Thomas Kues: Ampliamento delle fosse comuni a Belzec causato dal movimento del terreno?

Ampliamento delle fosse comuni a Belzec causato dal movimento del terreno?

Di Thomas Kues, 2009

Tra il 1997 e il 1999, l’archeologo e professore polacco Andrzej Kola effettuò scavi e trivellazioni selezionati nell’ex sito del campo di Belzec nella Polonia orientale, dove presuntivamente 434.501 ebrei (434.508 ebrei vennero deportati nel campo secondo il cosiddetto telegramma Höfle, dei quali 7 a quanto si dice sopravvissero) vennero gasati a morte, sepolti, riesumati e cremati in pire all’aperto tra il 1942 e il 1943. L’area totale di questo campo, che fu completamente smantellato nel settembre 1943, ammontava a non più di 6.2 ettari, con il “Totenlager” [campo della morte] contenente le camere a gas e le fosse comuni che occupava grosso modo la metà di questo spazio.

Nel 2000, Kola pubblicò il libro Belzec: The Nazi Camp for Jews in the Light of Archeological Sources. Excavations 1997-1999 (“Belzec: il campo nazista per gli ebrei alla luce delle fonti archeologiche. Scavi 1997-1999”) (The Council for the Protection of Memory of Combat and Martyrdom/USHMM) in cui egli riferì che lui e la sua squadra grazie alle trivellazioni avevano scoperto 32 fosse comuni con un’area totale di superficie di 5.919 metri quadrati e un volume totale di 21.310 metri cubi. La notizia delle ricerche di Kola venne ampiamente pubblicizzata come la prova definitiva che Belzec aveva funto da campo di sterminio dove centinaia di migliaia di ebrei erano morti.

Tuttavia, questa affermazione venne contestata nel 2004 quando il ricercatore revisionista italiano Carlo Mattogno pubblicò il suo studio sul campo di Belzec, Bełżec in Propaganda, Testimonies, Archeological Research, and History (Theses & Dissertations Press). In esso, Mattogno esaminava tra le altre cose la capacità effettiva delle predette fosse comuni, concludendo che un massimo teorico di 170.480 cadaveri avrebbero potuto essere interrati in esse (p. 85), mentre le predette prove fisiche ottenute dalle trivellazioni indicavano il numero reale dei morti di Belzec nella portata di “diverse migliaia, forse anche alcune decine di migliaia” (p. 91). Poiché viene uniformemente ritenuto che praticamente tutti gli oltre 400.000 ebrei deportati al campo vennero uccisi lì entro poche ore dal loro arrivo, e che tutte le vittime vennero interrate all’interno dei confini del campo, tutto ciò cancellerebbe per default l’ipotesi ortodossa del “campo di sterminio”. I cadaveri effettivamente sepolti nel sito del campo potrebbero essere agevolmente spiegati come deportati ebrei che erano periti durante il viaggio – i documenti dell’epoca attestano un trasporto catastrofico da Kolomea (Kolomyja) a Belzec, durante il quale 2.000 ebrei morirono per varie cause – o come detenuti di Belzec morti di malattia o per altre cause. Poiché il piccolo campo non avrebbe potuto contenere neppure una piccola parte degli oltre 430.000 ebrei deportati al campo, diventa ovvio che la sola alternativa possibile all’ipotesi del campo di sterminio è quella di un campo di transito, da dove gli ebrei venivano inviati ad est nei territori sovietici occupati [dai tedeschi] o nei campi di lavoro del distretto di Lublino.

Nel 2009, Mattogno replicò ad una critica sterminazionista del suo studio scritta da Roberto Muehlenkamp (disponibile in rete a https://holocaustcontroversies.blogspot.com/2006/05/carlo-mattogno-on-belzec.html), pubblicando il lungo articolo “Bełżec e le Controversie Olocaustiche di Roberto Muehlenkamp” disponibile anch’esso in rete: https://web.archive.org/web/20110728155553/http://ita.vho.org/BELZEC_RISPOSTA_A_MUEHLENKAMP.pdf.

