Gian Pio Mattogno
MONI OVADIA: UN “EBREO CONTRO” O UN “CONTRO-EBREO”?
Ammiro Moni Ovadia per la sua onestà intellettuale e il suo coraggio (merce rara di questi tempi), anche se molte delle sue idee sono diametralmente opposte alle mie.
Ma non è di questo che intendo parlare.
Moni Ovadia è stato definito un “ebreo atipico”, ma lui ama definirsi un “ebreo contro”, un “ebreo antisionista”.
Desidero spiegare perché invece, a mio avviso, in ultima analisi Moni Ovadia debba essere definito paradossalmente un “contro-ebreo”.
Egli infatti mi sembra, grazie a Dio, non solo totalmente estraneo alla tradizione rabbinico-talmudica che caratterizza l’unico e vero ebraismo, ma, esaltando il presunto spirito universalistico e umanitario che a suo dire caratterizzerebbe l’ebraismo, anche se non lo fa esplicitamente, implicitamente sottopone ad una critica demolitrice l’intera autentica tradizione ebraica.
Per via delle sue idee e delle sue posizioni critiche verso l’entità pirata criminale sionista, Moni Ovadia è stato duramente attaccato dalla stessa Sinagoga, che lo considera una sorta di diavolo.
Per tutta risposta, lui, che si definisce “ebreo non credente”, ha cancellato la sua iscrizione alla Comunità Ebraica.
Da molti anni Moni Ovadia è in prima linea nella denuncia dei crimini israeliani.
Sono note a tutti le sue durissime prese di posizione contro la politica genocida israeliana ai danni del popolo palestinese.
Tra le altre cose, in un intervento pubblico Moni Ovadia ha voluto indirizzare una “Lettera di un ebreo agli ebrei”.
Ne riassumo i tratti salienti, per lo più testualmente, o quasi.
In origine gli ebrei erano una massa di asiatici, sbandati, terrorizzati e piagnucolosi, che vagavano nei deserti a ridosso della Mezzaluna fertile, tra i quali figuravano assassini, contrabbandieri, ladri, ruffiani, prostitute ‒ una massa di meticci ex-schiavi, la schiuma della terra.
Costoro ebbero due idee geniali: dapprima colonizzarono il cielo con un Dio, che si dichiarò il Dio dello schiavo e dello straniero, e successivamente inventarono l’“elezione per sfiga” (siamo gli ultimi, quindi siamo eletti).
Dopo molti secoli d’esilio, ad un certo punto alcuni ebrei decisero di avere una terra, e lo fecero nel modo più catastrofico possibile: sposarono il sionismo, un progetto colonialista nelle sue origini, perché affermava l’idea di una terra senza popolo per un popolo senza terra.
Ma in quella terra un popolo c’era già: un milione e mezzo di arabi.
Nel tempo questo progetto mostrò la sua vera natura: un progetto colonialista che diventò progressivamente un progetto segregazionista e razzista.
«La straordinaria epopea ebraica dell’esilio, che seminò genio in ogni angolo del pianeta è stata abbandonata a favore di un ghetto ipermilitarizzato, iperaggressivo, fanatico, che sta perpetrando un massacro genocidario nei confronti di un popolo indifeso che dovrebbe essere popolo fratello».
All’inizio della Bibbia, nel Genesi, è detto che Dio scelse l’uomo per essere suo partner nella creazione e per esserne quindi il custode, e i più grandi maestri dell’ebraismo hanno esaltato la dignità umana e l’uguaglianza fra gli uomini.
L’idolatria è il vero antagonista dell’ebraismo, e in Israele si è costituita la peggiore idolatria di tutti tempi, l’idolatria della terra, il nazionalismo fanatico.
«Si può essere ebrei solo partendo dalla dignità dell’essere umano (…) Io non rinuncerò mai ad essere ebreo a favore di un progetto colonialista violento, feroce, genocidario. Questo è il mio messaggio agli ebrei».
Tutto giusto, tutto in ordine in questa denuncia del progetto criminale sionista.
Anche altrove Moni Ovadia ha avuto il coraggio di dire:
«Israele è sinonimo di colonialismo, suprematismo, mito della violenza militare. Netanyahu non è una degenerazione del sionismo, ma l’epitome di una sporca vicenda iniziata da Ben Gurion, Golda Meir e i successivi leader» (“Israele, mito della violenza”: la versione di Moni Ovadia, «La Gazzetta del Mezzogiorno», 22 giugno 2025, lagazzettadelmezzogiorno.it).
