Thomas Kues: Tre libri su Treblinka

TRE LIBRI SU TREBLINKA

Di Thomas Kues, 2012

Negli ultimi anni sono apparsi di tanto in tanto nuovi libri sul “campo della morte” di Treblinka. Paragonati al vasto numero delle pubblicazioni dedicate a Auschwitz, e considerando il fatto che secondo il punto di vista sterminazionista Treblinka è il secondo tra i sei “campi della morte” per numero di vittime (le cifre delle vittime fornite di solito variano tra i 750.000 e i 900.000) questi [libri] sono solo un piccolo rivolo. Ci si potrebbe aspettare allora che i contenuti di questi pochi libri fossero almeno parzialmente nuovi, offrendoci nuove visioni e nuovi materiali. Purtroppo non è questo il caso: dalla pubblicazione del libro di Yitzhak Arad Belzec, Sobibor, Treblinka nel 1987 la letteratura sterminazionista sul campo di Treblinka ha percorso vecchi sentieri. Nella seguente recensione discuterò brevemente di tre libri relativi a questo campo che sono stati pubblicati tra il 2003 e il 2012. Non sarà tanto una recensione esaustiva quanto una presentazione di quello che questi libri offrono che non sia una riproposizione di quanto già scritto da Arad, Sereny e da altri: purtroppo molto poco, come vedremo.

Il libro di Torben Jørgensen sul personale dell’Azione Reinhardt

Iniziamo con un libro dello storico danese Torben Jørgensen, Stiftelsen. Bødlerne fra Aktion Reinhardt (La fondazione. Gli esecutori dell’Azione Reinhardt, Lindhardt og Ringhof, Copenhagen 2003). Questo libro tratta del personale dell’Azione Reinhardt nel suo complesso, ma come ci si può aspettare una parte significativa di esso riguarda Treblinka.

Il libro contiene molte poche informazioni interessanti, nonostante il fatto che si dica che l’autore abbia visionato 3.000-4.000 pagine di materiale processuale. Incredibilmente, quasi non vi sono citazioni in questo libro che non siano già apparse in Arad, Jules Schelvis, Adalbert Rückerl o Ernst Klee e altri. Non vi è parimenti nessuna informazione sugli stessi interrogatori. Apprendiamo qualcosa di più, tuttavia, sulla sbalorditiva permissività in fatto di sicurezza a quanto pare prevalente a Treblinka all’epoca del suo primo comandante, il dr. Irmfried Eberl (p. 75):

Prostitute e faccendieri del mercato nero provenienti da Varsavia crearono commerci regolari nei boschi attorno a Treblinka. Il personale, ucraini come pure tedeschi, erano in uno stato di ebbrezza permanente. Oltre a questo, un certo numero di persone non autorizzate visitavano il campo. Tra questi, soldati tedeschi che erano di stanza a Varsavia, tra cui il personale di un Panzerkorp, cioè la Wehrmacht. Membri di queste unità facevano escursioni a Treblinka, che non era blindata; qui costoro scattavano fotografie e osservavano il destino dei trasporti”.

Questa descrizione dovrebbe essere presa probabilmente con qualche cautela, poiché è basata su una dichiarazione resa in tribunale dal suo secondo comandante, Franz Stangl, che era arrivato a Treblinka solo dopo che Irmfried Eberl era stato licenziato per incompetenza; l’informazione che soldati della Wehrmacht visitavano Treblinka proviene perciò da una fonte di seconda mano. Nondimeno è meritevole di osservazione il fatto seguente: se un numero indeterminato di soldati tedeschi andavano in giro scattando fotografie al campo, come mai nessuna di queste è mai stata scoperta? Potrebbe essere che le foto vennero scattate davvero, ma che quello che mostravano non era conforme alle accuse del “campo della morte”, cosicché la persona (o le persone) in possesso della foto (o delle foto) esitarono a farsi avanti con esse, o semplicemente non le collegarono a Treblinka?

Apprendiamo anche che i protocolli degli interrogatori con Irmfried Eberl, Franz Hödl, Heinrich Barbl, Ernst Lerch, Hermann Hoefle e altri sono conservati nel Österreichische Widerstandsarchiv di Vienna. Ma non vengono forniti ulteriori dettagli (nel caso di Eberl l’interrogatorio potrebbe non riguardare l’argomento del “campo della morte”, poiché egli venne arrestato a causa del suo coinvolgimento nel programma dell’eutanasia e a quanto è stato riferito si suicidò prima che il suo ruolo a Treblinka venisse scoperto).

