108 anni di espropriazione: come la Dichiarazione Balfour ha aperto la strada al genocidio di Gaza

108 ANNI DI ESPROPRIAZIONE: COME LA DICHIARAZIONE BALFOUR HA APERTO LA STRADA AL GENOCIDIO DI GAZA

domenica 2 novembre 2025

dello staff del sito web di Press TV

All’inizio di questa settimana, soldati israeliani di occupazione hanno ucciso i fratelli Masa Muhammad Eid e Shaʿban Muhammad Eid nel centro di Gaza. Il loro omicidio a sangue freddo è avvenuto nel pieno del cosiddetto cessate il fuoco, violato dal regime quasi 150 volte in tre settimane.

Come i bambini di altre parti del mondo, Masa e Sha’ban traboccavano di gioia e curiosità, nonostante l’inferno che il regime ha scatenato nella Striscia di Gaza assediata dall’ottobre 2023.

Quasi 70.000 palestinesi sono stati uccisi a Gaza, quasi la metà dei quali bambini, come Masa e Sha’ban.Il territorio assediato, spesso descritto come la più grande prigione a cielo aperto del mondo, è stato un epicentro di dolore e devastazione.

Eppure, il calvario del popolo palestinese non è iniziato due anni fa.La sua sofferenza ha radici che risalgono a più di un secolo fa, radicate nella confisca illegale delle sue terre, nella demolizione delle sue case e dei suoi mezzi di sussistenza, nella privazione dei suoi diritti e nel continuo progetto di pulizia etnica e sterminio.

Una “promessa” che ha cambiato il destino di una nazione

Nel 1917, Arthur James Balfour, allora ministro degli Esteri britannico, inviò una lettera a Lionel Walter Rothschild, leader della comunità sionista britannica, a sostegno della creazione di una cosiddetta “patria ebraica” in Palestina.Datato 2 novembre 1917, il documento divenne noto come Dichiarazione Balfour: una breve lettera che avrebbe cambiato per sempre il destino della Palestina.

Redatta nel mezzo della prima guerra mondiale (1914-1918), la dichiarazione divenne una pietra angolare del mandato britannico che seguì al crollo dell’Impero ottomano.

Per i palestinesi fu l’inizio di un nuovo capitolo, caratterizzato da occupazione, oppressione, apartheid, segregazione e dominazione coloniale.

Il leader politico palestinese Awni Abd al-Hadi, nelle sue memorie, descrisse la dichiarazione come un accordo “tra due stranieri: uno che non possedeva la terra e l’altro che non aveva alcun diritto su di essa”.Le sue parole catturarono l’ingiustizia di un accordo coloniale che ignorava l’esistenza della popolazione nativa.

Dopo la Prima Guerra Mondiale, le potenze sconfitte furono costrette a cedere i propri territori ai vincitori in base a un sistema di mandato teoricamente concepito per preparare le nazioni all’indipendenza.Tuttavia, nel caso della Palestina, questo principio fu deliberatamente ignorato.

Invece di guidare il territorio verso l’autogoverno, la Gran Bretagna attuò politiche che favorirono l’espansione sionista e l’espropriazione dei nativi.

Da una “patria” ad un progetto coloniale

La Dichiarazione Balfour si impegnava pubblicamente a creare quella che descriveva come “una patria nazionale per il popolo ebraico” in Palestina, in un’epoca in cui gli ebrei costituivano meno del 10% della popolazione.Le prime bozze della lettera si spingevano oltre, parlando di “ricostituire la Palestina come Stato ebraico”, indicando chiaramente i piani per lo sfollamento e lo sterminio dei palestinesi.

Nel 1920, il terzo Congresso palestinese tenutosi ad Haifa respinse con veemenza la dichiarazione britannica, definendola illegale e ingiusta.I delegati la denunciarono come una violazione del diritto internazionale e dei diritti inalienabili della popolazione nativa.

Le loro proteste furono ignorate.Nel 1922, Arthur Balfour, insieme al Primo Ministro britannico David Lloyd George, incontrò il leader sionista Chaim Weizmann e confermò apertamente che la dichiarazione aveva “sempre significato l’istituzione finale di uno Stato ebraico”.

Il governo britannico facilitò quindi l’immigrazione di massa di ebrei europei in Palestina.Tra il 1922 e il 1935, la popolazione ebraica aumentò drasticamente – da circa il 9% a quasi il 27% – man mano che le terre venivano confiscate e trasferite ai coloni.

I contadini palestinesi vennero espulsi dalle loro fattorie, dai loro villaggi e dalle loro terre ancestrali, gettando le basi per il futuro conflitto.

Rivolta e repressione sotto il dominio inglese

Con l’aggravarsi dell’espropriazione, cresceva anche il risentimento tra i palestinesi.La rivolta araba del 1936-1939 scoppiò come risposta diretta al colonialismo britannico e all’afflusso di coloni.Iniziò con uno sciopero generale che chiedeva l’indipendenza e la fine dell’immigrazione ebraica illegale.

La rivolta fu accolta con una schiacciante repressione militare. La Gran Bretagna, in collaborazione con le milizie sioniste, represse la ribellione con punizioni collettive. Case furono demolite, coprifuoco imposto e villaggi rasi al suolo. Migliaia di palestinesi furono uccisi, feriti o imprigionati per costringerli alla sottomissione.

Gruppi paramilitari sionisti come Haganah, Irgun e Lehi si unirono alla campagna britannica nell’ambito di un quadro congiunto di “contro-insurrezione”. Queste stesse organizzazioni si sarebbero poi fuse con l’establishment militare israeliano.

