Thomas Kues: Le tracce di una chimera, o l’evanescente edificio di gasazione di Belzec

Le tracce di una chimera, o l’evanescente edificio di gasazione di Belzec

Di Thomas Kues, 2010

  1. Il presunto edificio di gasazione della seconda fase a Belzec

Secondo lo storico israeliano Yitzhak Arad[1], il primo edificio di gasazione a Belzec, una baracca di legno contenente tre camere che misuravano ognuna metri 4×8, venne demolito verso la fine di giugno del 1942 e venne sostituito da un edificio più solido e più grande che misurava metri 24×10 e che conteneva sei separate camere a gas, che misuravano ognuna metri 4×8 (o forse 4×5 o 5×5). Per quanto riguarda il materiale di costruzione, Arad cita il testimone chiave ebreo Rudolf Reder, che nel 1946 dichiarò che l’edificio era fatto di “cemento grigio”. L’ex SS-Untersturmführer Josef Oberhauser lo descrisse nella sua testimonianza come un “nuovo edificio massiccio”[2]. Il testimone Wilhelm Pfannenstiel testimoniò che “l’edificio che ospitava le camere a gas era fatto di cemento”[3]. Che l’edificio fosse fatto di mattoni e/o di cemento venne accettato anche dal verdetto del 1965 del processo dedicato a Belzec tenutosi a Monaco[4], ed è stato recepito come un fatto da diverse opere autorevoli sull’Olocausto, come l’Encyclopedia of the Holocaust[5].

  1. La ricerca di Andrzej Kola dell’edificio di gasazione della seconda fase

Tra il 1997 e il 1998, l’archeologo polacco Andrzej Kola condusse delle trivellazioni e degli scavi nell’ex sito del “campo della morte” di Belzec. Mentre le fosse comuni trovate dalla squadra di Kola vennero sottoposte solo a trivellazioni, le tracce di edifici trovate vennero scavate in tutto o in parte. Lo scopo primario degli scavi sugli edifici sembra essere stato in effetti la ricerca dei resti dei presunti edifici di gasazione. Nel suo rapporto di indagine Kola scrive:

Le trivellazioni hanno indicato strutture archeologiche indefinite di un carattere non funebre nella parte settentrionale del campo, nell’area nord-occidentale di ettari 16. I vicini scavi di differente forma e dimensione vennero concentrati lì […]. Essi hanno rivelato l’esistenza di un indefinito negativo di edificio, fatto completamente di legno, parzialmente sepolto nel terreno, totalmente smantellato. Nella vista dal basso i relitti avevano una forma di un rettangolo regolare con le dimensioni di metri 3.5×15 circa, il cui fondo era depositato orizzontalmente alla profondità di circa 80 cm. Lo scavo conteneva humus sabbioso scuro, chiaramente attinto sul fondo del terreno sabbioso.

I contenuti culturali consistevano di frammenti di carta catramata, chiodi di ferro provenienti probabilmente dalla costruzione dell’edificio in superficie. Inoltre vennero trovati frammenti di dentiere, pettini femminili e due monete polacche grosz. L’edificio di legno funse probabilmente come camera a gas nella seconda fase dell’operatività del campo, nell’autunno e nell’inverno 1942. Tale interpretazione potrebbe essere confermata dalla sua ubicazione sulla pianta del campo. Le trivellazioni dalla parte nord-orientale e orientale dell’edificio hanno scavato solo fosse comuni. L’ubicazione della camera a gas vicino ai luoghi di sepoltura nella seconda fase dell’esistenza del campo è stata confermata da alcuni dei resoconti testimoniali[6] (sottolineature mie).  

Il testimone cui Kola si riferisce qui non è altri che Rudolf Reder, come si può constatare dalla seguente nota a piè di pagina relativa al sopracitato passaggio:

Il testimone informa che nella seconda fase del funzionamento del campo la camera a gas era ubicata direttamente vicino alle fosse. Secondo lui, tuttavia, la camera era fatta di cemento. Gli scavi effettuati in quest’area, non hanno provato nessuna traccia di edifici in mattoni o in cemento, il che rende quel rapporto inattendibile” (sottolineature mie).

Alla fine della sua disamina Kola nondimeno trae la seguente conclusione:

Sul luogo della più grande concentrazione di strutture non funebri l’indagine archeologica ha riconosciuto le tracce di [un] edificio indefinito delle dimensioni di metri 15×3.5 circa (edificio G). Era un edificio completamente di legno. Potrebbe trattarsi dei relitti della seconda camera a gas nella seconda fase dell’esistenza del campo. Questa interpretazione è sostenuta dalla planigrafia del campo. L’informazione di Reder, che l’edificio era fatto di cemento, non sembra convincente, perché nessuna traccia di oggetti di cemento è stata individuata nella parte centrale. La carta catramata, da lui menzionata, che doveva coprire il tetto piatto della camera a gas, è archeologicamente provata negli strati residui dell’edificio[7].

