Il primo reportage su Auschwitz (prima della versione ufficiale)

Il primo reportage su Auschwitz (prima della versione ufficiale)

27 gennaio 1945: liberazione di Auschwitz
IL PRIMO REPORTAGE SU
AUSCHWITZ – Tradotto dal russo e commentato da Samuel Crowell[1]
Il seguente articolo, di Boris Polevoi, venne
inizialmente pubblicato venerdì 2 Febbraio 1945 sul quotidiano nazionale
sovietico Pravda, meno di una
settimana dopo che il campo era stato liberato (il 27 Gennaio 1945), e almeno tre
mesi prima del rapporto sovietico ufficiale su Auschwitz (il 6 Maggio 1945),
conosciuto in base alla sua classificazione al Tribunale di Norimberga come
documento siglato USSR-08.
Ciò che più colpisce di questo servizio giornalistico è
che è totalmente in contrasto con la versione di Auschwitz che abbiamo appreso
in seguito, poiché sostituisce alla narrazione abituale delle atrocità un’altra,
completamente immaginaria. Il fatto che il primo osservatore non anonimo del
campo di Auschwitz abbia potuto allontanarsi così tanto dalla narrazione
abituale dimostra non solo l’inesattezza di questo resoconto iniziale, ma anche
l’artificio dei successivi. 
Boris Polevoi

