Gian Pio Mattogno: Il destino dei non ebrei nel Gehinnom in un saggio di Dov Weiss

Gian Pio Mattogno 

IL DESTINO DEI NON-EBREI NEL GEHINNOM IN UN SAGGIO DI DOV WEISS

 

Nei miei lavori ha mostrato, sulla scorta della letteratura rabbinico-talmudica e a dispetto di certa apologetica giudaica, truffaldina e mistificatrice ‒ a partire dal primo grande mentitore della storia, il rabbino Yehiel di Parigi (XIII sec.), fino ai moderni mentitori, passando per il filosofo Hermann Cohen ‒ quale sia il destino del goy (gentile, non-ebreo) su questa terra o, per usare un’espressione ebraica, olam ha-zeh (=questo mondo, il mondo terreno).

Secondo la Halacha (la normativa rabbinica) il non-ebreo è un idolatra empio e spregevole, dissoluto e perverso, assimilato alle bestie, da discriminare, ingannare, derubare e, all’occorrenza, perfino uccidere.

      Su questa terra, il destino che attende il non-ebreo idolatra (cioè, praticamente l’intera umanità) nell’èra messianica è un destino di morte e distruzione e/o di asservimento totale al “popolo eletto” e al suo Dio.

Ma, sempre secondo la normativa rabbinica, qual è il destino di questo non-ebreo idolatra nell’altra vita, nell’oltretomba, nell’aldilà, o, per usare un’altra espressione ebraica, nell’ olam ha-ba (= mondo a venire, anche se a volte questa espressione sembra riferirsi all’èra messianica in questo mondo)?

Scrive Dov Weiss, ebreo, ordinato rabbino dal Rabbi Isaac Elchnan Theological Seminary della Yeshiva University, docente di studi ebraici alla University of Illinois (Holam Ha-ba in Rabinic Literature: A Funcional Reading, in olam ha-zeh v’olam ha-ba: This World and the World to Come in Jewish Believe and Practice. Editor(s): Leonard J. Greenspoon, Purdue University Press, 2017, pp. 91-103) che gli insegnamenti rabbinici al riguardo possono essere raggruppati in sei funzioni, e la quarta funzione è polemica: i rabbini invocano il mondo a venire come arma teologica per esprimere la loro ostilità e la loro animosità (leggi: il loro odio) verso i non-ebrei.

La risposta circa la sorte dei non-ebrei nell’aldilà è dunque inequivocabilmente la seguente:

     tutti i non-ebrei saranno condannati e ridotti in cenere nel fuoco del gehinnom.

Il gehinnom (geenna) è il luogo dove i bambini venivano sacrificati al dio Moloch e si trovava originariamente nella “valle del figlio di Hinnom” (in ebraico: ge ben Hinnom), a sud di Gerusalemme.

Per questa ragione la valle era considerata maledetta, e gehinnom divenne presto sinonimo di luogo infernale, luogo dove le anime di coloro che sono stati eccezionalmente malvagi vi sono condannate “per generazioni e generazioni”, mentre le anime che hanno scontato i loro peccati salgono poi nel gan eden (paradiso).

(Gehenna, in «The Jewish Encyclopedia», vol. 5, pp. 582-584; A. Cohen, Il Talmud, Bari, 1935, pp. 431- 458: il mondo a venire, il giudizio finale, il gehinnom e il gan eden nelle fonti rabbiniche; Rabbinic Thought and Theology ‒ Hell/Gehenom, JoshYuter.com: fonti rabbiniche con testo ebraico a fronte; F. Lelli, L’evoluzione del concetto di she’ol/gehenna nella tradizione ebraica, in Inferni temporanei. Visioni dell’aldilà dall’estremo Oriente all’estremo Occidente. A cura di Maria Chiara Migliore e Samuela Pagani, Roma, 2011, pp. 127-145. In appendice: Masseket Gehinnom – Trattato della geenna).

Su tale questione esiste un’ampia bibliografia.

Un eccellente saggio del già citato Dov Weiss fornisce un compendio documentato ed oggettivo sullo stato dell’arte del dibattito storiografico e, soprattutto, sul destino dei non-ebrei nell’aldilà secondo la normativa rabbinico-talmudica: Jews, Gentiles, and Gehinnom in Rabbinic Literature, in Studies in Rabbinic Narratives, Volume I. Edited by Jeffrey L. Rubenstein, The Society of Biblical Literature, 2021, pp. 337-376).

