
James Martin – Jean Terrien
RIVOLUZIONE MONDIALE, PLUTOCRAZIA E COMUNISMO
(James Martin, Wall Street and the bolshevik revolution, Feb 1st, 1976, libertarianism.org. Le opere di Antony Sutton, tradotte in diverse lingue, sono liberamente disponibili in: archive.org)
Fino a circa una dozzina d’anni addietro, nei circoli conservatori e simili era convinzione radicata che i comunisti si trovassero da una parte e i “capitalisti” dall’altra, e che nessuno dei due potesse essere più distante l’uno dall’altro.
L’unico segmento dello spettro anticomunista che insisteva sull’esistenza di una sorta di relazione organica tra i due potrebbe essere la cosiddetta “destra radicale”, condannata dalla rispettabilità accademica a causa della sua enfasi sul ruolo rilevante del capitale ebraico nella rivoluzione bolscevica.
Nel frattempo il quadro è cambiato e si è ampliato notevolmente, e una ricerca costante, unitamente all’apertura di archivi diplomatici a lungo restati chiusi, ha portato a una crescente attenzione circa il ruolo svolto dalla grande finanza e dalla grande industria nel successo della rivoluzione bolscevica in Russia.
In tal senso, l’ultimo lavoro di Antony Sutton è al tempo stesso una ricapitolazione di informazioni note da tempo e una rivelazione di nuovo e interessante materiale a supporto della tesi sopra esposta.
Il suo libro dovrebbe convincere anche gli ambienti più restii all’idea che capitalisti e comunisti possano avere qualcosa in comune, e la cui posizione è stata già pesantemente scossa dalla distensione e dalle recenti imprese congiunte russo-americane nello spazio.
Si dimentica inoltre il ruolo cruciale svolto da Stati Uniti e Gran Bretagna nel salvare la Russia sovietica stalinista dall’annientamento o dal grave declino per mano dei tedeschi e di Hitler.
Col senno di poi, Roosevelt e Churchill hanno reso il mondo sicuro per il comunismo, e questo da allora si è esteso a dismisura, cavalcando un’onda di 30 anni di successi [1976], che inducono Solzenicyn a dichiarare che la Terza Guerra mondiale è già finita e che l’hanno vinta i sovietici.
L’imponente trilogia di Sutton – Western Technology and Soviet Economic Development, 1917-1965 ‒ spiega un altro aspetto importante di questa relazione.
Nel libro in questione, Sutton ha svolto un compito estremamente utile per coloro che si stanno avvicinando ora all’argomento, mettendo insieme materiali precedentemente pubblicati e documenti di una certa rilevanza finora non disponibili, tratti dagli archivi sia del Dipartimento di Stato americano che del Ministero degli Esteri britannico.
La terza appendice vale da sola il prezzo del libretto.
La scrittura tende ad essere ripetitiva, poiché vengono riproposti lo stesso racconto e molti degli stessi personaggi in altri episodi e contesti. Ma quando Sutton arriva alla fine, difficilmente si può cercare di sminuire o minimizzare il ruolo significativo svolto dai principali fattori economici dell’Occidente nel lanciare Lenin e Trotsky nei loro speditissimi viaggi verso i massimi affari russi.
Per molti potrebbe essere la prima volta che si rendono conto che ci sono capitalisti e capitalisti (di questi tempi [1976] persino la grande agricoltura è entrata in gioco con le ripetute e ingenti vendite di grano al regime di Breznev), e che esiste solo un legame molto debole, se non addirittura inesistente, tra aziende le cui risorse sono espresse a 12 cifre e il chiosco di banane o il venditore ambulante porta a porta.
Una serie di personalità opulenti e fragranti si aggira fra le pagine di Sutton, la maggior parte delle quali totalmente prive di convinzioni intellettuali legate alla teoria socialista e lontane dalle ambizioni rivoluzionarie come una rapa.
