Guido Salvini: la legge Fiano, una proposta sbagliata

Dal giudice Guido Salvini ricevo e pubblico:  

LA LEGGE FIANO, UNA PROPOSTA SBAGLIATA

 

La legge Fiano, con il più profondo rispetto per quanto ha sofferto la famiglia di chi l’ha proposta e tutto il popolo ebraico, non mi convince affatto.

Vorrebbe introdurre nel Codice penale un nuovo reato, l’articolo 293 bis,  per punire sino a due anni di reclusione chi propaganda le immagini o i contenuti del partito fascista o la sua ideologia anche solo attraverso la produzione  o diffusione di beni che ne  rappresentano persone o simboli oppure ne  richiama in pubblico la simbologia  o la gestualità, in sostanza il saluto romano.

Comunque la si voglia chiamare e al di là delle intenzioni che possono richiamarsi anche a sentimenti comuni a molti, il nuovo reato sarebbe un reato di opinione. Una categoria di reati, che, a fronte dell’articolo 21 della Costituzione che garantisce la più ampia libertà di espressione, può ritenersi legittima solo in casi eccezionali, quando i comportamenti di qualcuno costituiscano un concreto pericolo e siano realmente un’anticipazione di atti di violenza.

Così come è stata scritta la proposta, per ora  approvata solo dalla Camera, le condizioni che consentono la “repressione”della libertà di espressione, perché di questo si tratta, non sembrano affatto   presenti.

La proposta vorrebbe colpire la “propaganda”, rappresentata ai livelli più bassi da ciondoli e magliette  “nostalgiche” con l’immagine del Duce ma a livelli più alti da libri e pubblicazioni in  cui ad ’esempio la vita e le gesta  di un gerarca sono descritte in modo elogiativo e qui i problemi sarebbero seri perchè si andrebbe a confliggere  con la  libertà di stampa.

A titolo di esempio dovrebbe scomparire anche La storia della guerra civile in Italia scritta da Giorgio  Pisanò ristampata e venduta nelle edicole su iniziativa di un grande quotidiano appena poche settimane fa.

Innanzitutto sul piano giuridico ci si dimentica di un precedente importante.

La “propaganda” cui parla la proposta Fiano è nella sostanza una forma di apologia.

La legge Scelba, introdotta nel 1952 come attuazione della  XII  disposizione transitoria e  finale della Costituzione, già punisce l’apologia di fascismo intesa come la propaganda per la costituzione di un movimento che persegua le finalità antidemocratiche e anche razziste proprie del fascismo storico

Proprio questo reato non è stato eliminato ma decisamente circoscritto da una sentenza della Corte costituzionale, la n. 1 del 1957. Presidente della Corte era allora Enrico De Nicola già presidente della Repubblica quando fu emanata la Costituzione.

La Corte ha infatti spiegato che l’apologia di fascismo, per assumere la veste di reato, non deve essere solo una “difesa elogiativa” dei personaggi o delle scelte di quel periodo ma un comportamento che tende alla riorganizzazione del partito fascista. Non può cioè essere considerata in sé ma in rapporto alla concreta volontà di ricostituzione di quel partito.

È una sentenza che, si badi bene, è stata emessa nel 1957 quando vigeva ancora la  censura e il sistema penale era assai meno “garantista” di oggi tanto che sia il Codice penale che quello di Procedura penale erano ancora in grandissima parte formati da norme approvate durante il ventennio.

Se così è stato deciso  60 anni fa, quando i misfatti del fascismo erano ancora molto vicini nel tempo, sembra difficile pensare che una norma identica e forse ancor più estesa che si vorrebbe introdurre oggi possa ritenersi conforme alla Costituzione e ai diritti che essa garantisce a tutti, anche a quelli che pensano o scrivono in modo “ sbagliato”.

In più il nuovo reato finirebbe a colpire, questo anzi sembra proprio l’intendimento, le scelte ideologiche e le rappresentazioni simboliche anche sganciate da qualsiasi istigazione o progetto concreto di violenza.