Il revisionista italiano Carlo Mattogno, che ha attentamente esaminato il rapporto di Kola nel suo studio sul campo di Belzec sinteticamente osserva riguardo alla fallace catena di prove di Kola:

L’ipotesi di A. Kola è in contraddizione con le testimonianze e gli accertamenti giudiziari non solo riguardo alla struttura delle presunte camere a gas, ma anche circa la loro superficie … Ricapitolando, da un lato i reperti archeologici contraddicono le testimonianze e gli accertamenti giudiziari rendendoli inattendibili; dall’altro l’ipotesi di A. Kola circa la funzione della “costruzione G” è contraddetta dalle testimonianze e dagli accertamenti giudiziari. Ma, se si accetta la tesi ufficiale, non è possibile svincolarsi da queste fonti: o le camere a gas sono esistite come le descrivono i testimoni, o non sono esistite affatto. E poiché i reperti archeologici contraddicono i testimoni, le camere a gas della seconda fase del campo non sono mai esistite. E quelle della prima fase?[8].

In effetti, come è stato ammesso dall’esperto di Belzec Robin O’Neil, che era stato coinvolto negli scavi:

Non abbiamo trovato nessuna traccia delle baracche di gasazione databili alla prima o alla seconda fase della costruzione del campo[9].

  1. L’ipotesi di Alex Bay

Nel suo saggio in rete “The Reconstruction of Belzec[10], l’analista di foto aeree Alex Bay (che scrive il suo nome anche come Charles A. Bay) impiega uno sforzo considerevole per “spiegare” le discrepanze tra l’”Edificio G” e le descrizioni dei testimoni oculari delle “camere a gas”. Nella sezione su “Camp II: The Killing and Graves Area[11] leggiamo:

Si suppone che se le SS distrussero accuratamente l’edificio, incluse le fondazioni, nulla sarebbe dovuto rimanere eccetto gli orizzonti del suolo disturbato. Il fatto che gli scavi di Kola abbiano rivelato un’area più piccola con tracce di legno marcito, e nessuna traccia di muratura implica che la camera a gas fosse meno solida nella costruzione materiale. Tuttavia, di contro alle indicazioni che hanno indotto Kola a dubitare che Reder fosse corretto riguardo a una camera a gas in muratura c’è l’inventario di Kola delle vicine fosse comuni in cui egli ha elencato quattro tombe scavate che contenevano detriti di mattoni, e tre di queste quattro si trovavano entro una distanza dai 50 ai 60 metri dal sito della camera (vedi figura 4.6.3). Questa è un’indicazione che quando l’edificio venne abbattuto, una parte di esso almeno era fatta di mattoni che vennero scaricati nelle vicinanze. È possibile che il metodo di costruzione fu responsabile dell’assenza di muratura. Si può ragionevolmente sostenere che l’edificio venne eretto su fondazioni effimere di legno – un sistema di pilastri e di travi di livello – per sostenere muri di mattoni che di conseguenza sono facilmente demolibili e eliminabili”.

Bay poi dedica un’intera appendice[12] a questo tentativo di salvare l’identificazione dell’”Edificio G” con le camere a gas omicide:

Viene proposto un sistema di costruzione con travi di livello perché esso risponde ai requisiti di una fondazione poco costosa, fatta di materiali locali prontamente disponibili, per la quale la durevolezza è di scarsa importanza. Certamente le SS non erano troppo interessate a costruire una struttura per la posterità, ed erano piuttosto consapevoli che ogni cosa che avrebbero costruito sarebbe stata demolita in un breve lasso di mesi. […] Il metodo di costruzione con le travi di livello è illustrato nella Figura A-1. Le travi di livello vengono solitamente utilizzate per strutture a telaio”.

Bay poi cita quella che a quanto pare è una comunicazione personale di un certo Paul Fisette, che viene qualificato come il “Director Building Materials and Wood Technology 126 Holdsworth Natural Resources Center University of Massachusetts, Amherst, MA 01003”:

La maggior parte dei progetti costruttivi a telaio leggero seguono una sequenza similare di eventi: il perimetro della struttura progettata è contrassegnato da picchetti, il suolo all’interno dell’area prescelta viene scavato ad una profondità che è con sicurezza al di sotto della linea del congelamento (come minimo 4’0’’[13] nella mia zona), i muri di fondazione sono formati, il cemento viene versato, e quindi una struttura con un telaio di legno viene eretta sopra alla fondazione versata. Gli scavi vivono una vita breve. Vengono scavati solo per essere riempiti, con un costo di migliaia di dollari per il cemento. Questa pratica costruttiva a volte è necessaria. Ma spesso, riempire un fosso scavato con cemento non è nulla più di una cattiva abitudine. Vi sono alternative meno costose. Utilizzare una trave di livello di legno è un’opzione che salva tempo, denaro, lavoro e risorse”.