Ma il loro interesse nel concedere prestiti ai bolscevichi, nel contribuire in modo sostanziale ai loro vari intrighi e nel bramare l’opportunità di diventare i principali fornitori di enormi quantità di beni e servizi per un simile regime è altamente istruttivo.
Visto dal di fuori, quest’ultimo aspetto non sembrerebbe esser mai ritenuto tale da offuscare la pura luce azzurra del socialismo proletario con complicazioni così grossolane, ma i documenti dimostrano una reciproca volontà di collaborare e cooperare.
Sutton dedica una parte importante a Olof Aschberg e all’American International Corporation, e pone un’enfasi particolare sugli interessi peculiari e sul ruolo dei diplomatici dislocati in diversi punti strategici del mondo, sul continuo coinvolgimento del nome Morgan e sulla confutazione di John Reed e Raymond Robins.
Il libro soffre di vari errori editoriali, che però non sono responsabilità dell’autore.
L’uso di contrazioni e di espressioni familiari è poco pratico in una scrittura formale. Ci sono diversi errori di nomi sia nel testo che nell’indice (ad es., è “Beekman Winthrop” e non “Beckman Winthrop”); in un caso Murmansk diventa “Mur-man”; Abraham Cahan, direttore del Jewish Daily Forward, sebbene destinatario di un documento importante, è identificato solo parzialmente nel testo ed è omesso dall’indice; il cognome del diplomatico tedesco Franz von Papen è scritto correttamente, ma scorrettamente nelle pagine successive, solo una delle quali è presente nell’indice, dove gli viene assegnato un nome nuovo, “Fritz”.
Se questa fosse una recensione raffinata e “pipe-sucking”, potremmo continuare così per un bel po’.
Ma il libro è ben stampato e leggibile, e, dopo tutto, la sostanza è la cosa più importante da tenere in considerazione.
Dopo averlo letto, potreste ricordare la sarcastica previsione attribuita a Lenin (probabilmente molto distorta) secondo cui, quando arriverà il momento per i comunisti di impiccare i capitalisti, questi ultimi cercheranno energicamente di superarsi a vicenda per fornire ai comunisti la corda.
Ho il sospetto che ci sia un’altra possibilità: l’impiccagione dei capitalisti sarà molto selettiva e non ci sarà alcuna gara per l’appalto della corda, poiché questo verrà assegnato in segreto a una multinazionale di mille miliardi di dollari, il cui presidente del consiglio d’amministrazione sarà probabilmente candidato a membro onorario del Politburo.
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(Jean Terrien, Les deux faces de la Révolution mondiale: Socialisme et capitalisme, «Rivarol», n. 3300, 11 octobre 2017, p. 11).
Nel precedente numero di «Rivarol» [La Révolution bolchevique: ses origines religieuses, n. 3299, 4 octobre 2017, p. 11] ho esposto le origini religiose, messianiche ed ebraiche della Rivoluzione bolscevica, la quale procede essa stessa da una rivoluzione mondiale e affonda in parte le sue radici nella Rivoluzione del 1789.
In questa sede descriverò un altro aspetto della Rivoluzione mondiale, il cui motore principale è stata l’opposizione dialettica tra capitalismo e socialismo.
Il motore della Rivoluzione mondiale: socialismo ebraico e capitalismo ebraico.
Karl Marx “ci spiega” fin dal 1848 che «la storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classe. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi, continuamente in reciproco contrasto tra di loro, condussero una lotta ininterrotta, ora latente, ora aperta; una lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società, o con la comune rovina delle classi in lotta»[1].
In realtà questa lotta che Marx vede nella storia di ogni società nascerà effettivamente solo con l’ascesa della borghesia che soppianterà l’aristocrazia, poiché nella società tradizionale la società non era organizzata in classi sovrapposte o opposte, ma in un ordine verticale e complementare[2]. Cosa che Marx non voleva vedere…
Ma quando Marx afferma che la lotta di classe è un confronto fra la borghesia e il prodotto della borghesia, vale a dire gli operai moderni, i proletari, egli è nel giusto. E così prosegue riguardo al rapporto di queste due classi: «Nella stessa proporzione in cui si sviluppa la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa anche il proletariato, la classe degli operai moderni, che vivono solo fintantoché trovano lavoro, e che trovano lavoro solo fintantoché il loro lavoro accresce il capitale»[3].
