Seweryna Szmaglewska: quando la propaganda è più nera del fumo

Seweryna Szmaglewska: quando la propaganda è più nera del fumo

L’IMPORTANZA DI UN TESTIMONE SENZA IMPORTANZA

Di Thomas Kues, Gennaio 2009[1]

Per coloro che studiano le presunte camere a gas omicide del complesso dei campi di Auschwitz, Seweryna Szmaglewska è una testimone decisamente irrilevante. Polacca, nata nel 1916, ella non affermò mai di aver assistito con i propri occhi a gasazioni di esseri umani. Eppure, la Szmaglewska si è conquistata un posto nella storiografia di Auschwitz poiché lei e Marie-Claude Vaillant Couturier – un’altra testimone che non pretese mai di aver assistito a delle gasazioni – furono i soli ex detenuti di Auschwitz a testimoniare dopo la fine della guerra davanti al Tribunale Militare Internazionale di Norimberga. Oltre alla sua testimonianza in tribunale, la Szmaglewska scrisse anche un resoconto più lungo dei suoi tre anni a Birkenau, che venne tradotto in inglese e pubblicato con il titolo di Smoke Over Birkenau [Fumo su Birkenau] (Henry Holt and Company, New York 1947).

Nella prefazione del libro, l’autrice stessa afferma che “fino al 18 Gennaio del 1945, nei crematori di Oswiecim [si riferisce allo Stammlager di Auschwitz] e di Birkenau vennero cremate persone per un totale di circa cinque milioni. Di questa cifra, più di tre milioni erano ebrei, avvelenati con il gas o vittime di epidemie”. Persino all’epoca della sua pubblicazione, qualche lettore potrebbe essere rimasto sconcertato da questa cifra. Dopo tutto, la “stima” del numero delle vittime di Auschwitz, da parte della propaganda sovietica ufficiale, venne fissata in quattro milioni. Da dove viene il milione supplementare? La Szmaglewska afferma che tali cifre “vennero date al tempo della liquidazione del campo dalle persone che lavoravano nel Dipartimento Politico di Oswiecim”. Ci si potrebbe chiedere quante persone in una posizione tanto privilegiata da captare e ricevere informazioni sul presunto sterminio riuscissero a fornire un numero di vittime quattro volte maggiore del numero totale dei deportati nel complesso dei campi in tutto il periodo in cui furono operativi. Abbiamo a che fare qui con lo stesso misterioso “fattore del quattro” che Pressac scoprì quando esaminò gli scritti autobiografici del dr. Miklos Nyiszli?

Come la maggior parte degli ex detenuti di Auschwitz che non possono sbandierare osservazioni oculari proprie sulle presunte camere a gas omicide, la Szmaglewska impiega un numero considerevole di paragrafi a fornire vivide descrizioni della zuppa acquosa di rapa, del lavoro estenuante, dei pestaggi dei detenuti da parte dei kapò e delle SS, e delle selezioni dei malati e dei debilitati (per le camere a gas, of course). Particolarmente illuminante è la descrizione della Szmaglewska dell’atteggiamento delle detenute verso le cure mediche fornite al campo (p. 32):

“Poiché all’ospedale ogni donna malata viene esaminata da un dottore delle SS e se sospettata di avere una malattia contagiosa viene sterminata, le donne polacche sono decise a evitare l’ospedale a ogni costo. Il pensiero comune è: meglio mentire tra la pioggia e il fango che andare in ospedale dove vi aspetta solo la morte”.

Si può solo congetturare quanti detenuti malati ad Auschwitz morirono invano a causa di un tale atteggiamento, prodotto dalla propaganda nera e dalla diffusione delle dicerie. Szmaklewska, naturalmente, sostiene che, riguardo al tifo, “al campo non viene fatto nulla per estirpare la malattia”. Ma allora ci si potrebbe chiedere: perché vennero installate numerose camere di disinfestazione?

Da riconosciuta testimone di Auschwitz, la Szmaglewska ritiene anche opportuno fornire ai suoi (fiduciosamente devoti) lettori delle descrizioni dantesche dei sinistri, torreggianti camini dei crematori che eruttavano fumo nero e fiamme infernali (nel 1944):

“Nelle baracche e tra le baracche, sotto il cielo e sopra la terra, nell’aria in movimento, pesante e immoto come un corpo solido, [il fumo] riempe la bocca, la gola, i polmoni, impregna i vestiti, penetra nel cibo. Dai due crematori più vicini, due nuvolaglie scure avanzano lentamente come colonne, arrivando fino al cielo, e cadendo poi a spirali. A volte nell’oscurità, la lava erompe in fiamme vive, il fuoco erutta potente dalla gola del camino, fendendo l’oscurità fino al blu profondo del cielo e scomparendo dopo un po’. Qualche volta – specialmente di sera – i crematori eruttano fiamme per lunghe ore, spesso fino al mattino”.

