voleva abolire la moralità degli ebrei e sostituirla con la sua amoralità del diritto di uccidere si basa, tra le altre cose, sulle dichiarazioni di Hitler in cui descriveva parti dell’etica cristiano-occidentale da lui rifiutate come basate su invenzioni ebraiche[42]. Inoltre, Hitler definì la coscienza, che impedisce alle persone di affermare i propri diritti naturali, un’invenzione ebraica[43].
Non sarebbe più probabile, dopo quanto sopra, che Hitler pretendesse per il suo popolo ciò che gli ebrei pretendevano per sé stessi, ovvero porre i propri diritti al primo posto, al di sopra dei diritti degli altri popoli? Ma che combattesse contro quella che allora veniva spesso definita falsità e inganno negli ebrei, ovvero il fatto che l’ebraismo parli con una lingua biforcuta nei suoi scritti? Hitler criticò forse il fatto che il mondo cristiano adottasse solo la “coscienza” dei concetti morali degli ebrei, ma ne eliminò la subdola spietatezza talmudica, consentendo così agli ebrei di essere gli unici a comportarsi in modo deliberatamente spietato e insidioso? Hitler cooperò con gli ebrei sionisti perché davano apertamente priorità ai diritti del loro popolo, al proprio impero e al proprio leader, proprio come fece Hitler per i tedeschi? E combatté gli altri ebrei che non erano disposti a emigrare perché, a suo avviso, parlavano con una lingua talmudica biforcuta e agivano di conseguenza, danneggiando così i popoli ospitanti?
V
Se la percezione delle cose ebraiche a quel tempo era quella che emerge dalle pubblicazioni presentate sopra, e se queste pubblicazioni sono rare oggi, ma non sono completamente scomparse, sorge spontanea la domanda sul perché la ricerca consolidata sull’Olocausto, incluso Gunnar Heinsohn, non sembri conoscere o affrontare questi aspetti. Per rispondere a questa domanda, dobbiamo prima chiederci dove si trovi oggi l’ebraismo. Per farlo, vale la pena dare un’occhiata a Israele, dove principalmente ebrei orientali immigrarono dopo gli eventi della Seconda Guerra Mondiale. È quantomeno ipotizzabile che ciò possa avere come conseguenza che il predominio degli insegnamenti talmudici nelle comunità ebraiche orientali possa avere avuto un’influenza formativa anche qui. Nel suo libro di recente pubblicazione “Storia ebraica, religione ebraica“[44], il professore di chimica israeliano Israel Shahak prende posizione nettamente proprio contro quegli eccessi che la concezione talmudica della legge ha portato nell’attuale politica israeliana nei confronti dei non ebrei. Il libro suggerisce che l’attuale concezione ebraica della legge israeliana non differisce molto, in molti ambiti, da quella che fu criticata dagli antisemiti dell’Europa centrale 60 anni fa e oltre. Tuttavia, Shahak menziona anche che il gruppo ebraico dei Caraiti non riconosce le scritture talmudiche e si definisce esclusivamente in base alla Torah[45]. Ma la questione dello stato d’animo degli ebrei in Israele non può essere da sola decisiva per la conduzione della ricerca sull’Olocausto in tutto il mondo, per cui appare necessario esaminare il ruolo e l’atteggiamento degli ebrei in tutto il mondo.
Secondo S. Passarge, gli ebrei degli stati dell’Europa occidentale (i cosiddetti sefarditi in Francia, Inghilterra, Paesi Bassi e nelle loro colonie) non erano mai stati influenzati dal ghetto e quindi non mostravano quelle deformazioni talmudiche che favorivano i conflitti in modo così estremo come i loro correligionari orientali[46]. Che un grande flusso di ebrei orientali si sia riversato nell’Europa centrale, nell’Europa occidentale, negli Stati Uniti e in altri territori d’oltremare prima, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale è probabilmente indiscusso. Il fatto che questo aumento, a volte enorme, di ebrei orientali (ashkenaziti) possa anche portare agli sviluppi indesiderati che Passarge ha descritto così vividamente per l’Europa centrale e orientale non può essere escluso. A causa della mia scarsa competenza in materia, non sono in grado di giudicare come si presenta oggi la confessione ebraica in Europa, e soprattutto in Germania[47].
