Riflessioni revisioniste sul caso Demjanjuk

Riflessioni revisioniste sul caso Demjanjuk

RIFLESSIONI REVISIONISTE SULL’IMMINENTE PROCESSO DEMJANJUK IN GERMANIA

Di Paul Grubach (2009)[1]

John Demjanjuk e la sentenza di un giudice americano

Dopo aver perso una lunga battaglia legale per rimanere negli Stati Uniti, John Demjanjuk è stato deportato in Germania, lo scorso 12 Maggio, per essere processato per presunti crimini di guerra. E’ accusato di aver collaborato all’uccisione di 29.000 ebrei.

Nel 2002, il giudice americano Paul R. Matia affermò nella sua sentenza che Demjanjuk aveva prestato servizio, all’incirca dal 27 Marzo del 1943 al 1 Ottobre del 1943, come guardia nel campo di concentramento di Sobibor. Riguardo a questo presunto “campo di sterminio”, Matia asserì che “le guardie assegnate a Sobibor accoglievano i trasporti di ebrei giunti a destinazione, scaricavano brutalmente gli ebrei dai treni, li costringevano a spogliarsi, e li conducevano nelle camere a gas dove venivano uccisi per asfissia con il monossido di carbonio”. Matia accusò Demjanjuk di un crimine preciso: “Prestando servizio a Sobibor, l’imputato [John Demjanjuk] contribuì alla procedura con la quale migliaia di ebrei venivano uccisi per asfissia con il monossido di carbonio”.
[2]
Questo giudice “affermazionista dell’Olocausto” affermò inoltre che le “guardie assegnate a Sobibor sorvegliavano anche un piccolo numero di ebrei tenuti in vita per custodire il campo, smaltire i cadaveri e disporre gli effetti personali degli uccisi”.[3]

Proseguendo nella sua sentenza, Matia fece quest’affermazione particolarmente importante: “Questo [processo contro Demjanjuk] è un caso di prove documentarie, non di testimonianze oculari”.[4]

Tale affermazione è ingannevole. Il processo in corso sulle presunte prestazioni di Demjanjuk a Sobibor si basa su documenti presuntamente autentici. Ma quello che Matia asserisce su Sobibor in quanto “campo di sterminio” si basa esclusivamente su testimonianze oculari, e su nient’altro.

In realtà, lo storico dell’Olocausto Robert Jan van Pelt ha ammesso che le prove dello sterminio degli ebrei a Treblinka, Sobibor e Belzec – dove vennero presuntamente uccise milioni di persone – sono molto scarse. Riferendosi a questi tre campi, ha scritto: “Vi sono pochi testimoni oculari, nessuna confessione che possa essere paragonata a quella fornita da Höss [il comandante di Auschwitz], nessuna rovina significativa, e poche fonti d’archivio”.[5] Le affermazioni dello storico di Sobibor – ed ex detenuto di quel campo – Thomas Toivi Blatt, concordano con quelle di van Pelt, perché egli ammise che: “Sobibor fu il più segreto dei campi di sterminio, e rimane molto poco della documentazione ufficiale. La maggior parte di quello che era stato scritto al campo o su di esso [dai funzionari tedeschi del distretto di Lublino, in Polonia] venne distrutto.[6]

Chiaramente, il solo appiglio alla storia tradizionale sullo sterminio di Sobibor è costituito dalla testimonianza degli ex detenuti e dalle dichiarazioni postbelliche degli ufficiali tedeschi che vennero processati per presunti crimini di guerra. Esaminiamo tali prove.

Matia afferma che gli ebrei vennero uccisi a Sobibor nelle camere a gas, e che il gas mortale era il monossido di carbonio. Ma vi sono degli ex detenuti che dissero che il gas mortale era il cloro.

La testimone di Sobibor Hella Fellenbaum-Weiss raccontò la storia di come gli ebrei in viaggio per Sobibor venissero gasati con il cloro. Citiamo le sue parole: “L’arrivo di un altro convoglio mi angosciò allo stesso modo. Si pensava che arrivasse da Lvov, ma nessuno lo sapeva con certezza. I prigionieri singhiozzavano e ci fecero un racconto spaventoso: durante il tragitto erano stati gasati con il cloro, ma qualcuno era sopravvissuto. I corpi dei morti erano verdi e la loro pelle si staccava”.[7]

L’accusa che gli ebrei venissero gasati con il cloro durante il loro viaggio per Sobibor è stata tranquillamente accantonata dai promotori dell’Olocausto – un’ammissione implicita che doveva essere falsa.