Bay quindi continua il suo ragionamento:

I vantaggi enumerati sopra devono essere stati chiari a Hackenholt, il tuttofare delle SS che era un abile muratore e che era intimamente coinvolto nella progettazione e nella costruzione delle camere a gas in tutti e tre i campi della morte Reinhard. Sarebbe stato anche per lui evidente che un tale sistema sarebbe stato più veloce da completare che una fondazione convenzionale di cemento versato o di mattoni con malta, e nell’eventualità di demolire la struttura, non ci sarebbe stata nessuna fondazione refrattaria e profonda che avesse richiesto scavi e demolizione prima di poter essere eliminata.

La questione principale che ci si trova di fronte nel realizzare un basamento con travi di livello è quella delle dimensioni del legname necessario a sostenere una parete in muratura senza deflessione. La Figura A2 presenta un grafico del peso di un muro di mattoni spesso 8 pollici[14] e alto 6 piedi[15]. I pesi sono tracciati su diverse lunghezze del muro. Ogni lunghezza rappresenta la campata di una trave di livello tra montanti (come illustrato in precedenza in Figura A1). Dalla Figura A2 una distanza di 6 o 7 piedi pesa all’incirca 1500 chilogrammi.

I terreni di Belzec erano sabbiosi e questo tipo di terreno ha eccellenti caratteristiche portanti: non si espande quando è bagnato e presenta buone caratteristiche di frizione e di compressione. Tutto ciò che è necessario per la costruzione è una trave robusta, e un intervallo di sicurezza tra i montanti in modo che la flessione della trave sia minima quando viene caricata con un muro. Questo può essere ottenuto con tronchi squadrati di grande sezione trasversale, un materiale di costruzione in abbondanza a Belzec.

Nella Figura A3, si può facilmente vedere che è possibile sostenere un muro in mattoni spesso 8 pollici e alto 6 piedi sopra una campata di 6 o 7 piedi se vengono utilizzate ‘teste’ triplicate di abete o abete rosso con dimensioni di 6×16 o 6×18. A Belzec la costruzione della nuova camera a gas poteva procedere velocemente senza il bisogno di scavare e di realizzare una fondazione di cemento o di mattoni. Questo avrebbe significato che dopo che l’edificio fosse stato demolito, tutto ciò che sarebbe rimasto sarebbero state le piccole zone di terreno disturbato dove erano stati i montanti”.

Ma davvero questa argomentazione è valida? Nella prossima sezione discuterò le affermazioni di Bay e le contesterò con quello che sappiamo del metodo di costruzione da lui suggerito.

  1. La realtà delle fondazioni con travi di livello
    • Differenti tipi di fondazioni

Inizierò la mia critica dell’ipotesi di Bay esaminando brevemente i vari tipi dei sistemi di fondazione. Nella guida Building Construction Illustrated leggiamo[16]:

La fondazione è il settore più basso di un edificio – la sua sottostruttura – costruita in parte o in tutto sotto la superficie del terreno. La sua funzione primaria è di sostenere e di ancorare la superstruttura al di sopra e di trasmettere i suoi carichi in sicurezza sulla terra. Poiché funge da collegamento cruciale nella distribuzione e nella risoluzione dei carichi dell’edificio, il sistema di fondazione deve essere concepito sia per ospitare la forma e la configurazione della superstruttura al di sopra che per rispondere alle varie condizioni del terreno, della roccia, e dell’acqua al di sotto” (sottolineature mie).

Esistono quattro tipi principali di fondazioni utilizzate nelle case ordinarie (edifici normali o in scala piccola). Esse sono[17]:

Le fondazioni sono normalmente realizzate con uno dei seguenti metodi:

  1. Una striscia di cemento con mattoni resistenti al gelo o sottomuri a blocchi fino al livello DPC [corso a prova di umidità]; solitamente 150 millimetri sopra il livello del suolo (figura 6.2);
  2. Un fosso riempito completamente di cemento (figura 6.3);
  3. Una zattera sottile di cemento armato, utilizzata quando le condizioni del terreno sono instabili (figura 6.5); e
  4. Pilastri con una trave portante per terreni eccezionalmente difficili (figura 6.4) [illustrazione 1 sotto]”.

Come vedremo sotto, abbiamo qui a che fare con una variante del quarto metodo.

III.1: Figura 6.4 da The Whole House Book

  • Le caratteristiche delle fondazioni con travi di livello

Building Construction Illustrated fornisce la seguente descrizione del termine trave di livello[18]:

Una trave di livello è una trave di cemento armato che sostiene un muro portante al livello del suolo o vicino a tale livello e che trasferisce il carico a basamenti, montanti o pilastri isolati” (sottolineature mie).

Ill. 2: rappresentazione schematica di una fondazione con travi di livello da Building Construction Illustrated

L’esempio di Bay ha travi di livello di legno, ma la funzione è la stessa. La variante in legno è conosciuta in letteratura (Il Whole House Book menziona “dormienti di legno che si estendono tra pilastri di legno o montanti di mattoni riciclati [e cioè basamenti di legno isolati]”[19]) sebbene sembra che venga raramente utilizzata se non in costruzioni di piccola scala e basse.

