Il mito di Belzec fa acqua da tutte le parti

Il mito di Belzec fa acqua da tutte le parti

CHRISTOPHER BROWNING E LECAMERE A GAS NAZISTEDI BELZEC

Di Paul Grubach (2009)[1]

Christopher R. Browning è professore “Frank Porter Graham” di Storia all’Università della Carolina del Nord – Chapel Hill. E’ stato il perito più importante del governo canadese nel processo di Toronto del 1988 sull’Olocausto, nel quale Ernst Zündel venne perseguito per aver pubblicato notizie presuntamente “false” sul destino degli ebrei nella seconda guerra mondiale. Ha testimoniato, sempre in qualità di perito, al processo che ha opposto a Londra nel 2000 lo storico inglese David Irving a Deborah Lipstadt e alla casa editrice Penguin Books, in quello che è stato il caso giudiziario più famoso riguardante l’Olocausto dai tempi del processo contro Adolf Eichmann in Israele.

Autore di numerosi libri e articoli sul nazismo e sull’Olocausto, è largamente considerato un’eminente autorità sulla presunta politica nazista di sterminio degli ebrei d’Europa. Considerata la sua importanza tra gli accademici che si occupano dell’Olocausto, bisogna prendere molto sul serio qualunque cosa scriva sulle “camere a gas naziste”.

Belzec fu, nella seconda guerra mondiale, un campo di concentramento tedesco ubicato nella Polonia orientale. Secondo la versione tradizionale dell’Olocausto, Belzec conobbe due fasi. Nel Novembre del 1941 vennero costruite delle “baracche di gasazione” di legno, in previsione della fase Marzo-Giugno del 1942 e poi, nel Giugno del 1942, vennero costruite – su un basamento di cemento – delle baracche di gasazione “perfezionate” per la seconda fase. Si ritiene che vi vennero uccisi fino a 800.000 ebrei.[2]

Nel suo libro del 2004, The Origins of the Final Solution, Browning descrive Belzec in questi termini: “Per quanto riguarda la tecnologia e il personale, fu l’erede più diretto degli istituti di eutanasia, avendo utilizzato camere a gas fisse a monossido di carbonio. Tuttavia, come a Chelmno [un altro presunto campo di sterminio in Polonia] il monossido di carbonio veniva prodotto dal gas di scarico e non fornito in forma chimicamente pura con flaconi di acciaio, come negli istituti di eutanasia. Belzec rappresenta perciò un’altra variante della tecnologia di gasazione e della progettazione dei campi di sterminio.[3]

Una delle prove capitali presentate da Browning per lo sterminio perpetrato a Belzec è la testimonianza postbellica dell’ex Sergente delle SS Josef Oberhauser. Sepolta in una nota a piè di pagina, Browning ci fornisce una ragione per essere scettici sulla testimonianza di Oberhauser. Egli accusa Oberhauser di aver falsificato le date degli avvenimenti per precostituirsi una difesa adeguata al “processo su Belzec” tenutosi in Germania negli anni ’60. In particolare, egli scrive che Oberhauser è colpevole “di aver chiaramente falsificato la cronologia per dare l’impressione che fino all’Agosto del 1942—vale a dire, per il periodo per il quale era sotto processo—venne condotto solo un piccolo numero di prove di gasazione, in una sola camera a gas capace di contenere 100 persone.[4]

Nuovamente sepolta in una nota a piè di pagina, apprendiamo che un altro storico dell’Olocausto ha fornito una versione diversa e persino contraddittoria degli eventi di Belzec. Secondo Michael Tregenza, “Nel Febbraio del 1942 vennero eseguite due prove nelle camere a gas, la prima con lo Zyklon B [gas al cianuro di idrogeno], e la seconda con il monossido di carbonio in bottiglia. Tra le vittime della seconda prova vi furono dei malati mentali ebreo-tedeschi, deportati dalla Germania, ed ebrei del luogo provenienti da Piaski e da Izbica. Solo allora venne installato un motore, appartenuto a un carro armato sovietico, per produrre monossido di carbonio dal gas di scarico”.[5]

Così, secondo Browning, a Belzec non venne usato monossido di carbonio in bottiglia; il gas mortale veniva prodotto dal gas di scarico. Ma secondo lo storico Tregenza, a Belzec venne inizialmente impiegato il monossido di carbonio in bottiglia, oltre allo Zyklon B. Questa non è una contraddizione secondaria. In ogni indagine criminale l’arma del delitto è una questione importante.

