Germar Rudolf: Un sopravvissuto, un solo sopravvissuto!

UN SOPRAVVISSUTO, UN SOLO SOPRAVVISSUTO!

I transitati per Treblinka

Di Germar Rudolf, 2017

Riassunto

Gli studiosi ortodossi dell’Olocausto rifiutano la tesi revisionista che i campi della cosiddetta Azione Reinhardt furono campi di transito per gli ebrei deportati nel loro tragitto verso l’Est. Costoro sfidano i revisionisti a mostrare loro un ebreo, un solo ebreo, che venne deportato attraverso uno di questi campi e che sopravvisse. Questa relazione presenta prove di migliaia di ebrei per i quali questi campi furono mere stazioni di sosta.

L’archeologia sull’Olocausto

Se seguiamo la narrazione ortodossa dell’Olocausto, i campi della cosiddetta Azione Reinhardt – Bełżec, Sobibór e Treblinka – furono campi di puro sterminio. Nel senso davvero letale della parola, si sostiene che siano stati dei vicoli ciechi per i deportati ebrei inviati lì, che vennero presuntamente uccisi in camere a gas omicide utilizzando il gas di scarico dei motori, e i loro cadaveri successivamente sepolti e in seguito riesumati e cremati in gigantesche pire all’aperto[1].

Durante gli ultimi 20 anni, sono state condotte esplorazioni archeologiche dai ricercatori ortodossi in tutti e tre i campi dell’Azione Reinhardt alla ricerca dei resti dei presunti edifici delle camere a gas, delle fosse comuni e dei siti delle cremazioni di massa che si ritiene siano esistiti nelle vicinanze.

Le prime di tali esplorazioni vennero condotte tra il 1997 e il 1999 nel sito dell’ex campo di Bełżec[2]. Mentre furono localizzate grandi quantità di terreno rimaneggiato, la quantità di resti umani scoperti fu minima, e non venne trovata nessuna traccia che somigliasse anche lontanamente a quella che i testimoni avevano descritto come la camera a gas[3].

Il campo successivo ad essere esaminato fu Sobibór, che fu il centro di esplorazioni molto più vaste di quelle condotte a Bełżec. Le indagini iniziarono nel 2000 e furono condotte fino all’anno 2014 e probabilmente anche oltre. A differenza di Bełżec, i ricercatori convolti non effettuarono semplicemente delle perforazioni limitate a dei campioni di carotaggio, ma scavarono realmente in diverse aree sospettate di contenere i resti delle strutture dell’ex campo: pali della recinzione, edifici, fosse comuni e fosse di cremazione[4]. Nell’estate del 2014, venne scoperta una struttura che i ricercatori coinvolti ritengono essere stata la presunta camera a gas[5]. Fino alla fine del 2016, il sito web dedicato al museo di Sobibór presentava una notizia del 2014 che annunciava l’imminente pubblicazione dei risultati della ricerca. Quando contattai i responsabili tramite email alla fine del novembre 2016 chiedendo se quella pubblicazione era apparsa e, in caso affermativo, dove poteva essere trovata, invece di ricevere una risposta, l’annuncio fu tranquillamente rimosso. Una critica revisionista delle scoperte di Sobibór venne pubblicata nel 2013, e naturalmente non tratta della scoperta della presunta camera a gas[6].

Il campo di Treblinka è stato l’ultimo a essere l’oggetto di una moderna ricerca archeologica. Questa ricerca incluse l’uso di strumenti di alta tecnologia come le scansioni LIDAR e il geo-radar. Vennero anche condotti degli scavi di minore entità – e ottenuti campioni di carotaggio – sebbene a quanto pare in scala molto più ridotta rispetto a quelli di Sobibór. Al riguardo, nessun rapporto, relazione o libro sembrano essere stati pubblicati come risultato di tutto questo, ma la responsabile della ricerca, la dr.ssa Caroline Sturdy Colls, ha incluso alcuni dei suoi ritrovamenti in un libro complessivo sulle scienze forensi e sull’archeologia dei siti dello sterminio[7]. Una critica revisionista pubblicata due anni prima dell’uscita di questo libro ha potuto analizzare solo pochi frammenti di informazione in articoli di giornale piuttosto superficiali, quindi è di valore assai limitato[8]. Un video-documentario revisionista che esamina la ricerca di Sturdy Colls si limita a trattare di ciò che era apparso in un documentario televisivo del 2013[9], e quindi ha parimenti un valore limitato[10].

