Roberto Mazzetti: La prima campagna francescana contro l’usura ebraica e i Monti di Pietà

Roberto Mazzetti 

LA PRIMA CAMPAGNA FRANCESCANA CONTRO L’USURA EBRAICA E I MONTI DI PIETA’

(R. Mazzetti, Orientamenti antiebraici della vita e della cultura italiana. Saggi di storia religiosa, politica e letteraria, Modena, 1939, pp. 163-169).

Per dare più vivo risalto al sorgere e all’affermarsi dei Monti di Pietà e agli uomini e alle idee che propugnarono quella benefica istituzione non è, forse, fuori di luogo dedicare una breve nota in appendice al presente studio.

È noto che le valutazioni sulla religiosità cattolica o meno del Rinascimento variano da quella affermativa del Toffanin a quella negativa del Saitta.

Forse è opportuno, per chiarire un po’ il problema, tener presente che se mondani o tepidamente o formalmente religiosi furono i ceti colti o i gruppi degli uomini di cultura, ben saldamente fedeli alle tradizionali verità cattoliche rimasero i ceti e le classi popolari.

Questa osservazione può parere generica a prima vista, ma essa acquista una precisa validità documentaria se si pensa al trionfo, nel secolo XV, della predicazione popolare francescana la quale ebbe il suo eroe in S. Bernardino da Siena e i suoi autori in una schiera eletta di frati francescani, contesi dalle città con vive istanze e fervori[1].

È noto che alla predicazione popolare francescana, «di cui non si è mai avuta altra simile per abbondanza ed efficacia»[2], è legata la prima sistematica, per quanto cristianamente contenuta, campagna antiebraica italiana, tesa a emancipare il popolo dall’esoso predominio dell’usura ebraica.

Questa campagna ebbe i suoi riflessi nella cultura, specie per la vessata questione della illiceità o meno dell’usura, ma soprattutto ebbe la sua proiezione nel campo del costume e dei pratici istituti.

La genesi dei Monti di Pietà prima di legarsi a questo o a quell’inventore[3], si richiama all’anima dell’azione francescana, a quell’amore cristiano del popolo o a quella cristiana sensibilità dei bisogni dello stesso che i francescani si vennero acquistando attraverso il due-tre e quattrocento.

La questione se il fondatore del primo Monte di Pietà (Perugia 1462) sia stato frate Michele da Milano[4] o padre Barnaba da Terni[5] va spostata nel senso della ricerca delle concrete esigenze caritative emerse gradatamente dalla vita e dall’apostolato francescano.

È noto come la Chiesa abbia sempre condannato, nel Medio Evo, il prestito a interesse e l’usura e come, per questo orientamento, la teoria aristotelica della sterilità della moneta abbia trovato la più incontrastata possibilità di affermazione. È pure noto come anche i regimi politici abbiano, in quel tempo, condannato l’usura[6].

Nella dominante vita e concezione religiosa medievale, la ricchezza era sempre considerata in funzione sociale e l’uso e l’acquisto dei beni venivano valutati non come fine a sé stessi ma come scala per la conquista di Dio.

La vita francescana porta a questa intuizione generale un fresco amore per gli umili, i semplici; per il popolo dei campi e delle botteghe. Porta anche un senso concreto delle sue necessità quotidiane, temporali e spirituali, ignoto a tutti gli altri movimenti religiosi del tempo.

Riferiamoci, un istante, al più grande francescano del quattrocento: S. Bernardino da Siena.

Le tomistiche avversioni al traffico sono in lui cadute ed egli non nega che il traffico sia un impiego lecito e onesto[7]: richiede solo che sia fatto con spirito cristiano.

E lo spirito cristiano, secondo lui, condanna l’usura, che è il simbolo del denaro considerato come fine a sé stesso, valore assoluto.

Per lui, l’usura si oppone a Dio[8]; l’uomo usuraio abbandona Dio; non crede con l’intelletto Dio; non ama con la volontà Dio; sperando nel mondo non ha nessuna speranza in Dio; bestemmia contro Dio e diventa idolatra.

L’usuraio non è padrone, ma servo delle ricchezze[9]; ha insaziabile cupidigia delle terrene cose. L’usura sradica dagli uomini la carità e il fraterno amore: divinizza l’amor proprio; essa è frode, tradimento, furto spesso sotto l’apparenza di pietà.

Coll’usura vengono trucidati i poveri e l’uomo diventa crudele verso gli estranei e i congiunti[10]; l’usura è distruzione delle patrie, un granchio inquieto, un morso pestifero e contagioso.