Browning ha commesso un serio “peccato di omissione”. Ha omesso di informare i lettori del suo libro The Origins of the Final Solution che le indagini archeologiche del campo di concentramento di Belzec della fine degli anni ’90 non hanno trovato traccia delle presunte camere a gas omicide. Lo storico Robin O’Neil, un convinto sostenitore della narrazione tradizionale dell’Olocausto—e tra quelli che presero parte alle indagini archologiche di Belzec—ha ammesso: “Non abbiamo trovato traccia delle baracche di gasazione che dovevano appartenere sia alla prima che alla seconda fase della costruzione del campo”.[6]

Per il processo Irving-Penguin Books/Lipstadt, Browning si è basato sulla testimonianza del “sopravvissuto dell’Olocausto” Rudold Reder, in modo da “dimostrare” che le camere a gas di Belzec esistettero davvero.[7] Ancora una volta, Browning non informa i propri lettori che le indagini archeologiche di Belzec hanno accertato che almeno alcune delle testimonianze da lui utilizzate sono inattendibili. Secondo il direttore degli scavi Andrzej Kola, infatti: “Il testimone [Rudolf Reder] informa che nella seconda fase operativa del campo la camera a gas era ubicata direttamente vicino alle fosse comuni. Secondo lui, tuttavia, la camera era fatta di cemento. Gli scavi condotti in questa zona non hanno trovato nessuna traccia di edifici costruiti in mattoni o in cemento, cosa che rende tale testimonianza inattendibile”.[8]

In un documento preparato per il processo Irving/Lipstadt a Londra, Browning tira fuori il suo argomento sul perché le testimonianze umane “dimostrano” che a Belzec e in altri campi ebbe luogo lo sterminio degli ebrei. Ammette che i resoconti dei “testimoni oculari” dello sterminio di Belzec sono contraddittori e in qualche modo inattendibili ma nondimeno dobbiamo comunque credere ad essi. Egli scrive: “Ancora una volta, le testimonianze umane sono imperfette. Le testimonianze, sia quelle dei sopravvissuti, che di altri testimoni, degli eventi di Belzec, Sobibor e Treblinka non sono più immuni da dimenticanze, errori, esagerazioni, distorsioni, e repressioni, delle testimonianze oculari di altri eventi del passato. Esse differiscono, ad esempio, su quanto tempo impiegasse ogni operazione di gasazione, sulle dimensioni e sulla capienza delle camere a gas, sul numero delle baracche adibite a spogliatoi, e sul ruolo di certi individui. Gerstein, citando Globocnik, affermò che i campi utilizzavano motori diesel, ma i testimoni che vennero davvero adibiti alla manutenzione dei motori a Belzec e a Sobibor (Reder e Fuchs) parlarono di motori a benzina. Ancora una volta, però, tutto concorre senza eccezione a dimostrare la questione cruciale, e cioè che Belzec, Sobibor e Treblinka furono campi della morte il cui scopo primario era quello di uccidere nelle camere a gas, per mezzo del monossido di carbonio proveniente dal gas di scarico, e che le centinaia di migliaia di cadaveri di ebrei uccisi lì vennero dapprima sepolti e in seguito cremati.[9]

Browning si sbaglia! La sua tesi —che tutti i testimoni concorrono a dimostrare la questione cruciale che gli ebrei vennero uccisi nelle camere a gas utilizzando il monossido di carbonio da gas di scarico—è dimostrabilmente falsa. Vi sono “testimoni oculari” che affermarono che gli ebrei vennero sterminati a Belzec in “camere di elettrocuzione”, e non nelle “camere a gas”. Browning evita di informare i propri lettori dei seri problemi posti da queste false testimonianze oculari.