Ma in questa materia vi è già un’altra legge: la cd legge Mancino del 1975.

Quantomeno la legge Mancino, pur contestata da molti, richiede che vi sia una concreta istigazione ad atti di discriminazione o di violenza per motivi razziali, nazionali  o religiosi e quindi le condotte punite sono l’anticamera diretta di azioni di violenza. E questo la rende accettabile.

È una legge che si è rivelata del resto  molto utile perché ha consentito ad esempio di condannare ed espellere imam e predicatori del jihad le cui istigazioni alla violenza contro gli “infedeli” potevano essere immediatamente raccolte da coloro che li ascoltavano. Ma la legge Mancino è il limite massimo oltre il quale leggi che sanzionano le “parole” o i gesti non possono andare.

E questo limite, quando si vorrebbe portare, come propone la legge Fiano, nelle aule penali ideologie o simbolismi anche di origine fascista senza che emerga una progettualità violenta, sembra davvero superato.

Sono critiche non molto diverse da quelle che si possono rivolgere alla scelta del negazionismo, ormai divenuto legge.

Tralascio ogni considerazione sul diritto di ricerca storica, anche sostenere che il crollo delle Torri Gemelle è stata opera dei servizi segreti statunitensi  è in realtà negazionismo ma nessuno pensa di perseguire tale opinione. Ricordo solo che la legge sul negazionismo presenta quantomeno una singolarità.

La novità introdotta nel giugno 2016 prevede che le pene più contenute di cui all’articolo 3 della legge Mancino, quello che punisce la già ricordata istigazione a commettere atti di violenza a sfondo razziale, siano aumentate sino a sei anni di reclusione quando l’istigazione si basi sulla negazione della Shoah e degli altri crimini di genocidio.

Ciò con una curiosa conseguenza. La negazione di tali crimini è considerata più grave dell’istigazione a commetterli nuovamente o della loro apologia. Una chiara contraddizione perché la negazione del fatto che i crimini contro gli ebrei vi siano stati, per quanto molto offensiva per le vittime, non contiene evidentemente in sè un’incitazione a commetterli mentre l’istigazione e l’apologia “semplice”, quelle che riaffermano implicitamente che tali crimini vi siano stati, rappresentano il primo passo e la spinta verso il ripeterli.

Tornando alla proposta di legge qualcuno ha obiettato che comunque la magistratura nell’applicarla saprà distinguere tra chi solamente colleziona gingilli e souvenir nostalgici e chi si dimostra davvero pericoloso per la democrazia.

Ma questo è un terreno scivoloso. Affidare alla magistratura un’interpretazione precisa di ipotesi di reato poco utili, generiche ed estensibili piacere, in pratica prodotti semilavorati, comporta il rischio che non sia più il Parlamento eletto dal popolo a fare le leggi ma  i  giudici.

I giudici già si occupano di tutto e  forse di troppo  e devolvere loro la regolamentazione non solo della vendita di oggetti, cartoline d’epoca e pubblicazioni vecchie e nuove ma soprattutto il giudizio sulle scelte ideologiche, consentite o vietate, non sembra davvero una buona scelta.

Anche sul piano strettamente politico, al di là del versante giudiziario, la proposta di legge rischia di essere una proposta perdente. Oltre a rischiare di fabbricare inutilmente martiri sottintende il concetto secondo  cui  le idee della destra, quella che ormai più che fascista, anche se in stretta continuazione con il fascismo, più precisamente si dovrebbe definire etno – nazionalista, non siano “politiche”. Siano solo un problema “criminale” con cui,  in tema di immigrazione ad esempio,  non vale la pena per definizione di confrontarsi. Una posizione molto poco illuminista, un po’ retrograda, molto comoda e a lunga scadenza nemmeno redditizia.

È il riflesso della  posizione secondo cui si parla solo con i propri “simili” senza comprendere che sono gli “altri” con cui si deve parlare, se  si hanno argomenti,  per convincerne, e con fatica, magari anche un solo.

Questo è più difficile e faticoso. È più facile fare una legge.

 

 

Guido Salvini

magistrato

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