Escaping Hell in Treblinka recensito da Thomas Kues

Escaping Hell in Treblinka recensito da Thomas Kues

ISRAEL CYMLICH E OSKAR STRAWCZYNSKI: FUGGIRE DALL’INFERNO DI TREBLINKA

Yad Vashem, New York/Jerusalem 2007

Recensito da Thomas Kues[1], Gennaio 2010

In questo volume, lo storico David Silberklang presenta le memorie degli
Ebrei polacchi Israel Cymlich e Oskar Strawczynski, datate rispettivamente al Giugno del 1943 e all’estate del 1944. Mentre Strawczynski era detenuto nel “campo di sterminio” di Treblinka II, Cymlich è uno dei pochi ex detenuti del campo di lavoro di Treblinka I ad aver pubblicato le sue memorie.

Riguardo a Treblinka I, il curatore Silberklang afferma che venne impiantato nell’autunno del 1941 e ubicato a 2 chilometri di distanza dal “campo di sterminio”. Inizialmente, i detenuti erano soprattutto polacchi dell’area di Varsavia. In seguito, ad essi si unirono gli ebrei. Il numero medio dei prigionieri variò da un minimo di 100 a un massimo di 2.000. Circa 20.000 persone passarono per il campo, e “si ritiene che circa la metà di costoro venne uccisa durante i tre anni di esistenza del campo”. Il campo venne smantellato nel Luglio del 1944 (pp. 31-32, nota 8). Non viene fornita la fonte di tale informazione. A questo proposito, osserviamo che, accettando le cifre fornite, metà dei detenuti venne liberata, o durante il periodo operativo del campo o alla sua liquidazione.

L’esperienza di Treblinka di Israel Cymlich

Cymlich venne inviato a Treblinka il 20 Agosto 1942 (p. 29). Egli scrive che gli ebrei di Varsavia a quell’epoca ancora “non avevano nessun sentore di quanto stava accadendo”, mentre i tedeschi proclamavano che i deportati “venivano fatti lavorare all’Est” (p. 25). Certe voci circolavano già: “il caposquadra Ickiewicz (…) mi disse che tutti i trasporti partivano per Treblinka, dove gli ebrei venivano condotti in certi campi elettrici e lì bruciati” (p. 26). E. Ringelblum menzionò l’elettricità come metodo di uccisione a Treblinka il 15 Ottobre 1942, e lo stesso metodo venne parimenti menzionato nel documento di Norimberga USSR-93 (Graf & Mattogno, Treblinka: Extermination Camp or Transit Camp?, pp. 50-51, 61-62).

Quando il trasporto di Cymlich raggiunse la stazione di Treblinka, una parte di esso venne condotto a Treblinka II, mentre l’altra parte, che comprendeva il nostro testimone, continuò lungo lo svincolo della ferrovia per Treblinka I. Lungo il percorso Cymlich vide di sfuggita il “campo di sterminio”.

“All’inizio, non ero sicuro se era reale oppure un miraggio: un enorme montagna di vestiti, gente nuda che correva tutt’intorno, gettando altri vestiti sempre più in alto, un fumo nero che fluttuava da enormi fosse. (…) Avemmo a malapena il tempo di scorgere un certo numero di baracche, le mitragliatrici piazzate sui tetti, che sparavano spesso. Poi vedemmo solo un recinto di alberelli di pino, e sentimmo l’odore tremendo dei corpi umani che bruciavano” (p. 31).

Nessun altro testimone oculare afferma che a Treblinka II i corpi venissero bruciati già nell’Agosto del 1942. Abraham Kszepicki, che venne deportato a Treblinka II il 25 Agosto e che fuggì 18 giorni dopo, parla di seppellimenti di massa ma non parla affatto di cremazioni (vedi Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka…p. 85). R. Glazar afferma che la cremazione dei corpi iniziò in Novembre (R. Glazar, Trap with a Green Fence [Trappola con un recinto verde], p. 29), mentre Chil Rajchman data lo stesso evento al Dicembre (C. Rajchman, Ich bin der letzte Jude, p. 113). Gli storici generalmente affermano che le cremazioni iniziarono nel Marzo del 1943 (vedi Arad, p. 173).

Il campo di lavoro di Treblinka è dipinto da Cymlich come un inferno in terra, con guardie delle SS come l’Untersturmführer Prefi, “che commetteva massacri da solo”, e l’Unterscharführer Schwarz, “che provava una sadica soddisfazione nel tormentare, torturare e uccidere” con oggetti contundenti (pp. 34-35). D’altro lato, il nostro testimone sopravvisse ad un attacco di tifo durato 3 settimane in una baracca di quarantena insieme a “molti altri pazienti” (pp. 40-42).

