I numeri dello sfascio italiano. Ma forse una soluzione ci sarebbe

Nella morsa dell’austerità, l’Italia sta morendo. Gli indicatori negativi si moltiplicano. Ormai non si può nemmeno più parlare di declino italiano, ma di vero e proprio degrado.

Comincerei questo post con una citazione, che ho trovato sulla bacheca Facebook di Stefano Sylos Labini:

“Dal 2010 ad oggi il combinato disposto della politica dell’avanzo primario e della restrizione del credito bancario ha determinato il drenaggio di circa 465 miliardi di euro in termini cumulativi dall’economia reale del Paese. 215 sono la somma degli avanzi primari annuali e 250 la differenza del credito bancario tra l’inizio e la fine di questo decennio. Si può parlare di miracolo al contrario: è un miracolo infatti che l’economia italiana non sia già morta per dissanguamento. Però se non cambiamo registro siamo veramente destinati ad affondare”.

Ricordo che 465 miliardi di euro sono circa 930.000 miliardi di vecchie lire. Gli effetti di questo governo perverso dell’economia emergono giorno dopo giorno:

in Italia in dieci anni (dal 2008 al 2018) hanno chiuso quasi 64.000 negozi, secondo Confcommercio.

Nel 2019 ha chiuso mediamente un negozio ogni ora. Tasse, burocrazia e liberalizzazione selvaggia stanno ammazzando il commercio al dettaglio, ha scritto solo pochi giorni fa il sito investireoggi.it.

Ma, a quanto pare, il peggio deve ancora venire: secondo alcune previsioni, nel 2020, l’Italia entrerà in recessione, a causa del basso tasso di crescita.

Gli analisti citati dal “Sole24Ore” prevedono una (de)crescita del -0,1% su base annua, ben al di sotto dell’attuale stima del governo dello 0,6.

In questo quadro fosco la situazione più grave è sempre quella del Mezzogiorno: Il Sud sta morendo: un milione di giovani in fuga. Disoccupazione alle stelle, titolava un anno e mezzo fa, il sito vesuviolive.it. Il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è raddoppiato tra il 2010 e il 2018, secondo la Svimez. Negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila residenti: la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all’estero. Quasi 800 mila non sono tornati”. È questo il ‘bollettino’ della Svimez sulla ‘fuga’ dal Sud, il cui peso demografico non fa che diminuire.

Altro indicatore: la produzione industriale crolla in 12 mesi del 4,3%. “Economia mai così male dal 2013”.  

Sconfortanti sono anche i numeri sul tenore di vita delle persone nelle grandi città: nel 2000, ben cinque capoluoghi del nostro paese erano tra i più ricchi del vecchio Continente. Oggi, resiste solo Milano mentre Roma e le altre sono sparite.  Scrive “L’Espresso:

“Secondo le stime dell’Ocse il reddito dei nostri concittadini è oggi grosso modo ancora allo stesso livello di fine anni ‘90. Dal 2007 fra tutte le economie avanzate soltanto la Grecia ha fatto peggio e, senza neppure citare chi corre davvero, basta ricordare anche solo i casi di Portogallo e Spagna, tornati a espandersi prima e meglio”.

Poi ci sono i costi dovuti alle scelte dell’attuale presidenza degli Stati Uniti che impattano sull’Italia: i dazi Usa hanno fatto crollare le vendite del cibo italiano del 20%. Fino all’ottobre scorso, gli unici dazi americani che colpivano prodotti italiani riguardavano acciaio e alluminio, prodotti che pesano per una quota trascurabile sul totale delle nostre esportazioni. Adesso invece, ad essere colpiti – per un valore di circa mezzo miliardo di euro – sono i prodotti alimentari (dal parmigiano al gorgonzola, dai vini ai liquori).

Commenta l’analista geopolitico Federico Dezzani:

“Export alimentare con cali a doppia cifra grazie ai dazi. Più chiusura del mercato iraniano. Più quarantena alla Cina. Trump comincia a pesare tanto sulle tasche dell’italiano medio”.