Tesi conflittuali

In ogni caso di omicidio l’onere della prova spetta a chi afferma che un omicidio è avvenuto. In ogni disputa scientifica, l’onere della prova spetta a coloro che presentano una tesi su qualsiasi cosa.

In questo caso, tutti concordano che circa 1.3 milioni di persone vennero deportate nei campi dell’Azione Reinhardt, un’affermazione basata primariamente su un messaggio radio tedesco intercettato e decifrato dagli inglesi l’11 gennaio 1943, che parla di un totale di 1.274.166 deportati[11]. Ma cosa accadde agli ebrei che arrivarono in questi campi?

La storiografia ortodossa sostiene che quasi tutti questi ebrei vennero uccisi sul posto, di solito entro poche ore dal loro arrivo, al più tardi. Solo pochi uomini sani e giovani venivano tenuti vivi come schiavi per attuare le operazioni genocidarie del campo, ma anche questi di solito non vivevano a lungo.

I revisionisti, d’altro canto, sostengono che questi campi erano campi di transito, e che gli ebrei che arrivavano in queste stazioni di confine semplicemente cambiavano treni dallo scartamento normale europeo allo scartamento allargato russo, per essere deportati più ad Est durante un grande piano di reinsediamento degli ebrei d’Europa[12]. La tesi revisionista afferma che la maggior parte degli ebrei deportati in questi campi venivano tenuti lì solo per breve tempo – ore o giorni – durante il quale costoro e i loro averi potevano essere sottoposti a misure igieniche: docce e disinfestazioni. Potevano essere anche sottoposti a qualche genere di selezione per scegliere gli individui adatti ad essere impiegati nei lavori forzati – ed essere mandati altrove – mentre i restanti prendevano un altro treno diretto più ad est per essere reinsediati in qualche parte delle zone dell’Unione Sovietica allora occupate dai tedeschi.

Provare lo sterminio

Coloro che affermano che in questi luoghi venne attuata una gigantesca operazione di sterminio devono fornire i generi di prova richiesti in ogni caso di omicidio: innanzitutto le tracce dei corpi, le prove degli omicidi, e ogni genere di traccia degli agenti letali. Le indagini archeologiche menzionate in precedenza vennero condotte in qualche misura per fare esattamente questo: localizzare i resti dei corpi, stabilire il modo in cui morirono, e trovare le tracce delle camere a gas. I critici revisionisti hanno affermato che le prove realmente trovate sono estremamente insufficienti rispetto a quello che ci si doveva aspettare, tuttavia gli antagonisti ortodossi dei revisionisti hanno ragionato diversamente[13].

Per questo studio, mi concentrerò sul campo di Treblinka, che si ritiene abbia avuto il più grande tasso di mortalità di tutti e tre i campi dell’Azione Reinhardt.

Innanzitutto, definiamo quale genere di prove sarebbero richieste per provare che il presunto sterminio abbia avuto luogo. Soprattutto, questo concerne le tracce delle vittime o del modo in cui i loro corpi vennero smaltiti. L’ortodossia sostiene che circa 700.000 vittime vennero sepolte dentro il campo e che in seguito vennero riesumate e cremate su gigantesche pire. Lascerò da parte qui la questione del come un tale compito possa essere stato fisicamente possibile, poiché se i resti di 700.000 vittime possono essere localizzati, una tale impresa ovviamente è stata in qualche modo possibile. Quindi, ci possiamo preoccupare del Come solo se non troviamo le tracce previste.

Il seppellimento di 700.000 vittime nel giro di pochi mesi – si ritiene che la maggior parte siano morti tra il luglio e l’ottobre del 1942 – richiede una data quantità di spazio nel terreno. Inoltre, devono esserci state anche delle grandi aree dove le cremazioni presuntamente ebbero luogo. Infine, i resti delle cremazioni – ceneri, frammenti dei corpi, legname incombusto – dovrebbero essere trovati da qualche parte. Tutto questo ha bisogno di quantificazioni.