All’epoca dell’arrivo di Cymlich, erano detenuti nel campo 400 ebrei e circa 200 polacchi; dal Novembre del 1942 c’erano 1.200 ebrei e circa 100 detenuti polacchi (p. 36). I polacchi rimanevano nel campo due o tre mesi, e la maggior parte di essi avevano un termine di scarcerazione. “Incontrarsi con i polacchi e parlare con loro non era permesso; per questo, ci si incontrava nella latrina” (p. 37). Secondo Cymlich, dal campo di sterminio venivano regolarmente inviati gruppi di ebrei a Treblinka I per rifornire la manodopera (p. 40). Tra i detenuti del campo di lavoro c’era anche un gruppo di ebrei che avevano partecipato alla costruzione di Treblinka II:

“Avevano lavorato a lungo a costruire l’altro campo, senza sapere cosa stavano costruendo. Il contingente che andava a lavorare lì era chiamato il “Gruppo-T”, pronunciato Tej. I prigionieri spiegavano il significato della “T” pensando che significasse Treblinka o gruppo tecnico. Non sapevano che il nome “Gruppo T” indicava il campo della morte in costruzione: il cosiddetto T-Halle o, per l’esattezza, Tothalle” (p. 32).

Come Cymlich avesse saputo di questo nome bizzarro, che non compare in nessun’altra testimonianza, non è dato sapere. Jan Sulkowski, un prigioniero polacco del campo di lavoro che aveva preso parte alla costruzione del “campo della morte”, testimoniò:

“Mi venne detto dagli uomini delle SS che stavamo costruendo dei bagni e fu dopo molto tempo che capii che stavamo costruendo camere a gas” (Arad, p. 40).

Cymlich apprese, da altri detenuti del campo di lavoro, le seguenti dicerie:

“Tutto quello che sapevamo era che i cadaveri venivano completamente bruciati; ma non si sapeva nulla di specifico sui metodi di sterminio. La gente diceva che ai nuovi arrivati veniva detto di spogliarsi con il pretesto di andare a fare un bagno, che in realtà era una baracca con un pavimento elettrificato. Alcuni dicevano che questa baracca era in realtà una camera a gas. Dopo l’esecuzione, il pavimento si apriva e i cadaveri venivano gettati dentro fosse, che fungevano anche da fornaci” (pp. 38-39).

A questa descrizione Silberklang ha aggiunto una nota esplicativa:

“È degno di nota che anche quando stava nel campo e poteva sapere molte informazioni sul campo della morte, Israel Cymlich e altri avevano idee sbagliate sul metodo di uccisione. Solo ‘alcuni’ credevano che gli ebrei venissero uccisi in una camera a gas. E, naturalmente, in queste camere non c’era un pavimento mobile” (p. 39, nota 17).

Ma se nel campo di lavoro c’erano detenuti che avevano partecipato personalmente alla costruzione delle “camere a gas”, come mai idee tanto ridicole, in totale contraddizione con la “verità stabilita”, erano diffuse tra loro?

Se i tedeschi stavano costruendo davvero installazioni di sterminio e volevano tenerle segrete, perché avrebbero coinvolto detenuti polacchi del campo di lavoro, che secondo Cymlich venivano di solito rilasciati dopo due o tre mesi (p. 37), o ebrei di Treblinka I, che avrebbero potuto trasmettere le informazioni ai detenuti polacchi?

È inoltre degno di nota che la storia del pavimento elettrico che, una volta che l’esecuzione era ultimata, si spalancava su una fossa che fungeva da fornace, ricorda molto la propaganda diffusa su Belzec (Mattogno, Belzec…, pp. 11-22). Il pavimento mobile della camera a gas compare anche nelle testimonianze di diversi testimoni di Sobibor.

In seguito, Cymlich entrò in contatto con detenuti del campo della morte, che gli comunicarono ulteriori dettagli sulle uccisioni, tra cui “che c’era lì una grande baracca, divisa in diverse camere a cui erano agganciate delle pompe che risucchiavano fuori l’aria. Dopo che le vittime erano state chiuse dentro, le pompe iniziavano a operare e le vittime soffocavano. Chiunque sopravvivesse veniva finito con una pallottola” (p. 45). Di nuovo Silberklang aggiunge una nota esplicativa:

“A Treblinka, naturalmente, era il gas che veniva pompato dentro, e [non era] l’aria che veniva pompata fuori. Ultimata la gasazione, la camera a gas veniva ventilata. A quanto pare, il contatto di Cymlich fraintese lo scopo dei motori che stavano fuori della camera a gas. Inoltre, l’effetto del gas che entrava può essere stato interpretato come se l’aria fosse stata pompata fuori” (p. 45, nota 18). Sulla camera a gas “sottovuoto” torneremo successivamente.

