L'”Edificio E” di Kola a Sobibor: osservazioni supplementari

L'”Edificio E” di Kola a Sobibor: osservazioni supplementari

L’EDIFICIO EDI KOLA A SOBIBÓR: OSSERVAZIONI SUPPLEMENTARI

Di Thomas Kues, 31 Maggio 2009[1]

Nel mio precedente articolo[2] sui recenti scavi nel presunto campo di sterminio di Sobibór I, avevo fatto notare le incongruenze tra l’interpretazione, attribuita a Kola, delle scoperte fatte nel sito e le successive dichiarazioni rese, tra gli altri, dalle autorità del Museo di Sobibór. Avevo poi esaminato varie dichiarazioni dei testimoni oculari sulle “camere a gas” e l’apparente riluttanza degli archeologi Gilead, Haimi e Mazurek a identificare i resti archeologici – designati da Kola come “Edificio E” – con il presunto edificio delle camere a gas. Questo “Edificio E”, lo ricordiamo, “è lungo circa 60 metri”, per citare l’articolo[3] di Gilead e altri (“Excavating Nazi Extermination Centers”, Present Pasts, Vol. I, 2009, pp. 10-39) e a giudicare dalla copia di Gilead e altri della mappa degli scavi di Kola (p. 28). Sembra avere una larghezza di soli 5-7 metri.

Mentre stava scavando a Bełżec nel periodo 1997-1998, Andrzej Kola pensò che fosse sufficiente mostrare al pubblico una foto di due uomini che azionavano un trapano a mano, alcune immagini dei resti dell’edificio portati alla luce, e una gran quantità di immagini di vetri rotti, ferri di cavallo arrugginiti ecc. Non venne pubblicata nessuna fotografia che mostrasse i campioni di scavo delle fosse comuni. Yoram Haimi, del Sobibor Archeological Project[4], era invece voglioso di veder documentati in un film i propri pasticci (e per questo lo ringraziamo vivamente). Il risultato, un documentario di un’ora fatto da un certo Amos Refaeli – e intitolato Exposing Sobibor [Mostrare Sobibor] – sarebbe dovuto uscire nel Dicembre del 2008 ma la sua emissione è stata rinviata. Fortunatamente, si può vedere in rete un trailer di 4 minuti[5] in cui lo stesso Haimi ci mostra il luogo delle fosse comuni e – tenetevi forte – quello che viene presentato come (una parte) dell’edificio delle camere a gas venuto alla luce!

Poiché il documentario è in ebraico, una lingua che non parlo né capisco, devo sperare che i sottotitoli in inglese forniscano una traduzione esatta, per quanto condensata, delle dichiarazioni di Haimi davanti alla cinepresa. Citerò più avanti i sottotitoli dello spezzone più significativo, che mostra Haimi e il suo gruppo mentre scavano in una delle “camere a gas”.

A partire dal minuto 02:08 del trailer, vediamo Haimi (in giacca scura e jeans) insieme a sette collaboratori sul luogo di scavo. Sullo sfondo ci sono due alberi (pini?), uno all’estrema sinistra del nostro sguardo, l’altro all’estrema destra. L’albero sulla destra si trova a quanto pare all’interno dell’area degli scavi. Pochi metri dietro l’uomo, vediamo il margine di una zona boschiva, con una dozzina (o giù di lì) di alberi (betulle e conifere). Dietro di essa c’è uno spiazzo erboso. Sullo sfondo, a sinistra, c’è il grande monumento circolare di cemento, a forma vagamente di cupola, conosciuto come il “tumulo delle ceneri”.[6] Un veloce confronto con una mappa che mostra il museo attuale sovrapposto alla cosiddetta mappa Rutherford,[7] e una foto aerea scattata nel 2008 (“Excavating Nazi Extermination Centres”, p. 31, fig. 16) mostra che gli uomini stanno nei pressi dell’”Edificio E”, che B. Rutherford identifica come il presunto edificio delle camere a gas. Haimi e il suo gruppo vengono perciò ripresi mentre scavano nuovamente un sito già scavato da Kola nel 2001. Al minuto 02:14, Haimi fa qualche passo indietro (prima fuori campo, poi la cinepresa torna a focalizzare Haimi, che sta al centro con una pala in mano).