Più che di una interdipendenza si tratta di un legame organico, il quale lega i destini della borghesia a quelli del proletariato, e più in generale a ciò che essi rispettivamente incarnano: il capitalismo e il movimento che strumentalizzerà il proletariato – movimento che non è affatto spontaneo, come pretende Marx –, il socialismo.
Karl Marx invoca la guerra civile mondiale fra capitalismo e proletariato per instaurare un mondo nuovo, conformemente all’escatologia ebraica. La visione marxiana della storia delle società sposa perfettamente la forma dualista del messianismo ebraico che ho descritto nel mio precedente articolo.
Questa tensione fra i due movimenti antagonisti, ma organicamente legati, condurrà alla fine della storia. Ed è proprio alla fine della storia che aspira Karl Marx, e pour cause …
Bernard Lazare lo ha perfettamente visto e descritto nel suo libro L’antisémitisme, son histoire et ses causes, apparso nel 1894:
«Marx, questo discendente da una generazione di rabbini e dottori, ereditò tutta la forza logica dei suoi antenati. Fu un talmudista lucido e chiaro, che non si lasciò imbarazzare dalle sciocche minuzie della pratica, un talmudista che fece della sociologia ed applicò le sue qualità innate di esegeta alla critica dell’economia politica. Egli fu animato da quel vecchio materialismo ebraico che sognò perpetuamente un paradiso realizzato sulla terra e respinse sempre la lontana e problematica speranza di un eden dopo la morte …»[4].
Ma Marx non era il solo pensatore e agitatore ebreo posseduto da una febbre messianica che solo il fuoco della guerra civile mondiale poteva guarire.
Bernard Lazare, lui stesso ebreo, ci offre la sua testimonianza per ciò che concerne il XIX secolo:
«Quanto alla loro azione e alla loro influenza nel socialismo contemporaneo, possiamo dire che gli ebrei sono ai due poli della società contemporanea. Essi sono stati tra i fondatori del capitalismo industriale e finanziario, ed hanno protestato con la veemenza più estrema contro il capitale. A Rothschild corrispondono Marx e Lassalle; alla battaglia per il denaro corrisponde la battaglia contro il denaro, e il cosmopolitismo dell’aggiotatore diventa l’internazionalismo proletario e rivoluzionario. È Marx che diede impulso all’Internazionale col manifesto del 1847, redatto da lui e da Engels …
«Marx fu l’organizzatore del meeting operaio tenuto a Londra nel 1864, donde nacque l’associazione. Gli ebrei vi furono numerosi, e solo nel consiglio generale troviamo Karl Marx, segretario per la Germania e la Russia, e James Cohen, segretario per la Danimarca. Oltre a Marx e Cohen possiamo citare Neumayer, segretario dell’ufficio di corrispondenza dell’Austria; Fribourg, che fu uno dei dirigenti della federazione parigina dell’Internazionale, di cui fecero parte anche Loeb, Haltmayer, Lazare e Armand Lévi; Léon Frankel, che diresse la sezione tedesca a Parigi …
«Molti ebrei affiliati all’Internazionale giuocarono più tardi un certo ruolo durante la Comune, dove trovarono altri correligionari»[5].
La forte componente ebraica dell’entourage di Marx (mascherata agli occhi del grande pubblico dalla figura di Engels, che taluni hanno identificato come un ebreo mascherato)[6] è persino anteriore agli anni 1860. In effetti, fin dalla sua giovinezza egli è circondato da israeliti come lui. Questo viene riferito tra l’altro dall’autore dell’opera Les origines secrètes du bolchevisme, apparsa nel 1930, in cui è scritto che il giovane Karl Marx ed altri giovani ebrei, che sono i protetti del poeta Heinrich Heine (1797-1856), furono accolti da Arnold Ruge (1802-1880) nella redazione degli «Annali franco-tedeschi» (lanciati nel 1843 da Ruge e Marx).