Il punto cruciale qui è che i dormienti (o travi di livello) sostengono muri portanti, vale a dire tutti i muri esterni di un edificio. Per sostenere il peso del muro in modo appropriato, la trave deve avere almeno la stessa larghezza del muro che è posto al di sopra. Il carico del muro è quindi trasferito attraverso la trave ai “basamenti” o ai pilastri sepolti verticalmente nel terreno.

Vi devono essere almeno quattro di tali basamenti se l’edificio è rettangolare – uno in ogni angolo (per conseguire la stabilità minima) – ma solitamente vi sono ulteriori basamenti per distribuire ulteriormente la pressione. La collocazione della trave sotto il muro portante si può vedere chiaramente nella figura 6.4 a p. 66 del The Whole House Book come pure nella figura che mostra una fondazione con travi di livello a p. 3.09. di Building Construction Illustrated. La Figura A1 di Bay mostra parimenti questo, come pure un basamento collocato all’angolo dell’edificio. Una figura trovata nella guida svedese Grunder (“Fondazioni”) – riprodotta sotto come Illustrazione 3 – mostra una variante della costruzione con travi di livello, una piccola casa con una fondazione a “basamento aperto”[20]. Questo significa semplicemente che i basamenti sono collocati in parte sopra il terreno, ma il principio dei dormienti (o travi di livello) (“grundbalkar“) che sostengono il muro portante è lo stesso.

Ill. 3: Variante di una costruzione con travi di livello e basamenti aperti. (Yttre plintrad = linea esterna dei basamenti; inre plintrad = linea interna dei basamenti; bjälkar av konstruktionsvirke = travi di legno; plintavstånd = distanza tra i basamenti; bärlina/grundbalk = linea portante/dormiente).

Bay scrive che “dopo che l’edificio fosse stato demolito, tutto ciò che sarebbe rimasto sarebbero state le piccole zone di terreno disturbato dove erano stati i montanti”. Tutto ciò significherebbe, naturalmente, che sarebbe possibile individuare la presenza pregressa dei basamenti insieme ai muri esterni dell’edificio abbattuto. Ricordiamo qui che il presunto secondo edificio di gasazione misurava metri 24×10, mentre Kola ha individuato un “edificio negativo indefinito, fatto completamente di legno” avente la “forma di un rettangolo regolare con le dimensioni di metri 3.5×15 circa”, vale a dire, una struttura coprente un’area corrispondente a semplicemente il 22% di quella del presunto edificio di gasazione, che secondo i testimoni oculari venne costruito in cemento e/o in mattoni. Dal ragionamento di Bay consegue perciò che Kola in qualche modo è riuscito a lasciarsi sfuggire la maggior parte dei resti dell’edificio! Ma è questo davvero plausibile?

  1. L’”Edificio G” nel contesto delle indagini e degli scavi di Kola

     5.1. Le descrizioni di Kola, di O’Neil e di Tregenza dell’”Edificio G”

L’”Edificio G”, nel costituire i supposti resti dell’edificio di gasazione “Fondazione Hackenholt”, è senza dubbio il più importante dei resti di edifici individuati. Ciò nonostante, Kola dedica ad esso solo mezza pagina di testo e una fotografia non molto nitida che mostra “I relitti dell’edificio e il profilo a una profondità di 60-70 cm”. In contrasto, alla piattaforma di carico vengono dedicate due pagine e mezza, all’”Edificio A” – i resti di un edificio con nessuna relazione attribuita al presunto processo di sterminio – tre pagine e mezza, incluse due foto, e all’”Edificio D”, il garage del campo, quasi quattro pagine. Anche più notevole è il fatto che insieme all’”Edificio E”, i resti di un “punto medico per il personale del campo”, l’”Edificio G” è la sola struttura scavata per la quale non vengono forniti nessun profilo, struttura, sezione o piano. Abbiamo quindi molti pochi dati a disposizione riguardo a questo importantissimo edificio. Tutto ciò, tuttavia, non ha impedito all’esperto di Belzec Michael Tregenza di scrivere nel 1999 che:

Nell’ex sito del Lager II è stata trovata una base di cemento, misurante metri 15×4 e divisa in quattro grandi stanze di eguali dimensioni. Si ritiene che questo è ciò che rimane delle camere a gas ‘Stiftung Hackenholt’[21].

Tregenza sta qui chiaramente asserendo delle falsità, a meno che non crediamo che Kola, per qualche ragione inesplicabile, abbia occultato l’esistenza di resti molto più conformi alle caratteristiche delle presunte camere a gas! Né Kola menziona alcunché su una suddivisione dell’edificio.