Senza nesso con Treblinka siamo informati (in una nota a piè di pagina a p. 215) che due sopravvissuti di Bełżec (di cui non viene fornito il nome) vivevano in Israele diversi decenni dopo la guerra. Questa affermazione, che deriva da Michael Tregenza, è alquanto sensazionale considerando che si ritiene che solo 7 detenuti siano sopravvissuti a Bełżec, dei quali solo due – Rudolf Reder alias Roman Robak e Chaim Hirszman[1] — hanno lasciato testimonianze sulle loro presunte esperienze. Perché, ci potremmo chiedere, Tregenza non ha fornito nessuna informazione su questi due finora sconosciuti sopravvissuti di Bełżec?

Qualche nuova luce viene anche gettata sulla morte misteriosa in Brasile nel 1980 dell’ex uomo delle SS di Sobibór Gustav Wagner (p. 225):

Durante una conversazione con l’autore a Lublino nell’estate del 2001, Thomas Blatt [un eminente testimone oculare di Sobibór] disse che un altro sopravvissuto di Sobibór che viveva in Brasile nel 1980 uccise Wagner insieme ad altri ex prigionieri”.

Solo due ex detenuti di Sobibór sono noti per essersi stabiliti in Brasile dopo la guerra: Chaim Korenfeld e Stanislaw Szmajzner. Poiché Jules Schelvis[2] e altri hanno osservato che lo stesso Szmajzner aveva accennato di essere coinvolto nell’omicidio, e poiché Blatt era vicino a Szmajzner, questo stabilisce chi stava dietro la morte di Wagner, che (secondo la maggior parte delle fonti) venne ufficialmente catalogata come suicidio.

La testimonianza di Hershl Sperling

Il libro di Mark S. Smith, Treblinka Survivor. The Life and Death of Hershl Sperling (The History Press, Stroud 2010) [Sopravvissuto a Treblinka. La vita e la morte di Hershl Sperling] è un tentativo di tracciare la vita e il destino di Hershl Sperling, un ex detenuto di Treblinka e di Auschwitz-Birkenau (!) che si suicidò annegando a Glasgow nel 1989. Il libro consiste prevalentemente di interviste con il figlio di Sperling, di riflessioni psicologiche e di descrizioni dei viaggi di Smith sulle tracce di Sperling a Treblinka ed in altri luoghi in Polonia e in Germania, intervallate da rimasticature di ben note pubblicazioni sterminazioniste sull’argomento e da estratti della sola testimonianza su Treblinka di Sperling (egli non ne ha lasciata nessuna sul tempo da lui trascorso a Auschwitz, dove egli fu inviato nell’autunno del 1943), un breve resoconto intitolato semplicemente “Treblinka” che venne pubblicato nel 1947 nel numero 6 dell’oscuro giornale in lingua Yiddish Fun letzter Churbn (Dalla catastrofe recente). Fortunatamente Smith presenta una traduzione inglese completa di questa testimonianza come appendice del suo libro. Questa è la sola parte del libro che abbia un reale interesse, per quanto esigua essa sia. Sotto discuterò brevemente le parti più interessanti di essa.

Sperling venne deportato a Treblinka da Czestochowa “quasi alla fine del periodo delle deportazioni” da questa città (pp. 243-244). Secondo le liste dei trasporti presentate nel libro di Arad sui campi Reinhardt, l’ultima deportazione da Czestochowa a Treblinka ebbe luogo il 5 ottobre 1942. Sperling ci informa (p. 244) che il disinfettante cloruro di calcio veniva “sparso abbondantemente dentro ogni vagone” del convoglio. Questa pratica è probabilmente l’origine della primitiva diceria olocaustica (si trova negli scritti di Jan Karski e altri) secondo cui i tedeschi uccidevano gli ebrei non in camere a gas ma nei treni adibiti ai trasporti, usando cloruro o calce viva. Sperling rivela anche che i lavoratori polacchi che gli ebrei del convoglio incontravano durante l’estenuante viaggio ferroviario diffondevano storie di atrocità che provocavano grande paura tra i deportati (p. 245):

Uno dei lavoratori polacchi menziona roghi, un altro fucilazioni, e un terzo gasazioni. Un altro parla di torture inumane e incredibili. Un insopportabile stato di tensione monta fra noi, che in alcuni casi conduce a scoppi di isteria”.

Al campo Sperling venne selezionato per il lavoro e divenne membro della “squadra di smistamento” che lavorava nel “campo dell’accoglienza”. Egli non mise mai piede nel “campo superiore” o il “campo della morte propriamente detto”, dove erano ubicate le presunte camere a gas e le fosse comuni, così la sua descrizione di quest’area è basata solo su fonti di seconda mano. I dettagli dei presunti metodi di uccisione vennero riferiti a Sperling e ai suoi compagni nel Campo I da prigionieri incaricati di trasportare cibo tra le differenti parti del campo (pp. 247-248):
Era rigorosamente proibito passare da un campo all’altro. Nel primo periodo i portatori di cibo venivano da noi provenienti dal Campo II e ci riferivano i minuti dettagli dei crudeli misfatti che venivano lì perpetrati. (…)