Il fatto che molti ebrei ci abbiano affrontato dopo la guerra con lo slogan “occhio per occhio”[48], e ancora oggi ci chiamano popolo di Amalek, che ogni anno, durante la festa di Purim, giurano di annientare il mondo intero, compresa la loro memoria, dimostrando ulteriormente il loro atteggiamento, che a quanto pare non ha necessariamente bisogno di ricorrere al Talmud per essere disumano nel suo estremo etnocentrismo[49]. Inoltre, alla luce delle numerose esortazioni da parte ebraica in occasione del 50° anniversario della fine della guerra, chi potrebbe dubitare che l’ebraismo si sia distanziato dalle sue regole giuridiche orientali e barbare, basate sulla spietatezza, sull’incapacità di perdonare e dimenticare, sulla responsabilità di clan e sull’accusa collettiva? In ogni caso, non si vede qui nulla dell’amore per il prossimo e per gli stranieri postulato da G. Heinsohn, che era un bene moralmente elevato per gli ebrei[50].
Lo scrittore e poeta ebreo Erich Fried ci ha chiarito nel 1992 che questa affermazione non può essere lontana dal vero: “Ricordo quanto ero orgoglioso da bambino quando leggevo nella Torah: ‘Non opprimerai né opprimerai uno straniero’, e quanto sono rimasto deluso quando ho scoperto che la parola STRANIERO, -Ger- in ebraico, si riferisce solo a uno straniero convertito all’ebraismo”[51]. Quindi anche oggi sembra che gli ebrei non siano molto lontani dal prendere le distanze dalle idee razziste.
Come potrebbe essere possibile in una religione che definisce solo un popolo come eletto, che tende a definire i membri della propria religione in base al sangue (un ebreo è chiunque abbia una madre ebrea), che proibisce a tutti quegli ebrei israeliani di sposarsi con coloro che devono essere descritti come “bastardi” per ragioni razziali[52], che promette agli ebrei il regno di Dio sulla terra in un tempo finito, nel quale gli ebrei governeranno su tutti gli altri popoli (Deuteronomio 15:6; 28:1)[53]. Ancora oggi gli ebrei si considerano non solo una comunità religiosa, ma anche un popolo fortemente etnocentrico[54].
Ora, tutto questo dovrebbe interessarci poco se non fosse per la frettolosa sottomissione delle nostre élite a quelle personalità che sfruttano il loro sacrificio presumibilmente vissuto o solo retrospettivamente noto, presumibilmente singolare, per presentarsi come i nostri supremi e inattaccabili apostoli morali. Hans-Dietrich Sander citava Ernst Wiechert come esempio, il quale, di fronte ad Auschwitz, esigeva dalla gioventù tedesca: “Riconosciamo che la dura legge è stata scritta per noi: ‘Occhio per occhio, dente per dente, sangue per sangue’. Non ribelliamoci contro di essa…”[55]. Erano quindi più che disposti a sottomettersi prematuramente alle prevedibili e barbariche richieste di vendetta da parte ebraica.