Questi giovani esiliati che sbarcavano dalla Germania erano tutti israeliti e tutti figli o parenti prossimi di rabbini[7].
Secondo la testimonianza di un certo Herman Richter – personaggio che ha portato diversi nomi e che era stato condannato al carcere dalla giustizia bavarese per vari atti di propaganda rivoluzionaria – questi ricevette nel 1851, dopo aver scontato la sua pena ad Augsburg, la visita di un israelita di nome Weidemayer. Era un emissario di Marx, incaricato di trasmettergli i progetti di quest’ultimo, che Richter accettò. Egli apprese così l’esistenza di un’associazione internazionale pilotata da Marx, che in Germania aveva un gran numero di sezioni chiamate “comuni”.
Un’associazione, il cui oggetto era quello che Marx descriveva nel suo Manifesto già citato, cioè la rivoluzione tramite agitazione politica e scioperi operai per condurre alla guerra civile generalizzata. Richter aderì al movimento e fondò una comune a Hanau[8].
Ma ritorniamo a quell’opposizione, motrice del messianismo ebraico moderno, tra socialismo e capitalismo.
Non è sorprendente vedere Karl Marx, grande nemico del capitalismo, rifugiarsi a Londra, il centro del capitalismo mondiale, e fondarvi per giunta l’Internazionale comunista (1864)?
A questo proposito Salluste riporta un aneddoto che non è privo d’interesse.
Durante il movimento rivoluzionario della Comune (la rivolta dei Federati) del 1871 di Parigi, l’hôtel di Alphonse de Rothschild fu protetto giorno e notte, per due mesi, da un picchetto di Federati.
Salluste fa notare che «è curioso constatare che, mentre gli ostaggi venivano fucilati o migliaia di francesi morivano vittime della guerra civile, la protezione accordata dai Comunardi al grande banchiere israelita non venne mai meno. In ciò giuocava indubbiamente la “grande considerazione” testimoniata in passato dal capo della casa Rothschild verso la famiglia di Heinrich Heine, colui che aveva introdotto il neo-messianismo in Francia. Le sette rivoluzionarie sapevano all’occorrenza ricordarsene»[9].
Come ha dimostrato incontestabilmente, e sulla base dei documenti, l’universitario economista e storico anglo-americano Antony Sutton (1925-2002), «vi fu un’alleanza continua, anche se sapientemente dissimulata, fra i capitalisti politici internazionali e i socialisti rivoluzionari internazionali, e questo a loro reciproco vantaggio»[10].
Questa alleanza s’è tradotta segnatamente nel finanziamento della Rivoluzione bolscevica da parte di Wall Street.
Come Karl Marx, che prima di lui s’era insediato nella capitale finanziaria mondiale (Londra), Leone Trotsky (vero nome: Lev Davidovitch Bronstein) il 13 gennaio 1917 andò in esilio negli Stati Uniti con la sua famiglia, dopo aver soggiornato in Francia.
Negli Stati Uniti condusse una vita assai confortevole; viveva in un eccellente appartamento e a dire dello stesso Trotsky occasionalmente viaggiava in limousine[11].
Quando rientrò in Russia per prendere parte alla Rivoluzione, il presidente Woodrow Wilson fornì a Trotsky un passaporto americano.
Il 26 marzo 1917 Trotsky, in compagnia di altri rivoluzionari, di finanzieri di Wall Street, di comunisti americani e di altri personaggi, era a bordo del battello S.S. Kritianiafjord che lasciò New York[12].
Gli americani non erano i soli a darsi da fare nella preparazione della Rivoluzione bolscevica.