Tuttavia, il compito non è semplice come sembra, perché non abbiamo a che fare con uno scenario del crimine incontaminato come quello che fu lasciato dai presunti perpetratori. È esattamente il contrario: è un dato di fatto che due indagini forensi/archeologiche vennero condotte lì alla fine della guerra o poco dopo: una dai sovietici, l’altra dalle autorità polacche[14]. Inoltre, vi sono prove che indicano che nell’area dell’ex campo di Treblinka vennero sganciate delle bombe verso la fine della guerra, probabilmente dall’aviazione sovietica, provocando importanti devastazioni[15]. Inoltre, scavi casuali totalmente clandestini compiuti da ladri di tombe si sono susseguiti per decenni, poiché il sito fu lasciato fondamentalmente incustodito per decenni dopo la guerra.

Quindi, anche se si riuscisse a stabilire esattamente quanta parte del terreno sottostante al campo sia stata rimaneggiata, come si può dire quali di queste perturbazioni derivano dai presunti perpetratori e quali sono state aggiunte dalle predette attività che sono sopravvenute dopo che il campo è stato smantellato? Mentre è forse possibile scoprire dove e quanto le commissioni d’inchiesta sovietica e polacca abbiano scavato, e in che misura [questi scavi] abbiano incluso il volume delle ex fosse comuni e dei siti delle cremazioni, ecc., è probabilmente piuttosto difficile, ammesso che sia possibile, distinguere i crateri delle bombe e le buche clandestine dalle fosse comuni e dai siti delle cremazioni originari. Ma questa distinzione è indispensabile per essere sicuri di quale perturbazione del suolo sia originaria e di quale sia posteriore. Certo, questo prerequisito è un criterio di prova molto esigente che può essere estremamente difficile o addirittura impossibile da soddisfare. Ma questa incapacità di preservare le prove mentre erano recenti è semplicemente la colpa delle autorità responsabili dell’area subito dopo il ritiro di tutte le autorità tedesche nel 1944. Peggio ancora, se l’area del campo fu davvero bombardata dall’aviazione sovietica, questo fa sorgere il sospetto che furono gli stessi sovietici ad iniziare il processo di distruzione delle prove. Speculare sui loro motivi è irrilevante, ma è legittimo dire che mettere in sicurezza le prove di uno sterminio non fu ovviamente nei loro pensieri. In ogni modo, il non aver condotto un’indagine forense approfondita per così tanti decenni ha portato ad un considerevole deterioramento e spoliazione delle prove a cui non potremo mai rimediare.

Ancora, considerando che la cremazione di oltre 700.000 vittime deve aver lasciato innumerevoli tracce nel campo e nei suoi dintorni, dovrebbe essere possibile giungere a delle conclusioni setacciando il suolo dell’intero campo e delle sue vicinanze alla ricerca di questi resti[16]. Questo potrebbe essere un compito arduo, ma sembra essere il solo modo per stabilire con un certo grado di affidabilità la grandezza degli eventi che si svolsero lì.

Quanto ai resti delle camere a gas omicide, questa sembra essere una pista falsa imboccata dall’ortodossia. Anche se si prevede che i resti di alcuni edifici debbano essere scoperti in quei campi, trovare una “camera a gas” sembra illusorio, perché come possiamo decidere se le rovine di un edificio funsero da installazione di un mattatoio chimico? Mentre è possibile aspettarsi le tracce chimiche di uno sterminio commesso con cianuro di idrogeno ovvero con lo Zyklon B – sotto forma di Blu di Prussia stabile e a lungo termine[17] – il gas letale che gli storici ortodossi oggi affermano che sia stato utilizzato nei campi dell’Azione Reinhardt – i gas di scarico di un motore – non avrebbe lasciato nessuna traccia. Quindi, se alcune rovine contenenti piastrelle vengono scoperte, come è stato il caso a Treblinka, come possiamo decidere che queste piastrelle fossero parte di una vera sala docce, come sostengono i revisionisti, o di una camera a gas omicida semplicemente camuffata da sala docce, come insistono gli storici ortodossi? Per quanto mi è dato vedere, non c’è modo di raccontare la differenza.