Il ruolo degli ebrei nella sottomissione dei tedeschi dopo la guerra e il loro allontanamento dalle proprie radici politiche e culturali sono stati descritti fenomenologicamente da H.-D. Sander utilizzando numerosi esempi[56]. Considerata l’impudente audacia (in ebraico: chutzpah) con cui il signor Bubis (allora capo del Consiglio centrale degli ebrei in Germania), il signor Friedmann e tutti coloro che obbediscono preventivamente sono oggi in grado di pretendere cosa sia bene e cosa sia male, chi osa contraddire il fatto che il campo volontariamente disboscato per i semiti e i filosemiti è oggi coltivato quasi esclusivamente da loro?[57] […]
Il fatto che la situazione nel mondo occidentale sia simile a quella descritta dal Prof. Passarge come uno stato critico poco prima delle rivolte simili a pogrom, vale a dire il dominio delle nazioni ospitanti da parte delle élite ebraiche, viene addirittura proclamato con orgoglio da quest’ultimo in alcuni punti: “Quando il settimanale israeliano Haslem Hazeh del 4 agosto 1982, p. 30, si rallegrava del fatto che gli ebrei americani, attraverso le loro ‘posizioni chiave nel mondo dei media’, fossero in grado di ‘impedire la pubblicazione di qualsiasi informazione’, le cose sono nuovamente scivolate nello stesso fiume che, con crescente accelerazione, sta diventando il Maelstrom”, riferisce H.-D. Sander[58]. Se a questo si aggiunge il resoconto del settimanale ebraico tedesco Allgemeine Jüdische Wochenzeitung del 24 settembre 1992, p. 11, in cui si afferma quanto sia importante e utile che gli ebrei siano presenti in ogni consiglio radiotelevisivo tedesco per prevenire notizie spiacevoli, allora tutte le domande dovrebbero trovare risposta, soprattutto perché i media sono la chiave del potere nelle moderne società dell’informazione. Non resta che aggiungere, con H.-D. Sander, ciò che diceva la voce del popolo: “Allora ho aiutato gli ebrei dieci volte a rischio della mia vita. Oggi non lo farei”[59].
Alla luce di tutte queste circostanze, non sorprende che i professori di tutto il mondo non riescano a trovare nulla di arguto per rispondere alla domanda “Perché Auschwitz?”, perché le conseguenze dell’arguzia in questo mondo sono ormai fatali, il che a sua volta dimostra che alcune cose… Proprio perché le cose stanno precipitando, bisogna sempre essere consapevoli che solo l’assimilazione permanente può risolvere il problema ebraico al di fuori di una nazione ebraica. A meno che non si consideri l’espulsione nella patria ebraica.
https://codoh.com/library/document/on-the-causes-of-hostility-towards-jews/
[1] Gunnar Heinsohn, Warum Auschwitz?, Rowohlt, Reinbek 1995.
[2] Deborah E. Lipstadt, Denying the Holocaust, Maxwell Macmillan, New York, 1993.
[3] Per esempio: A.R. Butz, The Hoax of the Twentieth Century, 5th ed., Armreg, London, 2024; W. Stäglich, Auschwitz: A Judge Looks at the Evidence, 3rd ed., Castle Hill Publishers, Uckfield, 2015; Germar Rudolf, Lectures on the Holocaust, 4th ed., Castle Hill Publishers, Bargoed, 2023; Jürgen Graf, Der Holocaust auf dem Prüfstand, Guideon Burg, Basel, 1993; idem, Der Holocaust-Schwindel, ibid.; idem, Auschwitz: Tätergeständnisse und Augenzeugen zum Holocaust, Neue Visionen, Würenlos, Switzerland, 1994; Serge Thion, Vérité historique ou vérité politique?, La Vieille Taupe, Paris, 1980.
[4] G. Heinsohn, op. cit. (Note 1), p. 39.
[5] Vedi Ernst Gauss (= Germar Rudolf), “The Controversy about the Extermination of the Jews: An Introduction”, in: idem. (ed.), Dissecting the Holocaust: The Growing Critique of ‘Truth’ and ‘Memory’, 4th ed., Armreg, London, 2024, pp. 15-58, esp., pp. 33-36.
[6] Solo la sua teoria n°12: “Auschwitz come liberazione da un fossile culturale arcaico” contiene un approccio nella direzione corrispondente, che tuttavia non viene approfondito, G. Heinsohn, op. cit., (Nota 1), pp. 66ss.