I portatori di cibo ci descrivono come il percorso che porta al campo della morte passi attraverso un giardino. Poco prima di arrivare alla doccia della morte c’è una baracca, dove ad ognuno viene detto ancora una volta di consegnare il denaro e l’oro. (…). Nella camera delle docce della morte, che è adornata solo con una Stella di Davide, le vittime le vittime sono accolte da baionette. Vengono condotte in queste camere con doccia, incalzate da queste baionette. (…). Quando tutte le misere vittime sono state fatte entrare nelle docce, le porte vengono chiuse ermeticamente. Dopo pochi secondi, si sentono delle urla inquietanti e orribili attraverso i muri. (…). Le urla diventano sempre più deboli, per poi scemare del tutto. Alla fine tutto è completamente silenzioso. Poi le porte vengono aperte, e i cadaveri vengono gettati in enormi fosse comuni, che contengono dalle 60 alle 70 mila persone. Quando non c’era più spazio per nuove vittime nelle fosse comuni allora veniva una nuova unità per bruciare i corpi morti. Scavavano una fossa profonda, e vi gettavano pochi vecchi tronchi, cassette, legna e cose così. Tutto viene incendiato, e vi viene gettato uno strato di cadaveri, poi più legname, e più cadaveri, e così via. In seguito venne dato l’ordine di riesumare i morti delle fosse comuni, e di bruciare anche quelli”.

Mentre questa è semplicemente una descrizione di seconda mano del “campo della morte vero e proprio”, tre aspetti di essa sono meritevoli di osservazione.

Primo, abbiamo il fatto che in nessun punto della descrizione suddetta troviamo alcun accenno a quale fosse il vero agente letale. Secondo la versione ufficiale degli eventi si trattava del gas di scarico di un grande motore montato in una stanza separata nell’edificio della “camera a gas”. Considerata la breve distanza tra questo edificio e il recinto del Campo I (circa 50 metri nel caso del nuovo edificio) ci si aspetterebbe che i detenuti del Campo I collegassero presto il presunto sterminio dei deportati con il rumore di questo motore. Come ho fatto notare nello studio su Sobibór che ho scritto insieme a Jürgen Graf e a Carlo Mattogno[3] le primissime testimonianze sulle presunte camere a gas di quel campo – che si ritiene funzionassero allo stesso modo che a Treblinka – menzionano metodi di uccisione utilizzati in queste camere che implicano fortemente che questi testimoni non avevano collegato le presunte gasazioni con il suono di un motore. La testimonianza di Sperling rientra in questo quadro.

Secondariamente, abbiamo qui la ridicola nozione che le cremazioni venissero effettuate utilizzando come combustibile “pochi vecchi tronchi, cassette, legna e cose così”. Se la vasta quantità di legna da ardere per la cremazione di circa 800.000 cadaveri – circa 139,200 tonnellate[4] – fosse stata davvero portata a Treblinka, o con treni o con autocarri o dalle vicine aree boschive Sperling lo avrebbe inevitabilmente notato – che egli non lo abbia fatto è un altro indizio che la quantità di legna da ardere utilizzata a Treblinka era molto più piccola, corrispondente ad un numero di cadaveri molto più basso di quello presunto dalla storiografia mainstream[5].

Terzo e ultimo, abbiamo l’accento sulla parola “doccia”. Confrontiamo questo con la dichiarazione del prigioniero polacco Jan Sulkowski (citato nel libro di Arad sui campi Reinhardt):

“Mi venne detto dalle SS che stavamo costruendo un bagno e fu dopo molto tempo che capii che stavamo costruendo camere a gas”. Questo implica che i tedeschi o fecero di tutto per camuffare camere a gas omicide come docce, o che costruirono davvero delle docce per un impianto di disinfestazione. In questo contesto è meritevole di menzione una lettera inviata dal comandante di Treblinka Irmfried Eberl al commissario del ghetto di Varsavia, il dr. Heinz Auerswald, il 19 giugno 1942 (vale a dire 1 mese prima dell’apertura del campo), in cui egli ordinò i seguenti articoli “ancora necessari” per il campo di Treblinka[6]:

10 metri di tubi di rame da ¼ di pollice

5-10 chili di aste di filo per saldare

2 chili di filo di ottone per brasatura forte

50 metri di tubi di ferro ciascuno di: 1 pollice, ¾ di pollice, ½ pollice

20 tubi a T in ferro ciascuno di: 1 pollice, ¾ di pollice, ½ pollice

30 tubi di ferro a gomito, ciascuno di: 1 pollice, ¾ di pollice, ½ pollice

20 raccordi filettati doppi (elementi di raccordo), ciascuno di: 1 pollice, ¾ di pollice, ½ pollice