Nel suo libro in rete Belzec: Stepping Stone to Genocide[22], che, a giudicare dalla sua introduzione, è stato scritto nel 2004, Robin O’Neil sembra piuttosto sicuro che l’”Edificio G” costituisca i resti delle camere a gas della seconda fase:

L’ubicazione dell’edificio di gasazione durante la seconda fase fu probabilmente nella parte centrale-orientale dell’ex campo dove trivellazioni esplorative non sono riuscite a localizzare nessuna fossa comune. Reder riferisce che su ogni lato delle piattaforme di scarico che si estendevano per la lunghezza dell’edificio c’erano fosse di sepoltura riempite di cadaveri, o tombe vuote preparate per riceverli. I corpi venivano trasportati dalla piattaforma manualmente, il che indica che le fosse si trovavano nelle immediate vicinanze delle camere a gas. I ricercatori non sono riusciti a identificare totalmente questa struttura come la camera a gas della seconda fase: le tracce di un edificio di legno nella parte centrale del campo possono essere ipoteticamente considerate come i resti della camera a gas della seconda fase.

Tuttavia, l’autore e altri esperti del campo hanno concluso che i ritrovamenti costituivano con tutta probabilità le tracce delle camere a gas della seconda fase. La carta catramata menzionata da Reder, che copriva il tetto piatto dell’edificio di gasazione nella seconda fase è archeologicamente provata dalle sostanze trovate sul posto, corroborando la testimonianza di Reder” (sottolineature mie).

Come abbiamo visto sopra, tuttavia, Robin O’Neil ammetteva pubblicamente nel 1999 che nessun resto né del primo né del secondo edificio di gasazione era stato individuato, e in un articolo in rete del 2006, apparentemente scritto in collaborazione con Tregenza, egli scrive[23]:

La mancanza di ogni chiara prova fino ad oggi per individuare il secondo edificio di gasazione è intrigante. Potrebbe darsi davvero che le SS deliberatamente distrussero e rimossero ogni prova della struttura più incriminante del campo. In base all’esame della disposizione di tutte le strutture delle fosse comuni e del campo individuate durante le indagini del 1997-98, un’area emerge come il sito più probabile di questo edificio: un’area priva di ogni tomba o struttura vicino all’angolo nord-orientale del campo” (sottolineature mie).

I più importanti esperti di Belzec sono perciò ancora esitanti nell’identificare l’”Edificio G” come lo “Stiftung Hackenholt”!

  • Il metodo di A. Kola

Come procedette Kola nei suoi scavi dei resti di Belzec? Nel suo rapporto leggiamo[24]:

Si pensò di effettuare la ricognizione archeologica dell’area del campo mediante trivellazioni. Solo in pochi casi, quando durante l’utilizzo di questo metodo sono stati determinati oggetti non funebri, la ricognizione è stata completata da un ambito ristretto e ampio cercando di spiegare le funzioni degli oggetti. Durante i lavori autunnali nel 1998 e nel 1999 questi metodi vennero abbandonati e questa volta una parte molto più grande del lato occidentale e centrale del campo venne indagata accuratamente. Durante lo scavo gli archeologi cercarono di interpretare le funzioni degli oggetti riconosciuti nell’area mediante trivellazioni in strutture archeologiche intensive, che vennero identificate come i resti di un edificio di mattoni non identificato (nella sua parte occidentale) e probabilmente un edificio di legno (nella sua parte centrale)”.

L’edificio di legno menzionato è evidentemente l’”Edificio G”. La rete delle trivellazioni (chiamate “trivellazioni basiche” da Kola) coprente l’area dell’ex campo consisteva di trivellazioni condotte a intervalli di 5 metri, cosicché c’era

un’accuratezza relativamente scarsa nella definizione delle forme limite degli oggetti individuati (fosse comuni e oggetti non funebri)[25].

Come è stato mostrato da Carlo Mattogno, “un’accuratezza relativamente scarsa” è un eufemismo, poiché i confini delle fosse comuni delineati da Kola e da O’Neil sono in realtà, in una certa misura, arbitrari. Perforazioni più precise vennero effettuate solo nel sito dei resti strutturali[26]:

Solo in alcuni casi, dove oggetti non tombali vennero accertati negli strati (i resti di edifici) un’indagine di ambito più ristretto venne decisa come più dettagliata, e le trivellazioni furono fitte (ogni 2 o 1 metro). Complessivamente durante le due stagioni degli scavi negli anni 1997 e 1998 vennero compiute trivellazioni di studio, di cui 404 trivellazioni nell’anno 1997 e 1823 trivellazioni nell’anno successivo. Il metodo non venne utilizzato nel 1999”.

Il presunto edificio di gasazione avrebbe, se ci fosse stato davvero, lasciato ineluttabilmente almeno una certa quantità di detriti (frammenti di cemento o di mattoni, malta ecc.) diffusi sopra le sue “impronte”, e resti o negativi dei basamenti come pure altri generi di sommovimenti del terreno sarebbero stati accertabili nell’area della presunta grandezza di metri 24×10. Che un archeologo esperto come il professor Kola, mentre effettuava le trivellazioni addizionali intorno ai resti strutturali identificati dell’”Edificio G” non sia riuscito a individuare tali tracce è assurdo, specialmente se si considera che Kola ha cercato di identificare i resti dell’edificio come l’edificio di gasazione e che era consapevole della discrepanza tra la storiografia ufficiale e i resti dell’”Edificio G”. Se egli avesse avuto davvero una qualsivoglia prova per proseguire, possiamo essere sicuri che egli avrebbe almeno menzionato la possibilità che l’”Edificio G” fosse più grande di metri 3.5×15.