[7] “Monoteismus und Antisemitismus – auf immer unerklärbar?”, in: Rainer Erb, Michael Schmidt (a cura di), Antisemitismus und jüdische Geschichte, Wissenschaftlicher Autorenverlag, Berlin 1987, pp. 409-447, spec. pp. 446 ss.; analogamente la presentazione in: idem, “Was ist Judentum?”, in: Zeitschrift für Religions- und Geistesgeschichte, 43(4) (1991), pp. 333-344, spec. pp. 343 ss. In questo libro, la morte sacrificale del Figlio di Dio Gesù per l’umanità e la sua commemorazione simbolica nell’Eucaristia sotto forma del sangue e della carne di Gesù (vino e pane) sono valutati come una ricaduta del cristianesimo nel culto del sacrificio! Nel libro qui criticato, Warum Auschwitz?, op. cit. (Nota 1), p. 15, Heinsohn si limita a dichiarare la morte sacrificale di Gesù come “[…] la convinzione cristiana che la salvezza possa sorgere solo da un sacrificio umano […]”, ignorando che i cristiani considerano Gesù il Figlio di Dio e quindi non un essere umano sacrificato per Dio, ma Dio stesso, pronto a sacrificarsi per l’umanità. Tali interpretazioni errate suggeriscono certi legami religiosi da parte di Heinsohn. Viene anche da chiedersi chi sia in realtà la causa delle ripetute proteste tra gli attivisti per i diritti degli animali in tutto il mondo di fronte a una macellazione rituale apparentemente insensata e presumibilmente prescritta dalla religione, ovvero il dissanguamento di animali vivi: i cristiani o gli ebrei?
[8] Ecco: il Prof. Heinsohn attribuisce alla Germania una colpa collettiva e una responsabilità di clan!
[9] G. Heinsohn, Warum Auschwitz?, aaO. (Anm. 1), S. 13, 135, 137f.; vgl. auch ders., Was ist Judentum?, aaO. (Anm. 7), passim.
[10] Vedi Irenäus Eibl-Eibesfeld, Die Biologie des menschlichen Verhaltens, 2nd ed., Piper, Munich, 1986.
[11] G. Heinsohn, Otto Steiger, Die Vernichtung der Weisen Frauen, 3a ed., Heyne, Monaco, 1989, spec. pp. 48-51; vedere anche idem, “Theorie des Tötungsverbotes und des Monotheismus bei den Israeliten sowie der Genese, der Durchsetzung und der welthistorischen Rolle der christlichen Familien- und Fortpflanzungsmoral”, in: J. Müller, B. Wassmann (Hg.), L’invitation au Voyage zu Alfred Sohn-Rethel, Festschrift zum 80. Geburtstag, Unibuchladen Wassmann, Brema, 1979; sulle tesi di Heinsohn in politica demografica si veda anche idem, R. Knieper, Theorie des Familienrechts: Geschlechterrollenaufhebung, Kindesvernachlässigung, Geburtenrückgang, Suhrkamp, Francoforte sul Meno, 1974; idem, Rolf Knieper, Otto Steiger, Menschenproduktion. Allgemeine Bevölkerungstheorie der Neuzeit, Suhrkamp, Francoforte sul Meno, 1979.
[12] Cosa che, tra l’altro, ammette indirettamente: G. Heinsohn, Was ist Judentum?, aaO. (Anm. 7), p. 339: «Il saggio “Che cos’è l’ebraismo?” potrebbe infastidire l’intenditore dei dettagli riducendo a idee fondamentali ciò che in realtà esiste in grande abbondanza e allo stesso tempo in sfumature di contraddizione».
[13] Una bibliografia abbastanza completa sugli attacchi antiebraici dal 1500 al 1887 si trova in: Thomas Frey (= Theodor Fritsch), Antisemiten-Katechismus, Verlag von Th. Fritsch, Lipsia 1887, pp. 209-219.
[14] Anche Hans-Dietrich Sander ha accennato a questo fatto: Die Auflösung aller Dinge, Castel del Monte, Monaco di Baviera 1988, p. 202: “Habermas […] ha decretato autorevolmente che il Rubicone di una visione critica della questione ebraica non deve essere attraversato una seconda volta dalla mente tedesca”; citato da Jürgen Habermas, Philosophisch-politische Profile, Francoforte sul Meno, 1971, pp. 63, 65. Il fatto che Habermas abbia ricevuto una laurea honoris causa dall’Università di Tel Aviv per la sua lotta contro una discussione storica libera da tabù nel cosiddetto Historikerstreit mostra di chi Habermas è volontariamente o involontariamente al servizio (Stuttgarter Nachrichten, 24 aprile 1995).