Nel suo studio del 2004, Mattogno fa notare il fatto che le riferite dimensioni delle fosse comuni di Belzec possono difficilmente essere identiche a quelle originali risalenti all’epoca dell’operatività del campo. Come lo stesso Kola ammette, è probabile che le clandestine “scavazioni selvagge” (effettuate da individui locali in cerca di preziosi sepolti) distrussero i muri tra le fosse limitrofe più piccole, creandone di più grandi. Secondo Kola, “i sommovimenti nelle strutture archeologiche vennero prodotti da scavi intensivi direttamente dopo la guerra”. Gli scavi in realtà continuarono fino ai primi anni ’60, quando il primo monumento venne eretto nel sito dell’ex campo. Scrive Mattogno (p. 89):

Quante fosse vi furono scavate in un paio di decenni? Questi scavi furono effettuati nel corso degli anni alla rinfusa, senza badare all’orientamento, all’ordine e alla simmetria, e ciò spiega perfettamente l’assenza di orientamento, la confusione e l’asimmetria delle fosse individuate da A. Kola. Nel corso di questi scavi, le pareti che separavano le fosse originarie furono rimosse, sicché esse ne risultarono falsamente ampliate. Inoltre, come risulta dalla dichiarazione di S. Kozak, la sabbia rimossa dalle fosse fu sparpagliata alla rinfusa in una vasta area del campo, portando alla luce ceneri e resti umani. Quando le fosse furono riempite, questo miscuglio di sabbia, ceneri e resti umani finì sia nell’area dove c’erano originariamente le pareti di separazione delle fosse, sia in fosse in cui originariamente non c’erano né ceneri né resti, confermando così l’illusione dell’esistenza di fosse comuni più numerose ed enormi[1].

Esiste anche la possibilità, suggerita da Mattogno, che alcune delle fosse individuate da Kola derivino non dalle operazioni del “campo della morte” nel 1942-43, ma da qualche anno prima, nel 1940, quando un campo di lavoro per ebrei e (qualche tempo prima) un campo per zingari vennero ubicati nelle immediate vicinanze del futuro “campo della morte”. Questo potrebbe forse spiegare perché alcune delle fosse contenessero a quanto si dice resti di cadaveri non cremati.

Nella sua confutazione di Muehlenkamp del 2009, Mattogno inoltre sottolinea che i contorni delle fosse comuni che sono state mappate sono, in una certa misura, arbitrari, poiché le fosse vennero localizzate utilizzando un reticolo di trivellazioni, senza aver fatto alcun tentativo per accertare i contorni esatti.

Le predette indicazioni che le fosse comuni originali della “fabbrica di cadaveri” di Belzec avevano un volume totale significativamente più piccolo dei 21.310 metri cubi asseriti da Kola rendono l’ipotesi dello sterminio anche più insostenibile di quanto già sia. Sotto presenterò un’altra possibile causa di ampliamento delle fosse che è sfuggita a Mattogno (sia nel suo studio originale che nella sua confutazione di Muehlenkamp del 2009) come pure, naturalmente, ai suoi detrattori, e cioè quella del movimento del terreno causato dalla piovosità.

In un breve articolo intitolato “Covering the mass graves at the Belzec Death Camp, Poland; geotechnical perspectives” pubblicato nell’antologia Geotechnical and Environmental Aspects of Waste Disposal Sites (Ed. R.W. Sarsby & A.J. Felton, CRC Press 2007), A. Klein, un consulente geotecnico indipendente residente a Haifa, in Israele, racconta come lui e la sua squadra effettuarono varie opere geotecniche in connessione con l’installazione del nuovo memoriale nel sito dell’ex campo di Belzec nel 2003-2004. Nell’articolo Klein descrive la topografia e le condizioni del terreno nel sito dell’ex campo nel modo seguente (p. 151):
Il campo della morte di Belzec è situato su un declivio che discende da nord-est a sud-ovest con un angolo compreso tra 5° e 10°. Il sito era a suo tempo coperto da alberi piantati per la maggior parte nel periodo dal 1943 al 1944, dopo che il campo era stato chiuso. Quasi tutti gli alberi sono stati rimossi e le loro radici distrutte nell’ambito della costruzione del nuovo sito memoriale nel 2003-2004.

Il tipo di terreno in gran parte del sito è costituito da uno spesso strato di sabbia gialla, da fine a media. Secondo le informazioni fornite dal responsabile di progetto dell’appaltatore, nell’angolo meridionale del sito, vicino al museo, è stato trovato uno strato di argilla leggera. Questo strato di argilla è stato rimosso dal sito nell’ambito dei lavori per il nuovo memoriale, e sottoterra è stato trovato uno strato di gesso giallognolo, mediamente duro, spesso almeno 3 metri. La falda freatica non è stata trovata sul posto nella profondità dei muri melmosi scavati per costruire la struttura centrale della trincea di cemento, e cioè si trovava ad almeno 20 metri sotto il livello del suolo”.

