Norman Finkelstein: I negazionisti dovrebbero insegnare nelle università

PERCHÉ DOVREMMO RALLEGRARCI DEI NEGAZIONISTI DELL’OLOCAUSTO, E NON METTERLI A TACERE

Una replica all’amministratore delegato di Facebook Mark Zuckerberg e all’amministratore delegato di Twitter Jack Dorsey

Di Norman G. Finkelstein

Facebook e Twitter hanno annunciato che metteranno al bando il negazionismo dell’Olocausto dalle loro piattaforme. In un libro di prossima uscita, Cancel culture, Academic Freedom and Me, Norman Finkelstein sostiene che il negazionismo dell’Olocausto dovrebbe essere insegnato nelle università e preferibilmente da un negazionista. Ecco un estratto dal suo manoscritto.

Sarebbe una caricatura della verità e della libertà accademica (così si dice) se una università permettesse ai negazionisti dell’Olocausto una piattaforma. Ma, per cominciare, non è ovvio cosa esattamente viene negato. L’olocausto nazista denota lo sterminio dell’ebraismo europeo o tutte le categorie di persone messe sistematicamente a morte e stroncate? Se si tratta solo degli ebrei, allora perché? Se il criterio è quantitativo – non meno di 5-6 milioni di ebrei periti – perché allora l’olocausto nazista gode di uno status privilegiato, tale da non poter essere messo in discussione? Circa 30 milioni di russi vennero uccisi durante la seconda guerra mondiale, e tuttavia nessuna bandiera rossa impedisce un dibattito a ruota libera su questa letale distruzione. Inoltre, se la singolarità dell’olocausto nazista e il punto della questione consistono nel numero degli uccisi, è difficile comprendere perché dovrebbe essere posto un tabù sul negazionismo dell’Olocausto. La cosa ragionevole non è semplicemente quella di presentare le prove tecniche della cifra largamente accettata dei 5-6 milioni? Ma forse è il criterio qualitativo del come che distingue lo sterminio nazista: vale a dire, il processo di tipo industriale simile alla catena di montaggio di una fabbrica culminato nelle camere a gas. Tuttavia, solo la metà di questi ebrei che morirono vennero uccisi in campi della morte[1], mentre Raul Hilberg, che punta dritto al “processo di distruzione” nel suo studio monumentale, nondimeno accomuna l’olocausto nazista al genocidio del Ruanda (“La storia ha ripetuto sé stessa”), sebbene quest’ultimo sia stato eseguito utilizzando le armi più primitive[2]. Ancora, se il punto della contesa è la tecnica, perché allora non limitarsi a lasciare che le prove delle camere a gas parlino per sé stesse? Se l’effetto voluto del tabù sul negazionismo dell’Olocausto è di sopprimerlo, l’effetto reale è di sollevare sospetti: perché i negazionisti vengono imbavagliati se le prove smentiscono incontrovertibilmente le loro affermazioni? In realtà, il tabù può rivelarsi un boomerang in più direzioni. La International Holocaust Remembrance Alliance definisce il negazionismo dell’Olocausto tra le altre cose come i “tentativi di attenuare le responsabilità dei campi di concentramento e dei campi della morte ideati e gestiti dalla Germania nazista addossando la colpa ad altre nazioni o ad altri gruppi etnici”[3]. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha addossato la colpa suprema per l’olocausto nazista al Mufti palestinese di Gerusalemme[4]. Dovrebbe egli essere escluso dall’aula di un college?

Quando insegnavo il Saggio sulla libertà di John Stuart Mill, testavo le critiche di Mill con un trittico di scenari ipotetici, uno dei quali era:

“Un professore del nostro dipartimento di storia vuole riservare una classe del suo corso introduttivo sull’Europa moderna alla proposizione che l’olocausto nazista non è mai avvenuto. Si tratta di un corso obbligatorio, in cui il professore non risponde alle domande degli studenti. Gli si dovrebbe permettere di tenere questo corso?”[5].