Ragionando dei danni che recano i pubblici usurai ai popoli, S. Bernardino osserva:

«Regolarmente è molto infelice lo stato di una città, quando le ricchezze, e i danari si riducono alle mani di pochi, e si restringono in poche borse; e tanto è peggiore lo stato della medesima, quanto è minore il numero degli scrigni, ne’ quali si adunano e si racchiudono; in quella guisa appunto che è segno manifesto di natura mancante e di morte vicina, quando il calor naturale, abbandonate l’estremitadi, alle sole parti interiori ed al cuor si ritira.

«Che se è pericolosa e dannevole alla città che i danari nelle mani di pochi si adunino quanto più grave pericolo le sovrasta, se queste ricchezze e questi danari nelle mani si adunino de’ Giudei!

«Imperocché il calor naturale delle città, che nelle di lei ricchezze consiste, non si ritira in tal caso al cuore per aiutarlo, ma con pestifero corso alla parte putrefatta si porta, essendo tutti i Giudei, e quelli massimamente che fanno usura, i capitali nemici di tutti i cristiani.

«Io certamente assai mi stupisco, e non posso non rimanere maravigliato, che regni tra i cristiani tanta pazzia, che da tanta stupidezza sien dominati, che sieno acciecati da tanta ignoranza, che non veggono la somma studiata malizia di cui coloro si servono, quando conversano tra i cristiani.

«Imperciocché essendo rigenerati i cristiani nel sangue di quello che è “il primogenito de’ morti e il principe de’ re della terra” (apoc. IV,5) come veri re le ricchezze loro possiedono giustamente, delle quali privati furono per giusto divino giudicio i Giudei per la incredulità e durezza del loro cuore. Possiedono, dissi, i cristiani ricchezze temporali, corporali, ed anche spirituali, e perché non possono gli Ebrei usurparle con la violenza, studiano di rapirle o almeno di sminuirle colla malizia.

«Colle pubbliche usure cavano di mano ai fedeli le temporali ricchezze, come è manifesto. Si sforzano anche togliere ad essi le corporali, cioè la sanità e la vita, mentre procurano di farsi medici de’ corpi contro ai decreti e ai canoni della chiesa; e ad essi, benché ignorantissimi e rozzi più tosto che ai cristiani medici peritissimi, molti affidano con meravigliosa stoltezza la loro sanità e la loro vita; e Dio sa a quanti fedeli sieno di nocumento colla ignoranza loro e colla loro malizia.

«Non cessano poi di rapire con velenose lusinghe, con ricercate amicizie, con donativi pieni di tossico, con simulate conversazioni, con tradimenti inventati, con acquistate libertadi e favori, di disperdere, di consumare, di divorare e dissipare le spirituali ricchezze, cioè la fede e l’ubbidienza all’ecclesiastiche leggi cogli altri spirituali tesori dei veri fedeli, strascinando seco all’inferno le anime di molti insensati cristiani»[11].

C’è in queste parole di S. Bernardino la tipica impostazione dell’antiebraismo francescano che porterà, poi, verso la fondazione dei Monti di Pietà. In questo antiebraismo confluiscono motivi religiosi e teologici ma agisce in esso soprattutto la volontà di sottrarre il popolo alla disumante [sic] usura ebraica. Per quanto riconosciuti membri dell’unità spirituale del genere umano, gli ebrei vengono sentiti come nemici irriducibili della umanità cristiana, disgregatori delle patrie, oppressori dei poveri e degli umili, usurai.

È degno di nota che spunta, però, in S. Bernardino anche un germinale tentativo di giustificare qualche moderatissimo compenso all’atto del prestare. Ammette il santo: quel che dà il prestito, per ischivar il danno emergente, può in molti casi senza vizio d’usura ricever qualche cosa oltre la propria sorte[12].

Preziosa ammissione! Non si accennano così nel pensiero bernardiniano tutti i motivi che sfoceranno nella polifonica propaganda francescana contro gli ebrei e, a un tempo, a favore dei Monti di Pietà? Questi non rappresentano solo, nella civiltà moderna, il nascente credito popolare o la prima, per quanto rudimentale istituzione di piccolo credito, ma (si intende nei loro principii ispiratori) una concreta manifestazione di solidarietà cristiana e umana; una programmata e vertebrata volontà di dare al circolo delle ricchezze una funzione potenziatrice di uomini e non spegnitrice di anime e di corpi.

Non c’è bisogno di insistere nel ricordare come, per il venir meno dell’intensa vita economica italiana del due e trecento, nel quattrocento (e specie nella seconda metà) l’usura si imponesse, allargandosi infatti, soprattutto fra i ceti meno abbienti.

Ora, l’odiosità dell’usura, che era nella maggior parte ebraica, rendeva necessari e favoriva i Monti di Pietà[13].

Questi dovevano assolvere a due compiti: togliere di mezzo i privilegi degli Ebrei e riparare ai bisogni del piccolo credito[14].