L’autore vi mette a confronto due posizioni fondamentali dei rabbini tannaiti ed amoraiti: quella che chiama “inclusivista” (propria del periodo tannaitico, I e II sec.), secondo la quale i gentili (non-ebrei) “giusti”, sono salvati dal gehinnom, e quella “esclusivista” (propria del periodo amoraitico, dal III al VII sec., ma anche oltre, fino al X sec.), secondo la quale tutti i non-ebrei, e dunque anche i gentili “giusti”, sono indistintamente destinati al gehinnom.

(Ma in realtà occorre precisare che qui non è questione di “inclusivismo” ed “esclusivismo”.

     Difatti, i presunti “giusti” fra i gentili che si salverebbero dal gehinnom non sono affatto, come vorrebbe dare ad intendere certa apologetica giudaica, i non-ebrei che conducono una generica vita eticamente “giusta”, ma bensì unicamente i non-ebrei giudaizzanti e giudaizzati, assimilabili ai noachidi, i quali accettano la sovranità del Dio d’Israele e del suo “popolo eletto”.

     Nel lessico rabbinico-talmudico “giusto” è sempre sinonimo di giudaizzante e giudaizzato.

Non di “inclusivismo” (né tantomeno di “universalismo”) si deve dunque parlare, ma di una sorta di “esclusivismo allargato”, sempre però all’interno di un particolarismo esclusivista ed antigentile, che è connaturato alla tradizione rabbinico-talmudica).

Weiss muove da alcuni aspetti del dibattito storiografico, ed in particolare dalle tesi dello studioso paolino E.D. Sanders, il quale ebbe a criticare aspramente il teologo luterano Joachim Jeremias per avere quest’ultimo descritto i rabbini ‒ secondo Sanders ingiustamente ‒ come odiatori dei gentili che negavano la salvezza ai non-ebrei. Sanders sosteneva che Jeremias aveva ignorato le voci rabbiniche “inclusiviste” che consideravano i gentili “giusti” destinati al paradiso.

Altri studiosi hanno seguito Sanders su queste “opinioni dissenzienti” dei rabbini.

Weiss sostiene che tutti questi studiosi hanno colto solo una parte del quadro generale, e non hanno seguito lo sviluppo delle posizioni dei rabbini da una prima fase “inclusivista” ad una seconda “esclusivista”, che considera tutti i gentili destinati al gehinnom, e che «raggiunse un consenso unanime nei successivi periodi rabbinici (dal III al X secolo)».

I testi rabbinici affermano spesso che i gentili sono destinati al gehinnom, ma non indicano esattamente per quanto tempo. È possibile che i rabbini tannaiti riservassero l’eternità delle pene dell’inferno solo agli ebrei apostati, ma non ai gentili (vedi Tosefta Sanhedrin 13,2).

Weiss scrive che vi sono almeno venticinque testi rabbinici, sia nel Talmud che nel Midrash, i quali postulano questa soteriologia esclusivista, impiegando metafore anche altamente dispregiative per descrivere i gentili, e che questi testi hanno un ruolo centrale nel pensiero rabbinico relativo ai non-ebrei.

Weiss lamenta che questo materiale, il quale almeno nel suo contesto soteriologico rivela tutta la «xenofobia rabbinica» che è andata addirittura intensificandosi nel tempo, non sia stato né raccolto, né tantomeno analizzato, anche se l’autore dice di riconoscere «che la letteratura rabbinica contiene molte affermazioni positive riguardanti i gentili».

(È vero, ma queste affermazioni positive sono generalmente seguite dall’espressione mipnei darkhei shalom (= a causa delle vie della pace, per amore della pace), cioè per evitare le reazioni e l’ostilità dei gentili, ed in ogni caso sono sempre dettate da ragioni opportunistiche, e non da vero senso filantropico verso i non-ebrei, totalmente assente nel giudaismo rabbinico-talmudico.

Nel momento stesso in cui un ebreo esprime realmente un sentimento di filantropia verso un goy, che per natura è un empio idolatra, si pone di fatto al di fuori del giudaismo, e non rappresenta più il giudaismo ortodosso, cioè il giudaismo rabbinico-talmudico. In altre parole, cessa di essere ebreo).

Weiss osserva inoltre che questa soteriologia rabbinica anti-gentile andava «di pari passo con una nuova dottrina rabbinica che sosteneva una visione radicale della supremazia ebraica: tutti gli ebrei, persino i peccatori, sarebbero sfuggiti ai tormenti infuocati dell’inferno».