Provare le attività di transito

I revisionisti hanno di fronte una sfida differente. Se quasi 1.3 milioni di individui transitarono attraverso questi campi, dove sono le prove di tutto questo? Dove sono questi 1.3 milioni di persone? Rispondere a questa domanda 75 anni dopo è anche un po’ tardi. Non ci si può aspettare che molti di questi individui siano ancora vivi oggi. Ma quali prove vi sono che Treblinka, per rimanere a questo campo, funse da stazione di sosta? E c’è anche un solo ebreo che venne deportato a Treblinka e che arrivò vivo “all’Est” o in qualche altra parte?

È interessante notare che vi sono alcuni resoconti di testimoni oculari registrati da organizzazioni ortodosse che attestano il fatto che costoro, insieme a centinaia di altri deportati, transitarono davvero per Treblinka. Eric Hunt ha incluso alcune di queste dichiarazioni nel suo documentario su Treblinka[18]. Sebbene questi ebrei vennero inviati al campo di lavoro di Majdanek piuttosto che “all’Est”, le loro storie tuttavia confermano che Treblinka funse da campo di transito per migliaia di ebrei. Questo significa che Treblinka dovette avere la capacità logistica di servire a questo scopo.

Carlo Mattogno ha fatto notare un caso particolarmente illuminante di un’ebrea transitata per Treblinka[19]. Questo caso riguarda il destino di una certa Minna Grossova, che era nata il 20 settembre 1874. Il 19 ottobre 1942, questa signora di 68 anni fu deportata a Treblinka – in un’epoca in cui si ritiene che in media venissero uccisi e sepolti lì 5.000 ebrei ogni singolo giorno. Ma invece di essere uccisa lì, ella venne inviata a Auschwitz, dove ella…no, non venne parimenti inviata alle camere a gas, sebbene ella non fosse sicuramente “abile al lavoro”, ma visse lì altri 14 mesi, per poi morire finalmente lì il 30 dicembre. Se alla signora Grossova all’età di 68 anni venne risparmiata la morte nelle camere a gas di Treblinka e di Auschwitz, è probabile che anche le molte centinaia dei suoi correligionari deportati insieme con lei condivisero il suo destino. Questo destino sottolinea anche che Treblinka fu davvero utilizzata come un campo di transito dove nemmeno gli ebrei anziani e fragili venivano uccisi.

E che dire degli ebrei transitati addirittura “all’Est”? Jean-Marie Boisdefeu ha documentato un caso interessante in cui si è imbattuto mentre scorreva il database delle vittime olocaustiche dello Yad Vashem[20]. Anche questo caso si basa su un libro memoriale pubblicato da autorità governative, in questo caso della Germania. Esso riguarda l’ebreo berlinese Siegmund Rothstein, nato nel 1867, che fu dapprima deportato nel ghetto di Theresienstadt per ebrei anziani nell’agosto 1942. Appena un mese dopo, tuttavia, il 26 settembre, venne deportato a Treblinka all’età di 75 anni. Ma questa non fu affatto la sua fine, perché le autorità tedesche trovarono suoi segni di vita ancora più ad est, poiché esse finalmente accertarono che Rothstein morì a Minsk, la città capitale della Bielorussia, circa 240 miglia (286 chilometri) ad est di Treblinka. Dubito che il settantacinquenne Rothstein sia saltato giù dal treno prima di arrivare a Treblinka e abbia corso per tutto il tragitto fino a Minsk occupata dai tedeschi. Perciò egli deve essere arrivato lì con il treno. Dubito anche che le autorità tedesche abbiano riservato un treno solo per lui o che lo abbiano messo su un treno militare che andava a Minsk. Invece, egli deve aver fatto questo viaggio su un treno per deportati insieme a centinaia o a migliaia di compagni deportati da Theresienstadt.