Alla fine del 1939, la Gran Bretagna aveva di fatto dichiarato guerra aperta al nazionalismo palestinese.Intere comunità furono rase al suolo, attivisti giustiziati o incarcerati e l’infrastruttura della resistenza distrutta, tutto per far spazio al progetto sionista in espansione.

La divisione e la nascita di una catastrofe

Quando le Nazioni Unite approvarono la Risoluzione 181 nel 1947, che prevedeva la spartizione della Palestina in due stati separati, uno arabo e uno ebraico, i palestinesi furono nuovamente esclusi dal processo decisionale. Pur rappresentando la maggioranza della popolazione, fu loro assegnato solo il 45% del loro territorio, mentre il 55% fu consegnato ai coloni ebrei illegali.

Con la fine della Seconda Guerra Mondiale e la scadenza del Mandato britannico nel 1948, le milizie sioniste lanciarono violente campagne per conquistare ancora più territorio.Tra il 1947 e il 1949, centinaia di villaggi palestinesi furono distrutti e i loro abitanti massacrati o espulsi in una sistematica campagna di pulizia etnica.

Oltre 750.000 palestinesi furono cacciati dalle loro case, costretti all’esilio nei paesi vicini o nei campi profughi. L’evento divenne noto come Al-Nakba, ovvero “la catastrofe”. Al termine della guerra, le forze sioniste avevano conquistato il 78% della Palestina storica.

Il 15 maggio 1948 fu ufficialmente dichiarata l’istituzione del regime israeliano.Gli stati arabi – tra cui Egitto, Giordania, Siria e Libano – entrarono in guerra con la nuova entità, ma il danno era ormai fatto.Gaza cadde sotto l’amministrazione egiziana, mentre la Cisgiordania passò sotto il controllo giordano.

Dalla Nakba alla Naksa – la perdurante espropriazione

La Nakba fu solo l’inizio. Nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, Israele conquistò i restanti territori palestinesi – la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme Est – nonché le alture del Golan e la penisola del Sinai.

Dopo l’occupazione, il regime iniziò a costruire insediamenti illegali in queste aree, istituzionalizzando un sistema di apartheid in cui i coloni ebrei godevano di pieni diritti, mentre i palestinesi erano soggetti alla legge militare, a posti di blocco e a restrizioni di movimento.

Questo ordine coloniale e repressivo diede inizio alla Prima Intifada nel dicembre 1987, una rivolta popolare contro l’occupazione e l’apartheid. La risposta israeliana fu brutale: ai soldati fu ordinato di “rompere loro le ossa” e migliaia di palestinesi furono uccisi o gravemente feriti. Durante questo periodo, fu fondato il movimento di resistenza Hamas, con base a Gaza.

Nel settembre 2000, ebbe inizio la Seconda Intifada, dopo che il leader dell’opposizione del regime israeliano, Ariel Sharon, aveva effettuato una visita provocatoria al complesso della moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme. La violenza si intensificò ancora una volta, mentre le forze israeliane acceleravano la costruzione di insediamenti e imponevano punizioni collettive ai palestinesi. Le strade furono segregate, le comunità isolate e le infrastrutture demolite.

Dopo la fine della rivolta nel 2005, Israele ritirò i suoi coloni da Gaza, ma impose un devastante blocco sul territorio.Le elezioni legislative del 2006, che portarono Hamas al potere, innescarono ulteriori restrizioni, intrappolando di fatto oltre due milioni di persone sotto assedio.

Gaza sotto assedio

Per quasi due decenni, gli abitanti di Gaza hanno dovuto sopportare carenze croniche di elettricità, cibo, acqua pulita e forniture mediche.Il blocco paralizzante ha strangolato l’economia, causato una disoccupazione di massa e reso la ricostruzione quasi impossibile.

Durante questo periodo, Israele ha ripetutamente condotto guerre contro Gaza – nel 2008, 2012, 2014, 2021 e ora di nuovo nel 2023 – uccidendo ogni volta migliaia di civili e riducendo in macerie interi quartieri.Ospedali, scuole e campi profughi sono stati presi di mira e generazioni di bambini sono cresciuti conoscendo solo bombardamenti e perdite.

Nonostante sia trascorso più di un secolo dalla Dichiarazione Balfour, la realtà fondamentale rimane immutata: un popolo continua a essere sradicato, confinato e punito per la sua semplice esistenza nella terra dei suoi antenati.

Una ferita lunga un secolo

Gli eventi che si stanno verificando a Gaza dall’ottobre 2023 non sono isolati.Sono l’ultimo capitolo di una storia iniziata 108 anni fa, quando una potenza coloniale vendette una terra che non era mai stata sua.

Ciò che iniziò con una lettera – poche righe scritte da uno statista britannico nel 1917 – si è trasformato in una tragedia senza fine di occupazione, apartheid e guerra.La sistematica cancellazione della Palestina continua sotto forma di bombardamenti, blocchi e brutali espulsioni.

Famiglie come quelle di Masa e Sha’ban non sono le prime e, tragicamente, potrebbero non essere le ultime.La loro morte riecheggia un secolo di sofferenza: sogni sepolti sotto le macerie, generazioni derubate della pace e una nazione che ancora lotta per sopravvivere.

Mentre il mondo celebra il 108° anniversario della Dichiarazione Balfour, i palestinesi restano intrappolati nell’ombra di quel decreto imperiale, vivendo, resistendo e morendo in una lotta iniziata molto prima del nostro tempo e che, purtroppo, continua ancora oggi.

https://www.presstv.ir/Detail/2025/11/02/758036/108-years-dispossession-how-balfour-declaration-paved-way-gaza-genocide 

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