“Questo è il muro, continua. C’è un angolo qui, è una cella. Forse è la camera gas? E’ di 4 metri? Calcoliamo da qui 4 metri. 1, 2, 3, 4. Sono 4 metri. Quattro per tre. 1, 2, 3..”.

Mentre parla, Haimi misura con i passi la lunghezza di un lato della “cella”. Poi ci viene mostrata la “cella” scavata, che sembra essere una piccola area rettangolare con l’albero menzionato prima all’interno di essa. In un angolo e su un lato di essa si vede una materia grigio-bianca, come i resti di un muro. E’ difficile giudicare solo da questa vista di che materiale si tratti. Qualcuno, forse Refaeli, poi chiede: “Come sai che è 4 per 3?”, al che Haimi risponde:

“Dai testimoni. Sappiamo da uno dei testimoni polacchi che le misure delle camere a gas erano di quattro metri per tre”.

Ritornero più avanti sulla questione delle misure delle presunte camere a gas. Adesso osservo innanzitutto che Haimi ha una gran voglia, almeno provvisoriamente, di identificare le presunte camere a gas omicide basandosi sulle dichiarazioni dei testimoni oculari. Nel paragrafo seguente, esaminerò quello che lo stesso Haimi afferma su questo genere di prova nell’articolo che ha firmato assieme a Gilead e a Mazurek.

Le dichiarazioni dei testimoni oculari prese come base per identificare i resti archeologici

Per Gilead e gli altri, la fallibilità della memoria umana è una delle motivazioni primarie per aver effettuato le operazioni di scavo nei siti degli ex “centri di sterminio”. Su questo punto costoro chiamano in causa la perizia di Christopher Browning presentata al processo Irving-Lipstadt (citata a p. 25):

“La memoria umana è imperfetta. Le testimonianze sia dei sopravvissuti che di altri testimoni sugli eventi di Bełżec, Sobibór e Treblinka non sono più immuni da dimenticanze, errori, esagerazioni, distorsioni e rimozioni delle testimonianze oculari di altri eventi del passato”.

Gilead e gli altri quindi commentano (p. 26):
“I problemi della memoria umana elencati da Browning riguardano anche i ricordi relativi allo spazio, alle strutture, e ai manufatti, così importanti in archeologia. I perpetratori e dozzine di testimoni lasciarono Sobibór alla fine del 1943 e solo una manciata di essi tornarono per visitare i luoghi nei decenni successivi. Gli abitanti del luogo non conoscevano la disposizione interna del sito e poterono andare sul posto solo dopo che l’area era stata totalmente rasa al suolo e ricostruita. Per i sopravvissuti, non è facile riconoscere locali specifici mentre camminano nell’attuale foresta di Sobibór, senza nessun punto di riferimento familiare per orientarsi, alcuni decenni dopo che il sito venne smantellato” (corsivi miei).

E’ quindi sorprendente che Haimi, nel trailer, giunga rapidamente alla conclusione che la “cella” scoperta sia una camera a gas, basandosi sul dettaglio di un testimone oculare – polacco, per giunta! Come abbiamo visto nel mio articolo precedente, c’è una grande discordanza – sia tra i “testimoni oculari” che tra gli storici – sulle misure delle camere a gas di Sobibór.

