Gilad Atzmon: La teoria critica della razza e il progetto ebraico

LA TEORIA CRITICA DELLA RAZZA E IL PROGETTO EBRAICO[1]

Di Gilad Atzmon, 20 agosto 2021

C’è un crescente dibattito negli Stati Uniti sulla Critical Race Theory (CRT) (Teoria Critica della Razza). Stranamente, gli oppositori della CRT sostengono che il discorso “marxista” deve essere sradicato dalla cultura americana e dal sistema dell’istruzione. Sono sconcertato da questo, poiché non posso pensare a nulla di più lontano dal pensiero di Marx della CRT.

Marx presentò una analisi economica basata sulla divisione delle classi. Per Marx, coloro che si trovavano sul fondo della stratificazione delle classi erano destinati a unirsi a prescindere dalla loro razza, genere, o orientamento sessuale. Marx come tale non pensava alla razza. Tuttavia, la sua visione fu unificante almeno per quanto riguarda la classe lavoratrice. Ma la Teoria Critica della Razza è volta in una direzione completamente opposta. I sostenitori della CRT ritengono che i popoli siano e debbano essere definiti politicamente dalla loro biologia: dal loro colore della pelle, spesso dal loro genere e/o dal loro orientamento sessuale. La CRT cerca di combattere il razzismo non eliminandolo ma in realtà elevando il determinismo biologico ad un costante campo di battaglia.

I teorici della critica della razza non sono troppo originali su questo fronte del determinismo biologico. Già alla fine del 19° secolo il sionismo chiedeva agli ebrei di identificarsi politicamente con la loro biologia. L’appello di Hitler al popolo ariano a fare la stessa cosa avvenne circa due decenni dopo. Ironicamente, anche i cosiddetti ebrei “antirazzisti” interni alle cellule politiche antisioniste costituite da “soli ebrei” (come JVP[2], JVL[3], IJAN[4]) seguono la stessa agenda sionista e hitleriana. Anch’essi insistono a identificarsi politicamente e ideologicamente come “una razza”.

Ci si può chiedere a questo punto perché le persone interne alla destra conservatrice si riferiscano alla CRT come “marxista” nonostante che essa non abbia niente a che fare con Marx e abbia molto a che fare (ideologicamente) con il biologismo sionista e hitleriano. Una possibilità è che le persone interne alla Destra Americana ritengono che il riferimento a Marx comunichi con efficacia con il loro seguito. Un’altra possibilità leggermente meno sincera è che Marx sia un nome in codice per un “discorso sovversivo in cui sono implicati gli ebrei”. L’universo conservatore americano è largamente ispirato dal nazionalismo ebraico, tuttavia esso è disgustato dall’interventismo cosmopolita del genere di Soros. La Destra Americana potrebbe usare un linguaggio in codice per gestire la propria paralisi. Essa chiaramente lotta per chiamare spada una spada.

Considerando quanto detto finora è affascinante esaminare la prospettiva ebraico-americana riguardo al dibattito sulla CRT.

Il mese scorso, lo storico ebreo Henry Abramson  ha usato la tribuna della Jewish Telegraphic Agency per informarci che “chiunque insegni il passato saltando le parti spiacevoli non insegna la storia. Costoro sono impegnati nel fare propaganda”. Questa ferma dichiarazione mi ha lasciato sorpreso. Come Abramson sono contrario a tutte le forme di leggi memoriali che restringono la libera discussione storica. Tuttavia, le istituzioni ebraiche sono pesantemente coinvolte nel presidiare il dibattito storico. Esse spesso criticano aspramente come Negazionisti dell’Olocausto tutti coloro che osano mettere in dubbio il primato della sofferenza ebraica o anche presentare una visione leggermente eterodossa della seconda guerra mondiale. La tradizione intellettuale ebraica non è nemmeno famosa per il suo elenco di testi storici, tutt’altro. C’è una completa assenza di testi storici giudaici tra Flavio Giuseppe (Anno Domini 37-Anno Domini 100) e Heinrich Graetz (1817-1891). L’universo rabbinico ha cercato di saltare la tradizione storica perché il Talmud e la Torah sono lì per determinare il modo in cui gli ebrei reagiscano all’universo attorno a loro. Lo storico israeliano Shlomo Sand ha fatto notare che gli ebrei e i sionisti in particolare hanno largamente inventato il loro passato per fare in modo che combaciasse con i loro interessi politici, esistenziali e spirituali. Forse non spetterebbe alle istituzioni ebraiche predicare come debba essere discusso il passato.

Abramson è contrariato dal fatto che “in circa due dozzine di stati, il movimento per imporre restrizioni all’insegnamento della storia sta acquistando slancio”. Abramson è anche contrariato dalla nuova legge memoriale polacca e che Putin sta impartendo una visione dell’Holodomor. Forse prima che io scavi nella preoccupazione di Abramson, dovrei dire che usando il motore di ricerca Google, non sono riuscito a trovare nessuna opposizione fatta da Abramson alla legge israeliana sulla Nakba che similmente restringe la discussione sul crimine israeliano di pulizia etnica del 1948.

