Ernst Zündel prigioniero di Sion

Ernst Zündel prigioniero di Sion

UNA VISITA IN CARCERE A ERNST ZÜNDEL

Di Daniel McGowan (2006)[1]

Quando aveva 6 anni Ernst assistette al bombardamento incendiario di Pforzheim da parte degli Alleati, in cui furono uccisi da diecimila a ventimila civili tedeschi. Da teenager divenne un pacifista; all’età di 19 anni espatriò in Canada per evitare di fare il servizio militare nell’esercito tedesco. In Canada ha lavorato come grafico e come editore, specializzandosi nella storia tedesca del ventesimo secolo. Molti dei libri che ha ripubblicato mettono in discussione l’Olocausto, come l’opuscolo underground Did Six Million Really Die? [Ne sono morti davvero sei milioni?], di Richard Harwood. Altre pubblicazioni le ha solo distribuite, come il Rapporto Rudolf , di Germar Rudolf, Occhio per occhio: la storia non raccontata della vendetta ebraica contro i tedeschi nel 1945, di John Sack, e Suprematismo ebraico: il mio risveglio sulla questione ebraica, di David Duke. Ha anche venduto libri sugli UFO e sulle medicine alternative.

L’interesse di Ernst per la storia e il revisionismo lo ha portato a contestare e sfidare alcuni specifici “fatti” riguardanti l’Olocausto. Egli ha affermato

1) che la “Soluzione Finale” di Hitler era destinata alla pulizia etnica, non allo sterminio;

2) che non ci furono camere a gas omicide utilizzate dal Terzo Reich (non nega che ci furono camere a gas utilizzate per la disinfestazione);

3) che dei presunti 55 milioni di morti della seconda guerra mondiale gli ebrei uccisi furono meno di 6 milioni.

Nel corso degli anni queste convinzioni credute fermamente, espresse per iscritto e poi sul sito Internet della moglie (http://www.zundelsite.org/ ) gli hanno procurato l’accusa di istigazione [all’odio razziale]. Durante il secondo processo contro di lui nel 1988, Ernst fu il primo ad inviare ad Auschwitz un team di studiosi. Fu questa Spedizione Leuchter, e il successivo Rapporto Leuchter, secondo lui, a rivoluzionare il revisionismo dell’Olocausto, portandolo oltre i confini delle testimonianze (“egli ha detto, ella ha detto…”) e sul terreno della solida scienza forense.

Questi sforzi lo hanno reso il bersaglio di coloro che proteggono la narrazione ufficiale dell’Olocausto. E’ sopravvissuto a tre tentativi di omicidio, inclusi quello con una bomba incendiaria, e sebbene egli abbia vissuto in Canada per 42 anni, non è mai riuscito ad ottenere la cittadinanza di quel paese, nonostante i funzionari dell’immigrazione avessero descritto la sua richiesta come “impeccabile”.

Mentre alcuni considerano le sue vedute ai confini dell’eresia, la libertà di parola garantita sia negli Stati Uniti che in Canada ha protetto il suo diritto a pubblicare e distribuire la sua idea di verità. Ma né la nostra Carta dei Diritti né le istanze dei suoi avvocati gli hanno evitato di essere estradato dagli Stati Uniti, e riportato a forza prima in Canada e poi in Germania, dove negare o rivedere certi aspetti dell’Olocausto è un crimine.

L’ultima carcerazione

Il 5 Febbraio del 2003 Ernst venne arrestato a casa sua nella zona montana del Tennessee orientale. Venne sequestrato con il pretesto che aveva violato il regolamento dell’immigrazione, o che aveva mancato un’udienza con le autorità statunitensi preposte all’immigrazione, e questo nonostante il fatto che fosse entrato negli Stati Uniti legalmente, che avesse sposato una cittadina americana, che fosse stato controllato dall’FBI, che fosse fornito di tessera sanitaria, di un permesso di soggiorno, e di un numero di previdenza sociale, e nonostante avesse la fedina penale pulita e cercasse di assicurarsi lo status di residente stabile.