Dapprima liquidavo le ovvie obiezioni della classe. Il fatto che il professore zittisca la classe non contraddice Mill? Ma, replicavo, non ascoltate programmi radiofonici, non guardate show televisivi, e non leggete libri rispetto ai quali vi trovate in totale disaccordo e tuttavia non potete fisicamente rispondere? (in realtà, più spesso che no l’autore di un testo offensivo non è più tra i viventi). Una persona razionale chiude le sue orecchie, cambia canale, e fa a pezzi il libro, oppure si occupa delle parole sgradite, a prescindere dal fatto che abbia l’ultima parola o anche la prima? Ancora, la presentazione unilaterale del professore (si dice) contraddice Mill. Ma, ribattevo, non veniamo bombardati con testi e immagini, non da ultimo nelle offerte dei corsi del college – che affermano l’olocausto nazista? Non può certo essere giudicato una rottura dei contrappesi il fatto che un singolo professore riservi una singola classe di un singolo corso a contestare la saggezza di un consenso incessantemente articolato. Dopo aver affrontato queste prevedibili obiezioni, iniziava il vero lavoro.

A che serve una tale classe se so per certo che l’olocausto nazista è avvenuto? Ma non potete essere certi della vostra convinzione fino a quando, e a meno che, non abbiate ascoltato e risposto a tutte le obiezioni a essa. Anche un bambino, se la sua convinzione viene messa in discussione, ha una sufficiente nozione di epistemologia per controbattere: dimostrami che sbaglio! Se lui vuole abbracciare la sua certezza, deve prima occuparsi di ogni suo oppositore.

La completa libertà di contraddire e di confutare la nostra opinione è la condizione esatta che ci giustifica nel fare propria la sua verità…; e in nessun altro modo può un essere provvisto di facoltà umane avere alcuna rassicurazione razionale di essere nel giusto.

Le convinzioni che consideriamo più valide possono essere fondate solo su un permanente invito al mondo intero a dimostrarle infondate[6].

Anche se potete schierare una montagna di prove a sostegno, ancora, non potete preferire la vostra convinzione a quella dei negazionisti dell’Olocausto se vi rifiutate persino di ascoltarli. Il massimo che potete razionalmente sostenere è l’agnosticismo; altrimenti, la vostra convinzione è basata sul pregiudizio personale, non sulla verità.

Colui che conosce solo il proprio punto di vista sulla questione conosce poco di essa. Le sue ragioni possono essere buone, e nessuno può essere stato capace di confutarle. Ma se egli è ugualmente incapace di confutare le ragioni del punto di vista opposto, se egli non le conosce in modo approfondito, egli non ha la base per preferire una qualsivoglia opinione. Per costui la posizione razionale sarebbe quella della sospensione del giudizio, e a meno che egli non si accontenti di questa, egli è o condizionato dall’autorità oppure adotta, come la generalità del mondo, il lato per il quale egli prova la maggiore inclinazione[7].

Inoltre, anche se voi non nutrite dubbi, questo non può permettervi di decidere per gli altri a meno che non siate onniscienti[8]; quando avete riconosciuto la vostra fallibilità umana, dovete anche concedere la possibilità di essere in errore, nel qual caso il vostro atto di soppressione potrebbe negare ad altri la possibilità di scambiare l’errore per la verità.

Coloro che desiderano di sopprimere [un’opinione], naturalmente, negano la sua verità; ma essi non sono infallibili. Essi non hanno l’autorità per decidere la questione per tutto il genere umano e per escludere ogni altra persona dai mezzi di giudizio…Ogni soppressione della discussione è un’assunzione di infallibilità.

Anche garantendo la fattualità dell’olocausto nazista, fornire ai negazionisti una piattaforma sarebbe ancora giustificato. Proprio come la profondità di “tutti gli uomini sono creati uguali” (l’altro esempio che ho invocato per chiarire il punto di vista di Mill) non è interamente ovvia, così la profondità dell’olocausto nazista non è interamente ovvia. Se le profondità del significato si trovano sepolte in essa, allora, esse possono essere scandagliate solo in una libera discussione. Ci si può solo chiedere quanto veloce sia il riflesso di soffocare il negazionismo dell’Olocausto, anche se gli ingannevoli tabù ridurranno inevitabilmente una tragedia umana, per quanto profonda, ad uno sterile mantra, ad un oggetto di cieca adorazione, o secondo i termini di Mill, ad un morto dogma. È anche difficile non lasciarsi sfuggire la proliferazione di linee rosse che proteggono l’Olocausto dal correttivo della libertà di parola, anche – o meglio, specialmente – quando uno dei suoi postulati fondamentali appare falso. Così, da un lato, una sanzione senza paragoni viene imposta sul negazionismo dell’Olocausto – nemmeno il negazionismo del cambiamento climatico, che minaccia la sopravvivenza stessa del pianeta, è così sanzionato! – mentre, d’altro canto, dimostrare l’unicità dell’olocausto nazista si è rivelato difficile da definire e, cosa più importante, negare la sua unicità, e anche giustapporlo ad altri crimini storici – solo per mostrare che non può essere paragonato – viene interpretato come una forma di negazionismo dell’Olocausto[9]. Più i tabù vengono moltiplicati, più l’olocausto nazista viene disancorato dal tempo e dallo spazio e ridotto ad un oggetto di idolatria.