Si tratta di due facce della stessa medaglia: a differenza dei gentili peccatori, gli ebrei peccatori vanno in paradiso; a differenza degli ebrei giusti, i gentili giusti vanno all’inferno.

Questo radicale cambiamento nel discorso rabbinico rispetto all’epoca tannaitica comporta dunque una radicalizzazione della soteriologia anti-gentile. Mentre nei primi tempi tannaitici è il giusto contro il malvagio che determina la salvezza per ogni essere umano, nei testi rabbinici successivi non è più il giusto contro il malvagio, ma bensì l’ebreo contro il gentile (anche se, almeno per un certo periodo di tempo, la nuova soteriologia non soppiantò del tutto la vecchia soteriologia, secondo cui i peccatori ebrei sarebbero stati puniti nel gehinnom).

Weiss passa poi a documentare la posizione “inclusivista” e quella “esclusivista” direttamente sulle fonti rabbiniche, nonché sulla scorta della letteratura scientifica.

“Inclusivismo rabbinico primitivo”.

Mishnah Sanhedrin 10,1: solo a determinati gentili [= “idolatri”] viene negata una parte nel mondo a venire, il che implica che in generale anche ai gentili [= “giusti”] è riservata una parte nel mondo a venire.

Tosefta Sanhedrin 13,2: R. Yehoshua afferma che, secondo la Scrittura (Sal. 9,18), tutte le nazioni che dimenticano Dio torneranno allo sheol. Ciò implica che i popoli che non dimenticano Dio, cioè i “giusti” delle nazioni, hanno una parte nel mondo a venire.  (I rabbini interpretano costantemente il termine sheol come un sinonimo di gehinnom).

Tosefta Sanhedrin 13,3: all’inferno saranno puniti solo i gentili peccatori [= “idolatri”], non i gentili “giusti”. Gli israeliti che hanno peccato con il loro corpo e i gentili che hanno peccato con il loro corpo scendono nel gehinnom e lì vengono giudicati per dodici mesi. E dopo dodici mesi le loro anime periscono, i loro corpi vengono bruciati, il gehinnon li consuma e si trasformano in polvere. E il vento li soffia e li disperde sotto i piedi dei giusti, come è scritto: Calpesterete i malvagi, ché saranno come cenere sotto la pianta dei vostri piedi nel giorno che io farò questo, dice il Signore degli eserciti (Mal. 3,21). Implicitamente, la Tosefta dice che i gentili che non peccano o che peccano, ma non con il loro corpo (qualunque cosa questo significhi) non saranno puniti nel gehinnom.

“ Esclusivismo rabbinico antico e tardo”

La posizione “inclusivista” di R. Yehoshua che offriva la salvezza anche ai gentili “giusti” viene soppiantata dalla posizione “esclusivista” di R. Eliezer e di altri saggi, che compare nella letteratura amoraitica e post-amoraitica, e diviene ora dominante.

Sifre Deut. 311 (ca. III sec, d.C.): questo midrash impone la soteriologia anti-gentile a Ez. 32 dove, tramite il profeta Ezechiele, Dio dichiara che il faraone e il suo popolo scenderanno vergognosamente all’inferno (sheol = gehinnom), dove, assieme ad altri popoli, giaceranno in una sezione inferiore riservata agli incirconcisi e a coloro che saranno uccisi con la spada. Sifre Deut. ed altri testi rabbinici interpretano questo passaggio come se il gehinnom fosse la dimora abituale di tutti i gentili, in quanto incirconcisi.

Lo stesso luogo di Sifre Deut. 311 mostra come a volte i rabbini prendano un passo biblico (definito da Weill “universalista”) che accoglierebbe i non-israeliti e lo trasformino in un passo che condanna i non-israeliti: Quando l’Altissimo diede alle nazioni la loro eredità fissò i confini dei popoli secondo il numero dei figli di Israele (Deut. 32,8). Quando Dio diede ai popoli la loro eredità, fece del gehinnom la loro porzione. Se chiedi, chi possiederà la loro ricchezza e il loro onore, la risposta è Israele, poiché egli fissò i confini dei popoli secondo il numero dei figli di Israele.

Qui Sifre Deut. interpreta il versetto biblico non nel senso di una “eredità” dei gentili in questo mondo, ma nel gehinnom. Nell’èra messianica – scrive Weiss – Dio avrebbe designato il gehinnom come luogo riservato ai gentili, e poi avrebbe consentito al popolo ebraico di appropriarsi delle loro ricchezze.