Dopo essere stato incarcerato per due settimane, venne deportato in Canada. Per i successivi due anni – dalla metà del Febbraio 2003 al 1 Marzo 2005 – venne tenuto in isolamento nel Centro di Detenzione di Toronto Ovest, con l’accusa di essere una minaccia per la sicurezza nazionale. Come altri detenuti fatti oggetto di rendition [tradotti in carcere senza garanzie] non erano previste né la libertà su cauzione, né processo pubblico né appello. La sua posta veniva censurata e le luci della sua cella tenute accese notte e giorno.

Il 1 Marzo del 2005 Ernst venne messo ai ferri – incatenato mani e piedi – in un jet privato e deportato dal Canada alla Germania, dove è stato detenuto come un Untersechungsgefangener, o prigioniero sotto indagine. Come in Canada, la libertà su cauzione fu di nuovo negata. Il 29 Giugno 2005 il pubblico ministero, dr. Grossman, lo accusò formalmente di istigazione all’”odio” per aver scritto o distribuito testi che “approvano, negano o minimizzano” il genocidio attuato dal regime nazista, e che “denigrano la memoria dei morti [ebrei]”. Il processo iniziò l’8 Novembre 2005, otto mesi dopo il suo arrivo in Germania.

Ernst è confinato nella sua cella 22 ore e tre quarti al giorno. Non ha accesso al telefono o a Internet e non può comunicare nulla che abbia attinenza col processo. Può ricevere due visite di 30 minuti ciascuna al mese, ma tutte le conversazioni devono essere in tedesco o condotte tramite un traduttore approvato dalle autorità carcerarie.

Tuttavia Ernst rimane ottimista e convinto di aver fornito un contributo alla verità sulla seconda guerra mondiale e sull’Olocausto. Non nega che milioni di persone abbiano sofferto a causa dei nazisti, inclusi milioni di ebrei, che venivano fatti lavorare fino alla morte e che soffrirono a causa di malattie (specialmente il tifo) e che venivano spesso deliberatamente uccisi sia dentro che fuori i campi di concentramento. Ma non considera la sofferenza degli ebrei come unica. Considera i suoi sforzi di dire la verità sull’Olocausto come pionieristici ed è contento di lasciare che altri continuino le ricerche.

Ernst crede che i sionisti usino l’Olocausto come una spada e uno scudo per distogliere le critiche dalla loro impresa razzista di aver costruito uno stato ebraico in Palestina, uno stato nel quale oggi oltre la metà della popolazione non è ebrea, poiché il detto “stato” coincide con tutta la terra attualmente controllata da Israele, incluse la Cisgiordania, Gaza e le alture del Golan. Si considera un prigioniero politico dei sionisti, che cercano di cancellare i suoi meriti e di punirlo con la diffamazione e il carcere.

Un giorno in tribunale

Un ammiratore ha descritto una volta Ernst Zündel come “un uomo socievole e bonario che gode di una rara combinazione di indefesso ottimismo e di abilità pratica. Mantiene questo spirito contagioso anche in situazioni molto difficili. E’ una persona insolitamente intelligente e sensibile, con un’acuta comprensione della natura umana. Ispira confidenza, lealtà e affetto.” Il 7 Dicembre del 2006 assistetti al suo processo a Mannheim e ho trovato questa definizione straordinariamente esatta.

Quel giorno erano presenti in aula, oltre a Ernst, tre giudici, tre giurati, un reporter della corte, tre avvocati difensori, quattro guardie armate, ventiquattro spettatori e un pubblico ministero, il dr. Grossman. Ernst indossava un vecchio completo blu con una cravatta rossa; era attento; sorrideva spesso, approvando quando veniva detto qualcosa con la quale concordava. Le guardie erano amichevoli ma indifferenti. Di fronte alla corte, tutti i presenti erano seduti sul lato sinistro, eccetto il pubblico ministero che sedeva da solo di fronte ad un tavolo sul lato destro. I giurati e il reporter della corte sedevano in linea con i giudici su una piattaforma sopraelevata sul davanti e gli spettatori sedevano in file lungo il muro retrostante. Non era presente alcun giornalista.