Come Robert Jan van Pelt, collega di Browning, ha fatto notare, la Polish Fortnightly Review, un giornale in lingua inglese pubblicato dal governo polacco in esilio durante la seconda guerra mondiale, pubblicò il 10 Luglio del 1942 una descrizione dei fasulli “apparati di elettrocuzione” nei quali gli ebrei “vennero sterminati a Belzec”. In essa si affermava che “gli uomini si dirigono in una baracca sulla destra, le donne in una baracca sulla sinistra, dove vengono fatti spogliare, in apparenza per sottoporli ad un bagno. Dopo essersi spogliati, entrambi i gruppi si dirigono in una terza baracca dove c’è una piastra elettrificata, in cui si compiono le esecuzioni”. Il Professor van Pelt ha ammesso implicitamente che le “camere di elettrocuzione” di Belzec non sono mai esistite.[10]

Nel Dicembre del 1942, l’Ufficio Informazioni delle Nazioni Unite diffuse una dichiarazione riguardante il presunto destino degli ebrei nell’Europa occupata dalla Germania. Essa concludeva: “I mezzi impiegati nel deportare dal ghetto tutti coloro che sono sopravvissuti alle uccisioni e alle fucilazioni nelle strade sorpassano ogni immaginazione. In particolare, i bambini, i vecchi e gli inabili al lavoro vengono uccisi. I dati reali concernenti il destino dei deportati non sono disponibili, ma è disponibile la notizia—una notizia inconfutabile—che sono stati organizzati dei luoghi di esecuzione a Chelmno e a Belzec, dove coloro che sono sopravvissuti alle fucilazioni vengono sterminati per mezzo dell’elettrocuzione e del gas”[11]

In questo caso, l’Ufficio Informazioni delle Nazioni Unite, favorevole agli Alleati, affermava di avere “la notizia inconfutabile” che gli ebrei venivano sterminati a Belzec con l’elettroesecuzione. Noi adesso sappiamo che questo è falso, poiché la storia dello sterminio degli ebrei mediante elettrocuzione è stata tranquillamente abbandonata.

Nel Febbraio del 1944, il New York Times pubblicò una falsa testimonianza oculare di “camere di elettroesecuzione” a Belzec. Ecco cosa dichiarava: “Un giovane ebreo polacco che è sfuggito a un’esecuzione di massa in Polonia con l’aiuto di falsi documenti di indentità, ha ripetuto oggi una storia secondo cui i tedeschi conducevano una “fabbrica di esecuzione” in vecchie fortificazioni russe nella Polonia orientale. Gli ebrei venivano costretti a entrare nudi su una piattaforma di metallo azionata come un ascensore idraulico, che li calava in un’enorme vasca riempita d’acqua fino all’altezza delle ginocchia delle vittime, ha detto. Venivano fulminati dalla corrente che passava attraverso l’acqua. L’ascensore poi sollevava i corpi su un crematorio soprastante, ha detto il giovane”.

L’articolo conclude: “Il giovane ha detto di aver visto personalmente treni carichi di ebrei partire al mattino da Rawna Luska, nella Polonia orientale, in direzione del crematorio di Beljec [sic] e ritornare vuoti la sera. Il resto della storia gli è stato raccontato, ha detto, da individui che sono fuggiti dopo essere stati realmente portati dentro la fabbrica. Le fortificazioni, ha aggiunto, sono state costruite dai russi dopo che avevano occupato la Polonia orientale”.[12]

L’”autorevole classico dell’Olocausto”, il Libro Nero, pubblicò una descrizione molto dettagliata del funzionamento di queste fasulle “camere di elettroesecuzione di Belzec” nel 1946.[13]

Il lettore dovrebbe chiedersi perché Browning non ha menzionato queste descrizioni delle “camere di elettroesecuzione” nei suoi libri e nei suoi articoli. Se le prove che “dimostrano” che gli ebrei vennero fulminati in massa sono fasulle, non è parimenti possibile che le “prove” che “dimostrano” che gli ebrei vennero uccisi in “camere a gas” siano anch’esse fasulle, o almeno decisamente sospette?