(Insomma, la dannazione eterna per gli empi goyim e il dominio universale per il “popolo eletto”!)

Cant. Rabbah 2,3,1: in Michea 4,5 il profeta dichiara che in futuro tutte le nazioni del mondo marceranno verso il tempio del Signore a Gerusalemme, “ciascuna nel nome del proprio dio”. Con un’inversione ermeneutica rabbinica, R. Eliezer reinterpreta il versetto e fa annunciare a Dio che le nazioni gentili avrebbero marciato coi loro dèi verso il gehinnom, cioè sarebbero precipitate nell’inferno.

In Is. 56,7 il Deutero-Isaia fa dire a Dio che gli stranieri attratti dalle credenze degli ebrei potevano offrire preghiere e sacrifici sul Monte del Tempio, poiché la casa di Dio è una casa di preghiera per tutte le nazioni. Il midrash Tanhuma Yelammedenu, scrive Weiss, indebolisce la «forza universale» di Is. 56:

“Gli stranieri che si sono uniti al Signore per servirlo … ”(Is. 56,6) si riferisce ai convertiti ebrei circoncisi. Ma quelli che Dio ha esclusi sono incirconcisi. Perché Dio detesta gli incirconcisi e li getta nel gehinnom, come è detto in Ez. 32,18 (“Figlio dell’uomo, intona un lamento sulla moltitudine d’Egitto, e abbattili”) e in Is. 5,14 (“Per questo gli inferi hanno allargato la loro brama e aperto senza misura la loro bocca”). Cioè, Dio detesta le nazioni che non hanno circoncisione (tutti i non-ebrei) e le getta nel gehinnom, mentre nessun circonciso, vale a dire nessun israelita, scende nel gehinnom.

Anche Ex. Rabbah sostiene che gli “stranieri” che in Is. 56,6 dovrebbero essere accolti sono da riferire solo ai convertiti e circoncisi. Al contrario, i gentili sono condannati all’inferno perché incirconcisi.

Nel fol. 25,7 un anonimo saggio dichiara che le nazioni gentili giacciono depresse nel gehinnom mentre osservano gli israeliti mangiare in pace e con gioia nel giardino dell’Eden. Reinterpretando Is. 65,13, dove Dio descrive il destino degli ebrei giusti in contrasto con gli ebrei malvagi, il midrash contrappone il destino degli ebrei a quello dei non-ebrei, e condanna questi ultimi al gehinnom.

Erubin 101a, facendo riferimento a Michea 4,13 e 7,4, interpreta i versetti nel senso che “i migliori di loro (gli ebrei) schiacciano le nazioni gentili fino a precipitarle nel gehinnom”.

Come in altri testi, in Baba Bathra 10b R. Gamaliel afferma che persino gli atti caritatevoli dei gentili debbono essere considerati peccati, poiché i gentili li compiono solo a proprio profitto, e questo è un peccato di arroganza che li porterà direttamente nel gehinnom.

I rabbini forniscono quattro diverse giustificazioni per spiegare la loro visione anti-gentile.    

La prima è teologica.

Basandosi su Abacuc 3,3-15 e rileggendo in senso antigentile un passaggio di Mekhilta de-Rabbi Ishmael (tardo periodo tannaitico), dove Dio si limita a dissociarsi dall’entrare in un patto con le nazioni a causa del loro rifiuto di accettare la sua Torah e i suoi comandamenti, Lev. Rabbah (ca. V sec.) sostiene che a causa di questo rifiuto i gentili sono condannati nel gehinnom.

Weiss commenta che qui, come altrove, i rabbini invertono un brano biblico “universale” in uno “anti-universale”, e che un versetto che sottolinea la rivelazione divina alle nazioni diventa un versetto sulla dannazione delle nazioni da parte di Dio.

(Ma non bisogna mai dimenticare che tale rivelazione, per essere feconda per le nazioni, implica che queste debbano riconoscere il “vero Dio”, il Dio giudaico, e si sottomettano alla sua sovranità. Con buona pace della “universalità”).

Aboda Zara 2a-3a: Dio nega ai gentili la possibilità di avere parte nel mondo a venire (e dunque li getta nel gehinnom) non perché hanno rifiutato la Torah, ma perché furono negligenti nello studio della Torah e, più avanti nella narrazione, perché non osservarono le sette leggi noachide.