Come è stato fatto notare dal revisionista Carlo Mattogno, nessun pennacchio di fumo, né nero né di nessun altro colore, è visibile sulle foto aeree di Birkenau scattate nel 1944, proprio quando 400.000 ebrei ungheresi vennero presuntamente gasati e cremati lì; e la solita affermazione delle fiamme che uscivano dai camini dei crematori non è nient’altro che una diceria o una fantasia (“Flames and Smoke from the Chimneys of Crematoria”, The Revisionist, Vol. 2, n. 1[2]). Ma perché dovremmo fidarci della scienza, quanto l’eminente testimone Szmaglewska nella prefazione ci assicura di dire la verità, tutta la verità, e nient’altro che la verità? (p. VIII):

“Fornirò solo i dati di ciò che ho osservato o di ciò che io stessa ho subìto direttamente. Gli eventi da me descritti ebbero luogo a Birkenau (Oswiecim II). Per evitare qualsiasi fraintendimento tengo a dichiarare che non voglio in alcun modo esagerare l’importanza dei fatti o di deformarli a scopo di propaganda. Certe cose non necessitano di esagerazioni. Tutto ciò che scrivo qui sono pronta a testimoniarlo davanti a qualunque tribunale”.

Così è meglio crederle, per noi poveri peccatori! Ma non è tutto: l’autrice arriva anche a dirci che “vengono fatte grandi economie nell’uso del gas” in modo tale che “i bambini piccoli vengono bruciati vivi” dopo essere stati separati, nei crematori, dai propri fratelli e genitori (p. 286).

Tra i passi salienti di propaganda smaccata del libro vi sono senza dubbio le invettive antitedesche attribuite dalla Szmalewska a una compagna di prigionia chiamata Barbara, il cui “pensiero è come una luce sacra”, secondo l’autrice. Apprendiamo che i tedeschi “nella loro mentalità da cavernicoli (…) riescono a vedere solo l’omicidio, la preda e il sangue come mezzi per realizzare i loro scopi” e che “è colpa dei tedeschi se il genere umano nella nostra epoca ha preso la strada sbagliata ed è entrato in un periodo di follia”, il che non dovrebbe sorprendere poiché “l’anima della Germania è sanguinaria da secoli”. Secondo la profezia di questa “santa” Barbara, “la verità incomberà sulla Germania come questa colonna di fumo dal crematorio” – il che implica che la verità è invisibile piuttosto che indivisibile – inoltre la verità colpirà la Germania “come il grido dei bambini che avete buttato vivi nel fuoco”, e la stessa nazione tedesca è destinata a disperdersi “come le ossa umane disperse sui campi” (pp. 257-9).

Fortunatamente (per l’intrattenimento dei suoi lettori) nemmeno la Szmaglewska è una dilettante quando si tratta di ritrarre i membri delle SS (indifferentemente definiti come “tedeschi” o semplicemente “i tedeschi”, per amore di fanatica chiarezza) (p. 303):

“Essi [le SS] vogliono che la paura e l’orrore prendano il controllo dell’intera persona. Ecco perché torturano, in modo perverso, i cadaveri, perché tormentano i corpi morti delle donne, arrivando alla furia, all’estasi, fino ad avere la bava alla bocca. Solo quando gettano il corpo morto nel fuoco e lo vedono sobbalzare, sfrigolare e contorcersi nelle fiamme, si danno alla pazza gioia. Allora i tedeschi scoppiano in risate selvagge, sparano una salva di colpi nell’aria, saltano sulle loro motociclette e corrono all’impazzata verso un altro dei campi dove li aspettano nuovi divertimenti”.

Di certo nessuno, nella nostra epoca illuminata, troverà “eccessivo” un tale quadro. Ovviamente, le autorità del campo selezionavano solo le SS più sadiche, perverse e sanguinarie per dirigere il campo e per assicurarne il funzionamento nel modo più efficiente e sbrigativo possibile. Troviamo anche un ritratto degli uomini delle SS che li descrive come dediti alle droghe, e ad orge con guardie femminili e kapò tedesche della sezione femminile del campo (p. 310).

Qual è allora l’importanza della signora Szmaglewska e della sua testimonianza? A quanto pare, è una descrizione alquanto stiracchiata e inconsistente della vita delle detenute nella sezione femminile del campo di Birkenau, senza reali informazioni di sorta sui presunti stermini mediante gas del campo. La sua importanza sta invece nel fatto che sia lei che l’ebrea comunista francese Vaillant-Couturier furono i soli ex detenuti del campo di Auschwitz a testimoniare davanti al Tribunale Militare Internazionale di Norimberga. L’Unione Sovietica e i suoi stati satellite appena occupati scelsero la Szmaglewska e solo la Szmaglewska, quando avrebbero potuto presentare Miklos Nyiszli, Szlama Dragon o Henryk Tauber (il testimone star di Pressac) a testimoniare davanti alla corte sulle loro osservazioni delle presunte camere a gas omicide di Auschwitz. E dove erano i testimoni chiave degli altri campi, come Rudolf Reder e Jankiel Wiernik? È possibile che le potenze che stavano dietro il Tribunale Militare Internazionale preferissero che, per mettere per iscritto descrizioni più o meno dettagliate delle camere a gas e delle gasazioni di massa, si presentassero davanti alla corte, a concionare su rape ammuffite e bambini buttati nelle fiamme, donne emotivamente disturbate? Ovviamente, solo un maledetto eretico può nutrire dubbi del genere…

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.codoh.com/newsite/sr/online/sr_157.pdf
[2] http://www.vho.org/tr/2004/1/Mattogno73-78.html

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