6 armature stagne per la luce con supporto, chiudibili con griglia

10 rubinetti per l’acqua, di ¾ di pollice con collegamento per il tubo

10 rubinetti per l’acqua, ciascuno di ¼ di pollice con collegamento per il tubo

Lampadine a incandescenza da 120 Volt: 30 articoli da 25 Watt

                                                                          20 articoli da 60 Watt

                                                                         20 articoli da 75 Watt

                                                                         20 articoli da 100 Watt

300 metri di cavetto di G.A. a due fili

Mille metri di filo aereo di 2.5 millimetri di diametro

Morsetti per filo aereo”

Il 7 luglio Eberl scrisse di nuovo al commissario, notificandogli che il campo sarebbe stato operativo l’11 luglio e ordinando ulteriori articoli per il campo[7]. La maggior parte di questi erano relativi all’illuminazione ma tra di essi c’erano anche “3 filtri di aspirazione” [Saugkörbe] per pozzi con valvole di non ritorno [Rückschlagventil] di 1 ½ pollice”. Da resoconti testimoniali sappiamo che un operaio edile chiamato Grzegorz Wozniak lavorò alla posa in opera dei tubi durante la fase di costruzione del campo[8].

Per quale scopo il piccolo campo di Treblinka, presuntamente un “campo di puro sterminio” avrebbe avuto bisogno di almeno 160 metri di tubature? Da un punto di vista sterminazionista la conclusione ovvia è che essi vennero usati per un’installazione di finte docce che era parte dell’arma del delitto. Yitzhak Arad descrive le presunte prime camere a gas di Treblinka nel modo seguente:

Durante i primi mesi delle operazioni nel campo, c’erano tre camere a gas, ognuna di metri 4×4 e alte 2.6 metri […]. Una stanza attaccata all’edificio conteneva un motore diesel, che introduceva il gas velenoso di monossido di carbonio attraverso i tubi nelle camere, e un generatore, che forniva l’elettricità all’intero campo. […] Dentro le camere i muri erano coperti con piastrelle bianche fino ad una certa altezza, e i soffioni delle docce e i tubi attraversavano il soffitto – tutto ciò era concepito per mantenere l’illusione di un bagno con docce. I tubi servivano in realtà per convogliare il gas velenoso nelle camere. Quando le porte venivano chiuse, non c’era illuminazione nelle camere[9].

Ma questo scenario è davvero credibile? Data una stanza alta metri 2.6, i soffioni delle docce avrebbero dovuto essere posti a circa 2.3-2.4 metri sopra il pavimento – chiaramente alla portata delle più alte tra le presunte vittime, così come di quelle più basse che fossero state sollevate o che fossero montate sopra altri. Secondo il verdetto del processo di Treblinka, ognuna delle tre camere ubicate nel vecchio edificio poteva ospitare 200-350 vittime, equivalente ad una capacità di 600-1.050 vittime per gasazione[10]. Considerando che durante il primo mese di operazioni del campo venivano inviati giornalmente al campo dal ghetto di Varsavia dai 6.000 agli 8.000 ebrei[11], questo significherebbe che avrebbero dovuto essere effettuate giornalmente dalle 6 alle 14 gasazioni. Considerando la progettazione usualmente impiegata per le installazioni delle docce nei campi di concentramento tedeschi[12], sembra inevitabile che i “finti” tubi e soffioni sarebbero stati danneggiati quotidianamente dalle vittime impaurite e disperate – se il gas di scarico letale fosse davvero fuoriuscito da queste docce, questo è. La nozione che sarebbe stato fattibile introdurre il gas nelle camere utilizzando l’installazione di una finta doccia è perciò, ad un’occhiata più ravvicinata, assurda. Un altro indizio che i tubi, se davvero furono utilizzati per il “bagno” descritto da Sulkowski e altri (qualcosa per cui non abbiamo una prova conclusiva ma che sembra probabile in assenza di altre installazioni conosciute al campo che avrebbero utilizzato questi tubi) erano parte di un’installazione di vere docce è il fatto che Eberl insieme ai tubi ordinò “6 armature stagne per la luce con supporto, chiudibili con griglia” (corsivo mio).

Anche più significativi sono i “3 filtri di aspirazione [Saugkörbe] per pozzi con valvole di non ritorno” ordinati il 7 luglio 1942. Un “Saugkorb” è un grande aspiratore, qualche volta sospeso su un galleggiante per tenerlo vicino alla superficie dell’acqua e contenente una valvola di non ritorno o valvola di ritegno, che è posta all’estremità di un tubo di aspirazione, che a sua volta è collegato ad una pompa. La sua funzione è di filtrare l’acqua e di fare in modo che il tubo di aspirazione sia riempito d’acqua[13]. I filtri per l’aspirazione vengono solitamente impiegati dai pompieri come mezzo per ottenere le grandi quantità di acqua necessarie per i loro tubi anti-incendio da acque sporche (come stagni o laghi), ma possono essere usati anche nei pozzi come parte del dispositivo di una pompa.

