Mons. Pier Carlo Landucci sul Testimonium Flavianum

Mons. Pier Carlo Landucci sul Testimonium Flavianum

L’UNIVERSITÀ EBRAICA PER LA STORICITÀ DI GESÙ

Di Mons. Pier Carlo Landucci (1972)[1]

Il New York Times del 13 Febbraio riporta un’ampia corrispondenza da Gerusalemme del proprio corrispondente Peter Grose, circa le ricerche sulla storicità di Gesù dei professori Shlomo Pines e David Flusser, docenti rispettivamente di filosofia e di religione comparata nell’Università ebraica. Tale corrispondenza sta avendo eco internazionale ed è stata già ampiamente sunteggiata nel Figaro. Io mi riferisco direttamente all’articolo del N. Y. Times.

La storicità di Cristo – debbo premettere – è, per noi, criticamente assodata dalla quadruplice testimonianza evangelica, ulteriormente avvalorata dalla letteratura cristiana dell’età apostolica. L’obbiettività delle fonti evangeliche, nonostante che siano scritte da cristiani, risalta, a prescindere dalla fede, dalla struttura stessa letteraria dei Vangeli, non sistematica, episodica, semplice, non parenetica, larga di descrizioni umanamente sfavorevoli, assai diverse tra loro, ma complementari.

La conferma di testimonianze profane è tuttavia particolarmente utile, come la più accetta ovviamente, nel campo avversario. Non fa meraviglia che esse siano scarse, poiché le divine gesta di Cristo si sono svolte storicamente nella ristretta terra di Palestina. Nel mondo latino abbiamo tuttavia varie allusioni: di Plinio il Giovane (61-114), nella lettera a Traiano e nel rescritto di risposta (Epist., X, 96-97); di Svetonio (70-140), nella Vita Claudii (XXV); di Tacito (55-120), negli Annali (XV, 44); negli attacchi dell’epicureo Luciano e di Celso. Ecco, tra l’altro, Plinio, circa i cristiani dei primissimi anni del II secolo: « Abituati a riunirsi, venuto il giorno, prima della luce, a pregare Cristo come Dio (carmenque Christo quasi Deo dicere) ». Qualche anno dopo, Tacito: « Il fondatore dei cristiani, Cristo, per comando di Tiberio, tramite il procuratore Ponzio Pilato, veniva mandato a morte…».

Ma il più celebre testo è quello del giudeo romanizzato Giuseppe Flavio (37-102), che nelle Antichità Giudaiche, scritte verso l’ultima decade del I secolo, oltre nominare i due grandi personaggi evangelici quali Giovanni Battista e Giacomo il Minore, parla particolareggiatamente di Gesù e dei cristiani, in un celebre passo (XVIII, 63-64), nominato dalla critica come Testimonium Flavianum.

È appunto su quest’ultimo che si è rivolto lo studio dei suddetti professori dell’Università ebraica. I risultati sono riferiti dal Pines in un saggio pubblicato in inglese dalla Accademia Israelitica di Scienze e Umanità, mentre il Flusser, di rincalzo, lì riferirà in un articolo che, al momento, di questo servizio da Gerusalemme, non era ancora stato dato alle stampe, ma di cui il corrispondente del N. Y. Times deve avere avuto notizia in privato.

Ecco il tradizionale testo, secondo il greco, del Testimonium Flavianum, riportato in detta corrispondenza: « Circa questo tempo visse Gesù, un uomo saggio, se dovessimo proprio chiamarlo uomo. Infatti egli fu uno che operò fatti prodigiosi e fu un maestro tale che il popolo accettava la verità con gioia. Oltre a ciò egli conquistò molti giudei e molti greci. Egli fu il Messia. Quando Pilato, avendolo sentito accusato dagli uomini del più alto rango tra noi, lo condannò ad essere crocifisso, quelli che da principiolo amarono non [lo] abbandonarono. Al terzo giorno egli apparve loro, restituito alla vita. Poiché i profeti di Dio avevano profetizzato queste e miriadi di altre [cose] meravigliose a suo riguardo. E la tribù dei cristiani, che prese il nome da lui, fino a questo momento non è ancora scomparsa ».