Problemi relativi all’identificazione dell’Edificio E

La caratteristica più singolare dell’”Edificio E” di Kola è quella delle sue dimensioni: (secondo Gilead e gli altri) è lungo circa 60 metri e, a giudicare dalla mappa ricopiata, è largo circa 5-7 metri. Il problema è che la sentenza del processo riguardante Sobibór tenutosi a Hagen, per come è stata riassunta da Adalbert Rückerl e adottata come verità dallo storico Yitzhak Arad, dichiarò che il secondo edificio delle camere a gas (costruito presuntamente sopra il primo edificio delle camere a gas, che sarebbe stato in precedenza demolito del tutto o in parte) conteneva sei camere a gas misuranti metri 4×4, disposte simmetricamente lungo un corridoio. Si tratta della stessa disposizione (sebbene con un diverso numero di camere) attribuita alle camere a gas della seconda fase dei campi di Bełżec e di Treblinka. Supponendo che i muri avessero uno spessore di 25 centimetri, tale edificio avrebbe avuto una lunghezza di 13 metri e, supponendo che il corridoio fosse largo 1.5 metri, una larghezza complessiva di 9.5 metri. La sua lunghezza sarebbe stata quindi corrispondente a circa un quarto di quella attribuita all’”Edificio E”!

La descrizione della storica di Sobibór Miriam Novitch (Sobibor: Martyrdom and Revolt, Holocaust Library, New York, 1980, p. 26) potrebbe ipoteticamente quadrare con la lunghezza dell’”Edificio E”, poiché ella afferma che c’erano solo cinque camere a gas, sottintendendo che erano disposte in fila piuttosto che a specchio. Il problema è che la Novitch sostiene che ogni camera misurava metri 4×12, e cioè tre volte la dimensione asserita dalla sentenza del processo Sobibor e da Arad!

Quello che è forse il massimo esperto di Sobibór, Jules Schelvis, a quanto pare crede che il (secondo) edificio delle camere a gas di Sobibór avesse la stessa configurazione delle camere a gas di Bełżec, poiché per descriverlo nei dettagli cita le testimonianze su Bełżec di Rudolf Reder e di Kurt Gerstein (Sobibor. A History of a Nazi Death Camp, Berg/USHMM, Oxford/New York, 2007, pp. 105-109).

Supponiamo ora, in via puramente teorica, che la (singola!) “cella” di metri 4×3 mostrata nel trailer di Exposing Sobibor corrisponda ai resti di una camera a gas, e che ogni [altra] camera avesse le stesse misure. Supponendo inoltre la configurazione asserita dal tribunale di Hagen, e che il lato lungo delle camere fronteggiasse il corridoio, abbiamo un edificio con una lunghezza di 13 metri e una larghezza di 7.5 metri (supponendo di nuovo un corridoio largo 1.5 metri), che non è troppo diversa dalla larghezza arguibile dalla mappa degli scavi. In questo caso la larghezza dell’”Edificio E” non è la questione cruciale, bensì la sua lunghezza. Per colmare lo scarto di (60-13=) 47 metri, Haimi dovrebbe rintracciare una fila ulteriore di (47: 4.25=) ~ 11 “celle”, cosicché l’ipotetico edificio avrebbe contenuto in tutto (14×2=) 28 camere a gas! Una costruzione del genere avrebbe, non c’è bisogno di dirlo, contraddetto in modo lampante tutte le dichiarazioni dei testimoni sulle quali, di volta in volta, l’intera narrazione di Sobibór si è basata. Come si può spiegare questa straordinaria discrepanza tra le descrizioni fornite dai testimoni e le rovine archeologiche?

Uno sguardo alla mappa di B. Rutherford[8] il quale, come detto sopra, identifica l’”Edificio E” con le camere a gas (indicate sulla mappa con il numero “58”) mostra un piccolo edificio annesso (indicato sulla mappa con il numero “59”): una “sala macchine” sistemata all’estremità nord dell’edificio delle camere a gas. Poiché tale annesso conteneva presuntamente solo il motore utilizzato come agente letale, qualche bidone di carburante, qualche tubo e forse qualche cassetta per utensili e pezzi di ricambio, difficilmente poteva aggiungere più di 5 metri alla lunghezza complessiva dell’edificio. Rimangono pertanto ancora (47-5=) 42 metri, equivalenti a circa due terzi dell’”Edificio E”.