Cymlich fuggì dal campo di lavoro nell’Aprile del 1943. Dopo la guerra si trasferì in Uruguay, dove era ancora vivo nel 2005.

I dieci mesi a Treblinka di Oskar Strawczynski

Oskar Strawczynski venne inviato a Treblinka il 5 Ottobre del 1942. Il 2 Agosto del 1943, partecipò alla rivolta e alla fuga di massa dal campo insieme a suo fratello Zygmunt. Nel 1964 testimoniò al processo su Treblinka. Strawczynski morì a Montreal nel 1966.

Sull’origine del suo racconto, membri della famiglia Strawczynski ci informano che venne scritto in yiddish “durante la primavera e l’estate del 1944”, quando il testimone si aggregò ad un’unità di partigiani ebrei della ZOB (Jewish Combat Organization). Il manoscritto originale venne presuntamente perduto ma una copia venne depositata negli archivi del YIVO Institute for Jewish Research[2] di New York (pp. 188-189). Quando tutto ciò sia accaduto esattamente non è detto. Ci viene detto che Strawczynski, dopo la fine della guerra, presentò sia il manoscritto originale che una copia di esso all’organizzazione della comunità ebraica di Lodz, che rifiutò di pubblicarlo “a causa della schiettezza con cui era descritta la collaborazione a Treblinka degli ebrei [con i nazisti]” (p. 124).

A parte il fatto che l’inizio delle cremazioni nel campo è datato molto prima della versione ufficiale (il nostro testimone parla a p. 130 di aver sentito l’”odore della carne carbonizzata” quando arrivò all’inizio di Ottobre) e l’affermazione che le vittime di Treblinka si contavano a “milioni” (p. 131), l’aspetto più importante del suo racconto è in realtà la descrizione del rapporto tra lo staff del campo e i detenuti. Il nostro testimone vuole farci credere che le SS e i detenuti fraternizzarono, come in una sorta di “sindrome di Stoccolma”, e che i detenuti prendevano addirittura l’iniziativa di “ingannare” gli ebrei che giungevano al campo come se fossero giunti in un campo di transito. Alle pagine 140-141 si parla di ebrei “coraggiosi e combattivi”, provenienti da Bialystok o da Grodno, che al loro arrivo al campo nel Dicembre del 1942 chiesero alla squadra di lavoro ebraica (i “rossi”) sulla piazza di ricevimento:

“’Andiamo a morire? Siamo pronti. Saremo tutti liberi’. Invece di dire loro la verità, i “rossi” dissero loro che questo era solo un campo di transito, che il giorno dopo sarebbero stati trasferiti in un altro campo per lavorare. Con grande difficoltà i “rossi” li convinsero a spogliarsi”.

Le misure di sicurezza del campo vengono descritte come tanto scarse che, almeno fino al Novembre del 1942, “circa 30-40 persone fuggivano quotidianamente” (pp. 145-146)! Alla fine, però, nelle SS sorse la preoccupazione “che il segreto degli ebrei reinsediati’” sarebbe venuto fuori nel mondo esterno (p. 146). Leggiamo poi che i tedeschi avevano “diffuso voci che gli ebrei ‘reinsediati’ venivano inviati in Ucraina per lavori agricoli” e che c’era persino “un indizio a Treblinka di tutto ciò”. Le SS si erano prese persino il disturbo di inviare un “’personaggio importante’ dall’ufficio centrale di Lublino” a Treblinka solo per tenere un discorso ai detenuti sul reinsediamento presuntamente fasullo (pp. 146-147).

Nella primavera del 1943, mentre centinaia di migliaia di cadaveri in putrefazione venivano presuntamente ridotti in cenere nel Campo 2, le SS decisero di “abbellire” il Campo 1 e inintrodussero intrattenimenti e passatempi sia per loro che per i detenuti. “Quasi ogni secondo sabato [del mese] c’era uno spettacolo: concerti, boxe, competizioni atletiche” (p. 156). Responsabile della musica era di solito la Arthur Gold jazz orchestra, per la quale Kurt Franz aveva realizzato costumi speciali. L’orchestra suonava dietro eleganti palchi, fatti su misura (pp. 155-156).

