Gian Pio Mattogno: Dante Alighieri antisemita?

Gian Pio Mattogno 

DANTE ALIGHIERI ANTISEMITA?

Scorro il sito della Treccani e m’imbatto in queste truculenti parole, che si sono perse per strada qualche virgola:

«Cosa c’entra Dante Alighieri, il padre della nostra lingua vissuto tra 1265 e 1321, con la persecuzione e lo sterminio dei 6 milioni di ebrei perpetrato da nazisti e fascisti nel XX secolo? C’entra, a sua insaputa. Perché il regime mussoliniano ha abusato di alcuni incolpevoli versi tratti dalla Divina Commedia. Come? Pubblicandoli stabilmente sulla copertina della rivista “La difesa della razza”. Lo scopo? Sostenere razzismo e antisemitismo, giustificare le leggi razziali promulgate nel 1938 e arrivare alle loro terrificanti e fatali conseguenze» (Marco Brando, Quando Mussolini usò Dante contro gli ebrei, Istituto Fondazione Treccani, treccani.it).

A svelare la storia di «quei bistrattati versi» sarebbe stato il prof. Francesco Lucrezi, ordinario di Diritto romano e di Diritti dell’Antico Oriente Mediterraneo presso l’Università di Salerno, in un saggio contenuto all’interno del volume: Cantare glorie di eroi. Da Omero a oggi. Studi per Eleonora Cavallini.

(Si vedano anche gli scritti di Lucrezi su Pagine Ebraiche/Moked, moked.it: Dante e l’antisemitismo, Dante e gli ebrei, Il sionismo e Dante, Tre uomini in travaglio, Periscopio. Levi e l’inferno dantesco, Primo Levi e Dante, Dante e il viaggio di Emmanuel, Periscopio. Il mosaico di Pantaleone, Periscopio. Dante e il mosaico di Otranto, Periscopio. Mosaici e citazioni).

Lucrezi ricorda che sulla copertina di tutti i numeri della “Difesa della razza” fanno bella mostra di sé alcuni versi di Dante Alighieri.

Sul primo numero, incorniciati in altro a sinistra, comparivano queste parole di Cacciaguida: «Sempre la confusion delle persone / principio fu del mal della cittade» (Par. XVI, 67-68).

A partire dal secondo numero, fino all’ultimo, questi versi furono sostituiti con le parole di Beatrice, che Dante introduce nel secondo cielo: «Uomini siate, e non pecore matte, / sì che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida» (Par. V, 80-81).

Questo cambiamento, dice Lucrezi, dal punto di vista dei redattori fu certamente felice, perché veniva associato al volto di un ebreo.

E subito dopo il professore ci dà questa lezione di esegesi dantesca: il canto XVI del Paradiso, da cui sono tratti questi versi, rappresenta il terzo della cosiddetta trilogia di Cacciaguida, il capostipite del suo casato, nella quale Dante svolge delle considerazioni sulla storia della sua famiglia e sulle vicende di Firenze, nelle quali non v’è alcun riferimento «a questioni razziali».

Tralascio le motivazioni circa il cambiamento dei versi sulla copertina che il professore «ipotizza», e passo a considerare quello che Dante, secondo Lucrezi, «intendeva davvero».

Per bocca di Beatrice, Dante affronta un importante argomento teologico, cioè la possibilità di chiedere ed ottenere la dispensa dal voto sacerdotale, una prassi che il Poeta giudica biasimevole, in quanto fondata sul presupposto erroneo che la Chiesa possa sciogliere un patto sottoscritto direttamente con Dio.

Dante esorta i cristiani ad essere più «gravi» nei loro comportamenti, perché il voto è un patto con Dio, è una cosa seria, ed è per sempre. I cristiani hanno il Vecchio e il Nuovo Testamento, hanno l’autorità del Pastore della Chiesa che li guida, e questo basta per la loro salvezza.