La sola soluzione possibile al problema degli archeologi (come identificare l’”Edificio E” con le camere a gas) sembra essere quella di supporre che l’”Edificio E” riguardi non solo i resti delle “camere a gas” ma anche i resti della “baracca dei barbieri”. Si tratta dell’edificio che sulla mappa Rutherford (indicato con il numero “57”) è ubicato più vicino alle camere a gas (58) ed è anche allineato più o meno ad esse. Un corridoio recintato viene indicato come conducente da questa baracca direttamente all’ingresso dell’edificio delle camere a gas.

Ma questa “soluzione” è piena di problemi. Per cominciare, c’è la questione della distanza tra i due edifici. Sulla mappa Rutherford, tale distanza equivale ad almeno 10-15 metri. La mappa disegnata da Arad (Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhardt Death Camps, Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, 1987, p. 35) mostra una distanza simile (Arad disegna il campo come un’area rettangolare con il lato lungo che misura 600 metri). In realtà, tutte le mappe del campo sembrano concordare con il fatto che la distanza non era inferiore a 10 metri. Questo a sua volta pone la seguente questione: perché Kola, un esperto archeologo, avrebbe indicato i resti di due edifici tanto distinti come appartenenti a un unico edificio? Notiamo a tal proposito che i resti dei due piccoli edifici “B” e “D” sono ubicati proprio uno accanto all’altro (vedi la mappa degli scavi nell’articolo di Present Pasts, p. 28), senza fondersi in una singola unità. Questa mappa mostra anche che la lunghezza dell’”Edificio E” era più o meno ininterrotta per almeno 30 metri (come ho fatto notare nel mio precedente articolo, la mappa è tagliata e mostra solo la parte settentrionale dell’”Edificio E”). Inoltre, il secondo edificio delle camere a gas era presuntamente una struttura di mattoni o di cemento, mentre la “baracca dei barbieri” era fatta di legno! Parimenti, è difficilmente concepibile che Kola abbia confuso i resti di un recinto con la continuazione di un muro. Se Kola avesse davvero commesso un errore del genere, perché Gilead e gli altri non l’hanno fatto notare quando hanno esaminato l’”Edificio E” nel loro articolo del 2009?

L’aspetto della “cella” mostrata nel trailer del documentario presenta anche un altro problema: perché Kola, che aveva scoperto gli stessi resti contenenti la stessa “cella” già nel 2001, nel suo breve articolo pubblicato quello stesso anno, identifica l’”Edificio E” non come l’edificio delle camere a gas ma come la “baracca-spogliatoio” (come è stato riferito da Gilead e dagli altri, p. 33)? E’ proprio misteriosa la riluttanza di Gilead e degli altri a identificare l’”Edificio E” con l’edificio delle camere a gas, nonostante le solenni rivelazioni archeologiche di Haimi!

Si spera che la rivelazione del contenuto dell’articolo polacco di Kola del 2001 – come pure le pubblicazioni teoricamente imminenti del Sobibor Archeological Project – getteranno più luce sulla natura dell’”Edificio E”.

La bancarotta intellettuale di Gilead, Haimi e Mazurek

Vorrei infine esaminare lo scopo dei recenti scavi e delle indagini compiute a Sobibór, in base a quanto è stato riferito da Gilead e dagli altri nel loro articolo (pp. 13-14).