Qualcuno obbietterà che il governo almeno ha varato il Piano per il Sud: a quanto si dice, per il Sud il governo vuole “un’immediata mobilitazione di risorse finanziarie, amministrative e umane”. Ma si tratta di bassa propaganda, perché la condizione posta è che la presunta “mobilitazione” dovrà avvenire “senza gravare di maggiori oneri la finanza pubblica e agendo sul riequilibrio della spesa ordinaria”. In pratica, tale Piano potrà contare solo sugli stanziamenti in essere e sulla spesa dei fondi comunitari per il prossimo settennio, comprensivi di cofinanziamento nazionale. Tutto ciò ha fatto titolate al quotidiano “Il Manifesto” che il Piano per il Sud è un matrimonio con i fichi secchi.

Come se non bastasse, di fronte a questa economia dissanguata da lustri di austerità, adesso il premier Conte blatera di una “cura da cavallo” per il sistema Italia, evidentemente minacciando ancora più tasse. Ma l’Italia non crescerà con “cure da cavallo”: al massimo, stramazzerà.

Poi ci sarebbero la Ricerca & lo Sviluppo, eterne cenerentole del sistema Italia. Due aziende come ENI ed ENEL, che sono tuttora partecipate dallo Stato, investono cifre ridicole in R & S: rispettivamente 185 milioni e 19 milioni di euro. Su un fatturato di circa 80 miliardi di euro per entrambe le aziende si tratta di un rapporto rispettivamente pari a 0,25 e 0,025%.

Nella classifica delle prime 1.000 aziende europee per spese in Ricerca & Sviluppo le aziende italiane sono 39. Nel 2008, erano 52. Da 10 anni a questa parte le aziende italiane nelle prime 100 non sono mai state più di 5 e sempre dopo la ventesima. Questo significa essere ai margini della scena per quanto riguarda gli investimenti in termini assoluti.

Dirigenti miopi ma nessuno li discute

E la sanità? L’aspetto più odioso delle politiche di austerità riguarda proprio la sanità: in 10 anni, dal 2010 al 2019, sono stati tagliati alla sanità pubblica 28 miliardi di euro.

Nel 2015, oltre 12 milioni di italiani hanno dichiarato di aver rinunciato alle cure per motivi economici, mentre 7,8 milioni hanno speso tutti i loro risparmi o si sono indebitati per far fronte alle spese mediche.

Sono cose note da tempo ma, ogni tanto, è bene ricordarle. Emblematico è il caso della sanità nelle Marche. Nelle Marche in 40 mesi sono stati chiusi 13 ospedali.

“Prima i tagli, poi il declassamento, infine la cessione al privato. Ecco che fine faranno i nostri ospedali!”. Questa la denuncia del Comitato Marche pro ospedali pubblici.

Prima gli ospedali vengono declassati a “case della salute”, poi queste ultime vengono privatizzate e quindi reintegrate dei servizi (come chirurgia) che erano stati tolti agli ospedali quando erano ancora pubblici.

Tutto questo avviene in parallelo con l’opera faraonica di costruzione di 6 nuovi maxistrutture ospedaliere provinciali costosissime (si stima un “impegno” complessivo per la Regione di circa 5,5 miliardi di euro in 30 anni) e finanziate con Project Financing, il cui pool di imprese costruttrici e finanziatrici è capeggiato dal gruppo De Benedetti. Questa è la fine che sta facendo la sanità nelle Marche.

E poi c’è la vergogna delle zone terremotate, dove la ricostruzione non è mai partita. “Non ci sono governi amici”, affermava un anno fa il Coordinamento dei comitati del cratere del terremoto nel Centro Italia. I rappresentanti del Coordinamento hanno parlato addirittura di “strategia dell’abbandono”, riferendosi a quell’insieme di politiche e di pratiche che hanno portato le predette zone allo spopolamento. Un anno fa, i rappresentanti del Coordinamento chiedevano “misure di sostegno al lavoro, al reddito e alla dignità degli abitanti del cratere, con una gestione dei fondi pubblici equa e trasparente”. Ma ancora una volta sono rimasti inascoltati.

Camerino, una delle più antiche città universitarie d’Europa, oggi è una città fantasma. Lo scriveva già due anni fa il noto professore Salvatore Settis: “ Inutili insegne segnalano invano ristoranti, banche, scuole, istituti universitari, uffici pubblici, studi medici o legali, bar, caserme dei carabinieri. Tutto in abbandono, tutto in disuso”.