Dopo di che, ecco le parole in questione:

«Se mala cupidigia altro vi grida, / uomini siate e non pecore matte, / sì che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida!», cioè, chiosa Lucrezi, «se, invece, sentimenti di avidità o passioni terrene vi inducono a tentazione, sappiate resistervi. Comportatevi da uomini, e non da pecore, prive di ragione (matte), in modo che gli Ebrei non abbiano a farsi beffe di voi».

Fin qui ci siamo, ma ecco che subito dopo Lucrezi riesce a cogliere il “senso positivo” di questi versi: «Gli Ebrei, che hanno solo quello che i Cristiani chiamano Vecchio Testamento, sono fedeli alla loro Legge. I Cristiani, che hanno anche il Nuovo, dovrebbero prendere da loro esempio».

Insomma, conclude Lucrezi, «chi è in buona fede» sa contestualizzare e interpretare le parole di Dante: quei versi estrapolati dal contesto, tiene a sottolineare, non sono affatto espressione di una qualche visione antisemita, del tutto estranea al Poeta, come sostenevano i redattori della rivista fascista.

Ma le cose stanno veramente come pretende qui il nostro chiosatore dantesco, ovviamente «in buona fede»?

Ora, Lucrezi sarà pure un luminare nel suo campo, ma – a giudicare dalla sua presentazione del libro di Irene Kajon, Attualità di Maimonide. La Guida dei perplessi sulla condizione umana, Firenze, 2024 (Francesco Lucrezi: L’attualità di Maimonide, Pagine Ebraiche/Moked, moked.it) e da altri scritti ‒ il nostro non sembra discostarsi molto dalla pletora truffaldina di apologeti ebrei e Shabbath Goyim di complemento che conosciamo.

Ma quel che è più singolare, o, se si vuole, più grottesco, è che altrove lo stesso Lucrezi scrive che quei versi danteschi «rappresentano, senza dubbio, un insulto non solo al popolo d’Israele, ma anche al poeta. E però fanno parte, purtroppo, piaccia o non piaccia, della lunga e controversa storia di “Dante e gli ebrei”»! (Dante e l’antisemitismo cit.).

Salvo poi, con un’altra acrobazia dialettica, affrettarsi a sottolineare che Dante, figura integralmente medievale e uomo del suo tempo, fortemente intriso di antisemitismo, non è stato antisemita, come sarebbe semplicistico etichettare come antisemita l’intero Medio Evo (Dante e l’antisemitismo cit.).

Un altro esegeta ebreo sostiene da parte sua che sulla questione Dante non va giustificato.

Gli ebrei costituivano una nazione straniera ospitata nell’Italia dei comuni medievali, e la differenza ebraica non si presentava come problema al tempo di Dante, il quale era perfettamente in grado di distinguere tra gli ebrei delle Scritture veterotestamentarie e gli ebrei contemporanei.

La rivista fascista, scrive, avrebbe potuto ricorrere «ai più classici stereotipi del pregiudizio antiebraico nell’Europa cristiana. Nel XXIII dell’Inferno, tra gli ipocriti condannati per l’eternità a un supplizio atroce, il lettore trova Caifasso (Caifa/Kaiafa) e Anna (Anania/Chananià), i sacerdoti alla guida del Sinedrio che nella narrazione dei Vangeli chiede a Ponzio Pilato la condanna di Gesù» (P. Di Nepi, La difesa della razza e le “pecore matte”. Paradiso canto quinto, Shalom. Comunità Ebraica di Roma, shalom.it).

Alla domanda: Dante era un antisemita?, Vittorio Robiati Bendaud risponde perentoriamente: «Nulla di più falso» (Dante e l’ebraismo: nel VII centenario della morte, un evento con Vittorio Robiati Bendaud, Bet Magazine Mosaico, 13 dicembre 2020, mosaico-cem.it).