Anche i tedeschi vi ebbero una parte attiva, come è scritto in una nota del ministro degli Affari esteri indirizzata al Kaiser il 3 dicembre 1917, nella quale si affermava che «i bolscevichi avevano ricevuto da noi un flusso costante di fondi tramite diverse fonti e forme, tali che essi poterono sviluppare il loro principale organo d’informazione, la “Pravda”, allo scopo di condurre la loro energica propaganda e di poter estendere la base originariamente ristretta del loro partito»[13].
La Germania aveva un interesse particolare a far cadere il regime zarista aiutando i bolscevichi.
Antony Sutton racconta:
«Nell’aprile 1917, Lenin e un gruppo di 32 rivoluzionari russi, la maggior parte bolscevichi, viaggiarono in treno dalla Svizzera, attraverso la Germania e la Svezia, fino a Pietrogrado in Russia. Dovevano raggiungere Leone Trotsky per “portare a compimento la rivoluzione”. Il loro viaggio di transito attraverso la Germania fu approvato, facilitato e finanziato dallo stato maggiore tedesco. Il transito di Lenin e il suo passaggio in Russia facevano parte di un piano approvato dal comando supremo tedesco, senza essere stato immediatamente portato a conoscenza del Kaiser. Ciò venne fatto allo scopo di favorire la disintegrazione dell’armata russa ed eliminare la Russia dalla Prima guerra mondiale»[14].
Quanto alla banca francese Crédit Lyonnais, questa ha riciclato denaro sul conto di Lenin per i bisogni della Rivoluzione …[15].
Siamo abbastanza lontani dalla mitica rivoluzione proletaria sorta da un movimento presuntamente spontaneo.
La storia reale strappa il velo della menzogna che ci è stato propinato e ci presenta due sistemi spacciati per le sole due vie ideologiche e politiche della “salvezza” dell’umanità: il capitalismo liberale incarnato in un primo momento dall’Impero britannico, e successivamente dall’America-mondo, e il sistema comunista realizzato nell’Unione Sovietica con l’aiuto dei capitalisti anglo-americani.
Come vediamo ogni giorno, questi due sistemi si stanno amalgamando per mettere in atto strutture sovranazionali che combinano la centralizzazione statale sovietica e il capitalismo finanziario che piloterà questo Stato centrale, come già sta avvenendo oggi con l’Unione europea, e domani avverrà con un governo mondiale, secondo gli auspici di Jacques Attali.
[1]K. Marx, Manifesto del partito comunista, 1848.
[2] Cfr. Youssef Hindi, Les mythes fondateurs du Choc des civilisations, chapitres IV e V, Sigest, 2016.
[3] K. Marx, op. cit.
[4] Ed. KontreKulture, 2012, p. 194.
[5] Ivi, pp. 194-195.
[6] Cfr. Salluste, Les origines secrètes du bolchevisme. Henry Heine et Karl Marx, 1930, Déterna Éditions, 2014, p. 73.
[7] Ivi.
[8] Ivi, pp. 83-86.
[9] Ivi, pp. 155-156.
[10] A. Sutton, Wall Street and the bolshevik revolution, 1974. Ed. fr., 2012, p. 5.
[11] Ivi, pp. 10-11.
[12] Ivi, 13-14.
[13] Ivi, pp. 24-25.
[14] Ivi, p. 25.
[15] Cfr. Simon Sebag Montefiore, Le Jeune Staline, Calmann-Lévy, 2008.
Citazione: “Come vediamo ogni giorno, questi due sistemi si stanno amalgamando per mettere in atto strutture sovranazionali che combinano la centralizzazione statale sovietica e il capitalismo finanziario che piloterà questo Stato centrale, come già sta avvenendo oggi con l’Unione europea, e domani avverrà con un governo mondiale, secondo gli auspici di Jacques Attali”.
Mio commento: a differenza di Jean Terrien, non credo nell’instaurazione di un governo mondiale. Il “sistema BRICS” è incompatibile con il “sistema Nato”: i BRICS nascono dall’esigenza di un mondo multipolare mentre la Nato pretende un mondo unipolare a guida americana. Queste due visioni non sono compatibili e rischiano di portarci ad una terza guerra mondiale.