Le prove circostanziali di Bay per l’edificio di gasazione della seconda fase

Come abbiamo dimostrato sopra, l’ipotesi di Bay delle travi di livello è priva di ogni reale valore. Che dire allora delle prove circostanziali da lui evocate, e cioè la presenza di detriti di mattoni nelle adiacenti fosse comuni e le supposte tracce del “tubo” visibili nelle foto aeree? Sotto discuterò in breve queste prove, insieme con la carta catramata trovata sul sito dell’”Edificio G”, che Kola come pure O’Neil presentano come prove corroboranti dell’identificazione dell’”Edificio G” con le camere a gas.

6.1. La presenza di macerie di mattoni

Bay asserisce che

di contro alle indicazioni che hanno indotto Kola a dubitare che Reder avesse ragione riguardo a una camera a gas in muratura c’è l’inventario di Kola delle vicine fosse comuni in cui egli ha elencato quattro tombe scavate che contenevano macerie di mattoni, e tre di queste quattro si trovavano entro una distanza dai 50 ai 60 metri del sito delle camere (vedi figura 4.6.3)[27].

Un confronto tra la figura 4.6.3 di Bay con le mappe di ricognizione mostra che le tre fosse comuni di cui stiamo parlando sono quelle designate come n°7, 8 e 12 da Kola[28]. Il fatto che queste fosse contenevano una certa quantità di detriti di mattoni è in effetti confermato dal rapporto di Kola[29]. Le fosse n°7 e 8 sono ubicate ad una distanza da 20 a 30 metri circa dall’”Edificio G”. Mentre per quanto riguarda la fossa n°12, è ubicata a circa 65-70 metri dall’”Edificio G”, ma è anche non lontana dalla struttura in mattoni “Edificio B”[30], un dato che offre una spiegazione alternativa per i detriti di mattoni trovate in questa fossa. I ritrovamenti di detriti di mattoni nelle fosse n°7 e 8 potrebbero, come è stato suggerito, indicare la presenza di mattoni nella struttura dell’”Edificio G”, ma considerati i ben noti scavi clandestini condotti su vasta scala effettuati nel sito dell’ex campo negli anni e persino nei decenni dopo la fine della guerra – attività che avrebbero ben potuto implicare il trasporto di detriti per diverse centinaia di metri – questa indicazione è quantomeno debole. Naturalmente non dovrebbe essere parimenti escluso che l’”Edificio G” in realtà fosse un edificio di mattoni poggiante su una fondazione di travi di livello di legno, ma in questo caso la struttura misurava metri 3.5×15, e perciò non può essere stato l’edificio di gasazione presunto dai testimoni oculari.

6.2. Le presunte tracce del “tubo”

Bay presenta poi un elemento di prova ancora meno convincente dei detriti di mattoni:

A parte la composizione materiale della camera a gas, le fotografie aeree disponibili sostengono fortemente le riferite dimensioni. Per esempio nella figura 4.6.4, il piccolo boschetto presenta un’apertura tagliata attraverso esso larga 10 metri. La seconda camera a gas venne costruita proprio oltre gli alberi, alla fine di questo taglio. La fotografia mostra distinte tracce di una recinzione sotto forma di rigature scure (vedi A, B, D), che si ritiene siano le tracce della recinzione. Le linee sarebbero state il risultato della caduta di aghi e ramoscelli dai rami sempreverdi intrecciati nella rete come un dispositivo di nascondimento. Le linee A-B misurano una distanza di circa 5 metri. Questi sono indubbiamente i resti del tubo che conduceva le vittime alla porta della camera a gas. A Treblinka, questa disposizione era larga 5 metri[31].

Alla fine il suddetto argomento si riduce alla seguente domanda: se un sentiero recintato largo 10 metri esistette a Belzec, questo significa che c’era un edificio largo 10 metri con camere a gas omicide ad una estremità di esso? La risposta è certamente no, poiché non esiste nessuna prova materiale o documentaria per l’esistenza delle dette camere a gas, e inoltre, l’esistenza di un sentiero largo 10 metri non esige che un ipotetico edificio collocato ad una estremità di esso avrebbe dovuto parimenti essere largo 10 metri. Bisogna inoltre osservare che l’esistenza di un tale passaggio in sé stessa non prova che le accuse riguardanti le gasazioni di massa siano veritiere, solo che c’era un passaggio attraverso cui le persone passavano.