Per quanto sia vero, come dice il prof. Pines, che « pochi testi storici o nessuno sono stati spesso citati, più passionatamente respinti e denunciati come falsificazioni letterarie, più devotamente difesi, più accuratamente pubblicati e più variamente emendati » di questo Testimonium Flavianum, egli esagera quando afferma che i moderni studiosi cristiani sono « quasi unanimi » nel considerarlo « una falsificazione compiuta dai capi della Chiesa del terzo e quarto secolo », data la sua « impronta troppo cristiana ». Molto più equilibratamente Giuseppe Ricciotti fa rilevare, in suo favore, che esso « concorda con tutta la tradizione manoscritta », che la sua autenticità fu negata soltanto nello scorso secolo, alla fine del quale tuttavia si delineò una reazione favorevole, anche dei protestanti quali il Burkitt e l’Harnack, che l’esame filologico puro è tutto a favore dell’autenticità, che Giuseppe F. può benissimo considerarsi « genuino nel suo fondo » e anche « probabilmente integralmente autentico »; non esclude tuttavia una qualche probabilità di « interpolazioni cristiane ».

Il fondato dubbio di queste interpolazioni (che ha indotto alcuni autori alla negazione totale della autenticità) sta proprio, come hanno ribadito i suddetti professori ebrei, nelle espressioni troppo cristiane, difficilmente attribuibili all’ebreo-pagano Giuseppe Flavio. Sono le espressioni che qui sopra ho sottolineate.

Ora ecco la scoperta dei due studiosi. Mi limito al punto essenziale. Il Pines ha sottoposto ad analisi un testo arabo del decimo secolo, già noto bensì da tempo, ma non bene analizzato. È un manoscritto intitolato: « Kitab al-Unwan al-Mukallai bi-Fadail al-Hikma al-Mutawwaj bi-Anwa al-Falsafa al-Manduc bi-Hacac al-Marifa », che vuol dire: « Libro di storia, guidato da tutte le virtù della saggezza, coronato da varie filosofie e benedetto dalla verità della conoscenza ». Fu scritto da un certo Vescovo Agapio, il quale, nell’enumerare, in relazione alla crocifissione di Cristo, varie opere antiche che vi si riferiscono, cita anche « Giuseppe l’ebreo…, nei trattati che ha scritto sui governi dei giudei ». E qui Agapio riporta il seguente testo, come scritto appunto da Giuseppe Flavio: « In questo tempo esisteva un uomo saggio chiamato Gesù. E la sua condotta era buona, ed [egli] era conosciuto come virtuoso. E molta gente tra i giudei e altre nazioni divennero suoi discepoli. Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte. E coloro che divennero suoi discepoli non abbandonarono la sua sequela. Essi raccontavano che egli era apparso loro tre giorni dopo la sua crocifissione e che egli era vivo; di conseguenza, egli era forse il Messia riguardo a cui i profeti avevano raccontato cose meravigliose ».

Con sorpresa si scopre che questo testo corrisponde, passo passo, fondamentalmente, a quello sopra trascritto, con l’omissione delle frasi troppo impegnative cristiane e del riferimento alla responsabilità dei capi ebrei. Ora, mentre è difficile pensare – osservano sostanzialmente i due studiosi – che la penna cristiana che ha scritto questo testo abbia radiato dal vero Giuseppe Flavio le più belle asserzioni cristiane e le responsabilità ebraiche nella condanna di Gesù, è facile ammettere la possibilità che un primitivo testo di Giuseppe quando venne assunto dalla letteratura cristiana sia stato integrato da più esplicite affermazioni cristiane. Nel manoscritto del Vescovo Agapio avremmo quindi probabilmente il vero testo di Giuseppe. Si dovrebbero quindi ammettere le interpolazioni; ma cadrebbe la fondamentale difficoltà contro la sostanziale autenticità del testo, ossia contro la sostanziale verità storica del Testimonium Flavianum. Esso presenta anzi, senza quelle interpolazioni, ancor più valore, come pura conferma profana, su tanti punti essenziali, della veracità storica evangelica. Si dimostra infatti estraneo a qualsiasi intento apologetico cristiano.

Non seguirò il prof. Flusser nella ricerca della fonte dalla quale Agapio può avere attinto, nel decimo secolo, questo più autentico testo di Giuseppe. Il Flusser si sforza di dimostrare che tale fonte può essere stata una edizione anteriore a quella attualmente conosciuta della Storia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea (265-339), il quale cioè, solo in un secondo tempo, avrebbe inserito quegli elementi cristiani più espliciti in questo testo.

Qualunque sia, comunque, il valore di tale ipotesi, resta il fatto dei due suddetti testi e della suddetta deduzione che si può trarre dal loro confronte: a sostegno della validità sostanziale del Testimonium stesso.

[1] Da L’OSSERVATORE ROMANO, 10 Marzo 1972, p. 5.

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