La morte della democrazia israeliana

La morte della democrazia israeliana

LA MORTE DELLA DEMOCRAZIA ISRAELIANA
Molti israeliani di sinistra sono preoccupati che la legislazione antidemocratica stia spingendo Israele verso il fascismo
Di Mya Guarnieri, 6 febbraio 2011[1]
Mentre gli egiziani reclamano la loro libertà, chiedo a un musulmano a Jaffa se vedremo la stessa cosa in Israele. “Non credo”, risponde. “Qui anche con tutti questi guai abbiamo una democrazia”.
Ma, l’abbiamo davvero? E per quanto ancora?
Mentre parliamo, la Knesset sta discutendo uno tra i tanti disegni di legge antidemocratici. Una parte della legislazione prende di mira i cittadini palestinesi di Israele – persone come quest’uomo e sua moglie, che mi offre subito un caffè e le sue opinioni.
Se passa la legge sull’”Admissions Committee” [Consiglio per le ammissioni], ad esempio, questa giovane coppia e i loro tre figli si potranno ritrovare banditi dal vivere in certe comunità e villaggi, anche in quelli costruiti su suolo pubblico. Se verrà approvato il disegno di legge sulla Nakba, le associazioni che commemorano l’espulsione del 1948 dei palestinesi non avranno [più] diritto ai fondi pubblici. Questa è una versione annacquata del disegno. La versione originale voleva imprigionare chiunque avesse commemorato pubblicamente il Giorno della Nakba. Altre leggi mirano a zittire individui e gruppi che criticano il governo.
L’Israeli Democracy Institute (IDI) sostiene che questi disegni di legge presentano “serie minacce” per il paese. Spiegando che la morte della democrazia è “un processo graduale”, l’IDI, un centro studi indipendente con sede a Gerusalemme, avverte: “Le persone che sono preoccupate ma che aspettano il ‘momento del pericolo vero’ per abbandonare il loro trantran e intraprendere dei passi per difendere la democrazia, commettono un errore. Il momento del pericolo vero è adesso”.
Va notato che l’IDI è riuscito a pubblicare questo [articolo] op-ed[2] sul Jerusalem Post, un quotidiano di centro-destra, mentre il giornale di centro-sinistra Haaretz ha recentemente pubblicato un certo numero di pezzi che esprimono analoghe preoccupazioni sulla democrazia in Israele. Tutto ciò suggerisce che anche il centro israeliano – per quanto indifferente – è preoccupato della situazione.
Diminuire lo spazio democratico
Alcuni critici potrebbero dire che Israele non è mai stata una democrazia nel vero senso della parola. I cittadini arabi dello stato furono sottoposti alla legge marziale dal 1949 al 1965. Un anno dopo, iniziò l’occupazione, certamente antidemocratica, dei territori palestinesi.
Il deputato Dov Khenin, del partito arabo-ebraico Hadash, la mette così: “In Israele c’è uno spazio democratico specifico. Non è grande, e rispetto alla questione degli arabi, è anche più piccolo. Ma tale spazio per noi è importante perché è lo spazio in cui ci troviamo”.
Egli indica la sala di Jaffa, dove sta tenendo una conferenza intitolata “Il pericolo del fascismo”. Vi sono circa 20 persone presenti – un numero che fa tristezza considerata l’importanza di ciò che è in gioco.
“Ciò che è accaduto in anni recenti – e si tratta di un processo molto pericoloso – è che lo spazio viene attaccato ed eroso”, continua Khenin.
“Uno degli attacchi arriva in forma di razzismo”, afferma.
Spiega che se i membri arabi della Knesset sono sempre stati guardati con sospetto – vengono in mente i crudeli attacchi verbali che Haneen Zoabi ha dovuto subire alla Knesset dopo aver partecipato alla flottiglia – il governo “ora attacca non solo i membri arabi della Knesset ma tutta la popolazione araba”.
“Il processo si sta allargando”, aggiunge Khenin. “E se guardiamo agli ultimi due anni, non è solo la popolazione araba, [il governo] attacca anche gli ebrei che la pensano diversamente”.
