Il tribunale federale svizzero conferma la condanna di Claude Paschoud

Da Bocage-info ricevo e traduco:

IL TRIBUNALE FEDERALE SVIZZERO CONFERMA LA CONDANNA DI CLAUDE PASCHOUD

INIZIO

In un articolo datato 16 agosto 2018, il quotidiano 24 Heures aveva menzionato la condanna della coppia Paschoud per discriminazione razziale. Secondo la giustizia vodese, i testi incriminati negano l’Olocausto.

È per dei testi pubblicati sul sito http://www.pamphlet.ch/ tra il 2014 e il 2016 che Mariette e Claude Paschoud sono stati sanzionati nel marzo scorso da una procuratrice. Sessanta giorni emendati a 70 franchi per Mariette Paschoud, accompagnati da una condizionale di 4 anni e da un’ammenda di 700 franchi. Claude Paschoud è stato condannato da parte sua a 90 giorni emendati a 30 franchi con una condizionale pendente di 4 anni così come ad un’ammenda di 450 franchi. Claude Paschoud ha contestato questa ordinanza penale, ma la pena per discriminazione razziale, che si basa sull’art. 261 bis del Codice penale, è stata confermata. L’ammontare dei giorni/ammenda passa a 60 franchi e l’ammenda a 500 franchi.

Di fronte al Tribunale di polizia del distretto di Losanna, Claude Paschoud, giurista che ha insegnato il diritto e l’economia a dei futuri ingegneri, si è presentato come un “giornalista-revisionista”. Egli vuole poter dibattere pubblicamente “senza odio e senza timore”, di un “argomento di storia controverso”, come sono stati, secondo lui, l’assassinio del presidente americano Kennedy o gli attentati di New York nel settembre 2001. E questo nella “preoccupazione della ricerca della verità”: “Non è perché ho dei dubbi sulle camere a gas omicide che provo dell’odio o che faccio prova di discriminazione razziale”, afferma egli.

Uno dei testi che hanno condotto alla condanna dei due autori, privi di precedenti giudiziari, dice questo: “La sola religione che è proibito toccare è la religione olocaustica”. Per la procuratrice Hélène Rappaz, “Claude Paschoud e Mariette Paschoud negano con ogni evidenza l’Olocausto, genocidio ebraico universalmente riconosciuto come tale, rendendosi colpevoli del reato represso dall’art. 261 bis”.

Di fronte a Claude Paschoud, il presidente Lionel Chambour ha confermato: “Secondo la giurisprudenza, la semplice negazione dell’Olocausto conduce all’applicazione dell’art. 261 bis”. Il giudice sostiene il punto di vista della procuratrice sulla questione della discriminazione razziale come motivazione. “Una parte della dottrina considera che gli ‘storici’ che negano l’Olocausto agiscono sempre con un odio antisemita”. Ora, sottolinea Lionel Chambour, “il prevenuto riprende a sua volta le loro tesi, anzi le completa”. Claude Paschoud annuncia la sua intenzione di fare appello al Tribunale cantonale, e forse alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Cosa che il turco Dogu Perinçek, condannato a Losanna per aver negato il genocidio armeno, aveva fatto con successo.

Per Philippe Grumbach, avvocato della Coordination intercommunautaire contre l’antisémitisme et la diffamation (CICAD) che ha denunciato i fatti, le sue possibilità sono estremamente deboli. “L’antisemitismo non è un’opinione, è un reato”. I Paschoud sono dei negazionisti animati dall’odio per gli ebrei. In ciò che concerne la Shoah, la giurisprudenza è chiara. Siamo dunque sollevati da questo giudizio”.

Secondo il CICAD, questa condanna è importante: “In Europa, l’estrema destra ha il vento in poppa. Dobbiamo restare attenti. Siamo preoccupati per l’odio che monta, non solamente contro gli ebrei, ma anche contro gli stranieri in generale e i musulmani”.

Claude Paschoud ha fatto appello di questo giudizio davanti alla Corte d’appello penale del Tribunale cantonale vodese, in quale ha confermato in data 8 gennaio 2019 il giudizio di primo grado. Claude Paschoud è allora ricorso contro la decisione del Tribunale cantonale presso il Tribunale federale che ha confermato la sentenza con la sua decisione del 29 maggio 2019. La Corte suprema ha ritenuto che la motivazione invocata da Claude Paschoud, e cioè che egli aveva pubblicato i testi incriminati non con lo scopo di recare offesa alla dignità delle vittime di un genocidio, ma unicamente con quello di informare i suoi lettori dell’attualità del revisionismo, non è stato accettato dalla Corte suprema. I giudici hanno tagliato corto invocando il carattere “automatico” del movente discriminatorio che è intrinseco al fatto di evocare i soggetti trattati dal ricorrente. La sentenza precisa che non è necessario esaminare se delle eccezioni a questo “automatismo” in materia di movente sono concepibili. Quanto alla giurisprudenza della  CEDH[1], essa non dice niente, secondo i giudici della Corte suprema, che possa invalidare questo punto di vista.

FINE

[Un giudizio politico che discrimina in particolare le vittime del genocidio armeno, le quali non sono ammesse a beneficiare della natura automatica del movente come ha dimostrato l’affare Perinçek].

 

 

[1] Acronimo che sta per Cour européenne des droits de l’homme.

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