LA FABBRICA DELLA
MORTE DI AUSCHWITZ
Di Boris Polevoi
(1945)
Ci vorranno settimane di indagini lunghe e attente da parte
delle commissioni speciali prima che si formi un quadro completo dei crimini,
davvero senza paragoni, dei tedeschi ad Auschwitz. Quelli che vengono qui
annotati sono solo i punti principali risultanti da una conoscenza sommaria del
luogo in cui sono state perpetrate le mostruose atrocità dei boia hitleriani.
Il nome della città di Auschwitz è stato a lungo sinonimo
delle sanguinose atrocità tedesche nel vocabolario dei popoli di mondo. Pochi
dei suoi prigionieri sono scampati alle fiamme dei suoi forni famigerati. Dalle
labbra delle migliaia di prigionieri era filtrata solo un’eco fantasma dei
lamenti [provenienti] da dietro la rete dei suoi numerosi [sotto] campi. Solo
adesso, dopo che le truppe del Primo Fronte Ucraino hanno liberato Auschwitz, è
stato possibile vedere con i propri occhi questo terribile campo nella sua
interezza, in cui molte delle sue decine di chilometri quadrati sono sature di
sangue umano, e letteralmente concimate con ossa umane.
La prima cosa che colpisce di Auschwitz, e che lo distingue
da altri campi conosciuti, è la sua enorme estensione. Il territorio del campo
occupa decine di chilometri quadrati e in anni recenti era cresciuto fino ad
assorbire le città di Makowice, Babice, e altre.
Era un enorme complesso industriale, con le sue diramazioni,
ognuna delle quali aveva ricevuto il suo speciale incarico. In una aveva luogo
il trattamento dei nuovi arrivati: quelli che, prima di morire, potevano essere
messi a lavorare venivano imprigionati mentre gli anziani, i bambini e gli
ammalati venivano condannati allo sterminio immediato. In un’altra, destinata a
quelli che erano talmente logori e sfiniti da non essere più abili al lavoro
fisico, era stato assegnato il compito di smistare i vestiti degli sterminati,
e di smistare le loro scarpe, mettendo da parte le tomaie, le suole, le fodere.
Va detto che tutti i prigionieri che entravano nei reparti dello stabilimento
industriale sarebbero stati [prima o poi] uccisi e bruciati, sia uccisi
immediatamente che per mezzo delle incombenze della reclusione.
Intorno a questo complesso industriale vennero impiantati
enormi campi e terreni recintati nelle valli dei fiumi Sola e Vistula. Ai
prigionieri rimanenti, bruciati nei “forni”, venivano triturate mediante macine
le ceneri e le ossa, convertite poi in farina, e questa farina finiva nei campi
e nei terreni.
Auschwitz! Commissioni imparziali stabiliranno il numero
preciso delle persone ivi uccise o torturate a morte. Ma già possiamo
affermare, basandoci su discussioni avute con i polacchi, che nel 1941-42 e
all’inizio del 1943 da cinque a otto treni pieni di prigionieri arrivavano ogni
giorno, e in certi giorni [i prigionieri] erano così tanti che la stazione non
riusciva a gestirli.
I prigionieri provenivano dai territori circostanti occupati
dai tedeschi: dall’USSR, dalla Polonia, dalla Francia, dalla Iugoslavia e dalla
Cecoslovacchia. I vagoni erano assiepati di persone ed erano sempre piombati.
Alla stazione, i ferrovieri polacchi venivano rimpiazzati da una squadra di
lavoro del campo, che includeva diversi distaccamenti speciali. I vagoni
scomparivano dietro i cancelli e tornavano indietro vuoti. Nei primi quattro
anni di esistenza del campo i ferrovieri non videro nemmeno un vagone tornare
indietro dal campo con dentro delle persone.
Lo scorso anno, quando l’Armata Rossa rivelò al mondo i
segreti abominevoli e terribili di Majdanek, i tedeschi iniziarono a
nascondere  ad Auschwitz le tracce dei
loro crimini. Spianarono le collinette delle cosiddette “vecchie” tombe nella
zona orientale  del campo, strapparono e
distrussero le tracce del nastro trasportatore elettrico,  sul quale centinaia di persone venivano
fulminate simultaneamente, dal quale poi cadevano sul nastro trasportatore che
le portava in cima all’altoforno  dove,
dopo esservi precipitate, venivano completamente bruciate, mentre le loro ossa
venivano trasformate in farina con delle macine, e poi inviate nei campi
circostanti.
Con la ritirata [delle truppe tedesche] vennero portati via
gli speciali apparati mobili  per
l’uccisione dei bambini. Le camere a gas fisse 
nella zona orientale del campo vennero ristrutturate, vennero aggiunte
persino piccole torrette e altri abbellimenti architettonici in modo da farle
sembrare degli innocui garage.
Ma anche così si possono vedere le tracce dello sterminio di
milioni di persone! Dai racconti dei prigionieri, liberati dall’Armata Rossa,
non è difficile scoprire tutto quello che i tedeschi hanno cercato in modo
tanto accurato di nascondere. Questa gigantesca fabbrica della morte era
equipaggiata con le ultime novità della tecnologia fascista ed era fornita di
tutti gli strumenti di tortura che i mostri tedeschi potevano escogitare.
Nei primi anni del campo, i tedeschi mantennero solo
un’industria approssimativa della morte: essi semplicemente conducevano i
prigionieri davanti a una grande fossa aperta, li costringevano a sdraiarsi e
sparavano loro alla nuca. Quando il primo strato era ultimato, il successivo
veniva formato costringendo i prigionieri a sdraiarsi sullo strato sottostante.
E così era stato riempito il secondo strato, e il terzo e il quarto…Quando la
fossa era piena, per assicurarsi che tutte le vittime erano morte, veniva fatto
fuoco con la mitragliatrice svariate volte, mentre quelli per i quali non c’era
più posto nella fossa venivano coperti. Così vennero riempite centinaia di
enormi fosse nella zona orientale del campo, che portano il nome di “vecchie”
tombe.
I boia tedeschi, notate la rozzezza di questo metodo di
uccisione, decisero di aumentare la produttività della fabbrica industriale
della morte meccanizzandola, con le camere a gas, il nastro trasportatore
elettrico, la costruzione dell’altoforno per bruciare i corpi e i cosiddetti
“forni”.
Ma per i prigionieri di Auschwitz la stessa morte non era la
cosa più terribile. Gli aguzzini tedeschi, prima di uccidere i loro reclusi, li
tormentavano con la fame, il freddo, turni di lavoro di 18 ore giornaliere, e
mostruose punizioni. Essi mi hanno mostrato sbarre d’acciaio coperte di cuoio
che utilizzavano per picchiare i reclusi. Sull’impugnatura – il marchio della
fabbrica Krupp di Dresda. Questi attrezzi venivano prodotti su scala
industriale. Ho visto, in edifici nella zona meridionale del campo, panche con
cinghie, sulle quali le persone venivano picchiate a morte. Esse erano
ricoperte di zinco, in modo tale che il sangue dei prigionieri poteva essere
lavato: i boia avevano cura dell’igiene! Ho visto una sedia di quercia
costruita in modo speciale, sulla quale le persone venivano uccise, dopo che
gli era stata spezzata la schiena. Ho visto massicci manganelli di gomma, tutti
con il marchio della fabbrica Krupp, con in quali i reclusi venivano colpiti
sulla testa e sui genitali.
Ho visto migliaia di martiri ad Auschwitz – persone così
sfinite che ondeggiavano come fantasmi nel vento, persone, la cui età era
impossibile da stabilire.
L’Armata Rossa li ha salvati, e li ha tratti dall’inferno.
Essi onorano l’Armata Rossa come i vendicatori di Auschwitz, Majdanek, per
tutte le pene e le sofferenze che i boia fascisti hanno portato ai popoli
d’Europa.    