Secondo il progetto di costruzione proposto inizialmente, l’intero nuovo sito memoriale, dopo essere stato livellato e liberato dagli alberi e dalla vegetazione rimanente, doveva essere coperto con uno strato sottile e perforato di LDPE (polietilene a bassa intensità, un termoplastico spesso utilizzato per creare superfici resistenti alla corrosione). Sopra a questo sarebbe stato collocato uno strato di loppa di altoforno per impedire la crescita delle piante. Ci si accorse, tuttavia, che l’acqua piovana caduta sullo strato di LDPE avrebbe fatto muovere la loppa in direzione del museo nuovamente costruito e avrebbe forse causato l’allagamento dell’edificio. Scrive Klein (p. 153):

Dopo che le attività di costruzione erano iniziate nel sito ci si accorse che c’era un problema con il drenaggio nel sito, e che nei periodi di pesante piovosità la massa della sabbia e della loppa che si trovavano sopra il PVC perforato sarebbe scivolata nel declivio verso il cimitero. Inoltre, la pesante piovosità avrebbe potuto provocare allagamenti nell’area del museo. Il cliente si preoccupò anche che con la rimozione della maggior parte della copertura arborea, i frammenti di ossa umane e la cenere sarebbero fuoriusciti dal terreno sabbioso, fuori dalle fosse comuni muovendosi lungo il sito”.

Per risolvere questi problemi relativi al drenaggio Klein e la sua squadra vennero chiamati alla fine del 2003. Essi revisionarono la costruzione, sostituirono lo strato di LDPE con uno strato livellante di sabbia spesso da 10 a 20 centimetri. Poi uno strato di geotessuto ad alta resistenza venne collocato “sopra le posizioni approssimative delle fosse comuni”. Il suo scopo era di a) “coprire le fosse comuni in modo tale da diminuire possibili assestamenti nel futuro”, e b) “impedire il movimento dei frammenti di ossa umane e delle ceneri fuori dalle fosse comuni e nel sito del campo”. Sopra al geotessuto a sua volta venne collocato uno strato di sabbia spesso 10 centimetri, su cui poggiava una parte del memoriale attuale sotto forma di uno strato di loppa di altoforno spesso 30 centimetri.

La parte più interessante della relazione di Klein è la menzione che nell’assenza di una “copertura arborea” (o per essere più precisi delle radici degli alberi sepolte nel terreno) c’era l’evidente rischio che con la piovosità pesante i frammenti di ossa come pure le ceneri non solo affiorassero in superficie, ma anche “lungo il sito”. Un tale rischio era ovviamente considerato come assai reale, poiché Klein (p. 153) parla di “periodi di pesante piovosità, quali accadono in questa zona della Polonia”. In questo contesto non bisogna neppure dimenticare l’annotazione di Klein che l’ex campo “è situato su un declivio che discende da nord-est a sud-ovest con un angolo tra 5° e 10°”. Questo è importante, poiché un rapido sguardo alla mappa degli scavi di Kola rivela che le fosse comuni sono concentrate nella parte settentrionale dell’area del campo, vale a dire in salita. La pioggia che si riversa sul lato del declivio provocherebbe così in modo naturale la fuoriuscita dei resti umani in una direzione sud-occidentale. Si presenta il caso che un gran numero delle fosse comuni di Kola, specialmente quelle nella zona nord-occidentale dell’area del campo, sono più o meno rettangolari o allungate e allineate in una direzione che grosso modo è ovest-sud-ovest. Utilizzando l’enumerazione di Kola (cf. p. 19, 70), esse sono le fosse comuni numero 5, 4, 10, 12, 14, 15, 16, 17, 20, 23, 24 e 27.

Secondo Klein, che basa la sua descrizione del presunto campo della morte principalmente sul libro di Kola, i tedeschi dopo aver smantellato il campo “piantarono alberi in tutto il sito, nello sforzo di nascondere le loro passate attività”. Se questo fosse realmente vero, allora la risultante copertura arborea avrebbe più o meno efficacemente impedito alle ossa e alle ceneri di “muoversi lungo il sito” negli anni successivi allo smantellamento del campo. Il problema è che abbiamo una foto panoramica (o piuttosto un panorama composto da due fotografie di dimensioni ordinarie) del sito dell’ex campo, scattata probabilmente nel 1944 o nel 1945 da “inquirenti” polacchi o sovietici e messa in mostra dal Museo di Belzec sul suo sito web (https://web.archive.org/web/20090130041953/http://www.belzec.org.pl/historia.php?site=likwidacja).

Questa fotografia, scattata dall’angolo sud-occidentale del perimetro del vecchio campo e che mostra chiaramente l’altura nord-orientale del sito del campo, non mostra alla vista nessun albero piantato nuovamente. In realtà, l’intera area del campo, inclusa la parte contenente le fosse comuni, è nuda, con l’eccezione di un piccolo boschetto di alberi non troppo lontani dalla fotocamera. Vi sono anche quelle che sembrano essere le tracce di scavi visibili di fronte a questo boschetto. Vi potrebbero essere ulteriori tracce di scavi ancora più indietro che non sono visibili a causa della qualità dell’immagine. La foto non permette di accertare se i tedeschi avevano effettivamente piantato alberi sul sito oppure no, ma d’altro canto dimostra che non vi era praticamente nessuna “copertura arborea” che impedisse ai contenuti delle fosse di spostarsi, o piuttosto di diffondersi, durante il periodo finale della guerra, ed eventualmente per diversi anni dopo di essa. Un certo numero di piogge pesanti avrebbe perciò provocato l’ampliamento del volume del terreno contenente i resti umani, inducendo mezzo secolo dopo le trivellazioni di Kola a individuare fosse (ancora) più grandi di quelle che erano originariamente presenti nel sito.