4 Esdra 7,36-37 (fine I° sec.): Dio afferma che le nazioni del mondo sono destinate all’inferno perché non hanno servito Dio e non hanno adempiuto alle mitzvoth (comandamenti).

Midrash Otiyot de-Rabbi Akiva (altomedievale): Dio condanna i gentili nel gehinnom perché non hanno accettato la Torah e non hanno adempiuto alle mitzvoth.

Tanhuma (Buber), Nitzavim 3: i gentili sono destinati alla distruzione perché, a differenza degli ebrei, sono critici verso Dio quando sperimentano la sofferenza.

 La seconda ragione è politica. 

Mentre queste fonti forniscono una spiegazione teologica, altri testi rabbinici ne adottano una politica: Dio punisce i popoli gentili nel gehinnom non perché hanno rifiutato la Torah e i suoi comandamenti, ma perché hanno oppresso Israele.

  1. Levi in Gen. Rabbah 20,1 (III sec.): nell’èra messianica Dio prenderà le nazioni e le getterà, assieme ai calunniatori ebrei, nel gehinnom, perché hanno oppresso i suoi figli. Qui non viene fatta alcuna distinzione tra gentili giusti e malvagi. Anche in questo caso, spiega Weiss, un versetto biblico (Sal. 140,12), che non fa menzione dei gentili, viene reinterpretato in senso anti-gentile.

Midrash Tehillim 49 (altomedievale): il Sal. 49,15 afferma che gli arroganti e ricchi israeliti come le pecore vanno verso lo sheol con la Morte come loro pastore. Il midrash reinterpreta il soggetto del versetto e lo trasforma nelle “nazioni del mondo”, che saranno condannate nel gehinnom, perché massacrarono gli israeliti come pecore.

Seder Eliyahu Rabbah 1,5 giustifica la sua soteriologia anti-gentile evidenziando l’oppressione storica degli ebrei: le nazioni del mondo sono destinate ad essere distrutte e gettate nel gehinnom perché hanno rivolto la loro mano contro Israele, contro Gerusalemme e contro il Tempio.

     La terza ragione è sacrificale.

Ex. Rabbah 11,2: nel tempo a venire Dio getterà le nazioni del mondo nel gehinnom al posto di Israele, come è detto: “Poiché io sono il Signore tuo Dio (…) ho dato l’Egitto come tuo riscatto, l’Etiopia e Seba al tuo posto” (Is. 43,3). Qui il midrash interpreta Is. 43,3 come se Dio dichiarasse che le nazioni gentili andranno nel gehinnom per scontare i peccati di Israele. Non a causa di qualcosa che loro o i loro antenati hanno fatto, ma piuttosto perché la sofferenza dei gentili nel gehinnom avrebbe espiato i peccati di Israele. Weiss chiosa: «È così che i sacrifici funzionavano tipicamente nel mondo antico. Invece di essere punito, il peccatore invia un animale come “riscatto” per i suoi peccati. È così che si ottiene l’espiazione».

(Ma al di là della chiamata di correità da parte di Weiss, appare chiaro che qui ci troviamo di fronte ad un vero e proprio sacrificio rituale, dove colui che immola per il proprio vantaggio nel mondo a venire è l’ebreo, e la vittima immolata, destinata al gehinnom, è il non-ebreo).

La quarta ragione è ontologica.

Nella tarda letteratura rabbinica emerge una nuova spiegazione.

Ora i gentili non sono condannati per via di un qualche peccato storico, ma perché il legame che unisce gentili e gehinnom è insito nella struttura stessa dell’universo.

Pesiqta Rabbati 20 (96a): Dio spiega al Principe delle Tenebre i nomi che ha dato ai pianeti e perché li ha creati in quel modo. Il Santo, egli sia benedetto, ha creato Giove e lo ha chiamato così perché egli tratterà severamente i popoli del mondo. Si potrebbe pensare che questi saranno salvati dal giudizio finale. Ma nel creare Marte, la “Stella Rossa”, il Santo intendeva simboleggiare il fuoco rovente del gehinnom in cui le nazioni gentili saranno precipitate.

Giove (in ebr. giustizia), perché il Santo applicherà senza pietà una giustizia rigorosa contro le nazioni del mondo; Marte, perché “Stella Rossa” simboleggia il destino delle nazioni gettate in un inferno tutto rosso.

Il Talmud vede la dannazione dei gentili nel gehinnom nella struttura stessa della lingua ebraica.