Per quanto vera possa essere, se non viene discussa pienamente, frequentemente e senza timori reverenziali, essa verrà conservata come un morto dogma, non come una verità vivente.

Non solo le fondamenta dell’opinione vengono dimenticate nell’assenza di discussione, ma troppo spesso il significato dell’opinione stessa. Le parole che la esprimono cessano di suggerire idee, o suggeriscono solo una piccola porzione di quelle che vennero originariamente impiegate per comunicare. Al posto di una vivida concezione e di una vivente convinzione, rimangono lì solo poche frasi conservate a memoria; o, se si conserva una parte, vengono conservati solo il guscio e la buccia del significato, l’essenza superiore viene perduta.

Non hanno i tabù che avvolgono l’olocausto nazista – la paura di metterlo in discussione (o di mettere in discussione aspetti di esso), lo status sacrosanto che occupa – indotto a calcificarlo in un rituale privo di vita, ma hanno anche generato una grande quantità di letteratura testimoniale spuria e una pseudo-erudizione insensata, l’esito paradossale delle quali è di fornire foraggio ai mulini dei negazionisti?[10] Se un presunto testimone gode di immunità dal contro-interrogatorio – come fa ogni Tom, Dick, e Moishe che impegna la propria parola come un “sopravvissuto dell’Olocausto”[11] – la propensione umana è quella di esagerare, la quale, se viene lasciata priva di controlli, si indurirà in una menzogna.

C’è sempre una speranza quando le persone vengono costrette ad ascoltare entrambi i punti di vista; è quando esse ne seguono solo uno che gli errori diventano pregiudizi, e la verità stessa cessa di avere l’effetto della verità venendo esagerata fino a diventare una falsità.

È anche possibile (persino probabile) individuare il contesto generale nel modo corretto anche se alcuni dei fatti costitutivi sono sbagliati. Se uno è devoto alla purezza della verità, non solo nella sua interezza ma anche nelle sue componenti, allora un negazionista dell’Olocausto esercita l’utile funzione di scoprire gli errori “locali”, precisamente perché è un avvocato del diavolo – e cioè, dedito in modo fanatico a “smascherare” l’”impostura del 20° secolo”. Egli conseguentemente impiega tutto il suo essere nel vagliare ogni elemento di prova, senza dare per scontato il più piccolo dettaglio, passando la pettinina attraverso ognuno di questi e, nel suo zelo monomaniacale di scovare un errore, finisce inevitabilmente per scoprirlo.

Anche se il mondo intero è nel giusto, è sempre probabile che i dissidenti abbiano qualcosa che vale la pena di ascoltare, e che la verità perderebbe qualcosa con il loro silenzio[12].

“Se queste persone vogliono parlare, permetteteglielo”, consigliava Hilberg. “Tutto ciò avrebbe il solo effetto di indurre quelli di noi che fanno ricerca a riesaminare quello che possiamo aver considerato come ovvio. E questo è utile”[13]. Se egli era rilassato quando si trattava dei negazionisti dell’Olocausto, è perché Hilberg era fiducioso nelle sue conclusioni basate sulla sua padronanza delle fonti. L’impulso di mettere a tacere nasce non solo dal disgusto per ciò che i negazionisti dell’Olocausto scandalosamente proclamano ma anche, e più spesso, dalla paura dell’incapacità di rispondere loro in modo credibile[14]. “Sì, c’è stato un Olocausto”, osservò Hilberg una volta, “che è, naturalmente, più facile da affermare che da dimostrare”[15]. Se voi avete assolto il vostro compito, allora rispondere a sgradevoli scettici è alla peggio una forma di divertimento intellettuale, l’equivalente mentale di sparare ad un pesce in un barile.

La conclusione è che, collocando sotto un microscopio e ispezionando da ogni angolo ogni frammento di prova, il negazionista dell’Olocausto sta facendo per voi quello che voi, se siete genuinamente devoti alla verità, dovreste fare da voi stessi; la differenza è che quella del negazionista è l’ispezione più scrupolosa perché è molto più difficile argomentare contro voi stessi quando vi siete radicati o avete sviluppato un interesse personale nella vostra convinzione. Così, lungi dal mettere a tacere i negazionisti dell’Olocausto, uno dovrebbe essere grato ad essi per aver facilitato – per quanto in modo involontario – la ricerca della verità.