[15] Incluso il sottoscritto, che solo ora è costretto ad affrontare questo problema – che inizia a comprendere – a causa dell’ingiusta condanna.
[16] Erich Bischoff, Die Kabbalah. Einführung in die jüdische Mystik und Geheimwissenschaft, Th. Griebens Verlag, Leipzig, 1903; idem, Die Elemente der Kabbalah, reprint, Verlag Richard Schikowski, Berlin, 1985; idem, Rabbi und Diakonus, Walter Kramers Verlag, Leipzig, 1929; idem, Rabbinische Fabeln, ibid., 1922; idem, Das Buch vom Schulchan Aruch, Hammer Verlag, Leipzig, 1929; idem, Das Blut in jüdischem Schrifttum und Brauch, Ludolf Beust Verlag, Leipzig, 1929.
[17] Vedi per esempio Theodor Fritsch, Handbuch zur Judenfrage, 11th ed., Hammer-Verlag, Leipzig, 1932, S. 128.
[18] Ciò emerge in particolare dal suo libro Die Elemente der Kabbalah, op. cit. (Nota 16), Parte 2, pp. 210 e segg., in cui esprime la sua grande stima per il misticismo ebraico e la teosofia.
[19] Gustaf Marx, Jüdisches Fremdenrecht. Antisemitische Polemik und jüdische Apologetik, Schriften des Institutum Judaicum, Berlin, Nr. 1, H. Reuther’s Verlag, Karlsruhe/Leipzig, 1886.
[20] Jacob Brafmann, Das Buch vom Kahal, 2 vols., Hammer-Verlag, Leipzig, 1928, a cura di Siegfried Passarge.
[21] Hammer-Verlag, Lipsia 1922. E. Bischoff lo menziona elogiandolo in Das Buch vom Schulchan Aruch, op. cit. (Nota 16), pag. 110.
[22] Sebbene si possa presumere che non vi sia equilibrio, poiché l’antisemitismo era fortemente incentrato su aspetti specifici dell’ebraismo, l’accuratezza di alcune affermazioni potrebbe essere diversa, soprattutto perché le pubblicazioni qui menzionate hanno affrontato approfonditamente tutte le possibili contro-argomentazioni degli apologeti ebrei. Ma se si vuole ottenere un quadro obiettivo, non si ha altra scelta che studiare personalmente la letteratura primaria (Torah, Talmud, Shulchan Aruch), preferibilmente in lingua originale e con una conoscenza del mondo orientale dell’epoca. In ogni caso, non mi permetto di giudicare se quanto scritto all’epoca sia vero e completo. Cfr. ad esempio Lazarus Goldschmidt (a cura di), Der Babylonische Talmud, 12 voll., Verlag Biblion, Berlino, 1929-1936. Una quarta edizione dell’opera sarà presto pubblicata da Suhrkamp.
[23] E. Bischoff, Das Buch vom Schulchan Aruch, aaO. (Anm. 16), S. 50ss. Secondo Bischoff, il trattamento equo dei non ebrei per sole ragioni tattiche è moralmente privo di valore. Ma esso non rappresenta forse una forma particolare di malizia?
[24] Nella traduzione inglese: E. Bischoff, The Book of the Shulchan Aruch, Castle Hill Publishers, Bargoed, 2023; https://armreg.co.uk/product/book-shulchan-aruch/.
[25] Così la parola ebraica per il loro dio – (El) Shadai – viene occasionalmente interpretata come avente la stessa radice della nostra parola Satana, cfr. Theodor Fritsch, Der falsche Gott, Hammer-Verlag, Lipsia, 1919. H. Lummert mi ha recentemente spiegato che si tratta di un’interpretazione errata: “La nostra parola ‘Satana’ è una parola ebraica: satam (sin-tet-mem); significa opporsi, contendere, combattere. Satana (sin-tet-nun) è il nemico, l’avversario, l’oppositore. Hasatan (Satana) è l’accusatore, il “nostro” Satana. Shadai (shin-dalet-jod): potente, onnipotente; un nome di Dio (El Shadai); quindi approssimativamente l’Onnipotente. Shadad (shin-dalet-dalet): danneggiare, essere violento, devastare, saccheggiare, distruggere, annientare.”
