E’ Norman Finkelstein un fantoccio sionista?

E’ Norman Finkelstein un fantoccio sionista?

Norman Finkelstein

È NORMAN
FINKELSTEIN UN FANTOCCIO SIONISTA?

Di Thomas
Dalton, 13 marzo 2010[1]

Per la maggior parte dello scorso decennio, Norman Finkelstein è
stato considerato un modello di verità e di giustizia. È un beniamino degli
ambienti pacifisti e antisionisti, e amico di gruppi arabi e musulmani di tutto
il mondo. Cosa ci potrebbe essere di meglio? – un ebreo critico dello stato
ebraico, e un campione dei palestinesi. Ma penso che sia urgente mostrare
qualche punto debole della sua armatura, e di dire forte e chiaro che lui è,
forse involontariamente, un apologeta di Israele e del razzismo ebraico. Ritengo
si possa sostenere con buone ragioni che lui è, in realtà, un fantoccio
sionista.

Prima di tutto, chiunque conosca il sionismo contemporaneo
dovrebbe rendersi conto che Finkelstein non potrebbe mai pubblicare quello che pubblica,
o parlare come parla, o ricevere la pubblicità che ha, senza l’implicito
sostegno delle varie lobby ebraiche di tutto il mondo. Se lui fosse davvero la
minaccia che viene dipinta, possiamo star certi che verrebbe subito fermato:
censurato, sanzionato, perseguito, o incarcerato. Chiunque ne dubiti deve solo
tenere presente il trattamento riservato agli “estremisti” musulmani e agli
scettici dell’Olocausto.

Così, lui deve essere in qualche modo “accettabile”; forse persino
“utile”. Questa utilità non è difficile da capire. Ogni struttura di potere,
nel mondo, ha bisogno di controllare e di ammorbidire i propri oppositori. Nei
bei tempi andati, lo si faceva con una pallottola in testa o con un soggiorno
nel Gulag. Oggi, bisogna essere più sottili. L’approccio moderno è di
sorvegliare il territorio dell’opposizione, o di piantare un oppositore
“morbido”. Dubito che Norman sia una pianta, ma serve allo stesso scopo: un
critico del sionismo simpatico, prudente e credibile, che conosce i suoi
limiti, e che non va troppo oltre.

Cosa voglio dire? Due cose. Prima di tutto, sono convinto che
Finkelstein è un sionista non dichiarato: un vero sionista, e cioè uno che crede nella supremazia della razza
ebraica. Questo è il caso della grande maggioranza degli ebrei americani, e di
quasi tutti gli ebrei israeliani. Costoro credono fermamente che Israele ha il
diritto di esistere come uno Stato esclusivamente (o almeno in modo predominante)
ebraico. Questa è un’idea razzista sotto ogni punto di vista, e sarebbe
totalmente inaccettabile per qualunque altra nazione, a parte Israele.
Certamente, questo è il caso di Israele; è stato recentemente riferito su Al-Quds Al-Arabi (il 15 febbraio) che il
75% degli ebrei israeliani sono favorevoli ad una qualche forma di pulizia
etnica, per ottenere uno Stato ebraico purificato. Gli ebrei americani sono
orientati in modo analogo. Non importa se di destra o di sinistra, se
repubblicani o democratici, se bellicisti o pacifisti: quasi tutti gli ebrei
sostengono l’idea dello Stato esclusivamente ebraico; l’unico disaccordo
riguarda i mezzi per ottenerlo.

Finkelstein non contesta mai questo nucleo del sionismo. È vero
che lui è, come ogni persona ragionevole con un minimo di decenza, sconvolto da
quello che Israele sta facendo nei territori occupati, ma questo non fa di lui
un antisionista (nel senso più profondo). Lui non contesta il diritto di
Israele ad esistere in quanto Stato ebraico. Lui non approva il diritto al
ritorno per tutti i palestinesi, o un risarcimento finanziario per loro. Lui
non chiede pieni ed eguali diritti per gli arabi israeliani. Finkelstein è
tuttora, nell’intimo, uno che crede nella supremazia della razza ebraica.

Persino peggiore è la sua posizione sull’Olocausto. È diventato
famoso nel 2000, con il suo libro “radicale” L’industria dell’Olocausto. Come abbiamo detto, possiamo star certi
che né il suo editore inglese Verso,
né quello tedesco (Piper Verlag), né nessun altro dei suoi 15
editori avrebbe pubblicato il libro se lui fosse arrivato al fondo della storia
dell’Olocausto. La prima preoccupazione di Finkelstein è il battage che
circonda l’evento e, soprattutto, l’abuso del denaro, che non va alle “persone giuste”.
Ma implicitamente accetta quasi tutto della versione tradizionale.