Ma a rompere le uova nel paniere dei Lucrezi, dei Robiati Bendaud e dei loro sodali ecco soprattutto – come ci informa tra gli altri un sito ebraico ‒ la sedicente organizzazione per i diritti umani Gherush92 (“Dante è antisemita e va abolito dai programmi scolastici”. La proposta choc dell’Associazione Gherush92, Bet Magazine Mosaico, 13 Marzo 2012, mosaico-cem.it).

Nel gennaio 2012 Gherush92 pubblica sul suo sito l’appello: “Via la Divina Commedia dalle scuole”, e ciò tra le altre cose per via della presenza di contenuti antisemiti nel canto XXXIV dell’Inferno, 54-63: 

Da ogne bocca dirompea co’ denti

Un peccatore, a guisa di maciulla,

sì che tre ne facea così dolenti. 

A quel dinanzi il mordere era nulla

verso ‘l graffiar, che talvolta la schiena

rimanea de la pelle tutta brulla. 

“Quell’anima là su c’ha maggior pena”,

disse ‘l maestro, “è Giuda Scariotto,

che ‘l capo ha dentro e fuor le gambe mena”.

Gli esegeti danteschi di Gherush92 così spiegano le ragioni dell’appello:

«Il canto XXXIV è una tappa obbligata di studio, e gli allievi delle scuole ebraiche non sono certo esonerati dal programma. Il personaggio e il termine Giuda e giudeo sono parte integrante della cultura cristiana. “Giuda per antonomasia è persona falsa, traditore (da Giuda, nome dell’apostolo che tradì Gesù)”; giudeo è termine comune dispregiativo secondo un antico pregiudizio antisemita che indica chi è avido di “denaro, usuraio, persona infida, traditore” (De Mauro, Il dizionario della lingua italiana).

«Il significato negativo di giudeo è esteso a tutto il popolo ebraico. Il Giuda dantesco è la rappresentazione del Giuda dei Vangeli, fonte dell’antisemitismo. Studiando la Divina Commedia i giovani ebrei sono costretti, senza filtri e spiegazioni, ad apprezzare un’opera che calunnia il popolo ebraico; essi imparano a convalidarne il messaggio di condanna antisemita, reiterato ancora oggi nelle messe, nei sermoni e nelle prediche e costato al popolo ebraico dolori e lutti.

«Nel canto XXIII Dante punisce il Sinedrio che, secondo i cristiani, complottò contro Gesù; i cospiratori, Caifas sommo sacerdote, Anna e i Farisei, subiscono tutti la stessa pena, diversa però da quella del resto degli ipocriti: per contrappasso Caifas è nudo e crocifisso a terra, in modo che ogni altro dannato fra gli ipocriti lo calpesti. “Con Caifas, e puniti allo stesso modo, stanno in questa bolgia Anna, suocero di lui e pontefice, e tutti gli altri che ebbero parte in quel concilio, che fu mala sementa per gli ebrei, poiché ne derivò, come giusta vendetta di dio [con la minuscola], la distruzione di Gerusalemme compiuta da Tito e la rovina e la dispersione di tutto il popolo giudaico” (N. Sapegno)».

Di conseguenza, Gherush92 chiedeva al Ministro della Pubblica Istruzione, ai Rabbini e ai Presidi delle scuole ebraiche (ed anche islamiche) di espungere la Divina Commedia dai programmi scolastici o quanto meno di inserire adeguati commenti chiarificatori.

Come riporta il sito ebraico, le reazioni, a destra come a sinistra, sono state per lo più negative. Ma non è questo il nocciolo del problema.

La cosa più singolare è che, paradossalmente, a parte la solita stucchevole retorica giudeofila, pare che sia proprio Gherush92 a dover rammentare alla Chiesa conciliare qual è l’autentica tradizionale teologia cattolica dell’ebraismo.