[26] Das Buch vom Schulchan Aruch, op. cit. (Nota 16), pp. 30-35, esp. p. 33.
[27] S. Passarge in: Jacob Brafmann, op. cit. (Nota 20), Vol. 2, pp. 343ff.
[28] G. Heinsohn, op. cit. (Nota 1), p. 137.
[29] Sono debitore a Horst Lummert per aver sottolineato che la Torah può essere meglio compresa se non la si guarda attraverso la lente di un dialogo tra Dio e il suo popolo, ma come la vera storia di un popolo, con tutte le sue qualità positive e negative, con eventi positivi e negativi. Solo attraverso l’interpretazione mitologico-teologica di questa storia essa è diventata un edificio religioso dogmatico. Anche se si è d’accordo con questo, resta il fatto che i problemi sorgono proprio dal fatto che gli ebrei spesso interpretano nel Talmud e nello Shulchan Aruch ciò che è stato registrato nella Torah come eventi storici in modo metaforico, letterale o (non)analogico, ma in ogni caso dogmatico.
[30] E. Bischoff, Das Buch vom Schulchan Aruch, op. cit. (Nota 16), p. 123, nota 205.
[31] Precisamente nel senso dell’Auflösung aller Dinge (Nota 14) di Sanders.
[32] S. Passarge in: Jacob Brafmann, op. cit. (Nota 20), Vol. 2, pp. 381s.
[33] Ad eccezione, naturalmente, dello sterminio industriale mirato che, secondo la convinzione revisionista, non ebbe luogo.
[34] Hans Sarkowicz, “Der Protokolle der Weisen von Zion”, in: Karl Corino (Hg.), Gefälscht!, Rowohlt, Reinbek, 1992, pp. 56-73.
[35] S. Passarge in: Jacob Brafmann, op. cit. (Nota 20), Vol. 2, pp. 377ss.
[36] Sonja Margolina, Das Ende der Lügen, Siedler, Berlino, 1992, in particolare p. 58; H.-D. Sander, aaO. (Anm. 14), p. 35, ha ampliato la serie citando S. Dubnow, Mein Leben, Berlino 1937, p. 224: “[…] Dubnow ha parlato […] della ‘terribile colpa’ di cui ‘gli ebrei si sono fatti carico con la loro partecipazione al bolscevismo’”.
[37] Joachim Hoffmann, Stalin’s War of Extermination 1941-1945, reprint, Castle Hill Publishers, Uckfield, 2015.
[38] G. Heinsohn, op. cit. (Nota 1), Teoria secondo Ernst Nolte: “Auschwitz come lotta contro il bolscevismo”, pp. 119 e segg.
[39] Vgl. Francis Nicosia, The Third Reich and the Palestine Question, 2nd ed., Transaction Publishers, New Brunswick, 1999.
[40] Io non mi considero ancora tra loro, anche se alcuni filosemiti e antisemiti vorrebbero costringermi in un tale ruolo; cfr. Nota 5.
[41] Un esempio di come non farlo è il libro di Harold Cecil Robinson (= Johannes Peter Ney), Verdammter Antisemitismus, Neue Visionen, Würenlos, 1995, che segna un epocale passo indietro in termini di qualità rispetto agli scritti sul periodo di Weimar.
[42] G. Heinsohn aaO. (Anm. 1), p. 138.
[43] Ibid., p. 19.
[44] Israel Shahak, Jewish History, Jewish Religion, Pluto Press, London, 1994.
[45] Ibid., pp. 60, 83, 85s. Secondo H. Lummert, tuttavia, questo mancato riconoscimento dell’autorità rabbinica è meritevole di morte nel senso dell’ebraismo ufficiale.