Se Bay insiste nel perseguire una ricerca dell’impossibile, potrebbe pure cercare l’oro alla fine dell’arcobaleno…

6.3. I resti della carta catramata e l’ubicazione dell’”Edificio G”

Bay inoltre richiama l’attenzione del lettore sull’argomento di Kola che le tracce di carta catramata nel sito dell’”Edificio G”, come pure l’ubicazione stessa di questo oggetto sostengono l’ipotesi che esso sia identico al presunto edificio di gasazione della seconda fase. Queste presunte indicazioni, tuttavia, sono parimenti disoneste, come anche gli storici ortodossi dell’Olocausto hanno dovuto ammettere. Nel loro articolo “Excavating Nazi Extermination Centres”, Isaac Gilead, Yoram Haimi e Wojciech Mazurek discutono l’identificazione di Kola dell’”Edificio G” nel modo seguente[32]:

Il suggerimento che l’edificio G sia la camera a gas della seconda fase contraddice le prove storiche e perciò solleva riserve dal punto di vista metodologico. Non c’è dubbio che l’Edificio G era una struttura di legno. Tuttavia, le fonti storiche indicano che la camera a gas della seconda fase venne costruita in cemento. […] Kola, che conosce il resoconto di Reder, lo respinge seccamente in una nota a piè di pagina come ‘inattendibile’ (Kola, 2000: 61). Nel sommario (ivi: 69) egli afferma che ‘l’informazione di Reder, che l’edificio era fatto di cemento, non sembra convincente, perché nessuna traccia di oggetti di cemento sono stati riconosciuti nella parte centrale’.

Il vero e proprio rifiuto dell’osservazione di Reder (e di quella di Pfannenstiel) è metodologicamente problematico, ed è utile discutere questo punto nel contesto dell’archeologia storica. È generalmente riconosciuto che una delle sfide cui un archeologo storico si trova di fronte è la dicotomia manufatto/testo. Quando essi si trovano in armonia, la ricostruzione degli eventi passati è più sicura, ma cosa dire delle evidenti (o presunte) contraddizioni? Se le contraddizioni sono evidenti e reali, stiamo parlando di spazi tra o all’interno del manufatto e del testo, di dissonanze, che possono rivelare ulteriori aspetti finora sconosciuti (Galloway, 2006: 42-44). Tuttavia, per stabilire se in un dato caso le dissonanze esistono, la natura e la qualità delle prove, dei dati sia archeologici che storici, dovrebbero essere riesaminate accuratamente. Kola non riesamina la credibilità di Reder o di Pfannenstiel, o la fattibilità delle loro osservazioni prima di respingerle. […]

L’interpretazione di Kola è basata su due argomenti. Il primo è il fatto che l’Edificio G è ubicato vicino alle fosse comuni. La distanza è sotto gli occhi dell’osservatore, poiché una camera a gas è stata trovata a 20-30 metri a ovest o a sud dell’Edificio G, e tuttavia vicino alle fosse comuni (Fig. 8) (Kola, 2000: Fig. 17). Il secondo argomento riguarda la carta catramata. Il fatto che la carta catramata sia stata trovata nell’Edificio G è utilizzato da Kola per interpretarlo come una camera a gas, poiché la carta catramata venne notata da Reder sul tetto della nuova camera a gas (ivi: 69). Non possiamo trovare una ragione per non fidarci della specifica osservazione di Reder, ma siamo sicuri che questo non implica che l’uso della carta catramata venne riservato solo alla camera a gas. Al contrario, vi sono ampie prove che la carta catramata venne usata intensivamente in Polonia nella costruzione di baracche in generale e di baracche di legno nei centri nazisti di concentramento e di sterminio in particolare. A Treblinka, per esempio, il sopravvissuto Samuel Willenberg (1992: 139) nota che ‘Invece di farci mettere un tetto coperto di catrame nel nuovo edificio, come quelli degli altri edifici del campo, i tedeschi ne ordinarono uno con getto di calcestruzzo’. Che la carta catramata venne portata a Belzec e usata per coprire i tetti delle strutture in legno è altamente probabile, e quindi l’Edificio G è un esempio di tale struttura. Poiché c’erano molte strutture in legno, coperte, molto probabilmente, con carta catramata, l’affermazione che l’Edificio G è un’installazione di gasazione non può essere comprovata” (sottolineature mie).

Come Gilead e gli altri correttamente osservano, né la presenza di carta catramata né l’ubicazione dell’”Edificio G” costituiscono prove che esso ospitasse le camere a gas “Stiftung Hackenholt”. Quindi agli storici non rimane altro che le loro pie credenze, in questo caso assistiti dal fatto che l’intero sito del campo è ora coperto di cemento, rendendo impossibile ogni ulteriore indagine. Vale la pena di notare in questo contesto che lo stesso Bay è un collaboratore del Sobibor Archeological Project di Haimi e di Gilead, come si può vedere dal citato articolo di Gilead e altri[33].