Nel suo approfondito studio sul campo di concentramento di Belzec, Belzec in Propaganda, Testimonies, Archeological Research and History, lo storico revisionista Carlo Mattogno cita degli ex detenuti di Sobibor che dissero esplicitamente che il cloro era un gas usato per asfissiare gli ebrei a Sobibor.[8] Ecco cosa dice in proposito Zelda Metz: “Entravano [le presunte vittime delle camere a gas] nell’edificio di legno dove venivano tagliati i capelli alle donne, poi c’era il “Bagno”, cioè la camera a gas. Venivano asfissiati con il cloro. Dopo 15 minuti, erano tutti soffocati. Attraverso una finestra veniva controllato se erano tutti morti. Poi il pavimento si apriva automaticamente. I cadaveri cadevano nei vagoni di un treno che passava sotto la camera a gas e che li portava al forno”.

Gli storici mainstream di Sobibor hanno tranquillamente abbandonato le storie del “gas mortale al cloro” e delle “botole nelle camere a gas” – di nuovo, un’ammissione implicita che erano entrambe false.

Anche Leon Feldhendler dichiarò che il gas mortale era il cloro, sebbene disse anche che i tedeschi lo sperimentarono assieme ad altri gas.[9] Alexander Pechersky dichiarò che il gas mortale era costituito da una qualche sorta di “sostanza spessa e nera”.[10] Il cloro è un gas giallo-verdognolo. Stanislaw Szmajzner credeva che i tedeschi usassero il gas di scarico ma anche lo Zyklon B.[11] Le variazioni di questa storia abbondano.

E’ chiaro che il gas al cloro, lo Zyklon B e altre storie di gas “senza nome” sono state abbandonate con discrezione dalla “storiografia ufficiale” dell’Olocausto [relativamente ai campi Reinhardt] – un’ammissione implicita che erano false. A questo punto il giudice Matia dovrebbe porsi la seguente questione: poiché le storie degli ebrei gasati a Sobibor con il cloro, lo Zyklon B, e altre sostanze innominate sono false, non è parimenti possibile che sia falsa anche la sua affermazione che gli ebrei venivano gasati con il monossido di carbonio?

Di nuovo richiamo l’attenzione del lettore sulla precisa formulazione di Matia sui presunti metodi di sterminio di Sobibor. Egli afferma che le guardie “li conducevano [gli ebrei] nelle camere a gas dove venivano uccisi per asfissia con il monossido di carbonio”. Notate che Matia non menziona le caratteristiche dell’arma del delitto. I tedeschi usavano un motore diesel o un motore a benzina, per produrre il monossido di carbonio?

Lo storico dell’Olocausto Raul Hilberg e le dichiarazioni dell’ufficiale delle SS Kurt Gerstein affermano che veniva usato un motore diesel.[12] Eppure, l’esperto di Sobibor Yitzhak Arad cita la testimonianza del soldato tedesco Erich Fuchs, che testimoniò che era stato usato un motore a benzina.[13] Queste non sono discrepanze secondarie. In ogni indagine giudiziaria la natura dell’arma del delitto è di primaria importanza.

Matia non dice se i tedeschi usassero un motore diesel o a benzina per produrre il monossido di carbonio perché, se lo facesse, si troverebbe coinvolto in un altro dilemma che getta seri dubbi sulla storia tradizionale dello sterminio di Sobibor. E naturalmente, in questo breve articolo, non menzionerò neanche tutte le contraddizioni riguardanti il numero, le dimensioni e la capienza delle “camere a gas” di Sobibor.[14]

Richiamo l’attenzione sull’affermazione di Matia riguardo a cosa accadde presuntamente ai corpi delle vittime uccise. Egli scrisse che “le guardie assegnate a Sobibor sorvegliavano anche un piccolo numero di ebrei tenuti in vita per custodire il campo, e smaltire i cadaveri…”.

Ancora una volta, notiamo quanto sia vaga l’enunciazione di Matia. Egli parla solo dello “smaltimento dei cadaveri”. Evitando di osservare che la “storiografia ufficiale” afferma che vennero cremati da 167.000 a 250.000 cadaveri nelle fosse comuni, egli evita di entrare nelle questioni connesse a tale atto di accusa. Ad esempio, uno dei sopravvissuti di Sobibor, Kurt Thomas, afferma che i corpi venivano cremati con il carbone.[15] Ma quest’affermazione è in contrasto con lo storico di Sobibor Jules Schelvis, secondo cui ad essere utilizzato era il legno.[16] Anche un’altra fonte, Thomas Toivi Blatt, dice che veniva utilizzato il legno, ma dice anche che talvolta le pire funerarie venivano bagnate di cherosene.[17] Un altro ancora, Alexander Perchevsky, dice che i corpi venivano cremati con la benzina.[18]