Boisdefeu afferma che nessuno delle migliaia di ebrei deportati da Theresienstadt viene elencato nel libro memoriale tedesco come ucciso a Treblinka, ma che tutti costoro vengono associati ad una varietà di luoghi differenti dove o morirono o dove si ebbero le loro ultime notizie prima che scomparissero.

Anche questo caso indica che migliaia di ebrei sembra siano stati deportati “all’Est” con Treblinka come stazione di transito. Di conseguenza, Treblinka deve aver avuto davvero la logistica per ospitare temporaneamente, nutrire e lavare centinaia, se non migliaia di individui per brevi periodi di tempo. Tra le altre cose, è molto probabile che essa disponesse di un vero impianto docce per questo scopo.

È chiaro perciò che gli storici ortodossi devono adeguare la loro narrazione per adattarsi in qualche modo a quel ruolo. Ad esempio, Treblinka potrebbe essere ri-etichettata come un campo combinato di sterminio e di transito, che serviva entrambi gli scopi ad un tempo. Questo approccio di interpretazione duale, osservato per la prima volta da Arthur Butz nel suo libro pionieristico[21] ha avuto un grande successo nel puntellare la narrazione ortodossa sterminazionista per Auschwitz e Majdanek, quando le prove affioranti contro le loro tesi minacciavano di minarle. Nel caso di Treblinka, gli storici ortodossi come pure i revisionisti potrebbero essere accontentati dicendo che, sì, c’era una vera doccia, ma, sì, essa era anche attrezzata per uccidere i deportati invece di lavarli.

Per quanto ne so, nessuno ha compiuto una ricerca approfondita e sistematica per cercare di trovare un maggior numero di casi individuali di ebrei che transitarono per Treblinka, Sobibór o Bełżec in direzione di altri luoghi utilizzando i dati disponibili nelle fonti pubblicate, nei database delle vittime e dei testimoni, ecc. Nessuno ha preso in considerazione la questione, tanto meno l’ha perseguita.

È improbabile che gli storici ortodossi intraprendano una tale ricerca, poiché porre la questione è un’eresia meritevole della pena di morte professionale. I revisionisti, d’altro canto, non hanno avuto finora le risorse umane, monetarie, logistiche e temporali per intraprendere questa ricerca sulla grande scala che sarebbe richiesta. Così anche in questo caso, le prove continuano a deteriorarsi, mentre le memorie affievoliscono, i documenti si decompongono e i sopravvissuti muoiono.

Il solo revisionista a cui avevo rivolto l’invito ad intraprendere questa ricerca alla fine del 2016 – Eric Hunt – si arrabbiò con me perché non gli avevo offerto i risultati su un piatto d’argento pronti per essere consumati. Egli ha quindi deciso di prendere una posizione totalmente contraria riguardo all’intera materia. Peccato.

 

Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo:  https://inconvenienthistory.com/9/2/4230#_ftnref23

 

[1] Il procedimento è stato descritto nel modo più autorevole da Yitzhak Arad nel suo libro Belzec, Sobibor, Treblinka: The Operation Reinhardt Death Camps, Indiana University Press, Bloomington/Indianapolis 1987.

[2] Andrzej Kola, Bełżec: The Nazi Camp for Jews in the Light of Archeological Sources. Excavations 1997-1999, The Council for the Protection of Memory and Martyrdom/United States Holocaust Memorial Museum, Warsaw/Washington 2000.   

[3] Vedi Carlo Mattogno, Bełżec: Propaganda, Testimonies, Archeological Research and History, reprint, Castle Hill Publishers, Uckfield 2016 (1st ed.2004).

[4] Andrzej Kola, “Sprawozdanie z archeologicznych badań na terenie byłego obozu zagłady Żydów w Sobibórze w 2000 r,” Przeszłość i Pamięć, No. 3, 2000; idem, “Badania archeologiczne terenu byłego obózu zagłady Żydów w Sobibórze,” Przeszłość i Pamięć, No. 4, 2001; Isaac Gilead, Yoram Haimi, Wojciech Mazurek. “Excavating Nazi Extermination Centres,” Present Pasts, Vol. 1, 2009; Marek Bem, Wojciech Mazurek, Sobibór: Archaeological Research Conducted on the Site of the Former German Extermination Centre in Sobibór 2000-2011, The Foundation for Polish-German Reconciliation, Warsaw/Włodawa 2012.

