Paul Grubach: Revisionismo dell’Olocausto e neonazismo: non sono la stessa cosa!

REVISIONISMO DELL’OLOCAUSTO E NEONAZISMO: NON SONO LA STESSA COSA!

Di Paul Grubach, 2001

Una delle accuse più dannose, ricorrenti e false rivolte contro il revisionismo dell’Olocausto è che esso fa parte di un movimento estremista neonazista, il cui scopo supremo è distruggere i sistemi politici democratici e reintrodurre il totalitarismo nazista. Nell’esprimere questo sentimento largamente condiviso, un importante avversario del revisionismo dell’Olocausto, il dr. Michael Shermer, ha descritto i revisionisti come un “gruppo piccolo ma rumoroso di antisemiti, neonazisti, e radicali politici a cui piacerebbe vedere il ritorno del nazionalsocialismo”[1]. Shermer imputa a tutti i revisionisti il desiderio occulto di ripristinare il Terzo Reich, o di farne nascere un Quarto. Un rapido esame delle prove dimostrerà facilmente la falsità di questa tesi.

Laird Wilcox, un esperto di estremismo politico, stimò nel 1989 che una minoranza (fino al 25%) di revisionisti dell’Olocausto era sostenitrice del nazismo, il che significa naturalmente che la grande maggioranza (il 75%) all’epoca non lo era[2]. Nel decennio che è seguito alla stima di Wilcox, il revisionismo ha attratto un uditorio molto più ampio che sicuramente riduce questa cifra in modo significativo. Gli avversari del revisionismo dell’Olocausto come Shermer si fanno un dovere di ignorare questo importante elemento di prova ogni volta che invocano la balla del “revisionismo-eguale-a-nazismo”.

Il padre del revisionismo dell’Olocausto, Paul Rassinier, era un pacifista, ex comunista e socialista di sinistra che si oppose ai nazisti durante la seconda guerra mondiale, e a causa delle sue attività nella resistenza francese venne internato dai tedeschi nei campi di concentramento nazisti[3]. In realtà, questo legame di intellettuali liberali e di sinistra con il revisionismo dell’Olocausto è continuato in Francia fino ad oggi. Lo storico ebreo francese – e aspro avversario del revisionismo – Pierre Vidal Naquet, ha notato che alla base del revisionismo in Francia c’è un gruppo rivoluzionario e di sinistra: La Vieille Taupe[4].

Lo studioso revisionista francese, il dr. Robert Faurisson, è da sempre un liberale apolitico che non ha mai avuto nessuna simpatia per il nazismo. Un altro eminente intellettuale francese di sinistra che è simpatetico al revisionismo dell’Olocausto è Serge Thion.

Il famoso filosofo francese della politica Roger Garaudy è un ex teorico del comunismo che si è convertito all’Islam. Egli è anche un noto assertore del revisionismo dell’Olocausto in Francia.

Uno dei primi portavoce del revisionismo dell’Olocausto in America è Bradley Smith. La sua attuale moglie è di origine messicana e la sua ex era ebrea. Per molti anni prima del suo coinvolgimento nel revisionismo è stato un liberal, sostenitore della libertà di parola che descriveva sé stesso come un libertario. Chiaramente, egli non rientra nel modello di un neonazista.

L’eminente autore e attivista revisionista americano Michael Hoffman II ha espresso critiche stringenti di Adolf Hitler e del nazismo. Egli ha scritto:

“Hitler fu un disastro per la Germania. Egli prese delle idee pienamente legittime sulla comunità organica e sul radicamento nella terra e le trasformò in una moderna contraffazione. Professando di combattere contro lo stato di polizia bolscevico, ne creò uno suo proprio. Professando la potenza militare, rese il suo popolo privo di difese prima della spietata devastazione operata dai bombardieri della RAF dell’Impero inglese. Fece una crociata contro il comunismo e finì per far diventare comunista metà dell’Europa. Hitler è il più grande fallito e incompetente di questa era storica”[5].

Riguardo al nazismo come sistema politico, il giudizio di Hoffman è ugualmente aspro e riflette in modo preciso il consenso delle opinioni presso molti revisionisti con cui mi sono associato:

“Il sistema nazista era appropriato per un formicaio formato da servi, leccapiedi e adulatori che obbedivano automaticamente ai “capi supremi” la cui visione era corrotta dall’adulazione insensata che essi esigevano. Come ridacchio sardonicamente quando mi trovo in mezzo a folle di ebrei ululanti e a bande di giornalisti ignoranti mentre costoro accusano tutti i revisionisti di cercare di far “rivivere Hitler” e di avere un’”agenda segreta” di “neonazismo”[6].

Chiaramente, questo non è certo il discorso di un neonazista.

Il nocciolo della questione rimane che i revisionisti dell’Olocausto non possono essere fatti rientrare in uno stereotipo politico, poiché essi rappresentano un ampio spettro delle opinioni politiche: di sinistra, liberali, libertari, centristi, conservatori, di destra. In effetti c’è anche una visibile minoranza di neonazisti che si considerano revisionisti dell’Olocausto, ma la grande maggioranza dei revisionisti non può essere categorizzata come tale. Il revisionismo dell’Olocausto è una scuola storica di pensiero e non un movimento politico.