La cremazione dei cadaveri nelle fosse comuni all’aperto lascia incombusti ossa e denti. Lo storico di Sobibor Arad ha capito il problema, e cita un “testimone oculare” di Sobibor che dice che le ossa venivano ridotte in polvere con i martelli![19] Immaginatevi una cosa del genere! Le ossa e i denti di centinaia di migliaia di cadaveri cremati sarebbero stati ridotti manualmente in polvere dai detenuti di Sobibor con dei martelli! Le prove forensi vennero perciò distrutte. La natura altamente discutibile (per usare un eufemismo) di tale tesi dovrebbe essere intuitivamente ovvia per chiunque abbia un minimo di senso comune.

La Commisione per l’Indagine sui Crimini Nazisti in Polonia asserì che a Sobibor vennero uccise 250.000 persone.[20] Tuttavia, gli archeologi israeliani e polacchi, che credono fermamente nell’ideologia dell’Olocausto, ammettono che è difficile immaginare come una cosa del genere sia potuta accadere. Secondo le loro stesse parole: “Il campo venne distrutto dai tedeschi dopo la rivolta dei prigionieri, così è molto difficile immaginare che qui abbia avuto luogo l’uccisione di 250.000 persone”.[21]

Un’eminente autorità dell’Olocausto come il defunto Raul Hilberg fece il “negazionista”. Egli negò che a Sobibor fossero state uccise 250.000 persone. Ridusse tale cifra del 20%, poiché affermò che a Sobibor vennero uccise fino a 200.000 persone.[22] Lo storico di Sobibor Jules Schelvis fu anche più “negazionista”. Egli negò persino che quelle 200.000 persone fossero state massacrate lì! Minimizzò la cifra complessiva delle vittime abbassandola a 167.000 unità![23] Perché questi storici non sono stati processati per “negazionismo”?

Se un vero credente nella storia ortodossa dello sterminio di Sobibor come il giudice Matia facesse uno studio approfondito della questione, anch’egli troverebbe prove sufficienti per essere molto scettico sulla diceria delle “camere a gas”. Le contraddizioni, i cambiamenti di versione, le falsità e le impossibilità che ho enumerato qui sono esattamente quelle che ci si deve aspettare da un mito storico-propagandistico. Ci si chiede se il giudice Matia avrebbe il coraggio di affrontare pubblicamente le prove che minano quanto da lui scritto nella sua sentenza contro John Demjanjuk.

Il lettore dovrebbe tenere presente tutto ciò durante il prossimo processo a John Demjanjuk per il crimine di “aver condotto gli ebrei nelle camere a gas”. In realtà, come ho mostrato in un altro dei miei articoli, i promotori della mitologia dell’Olocausto vogliono usare un processo-show per combattere la crescita straordinaria del “negazionismo”. Questa è precisamente la ragione nascosta delle ulteriori incriminazioni dello sventurato John Demjanjuk.[24]

La testimonianza di Thomas Blatt: un testimone contro John Demjanjuk?

Dopo che John Demjanjuk è stato deportato in Germania, la televisione tedesca ha riferito che un sopravvissuto del campo di Sobibor poteva aiutare a confermare l’identità di Demjanjuk. Il testimone, l’ottantaduenne Thomas Blatt, è un sopravvissuto abbastanza noto di Sobibor che scrisse un libro sulle sue esperienze in quel campo durante la seconda guerra mondiale. Ha descritto la situazione di Sobibor come quella di una fabbrica della morte.

Ecco cosa ha detto al giornale tedesco Der Spiegel: “Ci maltrattavano. Sparavano ai nuovi venuti che erano deboli e malati e che non potevano andare avanti. E c’erano alcuni che spingevano con le baionette la gente nuda nelle camere a gas…Sobibor era una fabbrica. Passavano solo poche ore tra l’arrivo e la cremazione di un cadavere”.[25]

Blatt ci fornisce una ragione molto ovvia per essere scettici su questa storia. Nella quarta di copertina del suo libro c’è scritto che Blatt sopravvisse a un totale di sei mesi a Sobibor.[26] Se quello che Blatt dice è vero – che Sobibor era una fabbrica della morte dove le persone venivano uccise e i cadaveri cremati nel giro di poche ore dal loro arrivo – allora è logico dedurne che lo steso Blatt non dovrebbe essere in giro a raccontare la sua storia. Blatt afferma chiaramente nelle sue memorie di non aver mai lavorato nell’area che ospitava le presunte “camere a gas”. Poiché non vi fu mai bisogno di lui per tale lavoro, perché i tedeschi gli avrebbero permesso di sopravvivere sei mesi nel campo se “passavano solo poche ore tra l’arrivo [dei prigionieri ebrei] e la cremazione di un cadavere”?