Ho visto Finkelstein parlare di persona tre volte. Mai una volta
ha dimostrato di avere una qualche conoscenza reale dell’Olocausto. In realtà,
in una circostanza è stato direttamente interpellato al riguardo, e lui ha
risposto: “Non sono un esperto dell’Olocausto”, il che è un’ammissione
francamente sorprendente da parte di un uomo la cui fama poggia su quell’evento.
Quando un interrogante lo ha sfidato sull’inattendibilità delle cifre – che i “sei
milioni” non hanno una base fattuale, che Hilberg ha sostenuto la cifra di 5.1
milioni, che Reitlinger ha sostenuto 4.2 milioni, che lo Yad Vashem ha meno di
3 milioni di nomi, che i revisionisti sostengono 1 milione o meno – lui ha
liquidato la questione così: “Mi limito a seguire gli esperti”.

Finkelstein accetta senza discutere la cifra dei sei milioni,
senza sapere nulla delle enormi difficoltà che stanno dietro questa cifra
simbolica. Non è consapevole delle impossibilità fisiche riguardanti il presunto
sterminio e incenerimento; della totale assenza di prove forensi, nonostante si
sappia dove cercare; delle foto aeree dell’epoca di guerra che non mostrano
nessuna prova di stermini; di 20 anni di annotazioni sul diario di Goebbels che
indicano un processo coerente di evacuazione e di deportazione invece che di
sterminio; e così via. Una volta ha apparentemente espresso dubbi che le camere
a gas fossero state usate per sterminare, ma nulla di più; adesso riga dritto. In
questo senso, è un campione di tradizionalismo, e quindi non costituisce nessuna
reale minaccia.

In verità la storia dell’Olocausto è densa di difficoltà, come ho
cercato di mostrare nel mio libro Debating
the Holocaust
(http://www.amazon.com/Debating-Holocaust-Look-Both-Sides/dp/1591480051/ref=sr_1_1?ie=UTF8&s=books&qid=1233219533&sr=1-1
).

Normalmente, ci si aspetterebbe che una persona come Finkelstein cogliesse
questo punto, poiché esso si presta esattamente al suo scopo di sostenere che l’enfasi
sulle sofferenze ebraiche è stata esagerata e sfruttata per vantaggi
finanziari. Ma il fedele Norman sa che, se dovesse sollevare queste questioni,
o prendere seriamente le idee di Rudolf, Mattogno, Graf, o Faurisson, sa che
lui, come loro, avrebbe chiuso del tutto. Brutto affare per le vendite dei
libri, eh Norm?

Anche la presunta resistenza che suscita in occasione delle sue
conferenze è, almeno in parte, falsa. In più di un’occasione, quando le sue
conferenze erano state apparentemente cancellate a causa della “locale
opposizione ebraica”, era stato lui
stesso
che le aveva cancellate. È in regolare contatto con i leader ebrei
dovunque vada, e se riceve una soffiata che il pubblico potrebbe essere “non
collaborativo” o che potrebbe sollevare argomenti “spiacevoli” (come il
revisionismo dell’Olocausto) allora lui cancella.

Chiedetegli, ad esempio, cosa accadde alla conferenza serale
presso un gruppo locale di studenti cattolici a Gent, in Belgio, nel 2008.

Esorto i lettori a rivolgere a Norman un paio di domande mirate
durante la sua prossima conferenza: lei ripudia il diritto di Israele ad
esistere in quanto Stato ebraico? Altrimenti, come può negare di essere un
razzista? Su quali basi lei accetta la cifra simbolica dei “sei milioni” di
morti ebraiche dell’Olocausto, senza conoscere le molte serie difficoltà
suscitate da tale cifra?

Sono queste le domande che potrebbero provocare un’interessante
risposta; tenetevi pronti a qualche abile manovra.

Forse, su Norm Finkelstein mi sbaglio; spero di sì. In realtà, la
cosa che vorrei di più è che mi dimostrasse pubblicamente che mi sbaglio, e che
me lo dimostrasse denunciando chiaramente il razzismo ebraico e il razzismo all’interno
di Israele, e denunciando, o almeno riconoscendo, le molte falle nella storia
dell’Olocausto. Ma non trattenete il respiro.

[1] Traduzione
di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://michaelsantomauro.blogspot.it/2010/03/is-norman-finkelstein-zionist-stooge-by.html
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