I segreti di Arolsen

L’IMPORTANZA DI AROLSEN

Di Thomas Kues[1]

Circa un anno e mezzo fa, sul n°140 del bollettino Smith’s Report, il professor Arthur Butz ha pubblicato un breve articolo sull’”apertura”, parziale e sottoposta a severe restrizioni, degli archivi dell’International Tracing Service di Bad Arolsen, in Germania, che contengono milioni di dossier sui prigionieri dei campi di concentramento, dossier catturati dagli Alleati alla fine della guerra. Butz ha osservato che tale archivio era in realtà rimasto aperto ai ricercatori fino al 1977, quando venne improvvisamente chiuso al pubblico.

Recentemente, i giornali inglesi hanno riferito la storia di Eugene Black, un ebreo “sopravvissuto dell’Olocausto” che vive a Leeds. Black ha fatto la scioccante scoperta che le sue due sorelle, che per sessant’anni aveva creduto che fossero state gasate ad Auschwitz nel Maggio del 1944, furono in realtà uccise diversi mesi dopo, quando l’aviazione alleata bombardò una fabbrica vicino Buchenwald. La scoperta è stata resa possibile grazie agli archivi di Arolsen, a cui Black ha avuto parzialmente accesso grazie al fatto di essere un “sopravvissuto”. Tranne per le persone come Black, gli archivi sono aperti solo a certi ricercatori accreditati. Le informazioni sulle persone ancora vive non verranno divulgate, a quanto si è detto per motivi di privacy. Come Butz fa notare, questa pratica potrebbe portare ad una situazione da “paradosso del Comma 22”[2], in cui il ricercatore deve documentare che la persona il cui destino egli, o ella, vuole indagare più da vicino, è morto (almeno da un punto di vista legale, come può essere stato il caso delle sorelle di Black).

Possiamo presumere che il signor Black sarà sicuramente un’eccezione. Per cominciare, in Germania vivono pochi ebrei, e non saranno in molti ad andare all’estero a visitare un archivio. C’è anche il fatto che la maggior parte degli ebrei “sanno” quello che è accaduto a questo o a quel parente. Semplicemente non avranno una gran motivazione a esaminare le carte. Infine, gli ebrei che come Black scoprissero che certi parenti non sono stati gasati ma sono morti o sono sopravvissuti in qualche altro luogo, potrebbero esimersi dal disturbo di mettere al corrente la stampa, o lo Yad Vashem, delle loro scoperte.

E’ stato detto molte volte negli anni scorsi che i documenti di Arolsen dovranno essere scansionati e resi consultabili con un database. Secondo l’articolo su Eugene Black, pubblicato sul Telegraph del 23 Agosto 2008, questo archivio dedicato esclusivamente ai profughi di guerra dispone di più di 20 milioni di pagine.

Cosa potrebbero fare, allora, i ricercatori dotati di spirito critico, se questo database ancora non completo venisse reso disponibile al pubblico esame? Prima di tutto, bisogna aspettarsi che la documentazione conservata ad Arolsen sia lungi dall’essere esaustiva. La documentazione restante, catturata dall’Armata Rossa nel periodo 1944-45, è probabilmente nascosta negli archivi dell’ex Unione Sovietica.

Il mio suggerimento è che i ricercatori revisionisti, se ne avessero la possibilità, dovrebbero concentrarsi su quelle persone di cui sia stata documentata la deportazione nei tre “campi di puro sterminio” dell’Aktion Reinhardt: Belżec, Sobibór e Treblinka. La tesi ufficiale è che il 99% degli ebrei inviati in questi campi vennero uccisi lì entro poche ore dall’arrivo. Tra il Marzo e il Luglio del 1943, diciannove trasporti ferroviari che contenevano un totale di 34.313 ebrei olandesi vennero inviati dal campo di concentramento di Westerbork a Sobibór. Questi trasporti – a differenza dei presunti stermini di Sobibór – sono ben documentati. Secondo le stime dello storico ortodosso Jules Schelvis, circa 1.000 deportati vennero trasferiti da Sobibór nei campi di lavoro di Lublino e della regione di Włodawa, di cui la maggior parte morì lì. Un altro piccolo gruppo venne selezionato per lavorare all’interno del campo di Sobibór. Il resto, almeno 33.000 persone, vennero presuntamente uccise in camere a gas che utilizzavano gas di scarico. Solo 16 dei 34.313 deportati sono stati registrati alla fine della guerra come ancora in vita. Un altro caso che potrebbe essere approfondito riguarda quattro trasporti di ebrei francesi a Sobibór, che ebbero luogo nel Marzo del 1943. La tesi ufficiale è che tutti i 4.000 ebrei francesi appartenenti a quei trasporti siano stati gasati, senza eccezione, a Sobibór.

Ma se fosse possibile dimostrare, con una ricerca d’archivio, che la maggioranza, o almeno un gran numero di questi ebrei olandesi o francesi furono condotti in qualche altra località dopo la loro deportazione a Sobibór, questo confuterebbe in modo efficace l’ipotesi del campo di sterminio ufficialmente accreditata, poiché non c’è ragione di credere che questi ebrei occidentali fossero trattati alla fin fine in modo diverso dagli ebrei polacchi che costituirono la massa dei deportati nei campi Reinhardt, e visto che nessun testimone ha affermato che in tali campi avvennero selezioni su vasta scala. Il verdetto del processo riguardante il campo di Sobibór del 1966 crollerebbe all’istante, e l’intera storiografia ufficiale sui campi Reinhardt crollerebbe con esso.

La possibilità che accada una cosa del genere può essere considerata come un’indicazione attendibile che gli archivi di Arolsen rimarranno chiusi ad occhi indiscreti. Solo qualche sorta di sconvolgimento potrebbe cambiare la situazione. Fino ad allora, casi eccezionali come quelli del signor Black continueranno ad attirare la nostra curiosità.

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.codoh.com/newrevoices/nrtkarolsen.html
[2] http://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_del_Comma_22 : “Il paradosso riguardaun’apparente possibilità di scelta in una regola o in una procedura dove in realtà, per motivi logici nascosti o poco evidenti, non è possibile alcuna scelta ma vi è solo un’unica possibilità”.

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