Una caccia alle streghe politica
Questo attacco arriva sotto forma di leggi antidemocratiche che [se approvate] limiterebbero la libertà di parola, e di campagne contro le organizzazioni israeliane per i diritti umani.
L'[anti] Boycott Bill [disegno di legge contro il boicottaggio] criminalizza tutti coloro che negano il carattere ebraico e democratico di Israele. Avendo firmato articoli in cui chiedo una democrazia bi-nazionale, tutto ciò mi potrebbe portare in prigione. (E, se mi trovo già sulla via della prigione, potrei dire anche, ovviamente, che un paese che ha bisogno di costringere le persone a chiamarlo democratico, sotto pena di prigione, non è una democrazia).
E la Knesset sta valutando la costituzione di comitati che indaghino sui finanziamenti delle associazioni di sinistra per i diritti umani e civili – la maggior parte delle quali sono critiche nei riguardi dell’occupazione israeliana. I critici hanno paragonato la mossa ad una caccia alle streghe politica, poiché i gruppi di centro-destra non verranno sottoposti ad indagine. Essi fanno anche notare che una tale indagine, che è di responsabilità del potere giudiziario, oltrepasserebbe le competenze della Knesset.
‘Scivolare verso il fascismo?’
In ottobre, ad una protesta contro la legge comunemente conosciuta come il “loyalthy oath” [giuramento di lealtà] – una legge che imporrebbe ai non ebrei che chiedono la cittadinanza israeliana di promettere lealtà ad uno stato “ebraico e democratico” – Gavriel Solomon, eminente accademico e pacifista, ha paragonato Israele alla Germania Nazista, quella circa del 1935.
Quello fu l’anno in cui le leggi di Norimberga – la legislazione razzista che condusse alla sistematica e mortale persecuzione degli ebrei – vennero create.
“Ancora non c’erano campi [di concentramento] ma c’erano le leggi razziste”, ha detto. “E noi stiamo andando verso questo tipo di leggi”.
Parlando con Al-Jazeera per telefono, Solomon ha attenuato il suo messaggio, osservando che: “La questione è se davvero non stiamo scivolando verso il fascismo”.
“Anche se abbiamo chiaramente persone come [Avigdor] Lieberman [il ministro degli esteri] che non sono sensibili alla questione…a destra vi sono abbastanza persone da non permettere che leggi come quelle di Lieberman passino”, ha detto, indicando membri del Likud come Dan Meridor.
Ma Haaretz ha rivelato di recente che i destrorsi si stanno mobilitando negli insediamenti ebraici per reclutare elettori che mandino via Meridor dalla Knesset.
E i destrorsi stanno facendo altre mosse per zittire il dissenso: Haaretz riferisce che sono riusciti a far chiudere le pagine Facebook di numerosi gruppi di sinistra.
A seconda di come questi destrorsi imboniranno i loro progetti – cercano di zittire il dissenso o prendono le misure necessarie all’immagine e alla sicurezza di Israele? – l’opinione pubblica israeliana potrebbe essere desiderosa di unirsi a loro in blocco.
Un recente sondaggio, condotto dal Geocartography Knowledge Group, ha trovato che più della metà degli israeliani ebraici vogliono limitare la libertà di stampa se i media presentano una minaccia per l’immagine dello stato. E quasi due terzi imporrebbero restrizioni alla libertà di parola per motivi di sicurezza.
Razzismo verticistico
L’Association for Civil Rights in Israel (ACRI) è una delle organizzazioni di punta nella lotta contro le leggi antidemocratiche. La portavoce Ronit Sela osserva: “Penso che la cosa grave è che non sono solo i gruppi o la gente della strada che dicono cose razziste e antidemocratiche…[è] la Knesset e il governo”.
“E non vediamo tutta questa forte opposizione da parte del primo ministro [Benjamin Netanyahu]”.
Sela sottolinea il fatto che, sia che passino oppure no, i disegni di legge stanno facendo danni.