Infine, leggendo l’articolo di Klein, si rimane colpiti dalla speciale deferenza concessa a quanto pare solo alle vittime ebraiche dei crimini di guerra (veri o presunti). In conclusione, leggiamo (p. 155):

Il sito di cui si parla in questa relazione fu il luogo di un ex campo della morte (Belzec) nella Polonia sud-orientale. All’interno del terreno vi erano fosse comuni (che occupavano circa il 50% dell’area totale del sito) contenenti i resti (dopo la cremazione e la distruzione dei corpi) di 600.000 persone. di conseguenza ogni opera di costruzione su questo sito doveva essere effettuata con delicatezza e in modo simpatetico rispetto alle vittime”.

A parte il fatto che l’area totale delle fosse comuni di Kola copre 0.59 ettari, che corrisponde al 9.5%, e non al 50% del sito del campo come Klein falsamente afferma, la predetta citazione sembra implicare che il necessario speciale rispetto dovuto alle vittime delle presunte camere a gas esclude ogni indagine forense dei siti di sepoltura. Recentemente, è stata trovata una fossa comune a Malbork, nella Polonia settentrionale. La scoperta ha avuto come conseguenza un’approfondita scavazione, che ha rivelato che la fossa conteneva i resti scheletrici di 1.800 tedeschi uomini, donne e bambini. Fori di proiettile trovati in molti dei teschi hanno suggerito che aveva avuto luogo un’esecuzione di massa di civili tedeschi alla fine della guerra. Diversi test forensi sono stati effettuati da esperti tedeschi e polacchi prima che i resti venissero interrati in due cimiteri locali (http://www.guardian.co.uk/world/2009/jan/13/mass-grave-poland-german-war). In acuto contrasto con tutto ciò, nessuna delle fosse comuni individuate a Belzec è stata mai scavata, nessuno dei cadaveri saponificati è stato riesumato per essere esaminato, e nessun tentativo di alcun genere è stato fatto per accertare la quantità effettiva di resti umani sepolti e cremati. Oggi naturalmente c’è il pesante strato di loppa di altoforno a coprire l’intero sito, rendendo ogni ulteriore esame praticamente impossibile. Un analogo strato protettivo camuffato da monumento ha coperto l’area del “Totenlager” del campo di Treblinka a partire dagli anni ’60.

Si potrebbe forse sostenere che non c’era ragione per scavare ed esaminare i contenuti delle fosse comuni poiché già si conosce l’identità delle vittime e il loro numero approssimativo. Questo però non è vero. Mentre la cifra delle 600.000 vittime di Belzec fornita dalla Commissione Centrale Polacca è ancora quella più ripetuta, all’epoca degli scavi di Kola (1997-1999) diverse cifre vennero proposte da vari esperti sterminazionisti: 1.000.000 (Michael Tregenza 1999), 800.555 (Robert O’Neil 1999) e 100.000-150.000 (Jean-Claude Pressac 2000). Esistevano così ampie ragioni per condurre un esame forense volto a stabilire il numero approssimativo delle vittime sepolte. Tuttavia, neppure la più pallida intenzione in questa direzione sembra essere esistita presso gli archeologi polacchi riguardo a Belzec. Piuttosto, i non scavi delle fosse sono stati supervisionati da rabbini ebrei, e neppure una singola foto delle trivellazioni è stata pubblicata. Sembra che un certo numero di istituzioni, incluso il mondo accademico polacco, faccia una differenza significativa tra i corpi dei gentili e quelli degli ebrei.

È prontamente riconosciuto che l’estensione del sopradescritto (probabile, piuttosto che semplicemente possibile) genere di movimento del terreno (o piuttosto della sabbia) e dei resti umani è sconosciuta, e che potrebbe non essere molto significativa, ma in ogni caso è meritevole di attenzione.

 

Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://codoh.com/library/document/grave-pit-enlargement-at-bezec-caused-by-soil/en/

  

 

 

[1] Il predetto brano di Mattogno è tratto dalla pagina 103 dell’edizione in lingua italiana (Bełżec nella propaganda, nelle testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia) pubblicata nel 2006 dalle edizioni Effepi.

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