Nata dalla particolare sensibilità caritativa e popolare dei Francescani, l’idea dei Monti fu concretata, molto probabilmente, da Barnaba da Terni e da Fortunato Coppoli.

L’eroe propagatore, però, della buona istituzione fu il R. Bernardino da Feltre, mentre ferventi padri francescani da Graziano da Brescia ad Angelo da Chivasso, da Bartolomeo da Bologna ad Andrea da Faenza, da Michele Carcano da Milano al R. Marco da Montegallo, in nutrita schiera[15], percorrevano le città d’Italia a promuovere la loro istituzione.

Il fatto è che dal 1462 al 1515 quasi tutte le città d’Italia, grandi o piccole, ebbero il loro Monte di Pietà[16].

È risaputo delle controversie sollevate da questi al loro sorgere: domenicani e agostiniani accusano i fautori dei Monti di prestare a interesse e quindi di peccare  ancora di usura[17].

Mons Pietatis? No, Mons Impietatis, rispondeva Nicola Bariano, agostiniano.

Tenzoni oratorie e scritti non mancavano, adunque, ma il buon senso morale dei padri francescani finì coll’avere sopravvento sull’astrattismo moralistico degli oppositori.

«I Monti di Pietà dall’Umbria si diffusero in Italia, dall’Italia nel Mondo. Dall’Italia si propagarono in Fiandra, a Bruges, a Ipres, ad Amsterdam, quindi nel secolo XVI, in Francia, a Berques, a Lille, a Cambrai, e Dorvai, e Valenciennes e a Parigi, e contemporaneamente in Spagna, in Inghilterra, in Russia, modificando e adottando il proprio tipo alle diverse condizioni dei diversi paesi»[18].

I Monti erano, così, la prima realizzazione cristiana del piccolo credito a favore del popolo ma venivano anche ad essere la prima seria campagna antiebraica che abbia condotto l’Italia.

Le linee di questa campagna erano le stesse di quelle tracciate da S. Bernardino da Siena.

In un discorso tenuto a Crema, Bernardino da Feltre riassumendo i motivi antiebraici della sua predicazione dichiarava:

«La giustizia, la cristiana pietà, la carità, i sommi pontefici esigono una condotta umana verso gli ebrei, i quali sono come noi partecipi della natura umana.

«Vero è, però, che le leggi canoniche comandano di non avere assidua consuetudine e familiarità con gli ebrei, di non servirsi dei loro medici, di non andare ai loro conviti».

Dopo aver parlato della trasgressione di questi precetti proseguiva quindi:

«Ma in che modo posso essere predicatore della verità e celebrare la moderazione delle leggi divine e canoniche e tacere le immoderate leggi e i costumi degli ebrei che spogliano e iugulano i poveri; e io che di elemosine vivo e mangio il pane dei poveri sarò muto in questo luogo di verità?»[19] (…)

 

[1] Cfr. ad esempio: P. Andrea Corna, I Francescani e l’origine del Monte di Pietà di Piacenza, in «Archivium Franciscanum Historicum», 1909, passim.

[2] Op. cit., p. 32.

[3] Da questo puto di vista, vedi il tono falso dello studio di P. Menassei, Barnaba da Terni e i Monti di Pietà, in «Bollett. della R. Deput. St. Patria per l’Umbria», 1902.

[4] A. Fabretti, Nota storica intorno alla origine dei Monti di Pietà in Italia, Torino, 1871, p. 5.

[5] P. Menassei, op. cit., pp. 481 passim.

[6] A. Fanfani, Le origini dello spirito capitalistico in Italia, Milano, 1933, pp. 58 sgg., 100 sgg.

[7] S. Bernardino da Siena, Istruzioni morali intorno al traffico e all’usura tradotte nella volgar favella, Venezia, 1774, p. 3.

[8] Op. cit., p. 331.

[9] Op. cit., p. 378.

[10] Op. cit., p. 364.

[11] Op. cit., pp. 350-351.

[12] Op. cit., pp. 299 sgg.

[13] H. Holzapfel, Le origini dei Monti di Pietà, «La Verna», 1904, p. 412

[14] Op. cit., p. 609.

[15] Vedine l’elenco in H. Holzapfel, «La Verna», 1905, p. 756.

[16] Per una vasta bibliografia sull’argomento cfr. L. Degani, I Monti di Pietà, Torino, 1916, pp. 305-308; a cui aggiungi A. Fanfani, op. cit., p. 102.

[17] Vedi l’esposizione della controversia in H. Holzapfel, op. cit., pp. 681 sgg.

[18] P. Menassei, op. cit., p. 469.

[19] Da H. Holzapfel, op. cit., p. 343.

Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Recent Posts
Sponsor