Il semplice fatto che Blatt sia presuntamente rimasto a Sobibor per sei mesi e non sia stato ucciso quadra con l’ipotesi revisionista che Sobibor non era un centro di sterminio degli ebrei, ma piuttosto un campo di transito dove gli ebrei venivano deportati ancora più a est.

Ma, e la cosa è altrettanto importante, si è portati a concludere che le sue affermazioni più importanti sulle “camere a gas” siano solo un “sentito dire”, o il prodotto di chiacchiere. Blatt sostiene che ai detenuti come lui non era permesso vedere l’interno dell’area “top secret” di Sobibor che conteneva le “camere a gas”. Secondo le sue parole: “Ai prigionieri degli altri lager [le aree che non avevano le “camere a gas”] non era mai permesso di vedere l’interno del Lager III [l’area di Sobibor che ospitava le “camere a gas top secret”].[27] Un suo amico che sbirciò dentro l’area delle “camere a gas” venne presuntamente ucciso.[28] Tutto ciò quadra con la storia ufficiale dello sterminio di Sobibor. Secondo gli archeologi polacchi e israeliani che hanno esaminato il campo, i prigionieri che sopravvissero al campo non videro mai le “camere a gas” perché “vederle implicava l’esecuzione immediata”.[29]

Così, se Blatt avesse visto davvero “gente nuda portata nelle camere a gas”, sarebbe stato ucciso dai tedeschi – secondo la storia ufficiale.

Altrove Blatt dice che i nazisti resero difficile raccogliere “qualsiasi prova diretta” del presunto sterminio nelle camere a gas. Dopo la guerra, le informazioni sulle “camere a gas” vennero presuntamente da detenuti che parlarono con altri detenuti che avevano lavorato nelle vicinanze delle camere a gas o da “osservazioni circoscritte” dell’area di sterminio fatte da un’area differente del campo. Le testimonianze delle guardie ucraine e tedesche completarono il resto della storia.[30]

Nondimeno, Blatt fornisce qualche “particolare” delle “camere a gas” di Sobibor. Egli dice che “erano decorate con fiori, da una stella di Davide e dalla dicitura “bagno”.[31] Come ricevette queste “informazioni”? Vide davvero le “camere a gas”? Se è così, come mai non venne ucciso dai tedeschi, visto che il “vedere” implicava l’esecuzione immediata? O seppe di questi “fatti” oralmente da altri prigionieri o da altre ex guardie del campo?

Da nessuna parte, nel suo libro del 1997, Blatt dice di aver visto davvero, con i suoi propri occhi, “gente nuda spinta nelle camere a gas con le baionette”.

Infine, un’altra delle affermazioni di Blatt non quadra con la pianta ufficiale di Sobibor. Sentiamo cosa dice Blatt: “Eseguito il nostro lavoro in questa sezione, il SS Oberscharführer Karl Frenzel scelse a caso quattro prigionieri, incluso me stesso, e ci condusse nella baracca del taglio-capelli, a meno di venti piedi dalla camera a gas”.[32] Notate cosa dice Blatt: la baracca dove i capelli delle donne venivano tagliati (prima che finissero nelle camere a gas) era a meno di venti piedi (6.1 metri) dalle camere a gas. Altrove afferma ancora che la speciale baracca dove venivano tagliati i capelli delle donne prima di entrare nelle camere a gas era “distante solo pochi passi dalle camere a gas”.[33]

Tuttavia, lo storico di Sobibor Yitzhak Arad dice che il percorso (il “tubo”) che conduceva dall’area di ingresso degli ebrei (il Lager II) all’area di sterminio (Lager III) era lungo 150 metri. Aggiunge Arad: “A metà del “tubo” c’era “il barbiere”, una baracca dove venivano tagliati i capelli delle donne ebree prima di mandarle nelle camere a gas”.[34]

Se il percorso dal Lager II alle camere a gas era lungo 150 metri, e il “barbiere” stava a metà del “tubo”, allora il “barbiere” si trovava a 75 metri dalle camere a gas, non a 6.1 metri. Il “barbiere” non era distante, come afferma Blatt, solo pochi passi dalle camere a gas.