Secondo il tentativo sterminazionista più ambizioso per ricostruire visivamente Treblinka, le mappe di Peter Laponder dei primi anni 2.000[14], vi furono un totale di cinque pozzi nel campo: un pozzo per il personale tedesco nella parte più a nord del campo, uno vicino alla cucina delle guardie ucraine, uno ad ovest degli alloggi dei prigionieri ebrei e a sud dello “zoo”, uno nel “campo di accoglienza” vicino al raccordo ferroviario dove i nuovi arrivati scendevano dai loro treni, e infine uno nel “campo della morte vero e proprio”, nelle immediate vicinanze del “primitivo edificio delle camere a gas”. Il terzo di questi pozzi è visibile in una delle fotografie di Kurt Franz dello “zoo”[15]. È chiaro che questo pozzo veniva operato manualmente, e che nessun tubo di aspirazione o analogo dispositivo è visibile. Finora non sono riuscito a trovare nessuna descrizione dettagliata degli altri quattro pozzi, ma a quanto pare i primi tre vennero tutti utilizzati in rapporto alle cucine per le guardie e i prigionieri, così che è probabile che assomigliassero tutti a quello visto nella foto di Kurt Franz. La presenza di tre filtri di aspirazione al campo indica tuttavia che c’era bisogno di attingere una considerevole quantità d’acqua da almeno tre pozzi (sebbene uno dei filtri di aspirazione potrebbe essere stato utilizzato come riserva). Questa necessità potrebbe forse essere stata applicata al pozzo del campo di accoglienza, dove l’acqua sotto pressione può essere stata utilizzata per pulire i vagoni ferroviari vuoti, ma non ho trovato dichiarazioni testimoniali che asseriscano che questo pozzo fosse fornito di questo sistema di aspirazione. Tutto ciò sembra indicare che uno o più di questi filtri di aspirazione venissero utilizzati nel “campo della morte vero e proprio”. Da un punto di vista sterminazionista una tale installazione sarebbe insensata, ma da un punto di vista revisionista è perfettamente spiegabile, poiché un’installazione di docce utilizzata da centinaia di deportati alla volta avrebbe richiesto il drenaggio di grandi quantità d’acqua. Se il sistema di aspirazione era alimentato da un motore (come è spesso il caso) questo potrebbe aiutare a spiegare l’origine dell’accusa che il gas di scarico proveniente da un motore veniva utilizzato per gasazioni omicide. In questo contesto è opportuno far notare che il sito web ARC mostra una foto, a quanto pare scattata in qualche esposizione museale, di quello che si ritiene essere un “tubo di gasazione utilizzato nella camera a gas di Belzec”[16]. Questo strumento arrugginito, tuttavia, con la sua parte inferiore somigliante ad un canestro perforato, non assomiglia affatto ad un filtro con una doppia presa.

Sperling ha da dire la seguente osservazione sul numero dei deportati che arrivavano al campo (p. 249):
Nuovi trasporti arrivavano a Treblinka tutto il tempo. Qualche volta c’è una pausa di pochi giorni. Ma in media diecimila persone al giorno vengono uccise a Treblinka. C’è stato un giorno in realtà in cui il trasporto degli umani ha raggiunto la cifra di ventiquattromila”.

Tra il 22 luglio 1942 e la fine dello stesso anno – un periodo di 163 giorni – vennero portati a Treblinka ebrei per un totale di 713.555, il che significa una media di 4.378 arrivi al giorno. Una media di 10.000 al giorno significherebbe 1.630.000 arrivi durante lo stesso periodo, così Sperling sta chiaramente esagerando piuttosto che stimare in modo errato.

In rapporto alla discussione sul numero degli arrivi, Sperling condivide con i suoi lettori il seguente aneddoto bizzarro (p. 249):
Solo una volta gli ebrei lasciarono il campo vivi. Il Fronte aveva chiesto donne. Così centodieci delle più belle ragazze ebree, accompagnate da un dottore ebreo, vennero mandate via”.

A parte l’affermazione assurda che le donne ebree sarebbero state mandate al fronte per essere utilizzate come prostitute – cosa che avrebbe costituito una violazione delle leggi razziali nazionalsocialiste (sulla “Rassenshande”, contaminazione della razza) noi possiamo confrontare l’affermazione di Sperling che gli ebrei poterono lasciare il campo “solo una volta” con la dichiarazione del testimone Israel Cymlich secondo cui gruppi di ebrei dal campo di sterminio venivano regolarmente trasferiti al campo di lavoro di Treblinka I per reintegrare la sua forza lavoro[17], e con il verdetto del processo su Treblinka di Düsseldorf, secondo cui “provenienti da Treblinka, si dice che diverse migliaia di persone siano arrivati in altri campi”[18].

