Wilhelm Furtwängler. In Memoriam

Wilhelm Furtwängler. In Memoriam

WILHELM FURTWÄNGLER E LA MUSICA NEL TERZO REICH

Di Antony Charles (1998)[1]

Non solo nel corso della sua vita ma anche nei decenni successivi alla sua morte, avvenuta nel 1954, Wilhelm Furtwängler è stato universalmente riconosciuto come uno dei più grandi musicisti del novecento, e soprattutto, come il brillante direttore principale dell’Orchestra Filarmonica di Berlino, che ha guidato dal 1922 al 1945, e nuovamente dopo il 1950. Alla sua morte, l’Enciclopedia Britannica ha commentato: “Di temperamento wagneriano, il suo dinamismo misurato, il superbo controllo dell’orchestra e la maestria nella direzione dei tempi ne hanno fatto anche uno straordinario interprete di Beethoven”. Furtwängler fu anche un compositore di valore.

A evidenziare la sua duratura grandezza sono state alcune recenti – e approfondite – biografie, oltre a un dramma rappresentato con successo a Broadway nel 1996, “Taking Sides” [Prendere posizione], che ritrae il suo purgatorio postbellico (quando venne sottoposto alla “denazificazione”), come pure le vendite sempre considerevoli dei dischi con le sue performance (alcune delle quali disponibili solo in anni recenti). Associazioni intitolate a Furtwängler sono attive negli Stati Uniti, in Francia, Inghilterra, Germania e altri paesi. La sua reputazione complessiva, tuttavia, specialmente in America, è ancora controversa.

In seguito alla presa del potere da parte dei nazisti nel 1933, alcuni importanti musicisti – in particolare artisti ebrei come Bruno Walter, Otto Klemperer, e Arnold Schoenberg – lasciarono la Germania. La maggior parte, però, inclusa la grande maggioranza dei suoi talenti più dotati, non solo rimase ma ebbe l’occasione di esprimersi al meglio. Con l’eventuale eccezione del compositore Richard Strauss, Furtwängler fu il più famoso dei musicisti che rimase e che “collaborò”.

Di conseguenza, le discussioni sulla sua vita – persino oggi – provocano ancora un acceso dibattito sul ruolo dell’arte e degli artisti sotto Hitler e, ad un livello più generale, sulla relazione tra l’arte e la politica.

Un patriota apolitico

Wilhelm Furtwängler attinse una grande ispirazione dalla ricca eredità culturale della sua patria: il suo mondo ruotava intorno alla musica, specialmente la musica tedesca. Per quanto fosse essenzialmente apolitico, era un fervente patriota, e non prese mai in considerazione l’idea di lasciare la propria terra natale.

Da un punto di vista ideologico, potrebbe essere forse classificato come un uomo della “vecchia” Germania – un conservatore guglielmino e un aristocratico autoritario. Insieme alla grande maggioranza dei suoi compatrioti, accolse volentieri la fine dell’inetto regime democratico della “Repubblica di Weimar” (1918-1933). In realtà, fu scelto per dirigere la cerimonia di gala – con l’esecuzione dei “Maestri Cantori di Norimberga” di Wagner – del “Giorno di Potsdam”, una solenne cerimonia di stato tenutasi il 21 Marzo del 1933, nella quale il Presidente von Hindenburg, il neo-cancelliere Adolf Hitler e il neo-eletto Reichstag [Parlamento] inaugurarono formalmente il nuovo governo di “risveglio nazionale”. Allo stesso modo, Furtwängler non si iscrisse mai al partito nazionalsocialista (a differenza del suo principale rivale, il collega direttore Herbert von Karajan).

Non passò molto tempo prima che Furtwängler entrasse in conflitto con le nuove autorità. In una pubblica discussione alla fine del 1934 avuta con il Ministro della Propaganda Joseph Goebbels, riguardante la sua direzione artistica e la sua indipendenza, rassegnò le dimissioni da direttore della Filarmonica di Berlino e da sovrintendente dell’Opera di Stato di Berlino. Poco dopo, tuttavia, venne raggiunto un compromesso grazie al quale riprese le proprie cariche, insieme a un certo grado di indipendenza artistica. Riuscì anche a sfruttare sia la propria posizione di prestigio che le rivalità in campo artistico e politico fra Goebbels e Göring per esercitare un ruolo più importante nella vita culturale del terzo Reich.