“Quando l’uomo della strada legge sul giornale che vi sono membri della Knesset che vogliono inquisire queste organizzazioni sui loro finanziamenti, fa impressione”, dice. “Il danno alla reputazione delle organizzazioni per i diritti umani, agli arabi di questo paese e ai cittadini ebraici che lavorano con loro, è già stato fatto”.
“È il contenuto antidemocratico che sta scivolando nel mainstream israeliano”, aggiunge.
Proprio come Sela, che ammonisce dal concentrarsi solo sul passaggio legislativo, Khenin mette in guardia contro l’addossare la crisi politica di Israele ad una persona o a un gruppo.
“Quando parliamo dell’ascesa del fascismo in Israele, parliamo dei gruppi dei rabbini estremisti e delle milizie dei coloni”, dice. Ma è un errore concentrarsi solo su questi gruppi…Il pericolo del fascismo è più ampio”.
Egli si riferisce ad una corte suprema debole e ai problemi all’interno dei partiti israeliani, come pure ad un centro politico che è scomparso [dallo schieramento] e che non può più tenere la destra sotto controllo.
“Dobbiamo capire che il fascismo non è un’espressione di forza, è un’espressione di debolezza”.
Khenin fa notare che non molto tempo prima che Netanyahu diventasse primo ministro, definì i cittadini palestinesi di Israele una minaccia demografica. “E ora è a capo del governo”, aggiunge.
E poiché la morte della democrazia è legata all’occupazione [dei territori palestinesi], “un popolo che opprime un altro popolo non può essere libero”, dice Khenin, parafrasando Friedrich Engels.
Il cambiamento è nell’aria
Perché la gente va in strada per la democrazia?
Oded è un designer industriale di 29 anni che chiede di essere nominato con uno pseudonimo perché teme ripercussioni sociali e professionali per il fatto di esprimere le sue opinioni politiche e di farlo su un canale d’informazioni arabo”.
Lui dice che, se continua il trend attuale, è probabile che Israele vedrà un governo fascista. In passato, ricorda Oded, le opinioni dissenzienti venivano tollerate. “Ora, è impossibile dire qualcosa contro lo stato o il governo. Se lo fai, sei un ‘traditore’ perché è lo stato il valore che conta”.
E Oded, nipote di un sopravvissuto dell’Olocausto, osserva che questo genere di ultranazionalismo sta alla radice sia del fascismo che del razzismo.
“Protesterai?”, gli chiedo.
“No”, dice. “Finora, per quanto suoni egocentrico, non mi importa davvero perché ho cose nella mia vita personale che sono più importanti. E sono pigro”.
Quando gli chiedo se ritiene che tale apatia possa permettere agli estremisti di prevalere, annuisce. “Penso che [se avessimo un governo fascista] me ne andrei”, dice, esprimendo qualcosa che ho già sentito dire da molti israeliani.
Una recente manifestazione intitolata “Marcia per la democrazia quando ancora possiamo”, ha riunito circa 20.000 persone. Molti recavano cartelli che recitavano: “Gli ebrei e gli arabi rifiutano di essere nemici”.
E, sabato notte, circa 200 cittadini palestinesi di Israele e attivisti israeliani ebraici di sinistra si sono riuniti per esprimere solidarietà ai dimostranti per la democrazia dell’Egitto, e per manifestare contro l’oppressione in Israele.
Un manifestante israelo-palestinese ha detto, in ebraico, che il Medio Oriente si deve sbarazzare dei “tre b.: Barak, Bibi [Netanyahu] e Mubarak”.
Se per Israele un cambiamento significativo è molto lontano – potrebbe essere necessario qualcosa di enorme, come il fascismo, per scuotere gli israeliani ebraici dalla loro apatia e dai sogni di conservare uno stato sia sionista che democratico – il cambiamento è nell’aria.  

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://english.aljazeera.net/indepth/features/2011/02/201126123643463123.html .
[2] Definizione di “op-ed” de “ilRagazzini2011”: pagina (di un quotidiano) di fronte a quella degli editoriali (contiene elezeviri, recensioni di libri, ecc.)

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