Il fumo e gli specchi di Ian Baxter

Infine darò un breve sguardo al libro di Ian Baxter The SS of Treblinka (Spellmount, Stroud 2012). Una ricerca su Amazon o su ogni altro libro in rete rivelerà che Baxter non è uno storico dell’Olocausto, ma uno storico militare e autore di un certo numero di libri, focalizzati sull’aspetto fotografico, che trattano il teatro europeo della seconda guerra mondiale, in particolare il fronte orientale. Un argomento comune delle recensioni in rete del suo libro è che l’impaginazione e le foto sono di alta qualità, ma che lo scritto è “storia leggera” o addirittura fornisce esempi di cattiva storiografia. Quest’ultimo appunto purtroppo si applica al suo recente libro incentrato sul personale tedesco e austriaco impiegato nel “campo di sterminio” di Treblinka.

Questo libro è principalmente una rimasticatura di Arad, Chrostowski, Steiner e Rückerl (come pure di materiale proveniente da H. E. A. R. T., dall’Holocaust Research Project e dal sito web dell’ARC, da cui la maggior parte delle illustrazioni sono prese), con la maggior parte delle citazioni di Wiernik e di altri. Ne consegue che il libro è soprattutto per quelli che cercano una trattazione esauriente; se volete comprare solo un libro quest’estate, tenete i soldi per qualcosa di migliore…

Va osservato innanzitutto che, nonostante il titolo, il libro non contiene quasi per nulla nuovo materiale sulle vite degli uomini che erano di guarnigione a Treblinka. Ci si potrebbe aspettare che Baxter abbia scavato più a fondo nei file degli interrogatori e delle indagini e che forse abbia anche cercato di intervistare loro parenti o conoscenti per gettare più luce sulle loro attività prima e durante la guerra come pure sui loro destini postbellici, ma purtroppo nessuna ricerca del genere sembra sia stata condotta.

Per quanto riguarda la cattiva storiografia, Baxter ricicla la diceria che John (Ivan) Demjanjuk prestò servizio come guardia nell’”area dello sterminio” (p. 68), nonostante il fatto che non esista alcuna prova solida che Demjanjuk fosse stato assegnato a Treblinka. Sospettiamo che il fatto che ora Demjanjuk sia morto non fermerà purtroppo la frequente ripetizione di quest’accusa. Troviamo ulteriori affermazioni secondo cui i trasporti degli ebrei olandesi vennero inviati a Treblinka nel 1943 (p. 91), una tesi che può essere esclusa dalle statistiche e dai dati sui trasporti disponibili. La sciatteria di Baxter come ricercatore è rivelata anche dal fatto che egli fornisce la cifra delle vittime di Sobibór come “circa 250.000” (p. 159) – una stima che è stata resa impossibile dalla scoperta del documento Höfle nel 2.000 – nonostante che nella sua bibliografia sia elencata l’edizione tedesca del 2003 dello studio su Sobibór di Jules Schelvis, che fornisce il numero degli arrivi ebraici al campo come circa 170.000.

Mentre per quanto riguarda delle piccole ma interessanti nuove curiosità, Baxter asserisce (p. 81) che durante l’ultima fase delle operazioni, l’uccisione dei deportati e dei detenuti malati veniva effettuata non solo mediante fucilazione ma anche mediante iniezioni letali; ma la fonte di tutto ciò non viene fornita. Apprendiamo anche un poco di più sul presunto “inganno” ai danni dei deportati ebrei che arrivavano. La testimonianza del SS-Untersharführer Willi Mentz è citata nel modo seguente (p. 71):
Quando gli ebrei erano scesi, Stadie o Matzig parlavano brevemente con loro. Veniva detto loro che ci sarebbe stato un trasporto di reinsediamento e che dovevano fare il bagno e che avrebbero ricevuto nuovi vestiti. Venivano anche istruiti a rimanere tranquilli e disciplinati. Avrebbero continuato il viaggio il giorno seguente”.

La parte di gran lunga più interessante del libro di Baxter consiste di tre brevi estratti di diari. Il primo di essi, riprodotto senza la data dello scritto e senza il nome dell’autore – tranne l’informazione che costui era “un ufficiale dello staff assegnato all’ufficio di [Christian] Wirth” – recita quanto segue (p. 103):

Visitai frequentemente TII nell’estate del 1943 e regolarmente tornavo a riferire a Wirth sullo smantellamento del campo. Mentre il comandante [Stangl] era in licenza arrivai a Treblinka e mi venne offerta una visita guidata dal vice Franz e da un altro ufficiale. Qui mi vennero mostrate le aree della cremazione e le fosse dove i cadaveri venivano riesumati dai prigionieri. Avevo con me la mia valigetta e feci prendere nota scritta al mio assistente dei calcoli che Franz mi fornì sul numero totale dei corpi riesumati finora. Non ero tanto interessato alla quantità o alla condizione dei prigionieri che lavoravano dentro queste fosse, quanto ansioso di conoscere come il lavoro doveva essere completato nel tempo specificato”.