[5] Claus Hecking, “Archäologen im NS-Lager Sobibór: Plötzlich kommen Stimmen von Juden aus den Ruinen’”, Der Spiegel, Sept. 23, 2014; http://www.spiegel.de/einestages/ns-vernichtungslager-Sobib%C3%B3r-ruinen-der-todesfabrik-entdeckt-multimediaspezial-a-993045.html

[6] Carlo Mattogno, Thomas Kues and Jürgen Graf in their 2-volume work The “Extermination Camps” of “Aktion Reinhardt”, 2nd ed., Castle Hill Publishers, Uckfield 2015 (1st ed. The Barnes Review, Washington, D.C., 2013), Chapter 8.2.3f., pp. 886-939.

[7] Caroline Sturdy Colls, Holocaust Archaeologies: Approaches and Future Directions, Springer, Berlin 2015.

[8] Carlo Mattogno et al., op. cit. (Note 7), Chapter 8.2.5., pp. 939-952.

[9] Treblinka: Inside Hitler’s Secret Death Camp, BBC/Furneaux & Edgar Productions, 2013: https://vimeo.com/120776242

[10] Eric Hunt, The Treblinka Archeaology Hoax, DVD, Castle Hill Publishers, Uckfield 2014.

[11] Peter Witte, Stephen Tyas, “A New Document on the Deportation and Murder of Jews during ‘Einsatz Reinhardt’,” in: Holocaust and Genocide Studies, Vol. 15, No. 3, Winter 2001, pp. 469f.

[12] Un percorso spiegato in modo approfondito da Carlo Mattogno e altri, op. cit. (Nota 6); vedi specialmente il Capitolo 7, “Where They Went: The Reality of Resettlement”, pp. 561-703.

[13] Vedi a questo riguardo soprattutto Jonathan Harrison, Roberto Muehlenkamp, Jason Myers, Sergey Romanov, Nicholas Terry, Bełżec, Sobibór, Treblinka: Holocaust Denial and Operation Reinhard, A Critique of the Falsehoods of Mattogno, Graf and Kues, http://holocaustcontroversies.blogspot.com, December 2011.

[14] Vedi Carlo Mattogno, Jürgen Graf, Treblinka: Extermination Camp or Transit Camp?, 2nd ed., Theses & Dissertations Press, Chicago, Ill., 2005, pp. 77-90.

[15] Crateri provocati dalle bombe che arrivavano fino a 6 metri di profondità e a 25 metri di diametro vennero riferiti dalla commissione d’inchiesta polacca alla fine del 1945; vedi ibid., pp. 85-87.

[16] Sebbene queste prove possono essere state guastate da visitatori ebrei che abbiano sparso le ceneri dei loro parenti deceduti sul terreno del campo; vedi Eric Hunt, op. cit., nota 11.

[17] Vedi Germar Rudolf, The Chemistry of Auschwitz, Castle Hill Publishers, Uckfield 2017.

[18] Eric Hunt, op. cit., nota 11, inizio a 6 minuti e 18 secondi.

[19] C. Mattogno, Healthcare in Auschwitz: Medical Care and Special Treatment of Registered Inmates, Castle Hill Publishers, Uckfield 2016, p. 165.

[20] François Sauvenière (pseud.), “Gazé à Treblinka et mort à Minsk,” Dubitando, No. 7, marzo 2006; ripubblicato in: Jean-Marie Boisdefeu, Dubitando: Textes révisionnistes (2004-2008), La Sfinge, Rome 2009, pp. 133-136; in inglese: Jean-Marie Boisdefeu, “Gassed at Treblinka and deceased in Minsk”, Inconvenient History, Vol. 9, No. 1; https://inconvenienthistory.com/9/1/4223/

[21] Arthur Butz, The Hoax of the Twentieth Century: The Case against the Presumed Extermination of European Jewry, quarta edizione, Castle Hill Publishers, Uckfield 2015, pp. 12, 141, 149, 156, 160, 165, 179f. ecc.

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