Da allora in poi, fino alla caduta del Reich nella primavera del 1945, continuò a dirigere con grande successo sia in patria che all’estero (incluso, ad esempio, un trionfale giro di concerti in Inghilterra nel 1935). Fu anche direttore ospite della Filarmonica di Vienna, dal 1939 al 1940, e al Festival di Bayreuth. In diverse occasioni diede concerti a sostegno delle sforzo bellico tedesco. Fu anche membro del Consiglio di Stato prussiano e vice-presidente della “Camera della Musica del Reich”, l’associazione, finanziata dalla stato, dei musicisti professionisti.

Durante l’era del terzo Reich, l’eminente influenza di Furtwängler sulla vita musicale europea non diminuì mai.

Vitalità culturale

Per gli americani portati a credere che in Germania, durante l’era di Hitler, non venne prodotto nulla che avesse un reale merito artistico e culturale, l’espressione “Arte nazista” è un ossimoro – una contraddizione in termini. La realtà, però, non è così semplice, ed è consolante notare che è stato fatto qualche progresso per correggere la vulgata corrente.

Questo è evidente, ad esempio, dalla pubblicazione in anni recenti di due studi che affrontano l’argomento-Furtwängler in modo approfondito, e che in genere difendono il suo comportamento durante il terzo Reich: The Devil’s Music Master [Il maestro della musica del diavolo], di Sam Shirakawa, e Trial of Strength, di Fred K. Prieberg. Queste opere revisioniste non solo contestano la percezione largamente condivisa del ruolo degli artisti e dell’arte nel terzo Reich, ma esprimono uno sforzo salutare per una comprensione più obbiettiva della Germania nazionalsocialista.

L’opera di Prieberg si concentra quasi esclusivamente sui complessi rapporti di Furtwängler con Goebbels, Göring, Hitler, e varie altre figure della vita culturale del terzo Reich. Così facendo, dimostra che a dispetto delle misure ufficiali prese per “coordinare” le arti, il regime permetteva anche un grado sorprendente di libertà artistica. Anche le leggi e i regolamenti razziali antiebraici non erano sempre applicati rigorosamente, e le eccezioni erano frequenti (tra i molti esempi che possono essere citati, c’è il caso di Leo Blech, che conservò il suo posto di direttore fino al 1937, nonostante la sua origine ebraica). Furtwängler sfruttò la situazione per intervenire con successo in un certo numero di casi a favore di artisti, ebrei inclusi, che non godevano dei favori del regime. Intervenne anche in favore di Paul Hindemith, un compositore “moderno” la cui musica era considerata degenerata.

Gli artisti e i musicisti che lasciarono il paese (specialmente quelli ebrei) sostenevano che, senza di loro, la vita culturale tedesca sarebbe crollata. Credevano, come tutti i critici del regime di Hitler, che in uno stato ardentemente nazionalista e autoritario l’alta cultura sarebbe inaridita. Osserva Prieberg: “I musicisti che emigrarono o che furono espulsi dalla Germania dal 1933 in poi, pensavano di essere insostituibili e di conseguenza credevano fermamente che la Germania sarebbe diventata, in seguito alla loro dipartita, una terra desolata squallida e vuota. Questo avrebbe inevitabilmente provocato il crollo del regime”.

Il tempo avrebbe dimostrato che tali critici si sbagliavano. Mentre è vero che la partenza di artisti come Fritz Busch e Bruno Walter all’inizio fece dei danni (e diede un colpo al prestigio della Germania) i più rinomati musicisti del paese – inclusi Richard Strauss, Carl Orff, Karl Böhm, Hans Pfitzner, Wilhelm Kempff, Elizabeth Schwarzkopf, Herbert von Karajan, Anton Webern, e lo stesso Furtwängler – rimasero in patria, a produrre musica della più alta qualità. Nonostante l’emigrazione di un certo numero di musicisti ebrei e di un numero minore di artisti non ebrei (e di radicali restrizioni antiebraiche), la vita culturale tedesca non solo continuò ma prosperò.