Foto di una stanza ubicata nell’ala di disinfestazione dell’edificio 5a di Birkenau. L’uomo che mostra le caratteristiche macchie blu dei cianuri è Germar Rudolf


Il commento di Samuel
Crowell

Come
abbiamo notato in precedenza, la narrazione di Polevoi non ha nulla in comune con
il rapporto della Commissione di inchiesta sovietica su Auschwitz, diffuso tre
mesi dopo, il 6 maggio 1945. Quel rapporto, a sua volta, mostrava l’influenza
del rapporto del War Refugee Board (WRB) del 26 novembre 1945 [recte: 1944],
diffuso a Washington D. C. Una ovvia deduzione è che la narrazione sovietica su
Auschwitz venne rivista in seguito a questo rapporto per armonizzarla con le
varie testimonianze anonime contenute nel rapporto del WRB. Nondimeno, il
servizio di Polevoi mostra altre influenze e connessioni.
Il
concetto di “fabbrica della morte” è oggi ben conosciuto nella letteratura
olocaustica, ma appare qui ai suoi inizi. Tale concetto a sua volta sembra
chiaramente legato al simbolismo russo, sovietico e occidentale che rifiuta il
sistema della fabbrica industriale: confronta con i brevi racconti di Anton Checov
o con i vari scritti di Maxim Gorky.
Il
concetto in qualche modo fantastico della concimazione del terreno con le ossa
dei cremati era  comune all’epoca, vedi
il Brave New World di Huxley, ed
era solitamente connesso con il rifiuto della cremazione come mezzo di
smaltimento dei morti, un mezzo che stava gradualmente riemergendo in
quest’epoca. Nella propaganda della seconda guerra mondiale, [tale concetto
della concimazione del terreno] sembra sia stato menzionato per la prima volta
dai sovietici in occasione della liberazione di Majdanek dell’Agosto del 1944.
Il
concetto dei tedeschi che “nascondono le tracce dei loro crimini” riporta,
paradossalmente, alle rivelazioni sulla foresta di Katyn del 1943, quando i
tedeschi riesumarono i corpi di 4.400 ufficiali polacchi uccisi lì dai russi.
All’epoca i sovietici affermarono che i tedeschi avevano riesumato i resti
degli ufficiali polacchi, li avevano portati a Katyn, avevano frugato le loro
tasche, vi avevano inserito dei documenti, li avevano seppelliti di nuovo, vi
avevano piantato sopra degli alberi, e li avevano nuovamente riesumati, il
tutto per mettere in difficoltà l’Unione Sovietica (queste affermazioni dei
sovietici vennero in seguito introdotte “come un fatto noto” al Tribunale di
Norimberga).
Avendo
così stabilito il principio dell’astuto complotto tedesco, i sovietici
avrebbero applicato lo stesso schema a molti altri casi per spiegare, non la
presenza di tracce forensi, ma piuttosto la loro assenza: a Krasnodar (luglio
1943), Kharkov (settembre 1943), Babi Yar (novembre 1943), e Majdanek (agosto
1944).
Non
c’è quasi bisogno di osservare che il “nastro trasportatore elettrico” non
comparirà più in nessuna narrazione successiva di Auschwitz, ma all’epoca si
credeva comunemente che i tedeschi avessero massacrato milioni di persone in grandi
camere elettriche, a Belzec e altrove. 