Conclusione

Ho mostrato sopra che la “ricostruzione” di Alex Bay dell’”Edificio G” come il presunto edificio di gasazione della seconda fase di Belzec è decisamente difettosa, poiché si basa su un’incomprensione di come una fondazione con travi di livello appaia e funzioni. Le scarse prove circostanziali che Bay può addurre sono di dubbio valore, e non rafforzano in nessun modo l’ipotesi del campo di sterminio. Alla fine, si può solo concludere che l’”Edificio G” non può essere identico all’edificio di gasazione descritto dai testimoni. Quello che Bay presenta è perciò nulla di più di una falsa pista sulle tracce di una chimera, un tentativo alquanto fiacco di salvare la faccia della storiografia ortodossa alla luce di prove concrete imbarazzanti.

 

Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://codoh.com/library/document/traces-of-a-chimera-or-bezecs-vanishing-gas/en/

 

 

     

[1] Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps, Indiana University Press, Bloomington 1987, p. 73.

[2] Citato in E. Klee et al., ‘The Good Old Days’: The Holocaust as Seen by Its Perpetrators and Bystanders, The Free Press, New York 1988, p. 230.

[3] Citato da Y. Arad, “‘Operation Reinhard’: gas chambers in eastern Poland”, in: Kogon, Langbein and Rückerl (Eds.), Nazi Mass Murder: a Documentary History of the Use of Poison Gas, Yale University Press, New Haven and London 1993, p. 130.

[4] Cf. A Rückerl (ed.), NS-Vernichtungslager im Spiegel deutscher Strafprozesse, Deutsche Taschenbuch Verlag, Munich 1979, p. 133.

[5] I Gutman (ed.), Encyclopedia of the Holocaust, MacMillan, New York 1990, Vol I, p. 178.

[6] A. Kola, Bełżec: The Nazi camp for Jews in the light of archaeological sources: Excavations 1997-1999, The Council for the Protection of Memory of Combat and Martyrdom/United States Holocaust Memorial Museum, Warsaw/Washington 2000, p. 61.

[7][7] Ivi, p. 69.

[8] Carlo Mattogno, Bełżec nella propaganda, nelle testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia, Effepi, Genova 2006, p. 125.

[9] Citato in C. Mattogno, Bełżec in Propaganda, Testimonies, Archeological Research, and History, Theses & Dissertations Press, Chicago 2004, p. 96.

[10] https://phdn.org/archives/holocaust-history.org/belzec/

[11] https://phdn.org/archives/holocaust-history.org/belzec/deathcamp/index

[12] https://phdn.org/archives/holocaust-history.org/belzec/appendix/

[13] Nota del traduttore: 4’0’’ significa 4 piedi e zero pollici, equivalente ad una profondità di 121.92 centimetri.

[14] Nota del traduttore: 8 pollici equivale a poco più di 20 centimetri.

[15] Nota del traduttore: 6 piedi equivale a metri 1,8288.

[16] Francis D.K. Ching, Building Construction Illustrated, John Wiley & Sons, Hoboken NJ, 4th edition 2008, chapter 3, page 2 (3.02) – in questo libro sono assenti i numeri di pagina.

[17] Cindy Harris & Pat Borer, The Whole House Book. Ecological Building Design and Materials, 2nd edition, Centre for Alternative Technology Publications, Machynlleth 1998, p. 66.

[18] Francis D.K. Ching, Building Construction Illustrated, op.cit., chapter 3.09.

[19] Cindy Harris & Pat Borer, The Whole House Book, op.cit., p. 67.

[20] Tore Hansson, Holger Gross, Grunder (Träbyggnadshandbok 5), Trätek/Byggförlaget, Stockholm 1991, p. 23.

[21] M. Tregenza “Bełżec – Das vergessene Lager des Holocaust”, in: Wojak, Irmtrud, Peter Hayes (eds.), “Arisierung” im Nationalsozialismus, Volksgemeinschaft, Raub und Gedächtnis, Campus Verlag, Frankfurt/Main, New York, p. 257.

[22] https://www.jewishgen.org/yizkor/Belzec1/bel150.html

[23] http://www.holocaustresearchproject.org/ar/modern/archreview.html

[24] A. Kola, Bełżec, op.cit., p. 11.

[25] Ivi, pp. 13-14.

[26] Ivi, p. 14.

[27] https://phdn.org/archives/holocaust-history.org/belzec/

[28] A. Kola, Bełżec, op.cit., p. 19.

[29] Ivi, pp. 25-26, 28.

[30] Sulla mappa relativa alla sua indagine, Kola segna i resti dell’edificio come oggetti neri, ma non ne indica le designazioni. Confrontando i dati griglia (spesso incompleti) dei resti dell’edificio con quelli delle fosse n°12 e 10 diventa chiaro che l’”Edificio B” è o l’oggetto che si trova direttamente a sud della fossa n°10 o l’oggetto che si trova 40-50 metri a sud-ovest della stessa fossa.

[31] https://phdn.org/archives/holocaust-history.org/belzec/

[32] I. Gilead, Y. Haimi, W. Mazurek, “Excavating Nazi Extermination Centres”, Present Pasts, Vol. 1, 2009, pp. 22-23.

[33] Ivi, p. 35.

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