I nazionalsocialisti consideravano l’arte, e la musica in particolare, come l’espressione dell’anima, del carattere e degli ideali di una nazione. Ritenevano che un ampio riconoscimento dei successi culturali della Germania avrebbe incoraggiato un gioioso orgoglio nazionale, e avrebbe promosso un salutare senso di unità nazionale. Poiché si consideravano i guardiani dell’eredità culturale della propria patria, avversavano le tendenze liberali e modernistiche della musica e della altre arti, come attacchi degenerati contro le tradizioni culturali e spirituali della Germania e dell’Occidente.

Il nuovo governo nazionalsocialista fece sforzi prodigiosi per promuovere le arti, e la musica in particolare, favorendo alacremente un’ampia riscoperta del patrimonio culturale nazionale. Come è stato puntualizzato in due recenti studi (The Twisted Muse [La musa sleale], di Kater, e Music in the Third Reich, di Levi) la nuova classe dirigente non solo accrebbe di molto i finanziamenti statali per istituzioni importanti come la Filarmonica di Berlino o il Festival di Bayreuth, ma utilizzò la radio, le registrazioni discografiche e ogni altro mezzo disponibile per rendere il patrimonio musicale tedesco accessibile a tutti i cittadini.

Come parte di questo sforzo per portare l’arte al popolo, si cercò di cancellare l’immagine snobista e classista della musica, e di renderla diffusamente familiare e fruibile, specialmente alla classe lavoratrice. Allo stesso tempo, i capi del nuovo regime erano attenti ai gusti popolari. Così, la musica di gran lunga più ascoltata durante il terzo Reich alla radio o nei film non era né classica e neppure tradizionale. Alla radio e al cinema, specialmente negli anni di guerra, predominava la musica leggera con motivi orecchiabili – simili a quelli che erano famigliari agli ascoltatori nel resto d’Europa e negli Stati Uniti.

Il principale responsabile dell’attuazione della nuova politica culturale era Joseph Goebbels. Nella sua posizione di Ministro della Propaganda e di capo della “Camera della Cultura del Reich” – l’associazione che riuniva tutti i professionisti della vita culturale – promosse la musica, la letteratura, la pittura e il cinema, in accordo con i valori e le tradizioni tedesche, e con un occhio di riguardo per i gusti popolari.

L’attitudine di Hitler

Nessun leader politico ebbe un interesse più appassionato per l’arte, o fu un sostenitore più entusiasta del retaggio musicale della propria nazione, di Hitler, che guardava alle composizioni di Beethoven, Wagner, Bruckner e degli altri maestri tedeschi come a espressioni sublimi dello “spirito” germanico. La reputazione, che Hitler ha, di “artista fallito” di second’ordine è immeritata. Come John Lucas riconosce nel suo libro di recente pubblicazione, The Hitler of History (pp. 70-72), il leader tedesco era un uomo di reale talento artistico e un vero intenditore.

Forse non potremo mai capire fino in fondo Hitler – e lo spirito che stava dietro il suo movimento politico – se non terremo conto che egli trasse ispirazione, fino a identificarvisi, con le figure eroiche della tradizione europea che combattevano per liberare il proprio popolo dalla tirannia, e le cui storie sono immortalate dai grandi drammi musicali di Wagner.

Questo aspetto è stato vividamente delineato da August Kubizek – l’amico più intimo di Hitler al tempo dell’adolescenza e della giovinezza – nelle sue memorie postbelliche (pubblicate negli Stati Uniti con il titolo: The Young Hitler I Knew [Il giovane Hitler che ho conosciuto]). Kubizek descrive come, dopo che i due giovani avevano assistito per la prima volta ad una rappresentazione, a Linz, dell’opera Rienzi di Wagner, Hitler parlasse a lungo e in modo appassionato di quanto quest’opera lo avesse commosso profondamente. Anni dopo, quando era già Cancelliere, parlò a Kubizek di come quella rappresentazione avesse radicalmente cambiato la sua vita. “Iniziò in quel momento”, gli confidò.