“Noi consideriamo lo sterminio nazista degli ebrei durante la seconda guerra mondiale come una realtà del passato. Esiste un’ampia documentazione orale e scritta che lo conferma, come pure degli studi storici esaustivi e dettagliati che comprovano quella che Hilberg (1985) chiama la “Distruzione degli ebrei europei”. Arad (1987), nel suo studio sui centri di sterminio dell’Operazione Reinhard, precisa inoltre il ruolo di Treblinka, Sobibór e Bełżec nel processo di sterminio. Oltre ai documenti scritti, le prove consistono anche dei resoconti orali dei sopravvissuti e dei perpetratori delle SS che prestarono servizio nei centri di sterminio e che compirono gli omicidi (…). Così, lo sterminio degli ebrei in generale, e lo sterminio degli ebrei a Sobibór e negli altri centri in particolare, è una verità storica accertata che non ha bisogno di essere provata da scavi archeologici. L’archeologia ha il ruolo di fornire informazioni complementari sulla configurazione dei siti, delle strutture e dei manufatti lì in uso, fornendo così dei dati per la ricostruzione storica dei luoghi. […]
Conoscendo il terreno di Sobibór e degli altri centri di sterminio, ed essendo anche a conoscenza degli scritti dei revisionisti, abbiamo una posizione più riservata sul ruolo dell’archeologia nel confermare la realtà dello sterminio in generale e delle camere a gas in particolare. Sapendo che le prove dei centri di sterminio sono state cancellate dai perpetratori, riteniamo che i resti delle camere a gas, anche se conservati in loco, siano in uno stato di conservazione estremamente cattivo. Se le camere a gas tuttora in piedi di Majdanek e di Auschwitz-Birkenau vengono correntemente negate come tali, la possibilità che una futura esposizione dei resti scarsamente conservati delle camere a gas affermino una qualche verità di fronte alle menzogne dei revisionisti è minima, ammesso che vi sia. L’archeologia dei centri di sterminio non è e non può essere uno strumento per mostrare ai negazionisti quanto si sbaglino. Pensiamo che la documentazione dei particolari sia intrinsecamente importante anche senza bisogno di confutare le menzogne, ma crediamo che, parafrasando Evans (2002: 237) i professori di geografia, come anche gli archeologi, non debbano perdere tempo a discutere con persone che pensano che la terra sia piatta” (corsivi miei).

Ricapitoliamo:
1) lo sterminio degli ebrei a Sobibór è “una verità storica accertata”, basata sulle testimonianze “oculari”, sui rapporti polacco-sovietici, e su pochi documenti relativi alle deportazioni ebraiche, nessuna delle quali menziona in alcun modo le uccisioni;
2) poiché lo sterminio, a Sobibór e negli altri campi, è un Fatto Storico Indiscutibile, basato sulle “prove” suddette, non c’è bisogno di provarlo con i metodi dell’archeologia forense;
3) si presume che i resti delle presunte camere a gas si trovino in uno stato tale da rendere impossibile la verifica delle accuse di sterminio;
4) perciò i risultati degli scavi archeologici e delle indagini geofisiche condotti a Sobibór non devono, ma in realtà non possono, essere un tentativo di verificare l’esistenza delle camere a gas;
5) i negazionisti dell’”Olocausto”, la cui opera è conosciuta da Gilead e dagli altri ma della quale sono riluttanti a fornire riferimenti, vengono equiparati ai sostenitori della piattezza della terra, con i quali semplicemente non bisogna discutere.

L’affermazione suddetta ovviamente non è nient’altro che una mossa preventiva, una garanzia per trattare ogni dato scomodo come irrilevante, e una carta bianca per ignorare qualsiasi critica negativa delle loro conclusioni, per quanto fondata possa essere. In tal modo può essere opportunamente ignorato che a Bełżec non è stato trovato nessun resto delle presunte camere a gas, o che le fosse comuni identificate da Kola potevano contenere, in teoria, solo una piccola parte dei presunti uccisi, e che la quantità di ceneri presente nelle fosse è assolutamente incompatibile con la tesi ufficiale (come è stato dimostrato da Mattogno nel suo studio su quel campo[9], come pure più dettagliatamente in un recente saggio[10]).