[46] S. Passarge, in: Jacob Brafmann, op. cit. (Nota 20), pp. 360ss.
[47] Finora ho incontrato solo per caso Josef Ginsburg, che all’epoca accusava gli ebrei coinvolti nel business della Shoah di (falsa) comprensione talmudica; vedi Josef G. Burg, Zionnazi-Zensur in der BRD?, Ederer, Monaco di Baviera, 1980.
[48] Per realizzare ciò non era necessario che fosse pubblicato il libro omonimo di John Sack, BasicBooks, New York, 1995.
[49] Deuteronomio 25:19; similmente H.-D. Sander, op. cit. (Nota 14), p. 192.
[50] G. Heinsohn, op. cit. (Nota 1), p. 137, basandosi su Esodo 22:20; 23:9; Levitico 19:33ss. Naturalmente, omette i corrispondenti passaggi contraddittori del Talmud e dello Shulchan Aruch.
[51] Ristampato nella rivista Links, 3/1992, p. 30.
[52] Secondo un articolo del quotidiano tedesco Die Welt del 22 dicembre 1994, il Ministero della religione israeliano avrebbe stilato una lista di diecimila israeliani a cui non è consentito sposarsi perché considerati “bastardi” o “impuri”.
[53] Sulla critica antiebraica dell’Antico Testamento in quel periodo, vedi Th. Fritsch, Handbuch zur Judenfrage, op. cit.
[54] Definire l’appartenenza a un gruppo in base al legame di sangue non è insolito per un popolo, come dimostrano le norme tedesche sulla cittadinanza, ma è straordinario per una religione. A questo proposito, diventa chiaro che gli ebrei si considerano non solo una comunità religiosa, ma anche un popolo. Il fatto che anche gli ebrei tedeschi si considerino prima di tutto ebrei può essere chiarito dal nome della loro associazione: dopotutto, il Consiglio Centrale degli Ebrei in Germania non si chiama Consiglio Centrale degli Ebrei Tedeschi.
[55] Ernst Wiechert, Rede an die deutsche Jugend, Munich, 1945, p. 33; come citato da H.-D. Sander, aaO. (Anm. 14), p. 185.
[56] H.-D. Sander, op. cit., (nota 14), in particolare p. 189: “Come sempre, gli ebrei sono intervenuti in questo processo storico mondiale [della totale sottomissione dei tedeschi ai vincitori] solo in modo aggravante”. Vale la pena leggere in questo contesto anche Hans Jürgen Syberberg, Vom Unglück und Glück der Kunst in Deutschland nach dem letzten Kriege, Matthes & Seitz, Monaco, 1990.
[57] Sono convinto che non siano nemmeno gli ebrei stessi a svolgere il ruolo più importante, ma piuttosto quelle forze non ebraiche che sono sempre avventatamente pronte a fare ciò che credono sia semplicemente nell’interesse ebraico. Se questo sia sempre il caso è dubbio, soprattutto perché ci sono certamente molte opinioni diverse tra gli ebrei su come ci si dovrebbe comportare al meglio nei loro confronti.
[58] H.-D. Sander, op. cit. (Nota 14), p. 193
[59] Ibid., p. 192, nota a piè di pagina. Per inciso, Gottfried Weise salvò anche la vita a molti ebrei quando li portò sani e salvi attraverso l’artiglieria russa alla fine della guerra. Per questo fu messo dietro le sbarre a vita da un ebreo professionista, bugiardo e falso testimone. Weise lo rifarebbe oggi? Cfr. R. Gerhard (a cura di), Der Fall Weise, 2a ed., Türmer, Leoni 1991; Claus Jordan, “The German Justice System: A Case Study”, in: G. Rudolf (a cura di), Dissecting the Holocaust, op. cit., pp. 137-171. Otto Ernst Remer mi ha detto personalmente di aver salvato la vita a numerosi ebrei anche quando usò la forza per impedire alla popolazione civile ucraina di commettere pogrom all’inizio della campagna di Russia.
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