Hitler naturalmente riconobbe la grandezza di Furtwängler e ne capì l’importanza per la Germania e per la musica tedesca. Così, quando altri gerarchi (incluso Himmler) si lamentarono dell’anticonformismo del direttore, Hitler non tenne in alcun conto le loro rimostranze. Fino alla fine, Furtwängler rimase il suo direttore preferito. Fu parimenti indulgente verso il suo tenore favorito, Max Lorenz, e verso il soprano wagneriano Frida Leider, entrambi sposati con ebrei. La loro importanza culturale oltrepassava le considerazioni razziali e politiche.

Umiliazioni postbelliche

Un anno e mezzo dopo la fine della guerra in Europa, Furtwängler fu condotto davanti ad un umiliante tribunale di “denazificazione”. Amministrato dalle autorità americane d’occupazione, e presieduto da un comunista, si trattò di una farsa. Vennero nascoste così tante informazioni vitali, sia al tribunale che all’imputato che, suggerisce Shirakawa, le autorità di occupazione potrebbero aver avuto l’intenzione di “comprare” il direttore.

Nelle sue dichiarazioni conclusive nel corso del processo, Furtwängler difese spavaldamente la propria reputazione:

“La paura di essere strumentalizzato a scopo propagandistico venne cancellata da una preoccupazione ancora più grande, quella di preservare la musica tedesca fino a quando fosse possibile…Non potevo lasciare la Germania nel suo stato di massima infelicità. Andarsene sarebbe stato una fuga vergognosa. Dopo tutto, sono un tedesco, qualunque cosa si possa pensare di questo all’estero, e non rimpiango di aver fatto questo per il popolo tedesco”.

Anche con un giudice ostile, e con serie lacune nei verbali, il tribunale non riuscì a costruire un’accusa credibile contro il direttore, che fu prosciolto.

Poco tempo dopo, Furtwängler venne invitato ad assumere la direzione dell’Orchestra Sinfonica di Chicago (non era uno sconosciuto negli Stati Uniti: dal 1927 al 1929 era stato direttore ospite della New York Philharmonic).

Una volta appreso dell’invito, l’establishment culturale ebraico americano lanciò una dura campagna – diffusa dal New York Times, da musicisti quali Artur Rubinstein e Vladimir Horowitz e dal critico Ira Hirschmann – per boicottare l’incarico di Furtwängler. Gli attivisti utilizzarono – come è stato descritto nei particolari da Shirakawa e dallo scrittore Daniel Gillis (in Furtwängler and America) – calunnie, insinuazioni, e persino minacce di morte.

Esempio tipico di questa retorica carica di astio fu l’aspro rimprovero del rabbino di Chicago Morton Berman:

“Furtwängler ha preferito giurare fedeltà a Hitler. Ha accettato dalle mani di Hitler il suo reincarico come direttore dell’Orchestra Filarmonica di Berlino. E’ stato immancabile nel suo servizio presso il Ministero della Cultura e della Propaganda di Goebbels. Il salvataggio simbolico di poche vite ebraiche non assolvono Furtwängler dalla partecipazione ufficiale e attiva ad un regime che ha assassinato sei milioni di ebrei e milioni di non ebrei. Furtwängler è un simbolo di tutte quelle cose odiose per le quali la gioventù della nostra città e della nostra nazione ha pagato un prezzo inestimabile”.

Tra gli ebrei importanti della musica classica, solo il famoso violinista Yehudi Menhuin difese l’artista tedesco. Dopo che Furtwängler fu infine obbligato a rinunciare all’incarico, un disilluso Moshe Menhuin, il padre di Yehudi, criticò ferocemente i propri correligionari. A suo giudizio, Furtwängler

“fu vittima di rivali invidiosi e gelosi che dovettero ricorrere alla propaganda, alla diffamazione e alla calunnia, per tenerlo fuori dall’America, in modo che rimanesse una loro proprietà personale. E’ stato vittima delle mezze calze e delle anime deboli – parliamo dei concertisti – che per ottenere un po’ di pubblicità, si sono uniti al carro degli idealisti di professione, degli ebrei di professione, e degli scagnozzi che hanno irresponsabilmente aggredito un uomo innocente, pieno di umanità e di larghe vedute”.