Shabbath 104a: in un dialogo fra Dio e il ministro del gehinnom, il ministro del gehinnom chiede a Dio di mandargli sia ebrei che gentili. Ma Dio difende i peccatori ebrei e rifiuta di gettarli nel gehinnom, perché gli ebrei non sono adulteri e per di più sono esenti da peccato. Il ministro del gehinnom insiste, ma per la seconda volta Dio rifiuta. Allora Dio, quasi impietositosi, risponde compassionevolmente che avrebbe mandato nel gehinnom “intere compagnie di gentili”.

Così chiosa Weiss: «È degno di nota come il Talmud babilonese consideri questa discriminazione contro i gentili radicata nella struttura stessa delle lettere ebraiche attraverso varie forme del metodo di decodifica at-bash. Non è necessario alcun passaggio scritturale. La stessa lingua ebraica eterna rivela – attraverso un complicato metodo di decrittazione – questo fatto soteriologico anti-gentile, sebbene attraverso una narrazione mitica».

Per esprimere il loro atteggiamento ostile nei confronti dei popoli del mondo, i rabbini fanno spesso ricorso a varie metafore denigratorie anti-gentili.

Lev. Rabbah 13,2: R. Tanhum b. Hanilai paragona il fatto che i gentili non hanno parte nel mondo a venire ad un malato terminale che non ha speranza di guarigione.

Midrash Prov. 17: R. Yehoshua dice a R. Eliezer che, a differenza degli ebrei, i gentili non possono sfuggire ai tormenti dell’inferno perché la Torah parla di salvezza solo in riferimento a persone viventi (gli ebrei), ma non in riferimento a persone morte (i gentili).

Un insegnamento di Tanhuma Yelammedenu (in Pesiqta Rabbati 10 (36b)), citando Is. 32,12, considera bensì le nazioni del mondo viventi e sane, ma incapaci di salvezza, perché non “appartengono a Dio” ma “alla Distruzione e al gehinnom”, e, come dice il profeta, “le nazioni saranno ridotte in mucchi di cenere, come rovi incendiati e bruciati”.

Mentre però il versetto biblico (32,14) include anche gli israeliti peccatori, il midrash considera bruciati nel fuoco solo i gentili.

Altri midrashim paragonano i gentili a degli animali quando annunciano la loro dannazione nel gehinnom.

In Gen. 22,2 Dio chiede ad Abramo di sacrificare Isacco su uno dei monti del “paese di Moria”. Nei testi amoraitici vengono date diverse traduzioni di “Moria”.

In riferimento a questo versetto biblico, Gen. Rabbah 55,7 (ca. V sec.) riporta l’insegnamento attribuito a R. Yehoshua b. Levi (III sec.): Poiché da lì il Santo, egli sia benedetto, decise il destino delle nazioni del mondo e le fece scendere nel gehinnom. Attribuendo questo insegnamento a R. Shemuel b. Naham, invece che a R. Yehoshua b. Levi, Tanhuma (Buber), Vayera 45 aggiunge come testo di prova Sal. 49,15, e assimila i gentili alle pecore, il cui pastore è la Morte, che scendono allo sheol/gehinnom. (Per contro, Tosefta Sanhedrin 13,3 usa il Sal. 49 per condannare i soli eretici ed apostati ebrei).

Midrash Tehillim 104,18 invece paragona le nazioni gentili ai leoni, quando descrive il giorno in cui il Messia getterà le nazioni del mondo nel gehinnom. Come il leone per natura torna alla sua tana, così i gentili scendono all’inferno.

Gen. Rabbah 21 prevede che i gentili “violenti” siano destinati al gehinnom e li paragona al serpente del Giardino di Eden che causò la caduta di Adamo (che qui rappresenta gli ebrei).

Midrash Tehillim 2,14 paragona i gentili anche alle parti inutilizzate di una spiga di grano (paglia, pula ed erbacce) le quali, personificate, si vantano che il campo sia stato coltivato per loro, ma al momento del raccolto vengono distrutte. Allo stesso modo le nazioni gentili dicono che il mondo è stato creato per loro, ma alla fine vengono distrutte nel gehinnom, mentre Israele rimarrà in eterno.

Ugualmente, Pirke de-Rabbi Eliezer fa affermare a R. Azaryah che Dio creò i Babilonesi, i Persiani, i Greci e gli Arabi solo per servire come “legna” per il fuoco del gehinnom.