I tedeschi apprezzavano talmente il musicista jazz ebreo che organizzarono un grande party per festeggiare il suo 40° compleanno:

“Il panificio di Treblinka fornì i pasticcini; il magazzino tedesco fornì bevande e dolci. Gold predispose un programma speciale per l’occasione. La sala era splendidamente decorata e l’orchestra era in abiti di gala. Inviti speciali vennero distribuiti a tutti i tedeschi e all’aristocrazia ebraica del campo. Vennero fatti dei brindisi alla vittoria tedesca. Gold raggiunse l’apice quando elogiò i tedeschi per la loro benevolenza, e dichiarò che il loro trattamento degli ebrei era comprensibile e nell’interesse del popolo tedesco. Non ho idea di cosa i tedeschi abbiano pensato di quel discorso” (p. 157). Non c’è da stupirsi che l’organizzazione ebraica di Lodz rifiutò di pubblicare questo resoconto!

Secondo Strawczynski, ai detenuti del Campo 1 “era rigorosamente proibito di entrare nel Campo 2” 8p. 170). Il nostro testimone, tuttavia, ricevette delle descrizioni del “Totenlager” [lager della morte] da due ebrei che avevano lavorato lì. Herszel Jablkowski, che era stato “impiegato nella costruzione del ‘bagno’”, e Szimon Goldberg, “che lavorò nel Campo 2 per quattro mesi” (p. 171). La descrizione delle camere a gas presentata da Strawczynski, recita:

“Era un grande edificio di calcestruzzo eretto su una piattaforma di cemento. Sul suo tetto, visibile a distanza, c’era una Stella di Davide di legno. Nel mezzo dell’edificio correva un corridoio. L’ingresso era coperto da una tenda rossa. Vicino al corridoio c’erano delle porte che conducevano a dei piccoli stanzini entro i quali venivano introdotti i nuovi arrivati dai trasporti. Fuori, sopra la piattaforma c’erano delle grandi aperture coperte da pannelli fissati in cima e assicurati da lamine di ferro. Dentro gli stanzini, mattonelle lisce coprivano i pavimenti leggermente in pendenza e metà dei muri. Sul tetto erano fissate alcune docce. In mezzo al tetto [di ogni stanzino] c’era anche una piccola finestra. Le porte sono sigillate ermeticamente, e i motori iniziano a funzionare. L’aria interna viene risucchiata fuori, e le esalazioni delle benzina combusta vengono immesse dentro. Le grida di chi sta dentro si sentono per circa 10 minuti e poi sopravviene il silenzio. L’intero procedimento, dall’arrivo al campo al forno, dura solo circa mezz’ora (pp. 169-170).

L’idea che l’aria venisse risucchiata fuori prima che il gas di scarico venisse immesso dentro non ha senso. Innanzitutto, la fattibilità del procedimento è discutibile, a causa del problema della pressione. In secondo luogo, se l’aria poteva essere risucchiata fuori delle camere, perché prendersi la briga di introdurre il gas di scarico, poiché, private dell’ossigeno, le vittime sarebbero soffocate immediatamente? Silberkland osserva (p. 170, nota 19) che “l’effetto di pompare il gas di scarico dentro le camere a gas era di sostituire l’aria che stava lì”, suggerendo che – come il contatto di Cymlich di Treblinka II – l’informatore di Strawczynski aveva “frainteso lo scopo dei motori” e confuso la presunta ventilazione successiva alla gasazione con l’espulsione dell’aria prima dell’immissione delle esalazioni tossiche. Quant’è credibile questa spiegazione? Alla fine del 1945, Szymon Goldberg, l’informatore di Strawczynski, testimoniò:

“Gli ebrei venivano avvelenati in modo tale che l’aria veniva pompata fuori – c’era una macchina per pompare fuori l’aria – e veniva immesso il gas di un veicolo. L’etere veniva bruciato e questo vapore immesso dentro. Poi c’era anche il cloro” (Mattogno & Graf, Treblinka…, p. 67).

Così l’informatore che aveva lavorato per quattro mesi nelle presunte installazioni di sterminio non solo riteneva che l’aria venisse pompata fuori dalle camere, ma parlò anche di etere e cloro come altri veleni utilizzati nelle uccisioni – gas totalmente ignorati dalla storiografia ufficiale di Treblinka. Inoltre, lo svuotamento dell’aria come metodo di uccisione viene menzionato da altri due testimoni del Campo 2, Abe (Stanislaw) Kon e Henryk Reichmann alias Chil Rajchmann (ibid.). Un “fraintendimento” assai diffuso!

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.codoh.com/newsite/sr/online/sr_168.pdf
[2] http://en.wikipedia.org/wiki/YIVO
http://www.yivoinstitute.org/

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