Vi è da chiedersi, tra parentesi, se gli indignati censori di Gherush92, cui evidentemente sta tanto a cuore l’educazione dei giovani studenti ebrei, siano altrettanto solerti critici a proposito dell’educazione talmudica impartita loro nelle scuole ebraiche. Dubbio legittimo, alla luce di un intervento sul sito ufficiale dell’associazione, dal titolo: Costruire la propria identità sul disprezzo degli animali è inammissibile, (09/08/2008, Gherush92. Committee for Human Rights, gherush92.com).

Viene riportato tra l’altro il passo talmudico Kiddushin 49b. “Dieci misure di malattie sono scese nel mondo, e nove se le sono prese i maiali”. Costruire la propria identità sulle spalle degli animali, lamenta Gherush92, è un atto riprovevole.

Tutto giusto. Peccato che nello stesso passo di Kiddushin 49b vi siano queste altre affermazioni, non riportate da Gherush92, che suonano così:

«Dieci kav (misure) di saggezza discesero nel mondo: Eretz Yisrael ne prese nove, e tutto il resto del mondo ne prese uno. Dieci kav di bellezza discesero nel mondo; Gerusalemme ne prese nove, e tutto il resto del mondo ne prese uno».

Al giudeofilo Gherush92 il destino dei maiali sta più a cuore di quello dei goyim?

Sulla questione dell’antisemitismo o meno del Poeta esiste tutta una bibliografia (che va da Flaminio Servi, Dante e gli Ebrei, Casale, 1893, alle relative voci sulla “Jewish Encyclopedia” e sulla “Encyclopaedia Judaica” etc.) che in generale propende per la risposta negativa, ed anzi tende a mettere in evidenza presunte amicizie ebraiche di Dante, presunti punti di contatto tra Dante e il mondo spirituale ebraico, ammiratori ebrei di Dante e fortuna di Dante nella cultura ebraica.

Il Servi (p. 12) era riuscito nella ciclopica impresa di riuscire a trovare in Dante un’influenza «ben chiara» di «confronti», oltre che biblici, anche «talmudici» (sic!). In molti punti il Poeta avrebbe modificato le sue opinioni, accostandosi «ad un alto grado di stima verso gli ebrei che per quei tempi sarebbe davvero incredibile, ove non si ammettesse l’ascendente che esercitava sull’animo suo l’amico carissimo ch’era ebreo e d’esser tale ovunque e sempre si vantava»

(L’ “amico carissimo” sarebbe il poeta ebreo Immanuel da Roma, alias Manoello Giudeo. «I due si conobbero e frequentarono? Furono amici? Queste domande restano prive di una risposta diretta» (V. Robiati Bendaud, Storia di un’amicizia (forse): Dante e Manoello Romano, Shalom. Comunità Ebraica di Roma, shalom.it).

Più recentemente altri, basandosi più su delle suggestioni che su prove concrete, sostengono che il Poeta avrebbe avuto modo di interagire con la cultura ebraica presso la corte scaligera e a Roma, e che la sua attività letteraria potrebbe essere interpretata come un graduale percorso mistico verso il sapere supremo (la Sapienza) tramite confronti con le dottrine cabalistiche, oltre che platoniche (C. Di Capua, Dante nell’ebraismo italiano, «La Rassegna Mensile di Israel» 72 (2006), pp. 31-62; J. Buffo, Dante cabalista, «Dante. Rivista internazionale di studi su Dante Alighieri» 13 (2016), pp. 107-115).

Così ci tocca anche leggere (Di Capua, p. 51) che, benché il nome di Maimonide non appaia nella Divina Commedia, «la filosofia del saggio sefardita, custode della Torà, era parte integrante del bagaglio filosofico dell’‘altissimo poeta’»!