Il lettore capisce il problema? Se Blatt ha ragione nel dire che il “barbiere” stava solo “a pochi passi” (6.1 metri) dalle “camere a gas”, allora la versione ufficiale di Arad che il “barbiere” distava 75 metri dalle “camere a gas” è falsa. Ma se Arad ha ragione, allora questo mette in discussione la veridicità della testimonianza di Blatt.

Ancora una volta, discrepanze del genere dovrebbero rendere scettico anche il sostenitore più accanito della storia dello sterminio di Sobibor.

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.codoh.com/viewpoints/vppgdemjanjuk.html
[2] Vedi pagina 27 della sentenza del giudice Paul R. Matia sul caso Demjanjuk. In rete: http://74.125.95.132/search?q=cache:c7ONQ2VeCzkJ:news.findlaw.com/hdocs/docs/demjanjuk/usdemjanjuk022102jud.pdf+United+States+v.+Demjanjuk&cd=8&hl=en&ct=clnk&gl=us
[3] Ivi
[4] Ivi, p. 97
[5] Robert Jan van Pelt, The Case for Auschwitz: Evidence from the Irving Trial [La tesi di Auschwitz: prove dal processo Irving], Indiana University Press, 2002, p. 5.
[6] Thomas Toivi Blatt, From the Ashes of Sobibor: A Story of Survival [Dalle ceneri di Sobibor: una storia di sopravvivenza], Northwestern University Press, 1997, pp. 227-228.
[7] Miriam Novitch (curatrice), Sobibor: Martyrdom and Revolt, Holocaust Library, 1980, p. 50.
[8] Carlo Mattogno, op. cit., p. 10. In rete: http://www.vho.org/GB/Books/b/index.html
[9] Ivi.
[10] Ivi.
[11] Jules Schelvis, Sobibor: A History of a Nazi Death Camp, Berg, 2007, p. 68.
[12] Raul Hilberg, The Destruction of the European Jews: Student Edition, Holmes & Meier, p. 229. Vedi la testimonianza di Gerstein in Yitzhak Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka: the Operation Reinhardt Death Camps, Indiana University Press, 1987, p. 101.
[13] Arad, p. 31.
[14] Per tali contraddizioni, vedi Paul Grubach, “The Sobibor ‘Death Camp’ in the Context of the Demjanjuk Case”. In rete: http://www.codoh.com/viewpoints/vppgsobibor.html [tradotto in italiano al seguente indirizzo: https://www.andreacarancini.it/2009/05/il-mito-di-sobibor-e-il-caso-demjanjuk/ ].
[15] Novitch, p. 78.
[16] Schelvis, p. 112.
[17] Toivi Blatt, p. 232.
[18] Vedi Mattogno, p. 10.
[19] Arad, p. 172.
[20] Novitch, p. 13.
[21] Vedi la sezione “News and Reports” del sito http://www.undersobibor.org/
[22] Hilberg, p. 338.
[23] Schelvis, quarta di copertina. A p. 1, sostiene che a Sobibor vennero gasate circa 170.000 persone.
[24] Vedi Paul Grubach, “Hunting Demjanjuk: Injustice, Double Standards and Ulterior Agendas”, in rete all’indirizzo: http://www.codoh.com/revisionist/tr08demjanjuk.html . Traduzione italiana all’indirizzo: https://www.andreacarancini.it/2009/05/quale-lo-scopo-del-caso-demjanjuk/
[25] “Demjanjuk vows to fight death camp charges” [Demjanjuk giura di combattere le accuse sul campo della morte], The Local: Germany’s News in English, 12 Maggio 2009. In rete: http://www.thelocal.de/national/20090512-19237.html
[26] Vedi Blatt, nota a piè di pagina n°15.
[27] Ivi, p. 103.
[28] Ibidem.
[29] Gilead , I; Haimi, Y; Mazurek, W, Excavating Nazi Extermination Centres, Present Pasts, Nord America, 110 05 2009. In rete: http://presentpasts.info/journal/index.php/pp/article/view/3/7
[30] Blatt, p. 232, nota 7.
[31] Ivi, p. 231 nota 2.
[32] Ivi, p. 101.
[33] Ivi, p. 230, nota 2.
[34] Arad, p. 33.

One Comment
    • Anonimo
    • 31 Gennaio 2010

    Chiariscimi il punto di arrivo della tua riflessione, dal tuo punto di vista non ci sono mai state uccisioni nelle camere a gas, o meglio le presunte camere a gas non erano usate per uccidere i prigionieri? O intendi dire che le camere a gas non sono mai esistite?

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