Gli spettatori chiaramente stavano lì per Ernst. La maggior parte era composta da uomini tedeschi sui 60 e 70 anni; c’era anche una coppia di donne più giovani. Alcuni uomini commentavano di essere fieri di essere stati lì ogni udienza assieme ad Ernst, nel corso degli ultimi 21 mesi. Sebbene non lo conoscessero personalmente, seguivano il suo processo da vicino ed erano suoi sostenitori. Furono di aiuto a me al mio collega ebreo americano: ci fecero strada attraverso le maglie della sicurezza fuori del tribunale e si accertarono che prendessimo posto in modo da avere una buona posizione durante l’udienza. Molti parlavano inglese e avevano figli e figlie in America. La maggior parte erano in pensione ma c’era un uomo più giovane che aveva preso un permesso dal lavoro per assistere quel giorno al processo.

Ad Ernst e ai suoi avvocati non venne permesso di discutere o contestare la veracità dei fatti riguardanti l’Olocausto, inclusi i fatti contestati da Ernst e sui quali avrebbe voluto esporre prove scientifiche e testimonianze di esperti. Offenkundigkeit, ovvero la versione tedesca del fatto notorio, lo impedisce. Alla corte è permesso solo di stabilire se Ernst ha negato i fatti in questione e, in tal caso, quando, dove e come. Durante la nostra visita, uno dei legali di Ernst, l’ottantaquattrenne dr. Herbert Schaller, lesse una lunga e appassionata dichiarazione dicendo di credere nei fatti dell’Olocausto alla stessa guisa di Ernst, e affermando questo dichiarò di essere colpevole quanto lui. Terminò sostenendo che in oltre 53 anni di professione non era mai stato finora colpevole dello stesso crimine di cui era incolpato l’uomo che aveva l’incarico di difendere. Il giudice capo, Ulrich Meinerzhagen, apparve stanco, nervoso e pronto ad esplodere.

Visitare Ernst in prigione

Non è facile visitare Ernst Zündel. Gli è permesso di ricevere soltanto due visite al mese di 30 minuti ciascuna, che diventano un’ora se il visitatore giunge da una distanza più lontana di 100 chilometri. Sebbene io avessi scritto e inviato fax alla prigione una dozzina di volte a cominciare dal Febbraio del 2006, la risposta era sempre la stessa: nessuna risposta. Ma attraverso sua moglie, Ingrid, Ernst sapeva che un mio collega ed io desideravamo di rendergli visita, così chiese al giudice di fornirci un permesso. Finalmente il 23 Settembre il giudice Meinerzhagen disse ad Ernst di riferire a sua moglie di dirmi di mandargli un fax richiedendo una visita in termini formali. Ognuno di noi doveva accludere una copia dei nostri curricula e dei nostri passaporti.

Passò un altro mese prima di ricevere il nostro permesso. Una volta ottenuto tale documento, stampato e firmato dal giudice, potemmo prenotare un appuntamento alla prigione di Mannheim.

Al nostro arrivo le guardie riempirono un lungo modulo su ognuno di noi. Presero i nostri passaporti e ci fecero mettere ogni altra cosa in un armadietto. Poi venimmo perquisiti, ammoniti di non parlare in inglese, e avvisati di attraversare il cortile per raggiungere la sala visite. Lì ci sedemmo su un lato di un tavolo con uno schermo di plastica nel mezzo; le guardie portarono Ernst di fronte all’altra metà del tavolo e gli permisero di sedere davanti a noi mentre una guardia si sedette in fondo per controllare entrambe le parti. Chiedemmo se era permesso di stringergli la mano e la guardia sorrise e disse di sì.

Ernst iniziò chiedendoci di contattare sua moglie e dirle che stava bene e che gli mancava. Non era in contatto con lei da svariate settimane ed era preoccupato che fosse preoccupata per lui. Poi chiese se la famiglia del mio collega lo aveva scoraggiato dal fare questo viaggio. Il mio amico capì quello che Ernst stava chiedendo, ma non conosceva il tedesco, così dovetti dire a Ernst che erano state fatte pressioni su entrambi affinché non avessimo nulla a che fare con un “negazionista”.