A
quanto ci risulta, l’”altoforno” in cui le persone cadevano e venivano bruciate
non appare in nessun precedente resoconto propagandistico. Tuttavia, viene
menzionato in una versione del “Rapporto Gerstein”, scritto da un ex igienista
delle SS (e perciò anche manipolatore di barattoli di Zyklon B) tre mesi più
tardi, tra la fine di aprile e l’inizio di maggio 1945. L’immagine
dell’altoforno probabilmente rimanda a sua volta a metafore anti-industriali
come la scena del “Moloch” nel classico film muto di Fritz Lang “Metropolis”
(1925).

La
menzione degli “speciali apparati mobili per l’uccisione dei bambini” è
probabilmente un’allusione ai camion a gas, il cui speciale utilizzo a scopo
omicida viene attestato per la prima volta nei processi di Krasnodar-Kharkov
del 1943. Oggi,
gli storici non ne affermano l’utilizzo ad Auschwitz.  
Le
“camere a gas fisse” sono a quanto pare un’allusione sia alle camere a gas di
disinfestazione BW 5/A e 5/B di Birkenau, che ai Crematori IV e V … Se
l’allusione riguarda i Crematori IV e V, questa contraddice la versione
corrente, secondo cui i tedeschi distrussero i crematori prima di ritirarsi per
“nascondere le tracce dei loro crimini”.

[…]

Foto scattata nell’ufficio del segretario di Stato americano Cordell Hull in occasione della terza riunione del War Refugee Board
 

[1] Traduzione
di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://forum.codoh.com/viewtopic.php?t=3278
2 Comments
    • Alessandro Ceschini
    • 1 Febbraio 2014

    Carissimo signor Carancini,
    Le sparate antiatlantiste ed eurasianiste di gente come lei sono seghe mentali di intellettualoidi che pensano davvero di essere i bianchi "buoni" che si debbono alleare con il Terzo mondo contro i bianchi "cattivi": gli americani e gli ebrei. Ma evidentemente lei non ha mai viaggiato per il mondo e perciò non si rende conto che le altre razze ci percepiscono tutti come bianchi americani e ci odiano senza distinzioni.
    Un'alleanza con negri ed arabi sulla falsariga della "quenelle" implica la trasformazione definitiva dell'Europa in una pattumiera multirazziale.
    Francamente Dieudonné, un mulatto che tanto per cambiare si sbatte una bianca, ci è più nocivo di sei milioni di ebrei perché distrugge il nostro patrimonio genetico, e umilia l'uomo bianco per prendersi la rivincita sul colonialismo e sulla schiavitù.
    Dovrebbe parlare meno di ebrei e più di Balotelli ora additato a modello di "virilità" e della spazzatura che sbarca ogni giorno sulle nostre coste con un unico chiodo fisso: fare come Gozilla.
    La smetta di dipingere gli africani come vittime, io ci sono stato in Africa, lei credo proprio di no.

    Rispondi
  1. grazie, lei mi ha regalato la prima risata della giornata!

    Rispondi

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