Buffo (Percezione degli ebrei e conoscenza della cultura ebraica in Dante e nell’Italia medievale, Modern Language and European Studies, April, 2021) scrive peraltro che, quando impiega i termini di ebrei e giudei, Dante con ebrei intende il populus Dei vissuto prima di Cristo e che ha preparato la venuta di Cristo; con giudei intende coloro che ripudiarono le Scritture, rigettarono Cristo come Messia e furono responsabili della sua morte. «Anche su questo punto Dante fu in linea col pensiero cristiano» (p. 63). Inoltre, nel Poeta non v’è traccia di una qualche simpatia per gli ebrei. «Nessuna delle sue opere lascia presagire un Dante particolarmente attento al dramma della diaspora ebraica» (p. 64).

Sull’argomento si è scomodata pure la Conferenza Episcopale Italiana, la quale sul suo sito ufficiale riporta l’intervento di un insegnante cui un allievo, interrompendo una lezione sul canto XXI del Purgatorio (Nel tempo che ‘l buon Tito …), aveva chiesto se Dante fosse veramente antisemita.

Dopo aver ricordato che quei versi facevano riferimento agli eventi del 70 d.C., anno in cui Tito distrusse il tempio di Gerusalemme, reprimendo duramente una rivolta ebraica, il buon docente aggiungeva:

«Le parole che Dante mette in bocca a Stazio sono durissime contro il popolo ebraico: la spietata distruzione del più importante luogo di culto degli Ebrei viene definita una sacrosanta vendetta per la crocifissione di Cristo, il cui sangue era stato venduto da Giuda; una vendetta aiutata dal sommo rege, cioè da Dio stesso».

Dante era dunque antisemita?

Il buon docente soggiungeva che porre la domanda in questi termini non era corretto.

«Dante infatti era figlio della sua epoca, e nel Medioevo in Europa erano diffusissimi i pregiudizi contro gli Ebrei, accusati persino di deicidio. Le parole del Sommo Poeta, dunque, assolutamente esecrabili per la nostra sensibilità, non vanno giustificate, ma vanno contestualizzate» (Dante “antisemita” e Barbie girls Assediati da confusioni e censure, Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’Università della Conferenza Episcopale Italiana, 14 novembre 2023, educazione.chiesacattolica.it).

Un modo elegante per dire che Dante condivideva i “pregiudizi” antisemiti dell’epoca ed era dunque egli stesso antisemita.

Credo, per concludere, che i termini essenziali della questione siano stati perfettamente messi a fuoco da Roberto Mazzetti, Orientamenti antiebraici della vita e della cultura italiana. Saggi di storia religiosa, politica e letteraria, Modena, 1939, pp. 5-6.):

«Dante riassume, anche riguardo alla questione ebraica, tutto il pensiero medievale. Secondo Dante il … buon Tito con l’aiuto / del sommo rege, vendicò le fòra / ond’uscì ‘l sangue per Giuda venduto (Purg. XXI, 82-85). In questo modo: … Tito a far vendetta corse / de la vendetta del peccato antico (Par. VI, 92-93).

«Per Dante, l’ebraismo fu santo in quanto conservò la rivelazione di Dio, preparò l’avvento di Cristo e si superò nel Cristianesimo della chiesa di Roma; è malvagio e peccaminoso e, a un tempo, condannato a un tragico destino di dolore, in quanto si rese colpevole della morte di Cristo e resistette e resiste alla rivelazione evangelica.

«Questo, per il Poeta, è il giudaismo. I Giudei sono, per lui, i più empi fra gli eresiarchi, e i più torbidi seminatori di empietà. Nell’epistola ai cardinali, l’Alighieri scriveva: “i fautori di empietà, i Giudei, i Saraceni, i Gentili deridono le nostre feste e, come si racconta, gridano: dov’è il loro Dio?”

«Con tono di cruccio e di spregio ammoniva, perciò, i seguaci di Cristo così: Avete il novo e il vecchio Testamento (…) sì che ‘l Giudeo di voi fra voi non rida».

Tutto ciò, secondo i canoni interpretativi della filologia giudaica e filogiudaica, è da ascrivere senz’altro alla categoria: “antisemitismo”.

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