In realtà, si potrebbe osservare che i falsi “testimoni oculari” delle “camere di elettroesecuzione” sono più “credibili” dei “testimoni” di Browning delle “camere a gas a monossido di carbonio”. Lo stesso Browning ha scritto: “Gli storici preferiscono quasi sempre i documenti d’epoca alle testimonianze posteriori ai fatti”.[14]

Dopo tutto, i testimoni delle “camere di eletrroesecuzione” erano osservatori contemporanei alle fasulle “camere di elettroesecuzione”. Non erano prigionieri in un processo “post factum” degli anni ’60, in cui vennero costretti a testimoniare di aver visto delle camere a gas per delle ragioni di mera strategia processuale. Per converso, nel suo libro The Origins of the Final Solution, Browning fonda la sua tesi sulla testimonianza postbellica di un ex soldato tedesco (Josef Oberhauser) il quale era sotto processo, e perciò, da un punto di vista legale, aveva come unica scelta quella di dare credito alla leggenda delle camere a gas.[15] Lo stato tedesco si basa precisamente sulla leggenda delle “camere a gas naziste” e contestare una tale leggenda in tribunale è impossibile.

Gli storici “mainstream” hanno ammesso che non vi sono prove archeologiche per sostenere la tesi delle camere a gas omicide a Belzec. Le testimonianze oculari sono reciprocamente contraddittorie riguardo all’identificazione della presunta arma del delitto, poiché alcune sostengono che c’erano “camere di elettroesecuzione”, altre sostengono che c’erano “camere a gas” che utilizzavano le esalazioni di un motore diesel, mentre altre ancora sostengono che c’era un motore a benzina. Infine, lo storico dell’Olocausto Ian Kershaw ha fatto notare nel suo libro più recente che le dicerie sulle “camere a gas” vennero diffuse dalle radio degli Alleati.[16]

Questi tre filoni di prova sostengono la teoria revisionista che lo sterminio degli ebrei a Belzec mediante “camere a gas” è un mito propagandistico, diffuso intenzionalmente dai nemici della Germania per scopi politici.

Ed ecco il mio argomento più importante. Per sostenere la mia tesi ho intenzionalmente evitato di utilizzare qualsiasi fonte revisionista (come l’approfondito studio di Carlo Mattogno su Belzec). Mi sono limitato solo alle fonti “mainstream” dell’Olocausto. Se il lettore consulterà delle fonti “accademicamente accettabili”, troverà prove sufficienti per rifiutare la tesi delle “camere a gas omicide” a Belzec.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.codoh.com/gcgv/gcpgcbrown.html
[2] Robin O’Neil, “Belzec—the ‘Forgotten’ Death Camp”, East European Jewish Affairs, Inverno 1998, pp. 49-62.
[3] Christopher Browning, The Origins of the Final Solution, University of Nebraska Press, 2004, p. 419.
[4] Ibid., p. 543, nota 163.
[5] Ibid., p. 543, nota 162.
[6] O’Neil, p. 55.
[7] In rete: http://www.holocaustdenialontrial.com/trial/defense/browning/545.0 . Vedi: “Eyewitness Testimony concerning Gassing at Belzec, Sobibor, and Treblinka: Fifth Category”.
[8] Andrzej Kola, Belzec: The Nazì Camp for Jews in the Light of Archeological Sources: Excavations 19971999 [Belzec: il campo nazista per ebrei alla luce delle fonti archeologiche – Scavi 1997-1999], United States Holocaust Memorial Museum, 2000, p. 61, nota 28.
[9] Vedi nota 7.
[10] Robert Jan van Pelt, The Case for Auschwitz: Evidence from the Irving Trial [Le ragioni di Auschwitz: prove dal processo Irving], Indiana University Press, 2002, p. 145.
[11] The New York Times, 20 Dicembre 1942, p. 23.
[12] The New York Times, 12 febbraio 1944, p. 6.
[13] The Black Book: The Nazi Crimes Against the Jewish People [Il Libro Nero: I crimini nazisti contro il popolo ebreo], Nexus Press, 1974, p. 313. Questa edizione è una ristampa dell’edizione del 1946.
[14] Christopher Browning, Postwar Testimony and Holocaust History, University of Wisconsin Press, 2003, p. 4.
[15] Browning, The Origins of the Final Solution, pp. 419-420.
[16] Ian Kershaw, Hitler, the Germans and the Final Solution, Yale University Press, 2008, p. 203.

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