Quella dell’abbandono di Camerino e del suo mirabile centro storico è un’autentica vergogna: su tutto ciò il tradimento del Movimento 5 Stelle si somma e si rende indistinguibile da quello, pregresso, del Partito Democratico. Questo accade in un paese senza sovranità, come l’Italia, fagocitato dagli eurocrati di Bruxelles e condannato all’abbandono dei propri territori, qualunque siano le promesse di chi, dall’opposizione, promette un agognato e chimerico “cambiamento”.

Il centro storico di Camerino

Non c’è da meravigliarsi che in questo scenario disastroso aumentino i suicidi.

I dati forniti dall’”Osservatorio “Suicidi per motivazioni economiche” della Link Campus University riferiscono di 988 casi di suicidio dal 2012 ad oggi. Mentre i tentati suicidi sono 717. Le regioni più interessate sono il Veneto e la Campania. Se nel 2012 la categoria più colpita era quella degli imprenditori, oggi sale il tasso di suicidi tra i disoccupati.

Ma c’è un’altra forma di suicidio: il gioco d’azzardo. L’anno scorso gli italiani hanno speso in questo modo la cifra record di 110,5 miliardi di euro: il che equivale a 1.830 euro di spesa pro capite. Il gioco è diventato quindi una vera piaga, a tal punto che giustamente il quotidiano “Avvenire” ha potuto titolare che è l’azzardo la vera pandemia. Ma già nel 2018 gli italiani avevano speso in giochi con il denaro e per il denaro ben 107 miliardi di euro. Non si va più in vacanza, si rinuncia a rinnovare l’abbigliamento, non si spendono più soldi per le cure mediche ai bambini (-34%), ma si continua a spendere più denaro in lotterie e slot-machine. Ai vertici di questa cupa classifica, due regioni particolarmente segnate dalla crisi economica: l’Abruzzo (prostrato dalla tragedia del sisma) e la Campania.

In mezzo a tutto questo disastro c’è però una notizia che potrebbe essere positiva: il 6 febbraio è stato assegnato alla sesta commissione Finanze e Tesoro del Senato l’esame di un disegno di legge che introduce i “certificati di compensazione fiscale” (CCF), in pratica una “Moneta Fiscale” parallela all’ euro.

La moneta fiscale è l’ultima spiaggia per uscire dalla recessione. Il relativo disegno di legge è stato presentato da un gruppo di parlamentari pentastellati che hanno agito senza la guida o l’approvazione dei vertici. Ecco come descrivono il funzionamento della moneta fiscale Paolo Becchi e Giovanni Zibordi:

“Si tratta di sconti fiscali emessi dal governo, simili alle agevolazioni per le ristrutturazioni immobiliari, ma in questo caso trasferibili a chiunque. Anche se chi li riceve li potrà usare solo tra un paio di anni, può cederli subito in cambio di euro a qualcun altro che poi li utilizzerà lui dandoli all’ Agenzia delle Entrate invece di sborsare euro. Inoltre, a differenza delle agevolazioni fiscali per la casa, non sono sconti vincolati ad effettuare una spesa specifica, sono una riduzione di tasse tout court. Questi sconti o buoni fiscali differiti sono una sorta di moneta elettronica, cioè qualcosa che si può scambiare tra i cittadini, sulla base di un valore certo che gli attribuisce il fisco. Ovviamente non sono moneta legale perché nessun privato ha l’obbligo di accettarli in pagamento, ma visto che lo Stato si impegna ad accettarli per le tasse è ovvio che poi anche molti privati li accetteranno. In questo caso lo Stato garantisce che se ricevi 1,000 euro di questi sconti fiscali (“CCF”) tra due anni potrai usarli per pagare 1,000 euro di tasse”.

Secondo gli autori dell’articolo da me citato il progetto di legge sulla moneta fiscale è una mina vagante sotto il governo, in quanto tra i suoi sostenitori vi sono molti parlamentari pentastellati mentre la Lega e gli altri partiti di opposizione dovrebbero essere favorevoli, perché la moneta fiscale fa uscire dai vincoli dell’austerità senza uscire dall’euro.

E infatti, un noto leghista come Claudio Borghi si è già espresso in senso favorevole a questa soluzione:

Quindi, se il governo Conte dovesse cadere, in questo caso cadrebbe per un motivo serio: perché finalmente si formerebbe una nuova maggioranza parlamentare non per manovre di palazzo ma per risollevare le sorti dell’Italia.

Voglio proprio vedere come va a finire. Sia pure da spettatore, sono qui con il popcorn anch’io.

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