Né è sufficiente che egli debba ascoltare gli argomenti degli avversari dai propri insegnanti, presentati come essi li declinano, e accompagnati da ciò che essi offrono come confutazione. Questo non è il modo per rendere giustizia agli argomenti, o per portarli ad un contatto reale con la propria mente. Egli deve essere capace di ascoltarli dalle persone che credono davvero ad essi; che li difendono sul serio e che fanno del loro meglio per essi. Egli li deve conoscere nella loro forma più plausibile e persuasiva; egli deve sentire l’intera forza della difficoltà che la vera visione dell’argomento deve incontrare e risolvere; altrimenti egli non si impossesserà mai della porzione di verità che incontra e rimuoverà quella difficoltà.

Se vi sono delle persone che contestano un’opinione ricevuta, o che si comporteranno in tal modo se la legge o l’opinione glielo permetteranno, ringraziamoli per questo, apriamo le nostre menti al loro ascolto, e rallegriamoci che vi sia qualcuno che fa per noi quello che noi dovremmo fare altrimenti, se abbiamo una qualche considerazione per la certezza o la vitalità delle nostre convinzioni, con molta più grande fatica da parte nostra.

L’ovvio ammonimento dell’argomento milliano è che è cosa buona e giusta lasciare che i negazionisti dell’Olocausto esercitino il loro mestiere indisturbati nella pubblica arena, e persino tollerarli come conferenzieri se un’organizzazione universitaria dovesse scegliere di invitarli, ma non si applica ad una classe una diversa serie di regole? Proprio come i pari di uno studioso devono sottoporre ad una verifica il merito erudito dei testi presentati per la pubblicazione (altrimenti l’accademia degenera in una rissa verbale generalizzata), così un dipartimento di storia deve sottoporre a verifica le offerte dei propri corsi: le economie del tempo impediscono di ispezionare un evento storico critico da ogni possibile angolo. Come può giustificarsi lo sperperare anche una sola classe di un corso su una proposizione ciarlatanesca? È sicuramente legittimo discutere se la guerra civile americana venne combattuta per i diritti degli stati o per la schiavitù, o se la tratta degli schiavi è meglio o peggio della schiavitù salariata. Parimenti, molte questioni basilari riguardanti la Soluzione Finale non sono ancora state risolte; in realtà, esiste ancora una controversia sul quando essa iniziò e sul perché Hitler la attuò. Ma il discutere se accadde oppure no non sarebbe frivolo come il discutere se oppure no lo schiavismo esistette nel Sud pre-bellico? Posta così, la domanda risponde a sé stessa. Tuttavia, c’è una differenza cruciale. Coloro che concionano contro la virtù del “contrappeso” – vale a dire contro l’esporre in classe tutti i lati di una proposizione – e che brandiscono il negazionismo dell’Olocausto come una prova positiva che il contrappeso è assurdo, simultaneamente presumono che il negazionismo dell’Olocausto costituisca un pericolo incipiente o addirittura imminente nella società. Ma se esso pone una minaccia così grave per la popolazione generale[16], come può essere disinnescato in altro modo che affrontandolo direttamente, non in una versione addomesticata (la sua confutazione non persuaderebbe), ma nella sua versione più virulenta espressa dall’avvocato del diavolo? La risposta sicuramente non può essere quella di sopprimere il negazionismo dell’Olocausto ricorrendo alla censura o alla forza pubblica. Lo scopo di un’università è la ricerca della verità, non l’imposizione di idee “corrette”. Parimenti, è quasi impossibile reprimere un’idea “scorretta”, mentre, una volta che abbia preso piede, si diffonderà con facilità presso una popolazione ignorante degli argomenti contro di essa, e conseguentemente mentalmente disarmata per contrastarla.

Raramente è possibile escludere completamente la discussione, e una volta che essa entra in gioco, le credenze non basate sulla convinzione tendono a cedere di fronte alla minima parvenza di un argomento[17].