Moni Ovadia ribadisce che non rinuncerà mai ad essere ebreo.
Ma allora, che cosa significa per lui essere ebreo, che cosa è per lui l’ebraismo?
Lo spiega in questa “Lettera”, come in altri interventi.
In un’intervista (Che l’uomo creda nell’uomo. Un dialogo con Moni Ovadia, ACLI, 8 agosto 2019, acli.it) dice che l’ebraismo è universalismo, formidabile tensione morale, libertà, senso della responsabilità; che Rabbi Hillel avrebbe esortato ad amare il prossimo come se stessi; che, nonostante non sia credente, celebra lo Shabbat, cioè il suo essere umano nella libertà, «nella santità intesa come inviolabilità, eguaglianza, pari dignità col mio prossimo e anche con il padrone dell’universo (…) Lo Shabbat è l’uscita dai ruoli, dall’alienazione: gli uomini diventano uguali».
Questo è dunque l’ebraismo?
Ci fu veramente una “straordinaria epopea dell’esilio” che seminò genio e ideali umanitari e universalistici in ogni angolo del pianeta?
Se le cose stessero veramente così non sarebbe mai nato l’antisemitismo.
Se tutti gli “ebrei” si chiamassero Moni Ovadia o Israel Shahak, o anche DAAT EMET, non esisterebbe una questione ebraica.
Ma purtroppo la realtà è un’altra.
In quale paese immaginifico vive Moni Ovadia?
Il suo ebraismo universalista sarà pure indubbiamente magnifico e suggestivo, ma non è ebraismo.
L’ebraismo ‒ il vero, solo e unico ebraismo ‒ è il giudaismo rabbinico-talmudico, il giudaismo fondato sull’esegesi rabbinica della Torah (da parte di quegli stessi maestri da lui lodati, e non sulla sua personalissima interpretazione della Torah), con tutto il corollario di odio contro i goyim in generale e i cristiani in particolare, con tutte le sue speranze e certezze messianiche di sterminio e/o asservimento dei popoli del mondo “idolatri”.
Rabbi Hillel non intendeva assolutamente affermare che il non-ebreo è il prossimo dell’ebreo.
Il preteso “universalismo” ebraico non è altro che uno stratagemma esegetico truffaldino inventato dall’apologetica giudaica mipnei darkhei shalom, per amore della pace.
Non esiste universalismo nel giudaismo rabbinico-talmudico, ma solo particolarismo ed esclusivismo etnico-religioso, solo odio suprematista, lo stesso che Moni Ovadia attribuisce giustamente all’entità sionista nei confronti dei goyim palestinesi.
(Tutto ciò è ammesso non solo dagli “ebrei” critici, come Israel Shahak o dagli intellettuali israeliani di DAAT EMET, ma pacificamente anche da molti autorevoli esponenti della comunità ebraica internazionale, i quali non solo non lo negano, ma se ne fanno addirittura un vanto. Si vedano al riguardo gli scritti apparsi su questo stesso sito revisionista).
Moni Ovadia afferma: «L’ebraismo o è universalista o non è ebraismo».
Appunto.
Lo Shabbath non è, come pretende Moni Ovadia, il giorno della dignità e dell’uguaglianza fra gli uomini, ma il giorno dell’esclusivismo ebraico per eccellenza, il «segno eterno» per tutte le generazioni, un simbolo particolare della speciale relazione tra Jahvé e il suo popolo eletto.
Lo Shabbath, come scrive Elia S. Artom, è «giornata consacrata, è cioè, di fronte agli altri giorni della settimana, quello che Israele è di fronte alle altre genti (…) Tutto Israele deve celebrare il sabato: questo è uno dei mezzi con cui Israele si distingue dal resto degli uomini» (E.S. Artom, La vita di Israele, Roma, 5735-1975, pp. 94, 96).
Temo per lui (ma fortunatamente per noi) che abbia ragione Daniel Regard quando scrive che Moni Ovadia rappresenta «la prova che essere ebreo non è un’etichetta (…) Moni Ovadia è l’esempio di quanto non basti nascere ebreo (…) Moni Ovadia è un falso storico che non rappresenta in nessun modo l’ebraismo e la sua forza nella storia» (Falso storico, Pagine Ebraiche, 26/4/2018, moked.it).
Più prosaicamente io mi permetto di dire: ma che c’azzecca Moni Ovadia con l’ebraismo?
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