Chiedemmo a Ernst notizie sulla vita in prigione e sul suo rapporto con le guardie e gli altri prigionieri. Descrisse una sua giornata tipica e ci disse che aveva contatti limitati con gli altri prigionieri, ma che erano amichevoli nei suoi confronti. Altrettanto erano le guardie, specialmente se si obbediva al regolamento e non si minacciava nessuno. Chiese spesso all’uomo che controllava la nostra visita di confermare quello che stava dicendo, quasi volesse includerlo nella conversazione.

Parlò poi di storia e filosofia e dei libri che aveva letto ultimamente. Elogiò la biblioteca della prigione, che a suo dire era molto migliore di quella nella prigione del Tennessee, che aveva “solo romanzi di Tom Clancy e un vecchio libro sui presidenti americani.” Ero stato costretto a lasciare fuori i miei quaderni e sebbene avessi molte domande in serbo, non ebbi il permesso di chiedergli alcunché sul processo, neppure i nomi dei suoi avvocati.

L’ora passò velocemente e la guardia ci disse che dovevamo andare. Quando ci alzammo guardammo la guardia con aria interrogativa ed egli fece un cenno di consenso. Stringemmo le mani di Ernst, lentamente: prese le nostre nelle sue. Erano grandi, morbide e calde; sebbene Ernst abbia solo 6 anni più di me, mi ricordò mio padre quando mi disse addio l’ultima volta che ci vedemmo.

Negazione dell’Olocausto

Contrariamente agli avvisi dati alle persone che visitano oggi Auschwitz, la “negazione dell’Olocausto” non è una malattia infettiva. Il termine è usato in molti modi come un epiteto per screditare e sminuire quelli che mettono in discussione fatti concernenti l’Olocausto. Né la negazione dell’Olocausto è una manifestazione di antisemitismo; ci sono molti ebrei che mettono in discussione fatti concernenti l’Olocausto e molti di più che disapprovano il suo utilizzo per porre la sofferenza ebraica su un piano superiore alle altre. Trattare quelli che mettono in discussione l’Olocausto come eretici rivela il fatto che l’Olocausto stesso è diventato una religione, una fede che deve essere accettata e adorata con memoriali spettacolari, libri di successo e curricula obbligatori da parte degli studenti.

Ernst ritiene che alcuni gruppi ebraici lo abbiano voluto dietro le sbarre per aver promosso idee che la Israel Lobby considera dannose per i suo interessi. Afferma che i soli sforzi continui e istituzionalizzati per imprigionarlo sono venuti da questa lobby, una lobby che include il Centro Simon Wiesenthal, il Congresso Ebraico Canadese, l’Associazione Canadese per il Ricordo dell’Olocausto e la Lega per i Diritti Umani del B’nai B’rith (con la Lega Anti-Diffamazione [ADL] come sua controparte negli Stati Uniti). Va notato che persino la ACLU (American Civil Liberties Union) ha rifiutato di difendere il suo diritto alla libertà di parola.

Ernst Zündel non è né un mostro né un eretico. E’ un uomo con forti convinzioni e il coraggio di esprimerle. Si considera non un “negazionista dell’Olocausto”, ma piuttosto un revisionista. Per questo è stato tradotto dagli Stati Uniti – che altrimenti professano di proteggere sia il diritto alla libertà di parola che l’ordinanza dell’habeas corpus – e dal Canada, entrambi paesi in cui non ha infranto alcuna legge. Deportarlo nel suo paese natale per essere accusato di un “crimine” da lui mai commesso in Germania è stato sommamente ingiusto. Quelli che incarcerano revisionisti come Ernst Zündel e li trattengono, senza cauzione, per anni, ininterrottamente, per spogliarli delle loro risorse e per ridurli al silenzio come Prigionieri di Sion possono – loro sì – essere definiti come “negatori della giustizia”.

Daniel McGowan
Professore Emerito
Hobart and William Smith Collages

[email protected]

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.dissidentvoice.org/Dec06/McGowan30.htm

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