Se, per ipotesi, si mette da parte il fatto che, in primo luogo, il negazionismo dell’Olocausto non può essere soppresso se l’”Olocausto” non denota un oggetto distinto e stabile e che, in secondo luogo, il negazionismo dell’Olocausto comprende in gran parte distinte asserzioni fattuali che possono essere liquidate con distinte confutazioni fattuali, allora la conclusione è questa. Se il negazionismo dell’Olocausto è un fenomeno marginale, allora, alla luce della responsabilità di una facoltà di familiarizzare gli studenti, non con ogni ultima parola su un argomento, ma solo con “le migliori espressioni pubblicate delle questioni affrontate”[18], forse non dovrebbe essere insegnato nella classe di un college perché non figura nei dibattiti accademici correnti sulla genesi e sui contorni dell’olocausto nazista, sebbene i negazionisti esercitino, quantunque inavvertitamente, una funzione preziosa nella società in generale, tale che ostacolerebbe il perseguimento della verità metterli a tacere del tutto. Se, tuttavia, il negazionismo dell’Olocausto costituisce un contagio attuale o potenziale, allora esso dovrebbe essere insegnato, preferibilmente dai negazionisti dell’Olocausto, anche se solo per vaccinare gli studenti. Professare, nello stesso tempo, che il negazionismo dell’Olocausto non dovrebbe essere insegnato e che esso costituisce un pericolo chiaro e attuale, sfida la logica. La tesi dell’amministratore delegato di Facebook Mark Zuckerberg e dell’amministratore delegato di Twitter Jack Dorsey che un presunto aumento globale dell’antisemitismo e l’ignoranza dell’olocausto nazista giustificano la soppressione del negazionismo dell’Olocausto è parimenti privo di logica.

Poscritto. Questo articolo è stato sottoposto a molte pubblicazioni “progressiste” che propagandano il principio della libertà di parola. È stato rifiutato da tutte. È un eloquente commento alla dedizione della cosiddetta Sinistra per la libertà di parola il fatto che non solo essa sostenga la soppressione del negazionismo dell’Olocausto, ma anche la soppressione della discussione razionale – basata sui principi più elementari della libertà di parola – sull’opportunità oppure no che esso debba essere soppresso. Ciò che più diverte è che, mentre questa insensata Politica Identitaria pretende di difendere gli ebrei contro il negazionismo dell’Olocausto, questa scandalosa soppressione della libertà di parola non ha nulla a che fare con il negazionismo dell’Olocausto. Se l’integrità del martirio del popolo ebraico è stata diffamata, questo è in massima parte dovuto, non ai negazionisti dell’Olocausto, ma alle macchinazioni delle organizzazioni ebraiche che hanno sfruttato l’olocausto nazista per profitti finanziari e politici. Come al solito, l’Olocausto viene ora sfruttato per promuovere un’agenda del tutto differente. In effetti, immediatamente dopo che Facebook aveva annunciato la sua decisione di sopprimere il negazionismo dell’Olocausto, il Board of Deputies of British Jews chiedeva a Facebook di sopprimere anche l’”antisemitismo” adottando una definizione di antisemitismo volta a proteggere Israele dalle critiche. Ma l’infinitamente stupida, sciocca, codarda, simulatrice, opportunista – e, che ciò non sia omesso, avanguardista-totalitaria – cosiddetta Sinistra non vedrà tutto ciò, proprio come non ha visto che gli attacchi contro Jeremy Corbyn non avevano nulla a che vedere con l’antisemitismo. Chi può dimenticare il ripugnante spettacolo del perennemente progressista Mehdi Hasan che faceva comunella con il mercante dell’Olocausto Jonathan Freedland per condannare l’antisemitismo nel Partito Laburista britannico?

Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo:  http://normanfinkelstein.com/wp-content/uploads/2020/10/Finkelstein-HDeny.pdf   

 

[1] Non meno di un quarto del totale vennero messi in riga e fucilati in centri di uccisione.

[2] Raul Hilberg, The Destruction of the European Jews, terza edizione (New Haven: 2003), vol. 3, pp. 1294-96.

[3] https://www.holocaustremembrance.com/working-definition-holocaust-denial-and-distortion. Questa definizione del negazionismo dell’Olocausto comprende cinque tabù. Gli altri quattro sono gli “sforzi intenzionali di scusare o minimizzare l’impatto dell’Olocausto o dei suoi elementi principali, inclusi i collaboratori e gli alleati della Germania nazista”; la “minimizzazione grossolana del numero delle vittime dell’Olocausto in contraddizione con le fonti attendibili”; i “tentativi di incolpare gli ebrei di aver provocato il loro genocidio”; le “affermazioni che ritraggono l’Olocausto come un evento storico positivo”.