La nota a piè di pagina di questa citazione fornisce la fonte come “Estratto da Ernst Reuss per l’autore. Novembre 2008. Diario catalogato 43216/A/2 ER”. Ernst Reuss è forse la stessa persona del perito tedesco e autore dello studio Kriegsgefangen im 2. Weltkrieg (Augsburg 2011). Non è chiaro a quale archivio il numero del documento si riferisca. Dai contenuti della citazione è chiaro che venne scritto retrospettivamente nel 1944 o più tardi, poiché l’innominato autore difficilmente avrebbe scritto “nell’estate del 1943” nel 1943. Per la seconda citazione ci viene presentato almeno un minimo di dati: “Un ufficiale dello Staff chiamato Kratzer che visitava Treblinka assieme ad uno dei rappresentanti di Globocnik trovò che Floss era un ‘camerata determinato’ che mostrava versatilità e molto piacere per la missione”. È questo Kratzer la stessa persona dell’autore del primo testo citato scritto nel 1944 o dopo? Il lettore non ha modo di saperlo. In ogni caso la seconda citazione recita nel modo seguente (p. 104, i puntini di sospensione sono di Baxter):
Ammiro il modo in cui i nostri uomini affrontano la cremazione dei cadaveri. Sono stato informato dall’esperto di cremazione Floss che le cremazioni saranno terminate per la fine di agosto o settembre…C’è molta attività nel campo e il personale qui sta lavorando in modo particolarmente duro per portare a conclusione questo sporco lavoro. TII è certamente governata in modo efficace e il mio rapporto sul suo smantellamento sarà presentato a tempo debito”.

Nemmeno in questo caso viene fornita la data, sebbene ci venga detto da Baxter che la visita di Kratzer ebbe luogo “verso la fine di luglio o all’inizio di agosto 1943” (bisogna tener presente che la rivolta dei prigionieri di Treblinka ebbe luogo il 2 agosto 1943) – una vaghezza che implica che questo passaggio è stato scritto o retrospettivamente o non come parte di un regolare diario, ma piuttosto come memoria. La fonte della seconda citazione viene fornita come “Estratto da Ernst Reuss per l’autore. Novembre 2008. Diario Catalogato 43217/B/3 ER”. La terza citazione recita (p. 106):
Dopo il mio giro scrissi delle note specifiche e feci uno schizzo del campo in modo che il mio capo avesse un’idea complessiva della conformazione generale del campo. Tutto ciò venne fatto in vista dei preparativi per lo smantellamento del campo”.

La fonte è fornita come: “Estratto da Ernst Reuss per l’autore. novembre 2008. Diario Catalogato 43218/C/4 ER”.

Osserveremo qui prima di tutto che nessuna di queste citazioni conferma l’accusa che Treblinka funse da “campo di puro sterminio”, ma solo che un numero di cadaveri non specificato venne cremato lì. Baxter dice ai suoi lettori (p. 104) che Kratzer “visitò il ‘Campo Superiore’ e vide egli stesso le camere a gas, le installazioni per lo smaltimento dei cadaveri e le enormi griglie di ferro, e le baracche per le unità lavorative ebraiche”. Questa descrizione, tuttavia, è completamente priva di fonti, e nessuna ulteriore citazione viene presentata in modo da permetterci di verificare fino a che punto essa corrisponda (se vi corrisponde) a quello che Kratzer scrisse davvero, e fino a che punto sia solo una congettura di Baxter. Tutto ciò è estremamente rivelatore, perché Baxter deve certamente essere consapevole del fatto che, poiché praticamente nessun documento dell’epoca di guerra su Treblinka è stato conservato (o piuttosto: di cui si sia a conoscenza), la scoperta di un diario contemporaneo autentico che descrive il campo, e scritto per giunta da un ufficiale dello staff tedesco (o forse da due diversi ufficiali) con accesso a tutte le parti del campo, è qualcosa di sensazionale. Ci si sarebbe aspettato che Baxter, invece di rimasticare vecchi materiali, avesse presentato questi testi nella loro integralità con commenti – o almeno tutti quei passaggi che confermavano l’esistenza nel campo delle camere a gas omicide, in modo da confutare i “negazionisti” una volta per tutte. Nell’introduzione (p. 9) egli in effetti parla di “materiale scoperto di recente, parte del quale non è mai stato pubblicato prima”. Quest’ultimo riferimento può, per quanto io possa dire, riferirsi solo agli estratti suddetti. Ci si sarebbe aspettato quindi che Baxter avesse riprodotto le annotazioni nella loro integralità (forse addirittura in facsimile) invece di dedicare cinque pagine (pp. 151-155) ad un irrilevante elenco generale dei campi di concentramento, otto pagine a riprodurre le liste dei trasporti dalle appendici del libro di Arad Belzec, Sobibor, Treblinka, o 16 pagine a delle biografie in miniatura dello staff del campo prese quasi alla lettera dal sito web dell’ARC (che, sia detto a merito di Baxter, egli ha almeno citato). Ma no, Baxter si accontenta di presentare solo le tre citazioni predette. Possiamo perciò tranquillamente presumere che Baxter (o il suo collega Reuss) avrebbe colto con entusiasmo l’opportunità di pubblicare un documento tedesco d’epoca (che fosse un memorandum oppure un diario) che descriveva le camere a gas omicide e/o le fosse comuni piene fino all’orlo di centinaia di migliaia di cadaveri ebraici a Treblinka se egli avesse davvero avuto accesso ad un tale documento, il che significa – con una certezza prossima al 100% — che egli (o Reuss) non ha un tale documento nelle sue mani. Tutto ciò in effetti lascia solo due possibili conclusioni:

  1. Le descrizioni del campo che si trovano in queste annotazioni di diario sono così vaghe che esse non confermano né confutano la versione ufficiale degli eventi.
  2. Le descrizioni del campo sono incongrue con la versione ufficiale degli eventi.

Comunque stiano i fatti su questa questione, è imperativo che questo documento storico potenzialmente estremamente di grande importanza venga presentato al pubblico in modo appropriato, che sia in un altro libro, o in un articolo o in rete. Poiché è improbabile che Baxter risponderà ad un appello espresso dai revisionisti, mi aspetto che gli storici dell’Olocausto sterminazionisti e gli antirevisionisti facciano del loro meglio per indurre Baxter o Reuss a pubblicare il documento (o i documenti). Che costoro abbiano qui finalmente l’opportunità per dimostrare con delle prove documentarie l’esistenza delle camere a gas omicide a Treblinka?

 

Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://www.inconvenienthistory.com/4/3/3185#_ednref18

 

 

 

 

 

 

  

   

 

[1] Ho discusso la breve e non molto conosciuta testimonianza di questo testimone nel mio articolo “Belzec – La testimonianza di Chaim Hirszman”, Smith’s Report n° 169 (febbraio 2010), pp. 7-10.

[2] Cf. Jules Schelvis, Sobibor. A History of a Nazi Death Camp, Berg, Oxford/New York 2007, p. 264.

[3] J. Graf, T. Kues, C. Mattogno, Sobibór. Holocaust Propaganda and Reality, TBR Books, Washington D.C. 2010, pp. 94–95.

[4] Cf. Carlo Mattogno, Jürgen Graf, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, Theses & Dissertations Press, Chicago 2004, p. 150.

[5] Vedi il mio articolo “Tree-felling at Treblinka”, Inconvenient History, vol. 1, nr 2 (autunno 2009), in rete:  https://codoh.com/library/document/1912/?lang=en . Traduzione italiana: https://www.andreacarancini.it/2018/09/thomas-kues-disboscamenti-treblinka/

[6] Questo documento è riprodotto in rete a http://www.holocaustresearchproject.org/ar/treblinka/docs/Treblinka%20-%20eberl%20letter.jpg e anche nel libro di Ian Baxter su Treblinka (la sezione senza numeri di pagina con le fotografie). Questa, come pure la lettera seguente si possono trovare in facsimile in J. Gumkowski, A. Rutkowski, Treblinka, Council for Protection of Fight and Martyrdom Monuments, Varsavia 1961, riproduzioni sulle pagine non numerate.

[7] Riprodotta in rete a: http://www.deathcamps.org/treblinka/pic/bigeberl.jpg

[8] Cf. Ian Baxter’s book on Treblinka reviewed below, pp. 33–34.

[9] Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps, Indiana University Press, Bloomington/Indianapolis 1987, p. 42.

[10]

Cf. C. Mattogno, J. Graf, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op.cit., p. 117.

 

[11] Ivi, pp. 275-276.

[12] Foto di queste docce a Dachau in rete a: http://www.whale.to/b/DachauShowers.jpg

[13] Cf. http://de.wikipedia.org/wiki/Saugkorb

[14] In rete a: http://www.deathcamps.org/treblinka/maps.html

[15] In rete a: http://www.holocaustresearchproject.org/ar/treblinka/treblinkagallery/Treblinka%20zoo%20and%20well%20.html

[16] http://www.deathcamps.org/belzec/photos.html

[17]

Israel Cymlich & Oskar Strawczynski, Escaping Hell in Treblinka, Yad Vashem, New York/Jerusalem 2007, p. 40

 

[18]

Cf. C. Mattogno, J. Graf, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op.cit., p. 287.

 

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