Abramson afferma che gli oppositori della CRT cercano di evitare la discussione sui “controversi e dolorosi momenti della storia dell’America”. Non sono sicuro che questo sia il caso. Non sono sicuro che l’America possa o persino voglia negare il suo passato problematico e violento, ma so che ogni accademico di pelle nera che ha cercato di discutere il ruolo degli ebrei nella tratta degli schiavi africani ha sperimentato l’inferno che si scatenava. Io raccomando vivamente ad Abramson e a chiunque altro di leggere lo spettacolare The Jewish Onslaught (“Il furibondo attacco ebraico”), un reportage di una campagna istituzionale ebraica orchestrata e violenta contro uno studioso nero che non aveva seguito il copione e che aveva cercato di esaminare quale fu il ruolo di alcuni ebrei nella tratta degli schiavi africani.

Guarda il prof. Tony Martin:

Per Abramson e per altri, la CRT è uno studio sull’impatto del razzismo sistemico. È l’adesione all’opinione “che il retaggio della schiavitù è radicato nella società americana ad un tale grado che gli afro-americani continuano a soffrire un danno economico e sistemico di lunga durata”. Essa suggerisce che discutere di riparazioni dovrebbe far parte dell’agenda nazionale.

La verità sulla questione è che molti di coloro che si oppongono alla CRT concorderebbero con Abramson che il razzismo è vivo e operante negli Stati Uniti. Alcuni [pochi] potrebbero persino suggerire di utilizzare l’aiuto dell’America a Israele come riparazione per i discendenti degli schiavi neri. Si unirebbero la JTA, l’AIPAC o Abramson ad un tale appello per una giustizia attesa da lungo tempo? Ne dubito.

La JTA insiste a dare l’impressione che gli ebrei e i neri condividano entrambi un simile passato di emarginazione. Scrive Abramson: “Ai neri era, come agli ebrei, vietato comprare case in suburbi di recente costruzione, mentre gli americani bianchi ricevevano aiuti dal governo per comprare case in questi quartieri ricchi di verde e per costruire una ricchezza generazionale”. Ma c’è una differenza che il nostro “storico” ebreo dimentica di menzionare: gli ebrei emigrarono in America volontariamente. Per loro, l’America era una “Medina dorata”, la vera terra promessa delle libere opportunità e del capitalismo supremo. I neri, d’altro canto, approdarono alla “terra dei liberi” incatenati in navi per schiavi. Gli ebrei vennero in America in cerca di una vita migliore, affrontarono ostacoli ma prevalsero, e ora figurano tra i gruppi etnici più privilegiati degli Stati Uniti, se non il più privilegiato. I neri venivano portati per essere sfruttati come manodopera schiavistica. Essi ebbero un inizio alquanto differente negli Stati Uniti. Il tentativo di comparazione tra i due è intellettualmente disonesto come minimo, ma può servire ad uno scopo.

Un decennio fa in un raro momento di onestà, Philip Weiss, il principale contributore dell’organo informativo ebraico pro-palestinese Mondoweiss, ammise con me in un’intervista che non era l’altruismo a motivare la sua posizione filo-palestinese. Era “interesse personale ebraico”. Imparai molto da questo incontro con l’attivista ebraico e da allora sono stato molto sospettoso dei “progetti di solidarietà ebraica”. In qualche modo vedo sempre l’interesse personale saltare fuori in una fase o in un’altra.

Le istituzioni e gli individui ebraici sono stati coinvolti nel secolo scorso nella maggior parte dei progetti di solidarietà. Essi insistono a salvare la classe lavoratrice, a universalizzare i diritti civili, a liberare le donne e i gay, e naturalmente i transessuali. Il risultato non è mai stato troppo buono. Invece di far avanzare la società nel suo complesso, siamo finiti in un amalgama di conflitti che praticamente assomigliano alle Dodici Tribù di Israele.

Se vi chiedete perché i talebani sono riusciti a prendere l’Afghanistan in 72 ore, una possibile risposta è che gli “ebrei per i talebani” devono ancora nascere. Lo stesso si applica agli Hezbollah e all’Iran. Se vi chiedete perché ci vuole così tanto perché la Palestina si emancipi, è in parte perché il suo discorso di solidarietà è definito (letteralmente) dall’oppressore.

Se l’America o chiunque altro vuole combattere il razzismo davvero, la via da seguire è quella di cercare la fratellanza umana di contro al vittimismo indotto. Se alla JTA o ad ogni altra istituzione ebraica importa per davvero dei neri, allora abbracci la Nation of Islam oggi prima del tramonto. Incoraggi i critici e gli intellettuali neri ad esaminare senza paura gli ebrei e la tratta degli schiavi africani. Mostrateci un esempio di grande trasparenza. Date l’esempio e siate luce presso le nazioni per la prima volta nella storia invece di aspettare che il resto dell’umanità zigzaghi senza fine intorno alle vostre suscettibilità.

 

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://gilad.online/writings/2021/8/20/critical-race-theory-and-the-jewish-project

[2] Nota del traduttore: JVP è un acronimo che sta per Jewish Voice for Peace.

[3] Nota del traduttore: JVL è un acronimo che sta per Jewish Voice for Labour.

[4] Nota del traduttore: IJAN è un acronimo che sta per International Jewish Anti-Zionist Network.

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