[4] “Netanyahu: Hitler didn’t want to exterminate the Jews” [“Netanyahu: Hitler non voleva sterminare gli ebrei”] Haaretz (21 October 2015).

[5] Gli altri due scenari erano:

Una professoressa del nostro dipartimento di biologia vuole riservare una classe del suo corso di genetica alla proposizione che le persone di colore sono intellettualmente inferiori al popolo bianco;

Un professore del nostro dipartimento di antropologia vuole riservare una classe del suo corso di cultura comparata alla proposizione che in alcune culture le donne godono di essere picchiate e stuprate.

Quando insegnavo in Turchia, sostituii lo scenario del negazionista dell’Olocausto con:

Un insegnante del dipartimento di religione vuole riservare una classe del suo corso sulla religione comparata alla proposizione che l’Islam è una religione terroristica.

[6] Tutte le citazioni in grassetto sono tratte dal Saggio sulla libertà.

[7] Io farei l’analogia con un cliente che dice a un impiegato della Baskin-Robbins che la vaniglia è il suo gusto preferito.

“Ma lei ha assaggiato gli altri 30 gusti?”.

“Non ne ho bisogno. Io amo la vaniglia. È soffice, è dolce, è cremosa, ha quella sensazione di formicolio”.

“Le sue ragioni possono essere eccellenti, signore, ma se non ha assaggiato gli altri gusti, come può preferire la vaniglia?”.

[8] Chiederei scherzosamente allo studente che proclama la sua certezza: “Sei Dio?”.

[9] Norman G. Finkelstein, The Holocaust Industry: Reflections on the exploitation of Jewish suffering, second edition (New York: 2003), pp. 41-55.

[10] Finkelstein, Holocaust Industry, pp. 55-78. Una spiegazione più completa prenderebbe in considerazione l’utilità ideologica che fornisce moneta a questa assurdità (vedi ibid.).

[11] Ibid., pp. 158-61, 236-39.

[12] Vorrei paragonarla in classe all’incompletezza estetica di un mosaico quando manca una tessera, ad un puzzle quando manca un pezzo, o alle parole crociate quando manca una lettera. Proprio come i matematici parlano di una prova “elegante”, così la verità ha la sua propria estetica che è senza difetti.

[13] Christopher Hitchens, “Hitler’s Ghost,” Vanity Fair (June 1996). Hilberg osservò privatamente che sono stati i negazionisti dell’Olocausto che hanno dimostrato che lo Zyklon B nella sua forma pura non era sufficientemente letale per essere stato utilizzato nelle camere a gas.

[14] “Ridurre al silenzio un oppositore”, osservava un discepolo del giorno d’oggi di Mill, “suona allarmante come un’ammissione che non possiamo rispondergli”. Conrad Russell, Academic Freedom (New York 1993), p. 44.

[15] “Is There a New Anti-Semitism?  A conversation with Raul Hilberg,” Logos (Winter-Spring 2007; http://www.logosjournal.com/issue_6.1-2/hilberg.htm). Ricordo vividamente la mia frustrazione intellettuale nello studiare il libro L’impostura del 20° secolo del negazionista dell’Olocausto Arthur Butz. Egli correttamente osservava, per esempio, che originariamente si riteneva che tre milioni di ebrei erano stati uccisi ad Auschwitz, e che complessivamente sei milioni di ebrei erano stati uccisi. La cifra del numero degli uccisi ad Auschwitz venne successivamente ridotta ad un milione, e tuttavia la cifra totale era ancora quella dei sei milioni. Come può essere tutto ciò?, chiedeva Butz retoricamente. Io non avevo la risposta.

[16] In realtà, il pericolo è largamente inventato (Finkelstein, Holocaust Industry, pp. 68-71), ma questa è una questione a parte. Qui sto esaminando l’argomento di coloro che evocano il negazionismo dell’Olocausto per chiudere la partita contro il contrappeso, ma che presumono anche che il negazionismo dell’Olocausto costituisca un chiaro e attuale pericolo.

[17] Ero solito fare l’analogia con la messa al bando da parte della Germania della pubblicazione del Mein Kampf: se la Germania fosse davvero dedita a impedire una ricomparsa del nazismo, renderebbe obbligatorio lo studio critico del Mein Kampf.

[18] Dichiarazione dell’American Association of University Professors del 1915; i corsivi sono dell’autore dell’articolo.

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