Nel loro libro Denying History: Who Says the Holocaust Never Happened and Why do They Say It?, Michael Shermer e il co-autore Alex Grobman scrivono: “Alcuni negazionisti dell’Olocausto, in particolare quelli con tendenze estremistiche di destra, possono ottenere un’accoglienza più favorevole se il crimine (dell’Olocausto) connesso al fascismo non ebbe in realtà mai luogo. Senza l’Olocausto forse il fascismo sarebbe un’alternativa più accettabile alla democrazia”[7].

Molto prima della leggenda dell’Olocausto, la maggioranza dei popoli nelle democrazie occidentali ha rifiutato i movimenti fascisti totalitari, mostrando così che il fascismo non è un’alternativa accettabile alla democrazia nelle menti della maggior parte dei popoli europei.

Stephen Roth, un ex direttore dell’Institute of Jewish Affairs (Londra), procede a spiegare perché egli ritiene che il revisionismo dell’Olocausto è l’arma più efficace dell’arsenale “neonazista”:

“Se i crimini dei nazisti possono essere cancellati dai registri della storia, se il regime nazista può essere riabilitato e fatto apparire come in qualche modo autoritario e duro quanto alla legge e all’ordine ma basilarmente inoffensivo e più efficiente delle nostre democrazie occidentali presuntivamente lassiste con il loro crescente disordine, i loro crimini, la loro violenza, e i loro tumulti, allora i neonazisti avranno conseguito una grande vittoria. Il sistema da loro propugnato apparirebbe parimenti inoffensivo e accettabile, e la resistenza ideologica ad esso, largamente basata sulla consapevolezza degli orrori del passato, verrebbe minata, in modo particolare presso le persone più giovani che non hanno l’esperienza personale del regime nazista”[8].

Dovessero i revisionisti avere successo nel convincere i popoli delle democrazie occidentali che le “camere a gas” non sono mai esistite, la grande maggioranza proverà ancora una considerevole resistenza nei confronti della filosofia, del sistema politico, e delle politiche implementate durante il Terzo Reich. I nazionalsocialisti propugnavano uno stato padrone, con il controllo da parte di un solo partito della società e la censura sulla stampa. Di contro, intrinseca alla moderna cultura politica dell’Occidente è l’accettazione di uno stato multipartitico, dell’indipendenza della stampa da un palese controllo politico, e la repulsione verso un’aperta irreggimentazione.

In effetti, lo storico Francis Nicosia considera questo come un importante fattore nel rifiuto dell’Inghilterra di allearsi con la Germania nazionalsocialista durante gli anni ’30. Egli fa notare che ci fu una fondamentale incompatibilità tra le filosofie politiche e i sistemi nazionalsocialisti e inglesi[9].

Inoltre, i popoli delle democrazie, in particolare l’America, sembrano fermi nella convinzione che una certa quota di disordine e di disonore, dai tumulti al crimine di strada alla corruzione politica ed economica, è un prezzo accettabile da pagare per il mantenimento della società democratica.

Quello che essi cercano di conseguire, io credo, è molto semplice. Se la gente smette di credere che il revisionismo dell’Olocausto è, in essenza, un movimento neonazista, molti si convinceranno a causa di questa associazione che le tesi principali del revisionismo sono false e forse persino malvage. Questa è una linea di ragionamento “ad hominem” che è logicamente fasulla ma psicologicamente molto attraente per larghi settori della popolazione. La verità o la falsità di una teoria (qual è il revisionismo dell’Olocausto) è indipendente dalle tendenze politiche dei suoi proponenti. Come il filosofo della scienza Karl Popper ha osservato, non importa da dove le ipotesi provengano, importa solo se esse spiegano le prove su cui esse si basano, se esse sono suscettibili di essere confutate, e se esse possono resistere ai tentativi di confutarle[10].

In breve, questa accusa di “revisionismo-uguale-a-nazismo” è semplicemente un ariete ideologico utilizzato dagli oppositori del revisionismo per screditare e minare il revisionismo dell’Olocausto.

Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://vho.org/tr/2001/4/tr08notnazi.html

 

 

[1] https://web.archive.org/web/20011123103533/http://www.skeptic.com/wpbwt.html. Vedi il punto 2.

[2] Laird Wilcox, “The Spectre Haunting Holocaust Revisionism,” Revisionist Letters, Spring 1989, p. 8.

[3] Vedi il materiale biografico su Paul Rassinier da parte di vari autori in Paul Rassinier, The Holocaust Story and the Lies of Ulysses: A Study of the German Concentration Camps and the Alleged Extermination of European Jewry (Institute for Historical Review, 1978).

[4] Pierre Vidal-Naquet, Assassins of Memory: Essays on Denial of the Holocaust (Columbia University Press, 1992), pp.116-120.

[5] Michael Hoffman II, The Great Holocaust Trial, Third Commemorative Edition, (Wiswell Ruffin House, 1995), p.136.

[6] Ibid.

[7] p.16.

[8] Michael Curtiss, ed., Anti-Semitism in the Contemporary World (Westview Press, 1986), p.222.

[9] Francis Nicosia, The Third Reich and the Palestine Question (University of Texas Press, 1985), p.77.

[10] Karl Popper, Conjectures and Refutations: The Growth of Scientific Knowledge (Basic Books, 1962), passim.

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