Fonti amoraitiche del V sec. cominciano ad affermare una nuova soteriologia relativa agli ebrei malvagi e peccatori. Se fino ad allora l’ebreo malvagio è condannato nel gehinnom, ora viene propugnato quello che Weiss definisce “il potere salvifico della circoncisione”.

In alcuni testi i peccatori ebrei maschi sfuggono automaticamente alle pene dell’inferno per il solo fatto di essere circoncisi.

Gen. Rabbah 48,8: R. Levi insegna che Abramo alla fine dei giorni siederà accanto all’entrata del gehinnom e impedirà ai “circoncisi” (o “israeliti”, secondo il ms. del British Museum) di varcarne la porta. Ma qual è la sorte degli ebrei che “hanno troppo peccato”? Qui R. Levi offre la soluzione del “trapianto del prepuzio”. Abramo prenderà il prepuzio (simbolo di innocenza) dei bambini ebrei ancora non circoncisi e lo applicherà agli ebrei che “hanno troppo peccato”. Così è salvo il principio soteriologico secondo cui solo gli uomini non circoncisi affrontano i tormenti dell’aldilà.

Quattro testi amoraitici (due di Cant. Rabbah, Lev. Rabbah e Ruth Rabbah) escludono gli ebrei malvagi dai tormenti del gehinnom e specificano che i loro peccati non più punibili includono l’omicidio, l’adulterio/incesto, e persino l’idolatria. Essi registrano anche le proteste dei gentili, che accusano Dio di favorire gli ebrei. Weiss interpreta queste narrazioni come l’espressione di un crescente disagio morale rabbinico nella salvezza immeritata per gli ebrei peccatori.

La nuova soteriologia, che non esclude comunque echi della più antica soteriologia secondo cui gli ebrei malvagi vanno nel gehinnom, ma è divenuta oramai dominante, è compendiata egregiamente dal famoso insegnamento talmudico della mishnah Sanhedrin 10,1: “Tutto Israele ha parte nel mondo a venire”, che sembra un’aggiunta al testo originale, dove esso non comparirebbe, risalente forse al tardo periodo tannaitico, ma più verosimilmente in un momento imprecisato del periodo amoraitico.

Il Talmud (Hagiga 27ab, Erubin 19a) insegna che “il fuoco del gehinnom non ha alcun potere sui peccatori di Israele”.

Pesiqta Rabbati 11,45: come la sabbia non può essere distrutta dal fuoco, così il popolo ebraico non potrà mai essere distrutto dal fuoco del gehinnom.

Abot R. Nathan A 16: gli ebrei non incontreranno mai il gehinnom.

Ag. Ber. 20,4: Dio annuncia che gli ebrei non saranno condannati nel fuoco del gehinnom, perché questo non è più alto del fuoco di Israele.

Weiss ritiene che questa nuova soteriologia, secondo cui tutti gli ebrei, anche i peccatori, sono salvati dal gehinnom, potrebbe essere vista come una risposta ebraica all’emergente teologia cristiana secondo la quale Dio avrebbe revocato la sua alleanza storica con Israele a causa dei peccati di Israele.

Contrariamente alle affermazioni cristiane, Dio non abbandona Israele, come dimostra appunto il suo rifiuto di mandare i peccatori di Israele nel gehinnom.

Weiss vorrebbe concludere con questa “nota positiva”: a partire dall’alto medioevo si registrerebbe “una nuova direzione inclusiva”, rappresentata dai vari Maimonide, Menahem Meiri e Josef Albo, fino ai moderni ebrei “razionalisti”, i quali sostengono che i gentili giusti “hanno una parte nel mondo a venire”, cioè vanno in paradiso.

I gentili “giusti”, appunto, cioè, tutta la genìa di Shabbath Goyim al servizio della Sinagoga.

     Il destino dell’aldilà che il giudaismo rabbinico-talmudico riserva a tutti gli altri, cioè praticamente all’intero genere umano, è ben diverso, ed è precisamente quello di bruciare senza pietà nel fuoco del gehinnom.

(Riguardo in particolare a Maimonide, cfr. Il sicario della Sinagoga. L’odio rabbinico-talmudico contro il non-ebreo negli scritti di Moshe Maimonide, Effepi, Genova, 2022).

Ciò vale in primo luogo per i minim, fra i quali vanno annoverati i cristiani, condannati nel gehinnom assieme a Gesù Cristo.

Concludo riportando integralmente tre passi, i primi due dal Talmud ed il terzo dallo Zohar, non menzionati da Weiss.