Doppio metro di giudizio


La Germania del terzo Reich è abitualmente così demonizzata nella nostra società che ogni riconoscimento dei suoi successi culturali è considerata l’equivalente di una difesa del fascismo e del più imperdonabile dei peccati: l’antisemitismo. Ma come il professor John London suggerisce (in un saggio pubblicato sulla rivista The Jewish Quarterly, “Why Bother about Fascist Culture?” [Perché infastidire con la cultura fascista?], autunno 1995), questo atteggiamento semplicistico può presentare problemi imbarazzanti:

Lungi dall’essere un’entità totalmente ripugnante, impopolare e distruttiva, la cultura sotto il fascismo fu talvolta raffinata, persino bella…Se voi ammettete la presenza, e in qualche caso la ricchezza, della cultura prodotta sotto i regimi fascisti, non necessariamente ne difendete anche l’etica. D’altro lato, una volta che iniziate a rifiutare ogni cosa, dove vi fermerete?

A questo riguardo, è interessante paragonare il modo in cui molti media e autorevoli opinion-maker trattano gli artisti della Germania nazionalsocialista rispetto al trattamento riservato agli artisti della Russia sovietica. Mentre Furtwängler e altri artisti che operarono in Germania durante l’era nazista vengono fustigati per la loro collaborazione con il regime, i musicisti sovietici, come i compositori Aram Khachaturian e Sergei Prokofiev, e i direttori Evgeny Svetlanov e Evgeny Mravinsky – tutti più o meno complici del regime – vengono raramente, se mai lo vengono, rimproverati per la loro collaborazione.

L’artista e la sua opera occupa una posizione privilegiata nella società e nella storia. Sebbene la grande arte non possa mai essere interamente separata dal suo ambiente politico e sociale, deve essere considerata in modo autonomo rispetto ad esso. In breve, l’arte trascende la politica.

Nessuna persona ragionevole denigrerebbe gli artisti e gli scultori dell’antica Grecia per aver essi glorificato una società che, con l’attuale metro di giudizio, non era affatto democratica. Similmente, nessuno arriva a disprezzare i costruttori delle grandi cattedrali d’Europa per il fatto che l’ordine sociale del medioevo era dogmatico e gerarchico. Nessuna persona di cultura denigrerebbe William Shakespeare per aver operato durante l’era elisabettiana, caratterizzata dall’antisemitismo e da un fervente nazionalismo. Nessuno d’altronde rimprovera i magnifici compositori della Russia zarista per aver prosperato sotto un regime autoritario. In realtà, i più grandi traguardi culturali del genere umano sono stati spesso il prodotto non di società liberali o egualitarie, ma piuttosto di società antidemocratiche.

Uno sguardo ravvicinato alla vita e alla carriera di Wilhelm Furtwängler rivela dei fatti “politicamente scorretti” sul ruolo dell’arte e degli artisti nella Germania nazionalsocialista, e ci ricorda che la grande creatività artistica e le grandi conquiste non sono affatto il prodotto esclusivo delle società democratiche.

Bibliografia

Gillis, Daniel. Furtwängler and America. Palo Alto: Rampart Press, 1970.

Kater, Michael. The Twisted Muse: Musicians and Their Music in the Third Reich. New York: Oxford University Press, 1997.

Levi, Erik. Music in the Third Reich. New York: St. Martin’s Press, 1994.

Prieberg, Fred. Trial of Strenght: Wilhelm Furtwängler in the Third Reich. Boston: Northeastern University Press, 1994.

Shirakawa, Sam. The Devil’s Music Master: The Controversial Life and Career of Wilhelm Furtwängler. New York: Oxford University Press, 1992.

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.ihr.org/jhr/v17/v17n3p-2_Charles.html

One Comment
  1. Veramente un bell'articolo, complimenti!

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