In questo contesto dobbiamo riservare un’attenzione particolare a quanto Gilead e gli altri scrivono a p. 22:

“E’ generalmente riconosciuto che una delle sfide poste all’archeologo è la dicotomia manufatto/testo. (…) Se le contraddizioni sono evidenti e reali, stiamo parlando di distanze tra il manufatto e il testo, o all’interno di essi, di dissonanze, che possono rivelare aspetti aggiuntivi finora sconosciuti (…). Ma per stabilire se in un dato caso le dissonanze esistono, la natura e la qualità delle prove, sia dei dati storici che archeologici, devono essere riesaminate attentamente”.

Ma come può un riesame onesto e imparziale delle prove essere possibile se l’esistenza delle camere a gas di Sobibór è assunta come un fatto a priori?

Il ragionamento di Gilead e degli altri serve solo a nascondere la loro bancarotta intellettuale. Inoltre, se Gilead e Haimi sono così desiderosi di ignorare dei pazzi fanatici, avrebbero dovuto starsene a casa, facendo orecchie da mercante ai loro sponsor, i cultori della Shoah dello Yad Vashem!

Coloro che hanno letto il mio precedente articolo sull’”Edificio E” ricorderanno che il sito web del Sobibor Archeological Project[11] afferma che il suo lavoro “costituirà la base per contrastare le affermazioni dei negazionisti” (raccomando ai miei lettori di verificare questa citazione, nel caso il SAP decida di espungere la pagina). Così Haimi e i suoi accoliti si contraddicono ulteriormente riguardo allo scopo dei loro scavi!

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.revblog.codoh.com/2009/05/kolas-building-e-at-sobibor-addenda/#more-306
[2] http://www.revblog.codoh.com/2009/05/kolas-building-e-at-sobibor-some-preliminary-observations/
[3] http://presentpasts.info/journal/index.php/pp/article/view/3/6
[4] http://www.undersobibor.org/
[5] http://www.highlightfilms.co.uk/pages/Exposing%20Sobibor
[6] http://www.holocaustresearchproject.org/ar/sobibor/sobibortoday/SobiborMonument.html
[7] http://www.deathcamps.org/sobibor/pic/sobibor.jpg
[8] http://www.deathcamps.org/sobibor/pic/bmap21.jpg
[9] http://www.vho.org/GB/Books/b/
[10] http://ita.vho.org/BELZEC_RISPOSTA_A_MUEHLENKAMP.pdf
[11] http://www.undersobibor.org/project.html

3 Comments
    • Andrea
    • 15 Giugno 2009

    Mai letto oscene falsità più aberranti

    Rispondi
    • Anonimo
    • 15 Giugno 2009

    "Mai letto oscene falsità più aberranti"

    in realtà si capisce che nemmeno leggi gli articoli che "commenti" con tanta sicumera …

    sei tu "l'osceno del villaggio"!

    Rispondi
    • Anonimo
    • 16 Giugno 2009

    Da 4 mesi era in atto una operazione di monitoraggio e successiva delazione condotta da un gruppo denominatosi « Contro i siti antisemiti in Italia – Da diffondere», allestito dall’agenzia sionista «In difesa di Israele», attiva nella sistematica diffamazione di ogni voce critica verso l'entità sionista di Palestina .
    Tale iniziativa sembra sospesa,almeno ufficialmente, ma ormai la rete è stata attivata e nulla dice che non continui la sua opera di SCHEDATURA delle voci politicamente scorrette,tipiche quelle dei REVISIONISTI.
    Oggi è in atto, su vari siti – blog, revisionisti, una massiccia presenza di agenti provocatori che giornalmente,più volte al giorno, cercano di distrarre e deviare l'attenzione dei lettori.
    Dopo l'utilizzo di semiologi , cardiologi come mezzo di “contrasto” alla diffusione delle tesi revisioniste , tali semi-dilettanti allo sbaraglio sono stati sostituiti ed ora viene utilizzata la “carne da macello” comune ( o meno) .

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