Il bosco di betulle, metafora dell’odierno giornalismo italiano

Il bosco di betulle, metafora dell’odierno giornalismo italiano

Il
bosco di betulle: è il titolo di un famoso film polacco del 1970[1], ma
può essere anche una metafora dei giornalisti italiani inseriti nei grandi media – giornalisti e media più che mai embedded – inseriti, e a libro paga di qualche servizio. 

Il
caso più clamoroso è quello di Renato Farina, ex vice-direttore di Libero, passato alla storia come l’”agente
Betulla” del SISMI. 

In
realtà, il pasticcione Farina, ripetutamente sbertucciato da Marco Travaglio[2],
faceva meno danno di tanti altri: quelli che non solo sono più scaltri di lui ma
che lavorano per servizi stranieri, a
cominciare dalle agenzie americane.  

Chissà
quanti ce ne sono, al “Corriere”, a “Repubblica” e…al “Fatto Quotidiano”! 

Si
dirà che le mie sono solo illazioni. Non esattamente: esiste infatti la
categoria del “legittimo sospetto”, tanto cara al detto Travaglio e ai suoi
colleghi. 

Si
ha il diritto di usarla, quando si leggono – o si sentono – cronache,
soprattutto quando è in gioco la politica
estera
, che sembrano cablogrammi dell’ambasciata americana! 

Travaglio
ha poco da ironizzare dal pulpito di un giornale come il suo, che degli “house
organ” del partito americano in Italia è senz’altro il più subdolo, avendo come
target lettori “opinionati” e tendenzialmente di sinistra. 

Il
ruolo dei giornalisti, nella guerra psicologica permanente condotta contro il
popolo italiano, è finora il meno indagato, rispetto a quello esercitato dai
politici e dai militari[3], ma è
essenziale: ecco, invito a leggere la metafora iniziale di questo post alla
luce di quanto scrivevano a suo tempo, sul ruolo della Cia in Italia, Fulvio
Bellini e Alessandro Previdi nel loro L’Assassinio
di Enrico Mattei
(SELENE EDIZIONI, Milano 2005, nota 12 a p. 228): 

“Per motivi facilmente intuibili è difficile, per non dire
impossibile, farsi un qua­dro preciso e particolareggiato della CIA in Italia,
del suo peso e delle sue ramificazioni. Per averne un’idea, sia pure soltanto
indicativa, non resta che procedere per analogie, prendendo in esame la
situazione della CIA in quei Paesi appartenenti alla NATO dove le vicende
interne di questi ultimi tempi hanno permesso di fare luce sul mondo sotter­raneo
dei servizi segreti. La Grecia offre, al riguardo, utili indicazioni.
“Nel luglio del 1969, Andreas Papandreu, che per le sue
passate attività di governo era a conoscenza dei segreti di Stato, concesse
un’esplosiva intervista al L’Espresso
(n. 30, 1969) sul ruolo giocato dalla CIA nel colpo di Stato dei colonnelli.
Secondo il leader in esilio dell’Unione di centro, il numero degli agenti della
CIA in Grecia non è mai stato inferiore alle mille unità: «Quando ero al governo
scoprii che in Grecia non vi erano meno di mille o forse duemila agenti della
CIA; oggi saranno tre o quattro volte di più”. Lo stesso colonnello
Papadopulos, capo della Giunta militare, si preparò al colpo di Stato dirigendo
l’ufficio di controspionaggio greco, il Deuxième Bureau, che era al soldo
diretto dell’agenzia spionistica americana.
“Ecco, testuali, le parole di Andreas Papandreu: «La goccia
che fece traboccare il vaso fu il nostro tentativo di
riportare il Deuxième Bureau greco sotto il controllo del governo, mentre fino a quel momento era stato alle dipendenze della
CIA, che lo finanziava e pagava perfino gli stipendi
agli ufficiali. Da quel momento Washington qualificò, evidentemente, mio padre e quelli che gli erano vicini come
dei pericolosi sovversivi e la macchina
del complotto che doveva estrometterci dal potere si mise in moto».

FINE DELLA
CITAZIONE. 

“Tre o quattro
volte di più”, rispetto a 2.000 agenti Cia, nella Grecia del 1969 equivalgono a
6.000-8.000. La prima edizione del libro in questione è del 1970: da allora, la situazione, sia in
Grecia che in Italia, non può che essere peggiorata. 

I risultati, sia
in Grecia che in Italia, sono sotto gli occhi di tutti.

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