Rosh ha-shanah 17a:

«I peccatori di Israele e i peccatori dei gentili con il loro corpo discendono nel gehinnom e vi sono condannati per dodici mesi. Dopo dodici mesi i loro corpi sono distrutti, le loro anime sono bruciate e sparpagliate dal vento sotto le piante dei piedi dei giusti, come è detto: “Calpesterete i malvagi, che saranno come cenere sotto le piante dei vostri piedi” (Mal. 4,3).

«Ma i minim, i delatori, gli epicurei che negarono la Torah e negarono la resurrezione, coloro che si separarono dalle vie della comunità, coloro che incutono terrore nella terra dei viventi, e coloro che, come Geroboamo figlio di Nebat e i suoi compagni, peccarono e fecero peccare la moltitudine, discenderanno nel gehinnom e vi saranno condannati per generazioni e generazioni, come è detto: “Usciranno e vedranno i cadaveri degli uomini che hanno peccato verso di me, perché il loro verme non morirà e il loro fuoco non si estinguerà” (Is. 66,24).

«Il gehinnom finirà, ma essi non finiranno [di soffrire], come è detto: “La loro gloria si consumerà nello sheol, e non avrà alcuna dimora” (Sal. 49,14). Di loro disse Hannah: “I nemici del Signore saranno distrutti” (1 Sam. 2,10). R. Isaac b. Abib diceva: La loro faccia diventerà nera come il fondo di una pentola”».

Nella glossa a questo passaggio, Rashi sottolinea esplicitamente che i minim in questione «sono i discepoli di Gesù di Nazareth che hanno volto in male le parole del Dio vivente».

Questa glossa, già nota all’epoca del processo di Parigi del 1240, in seguito è stata espunta dai commentatori talmudici e non compare nell’edizione del Talmud di Vilna (1886).

Gittin 57a:

«Onqelos Qaloniqos, figlio della sorella di Tito, voleva diventare proselito.

«Egli invocò [dal regno dei morti lo spirito di] Tito con arti magiche e gli domandò: Chi è apprezzato nel mondo di là?

«[Tito rispose]: Israele.

«[Onqelos gli domandò]: Come è possibile farne parte?

«[Tito rispose]: I suoi [di Israele] precetti religiosi sono troppo numerosi perché tu possa adempierli tutti. Va’ e combatti [Israele] in quel mondo [= questo mondo] e sarai un capo, come è scritto: “I suoi avversari hanno avuto il sopravvento” (Lam. 1,5). Chiunque opprime Israele diventa un capo.

«[Onqelos gli domandò]: In che consiste la tua punizione?

«[Tito rispose]: In ciò che io stesso ho stabilito: ogni giorno si raccolgono le mie ceneri, le si bruciano di nuovo e le si disperdono nei sette mari.

«Poi Onqelos evocò Bileam [Balaam] con arti magiche e gli domandò: Chi è apprezzato nel mondo di là?

«[Bileam rispose]: Israele.

«[Onqelos gli domandò]: Come è possibile farne parte?

«[Bileam rispose]: “Non ricercare la loro pace o il loro bene, durante tutti i giorni” (Deut. 23,7).

«[Onqelos gli domandò]: In che consiste la tua punizione?

«[Bileam rispose]: Nello sperma bollente.

«Quindi Onqelos evocò Gesù [Yeshu] con arti magiche e gli domandò: Chi è apprezzato nel mondo di là?

«[Gesù rispose]: Israele.

«[Onqelos gli domandò]: Come è possibile farne parte?

«[Gesù rispose]: Ricerca il loro bene e non il loro male. Chiunque lo [Israele] lo tocca è come se toccasse la pupilla dei suoi [di Dio] occhi.

«[Onqelos gli domandò]: In che consiste la tua punizione?

«[Gesù rispose]: Negli escrementi bollenti.

«Infatti il maestro ha detto: Chiunque schernisce le parole dei Saggi è condannato negli escrementi bollenti. Vieni e vedi la differenza fra gli apostati di Israele e i profeti delle nazioni del mondo».

Zohar III, 282a:

«Da un lato dell’idolatria Shabbetay [Saturno] si chiama Lilith, sterco misto, a causa del sudiciume mescolato ad ogni tipo di sporcizia e vermi, in cui si gettano cani e asini morti, i figli di Esau e Ismaele, e lì sono sepolti Gesù e Maometto, che sono cani morti».

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