TOGHE SPORCHE. La corruzione passa per il tribunale …

TOGHE SPORCHE. La corruzione passa per il tribunale …

Dal sito pubblicobene.it:
http://www.pubblicobene.it/pitches/43-osservatorio-sulla-malagiustizia-beneventana/updates/20-toghe-sporche-la-corruzione-passa-per-il-tribunale-tra-mazzette-favori-e-regali

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17/9/15

·  TOGHE
SPORCHE. La corruzione passa per il tribunale Tra mazzette, favori e regali

Nei palazzi di giustizia cresce un nuovo
fenomeno criminale. Che vede protagonisti magistrati e avvocati. C’è chi
aggiusta sentenze in cambio di denaro, chi vende informazioni segrete e chi
rallenta le udienze.

A Napoli, dove il caos è
dannazione di molti e opportunità per gli scaltri, il tariffario lo conoscevano
tutti: se un imputato voleva comprarsi il rinvio della sua udienza doveva
sganciare non meno di 1.500 euro. Per “un ritardo” nella trasmissione di atti
importanti, invece, i cancellieri e gli avvocati loro complici ne chiedevano
molti di più, circa 15mila. «Prezzi trattabili, dottò…», rabbonivano i
clienti al telefono. Soldi, mazzette, trattative: a leggere le intercettazioni
dell’inchiesta sul “mercato delle prescrizioni” su cui ha lavorato la procura
di Napoli, il Tribunale e la
Corte d’Appello partenopea sembrano un suk, con pregiudicati
e funzionari impegnati a mercanteggiare sconti che nemmeno al discount.

Quello campano non è un caso isolato. Se a Bari un sorvegliato speciale per
riavere la patente poteva pagare un magistrato con aragoste e champagne, oggi in Calabriasono tre i giudici antimafia accusati di
corruzione per legami con le ’ndrine più feroci. Alla Fallimentare di Roma un gruppo formato da giudici e
commercialisti ha preferito arricchirsi facendo da parassita sulle aziende in
difficoltà. Gli imprenditori disposti a pagare tangenti hanno scampato il crac
grazie a sentenze pilotate; gli altri, che fallissero pure. Ma negli ultimi
tempi magistrati compiacenti e avvocati senza scrupoli sono stati beccati anche
nei Tar, dove in stanze anonime si decidono controversie milionarie, o tra i
giudici di pace. I casi di cronaca sono centinaia, in aumento esponenziale,
tanto che gli esperti cominciano a parlare di un nuovo settore illegale in
forte espansione: la criminalità del giudiziario.

BUSINESS GIUDIZIARIO «Ciò che può costituire
reato per i magistrati non è la corruzione per denaro: di casi in cinquant’anni
di esperienza ne ho visti tanti che si contano sulle dita di una sola mano. Il
vero pericolo è un lento esaurimento interno delle coscienze, una crescente
pigrizia morale», scriveva nel 1935 il giurista Piero Calamandrei nel suo
“Elogio dei giudici scritto da un avvocato”. A ottant’anni dalla pubblicazione
del pamphlet, però, la situazione sembra assai peggiorata. La diffusione della
corruzione nella pubblica amministrazione ha contagiato anche le aule di
giustizia che, da luoghi deputati alla ricerca della verità e alla lotta contro
il crimine sono diventati anche occasione per business illegali.

Nello Rossi, procuratore aggiunto a Roma, prova a definire caratteristiche e
contorni al fenomeno: «La criminalità del giudiziario è un segmento particolare
della criminalità dei colletti bianchi. Una realtà tanto più odiosa perché
giudici, cancellieri, funzionari e agenti di polizia giudiziaria mercificano il
potere che gli dà la legge».

Se la corruzione è uno dei reati più diffusi e la figura del giudice comprato è
quella che desta più scandalo nell’opinione pubblica, il pm che ha indagato
sulla bancarotta Alitalia e sullo Ior ricorda come tutti possono cadere in
tentazione, e che nel gran bazar della giurisdizione si può vendere non solo
una sentenza, ma molti altri articoli di enorme valore. «Come un’informazione
segreta che può trasformare l’iter di un procedimento, un ritardo che avvicina
la prescrizione, uno stop a un passaggio procedurale, fino alla sparizione di
carte compromettenti». Numeri ufficiali sul fenomeno non esistono. Per quanto
riguarda i magistrati, le statistiche della Sezione disciplinare del Csm non
fotografano i procedimenti penali ma la più ampia sfera degli illeciti
disciplinari. Nell’ultimo decennio, comunque, non sembra che lo spirito di
casta sia prevalso come un tempo: se nel 2004 le assoluzioni erano quasi doppie
rispetto alle condanne (46 a
24) ora il trend si è invertito, e nei primi dieci mesi del 2012 i giudici
condannati sono stati ben 36, gli assolti 27.

«Inoltre, se si confrontano queste statistiche con quelle degli altri Paesi
europei redatte dalla Cepej – la
Commissione europea per l’efficacia della giustizia – sulla
base dei dati del 2010», ragiona in un saggio Ernesto Lupo, fino al 2013 primo
presidente della Cassazione, «si scopre che a fronte di una media statistica europea
di 0,4 condanne ogni cento giudici, il dato italiano è di 0,6». Su trentasei
Paesi analizzati dalla Commissione, rispetto all’Italia solo in cinque nazioni
si contano più procedimenti contro i magistrati.

GIUDICI CRIMINALI Chi vuole arricchirsi illegalmente
struttando il settore giudiziario ha mille modi per farlo. Il metodo classico è
quello di aggiustare sentenze (come insegnano i casi scuola delle “Toghe
Sporche” di Imi-Sir e quello del giudice Vittorio Metta, corrotto da Cesare
Previti affinché girasse al gruppo Berlusconi la Mondadori), ma
spulciando le carte delle ultime indagini è la fantasia a farla da padrona.
L’anno scorso la Procura
di Roma ha fatto arrestare un gruppo, capeggiato da due avvocati, che ha
realizzato una frode all’Inps da 22 milioni di euro: usando nomi di centinaia
di ignari pensionati (qualcuno era morto da un pezzo) hanno mitragliato di
cause l’istituto per ottenere l’adeguamento delle pensioni.

Dopo aver preso i soldi la frode continuava agli sportelli del ministero della
Giustizia, dove gli avvocati chiedevano, novelli Totò e Peppino, il rimborso
causato delle «lungaggini» dei finti processi.    Un avvocato e un
giudice di Taranto, presidente di sezione del tribunale civile della città dei
Due Mari, sono stati invece arrestati per aver chiesto a un benzinaio una
tangente di 8mila euro per combinare un processo che il titolare della pompa
aveva con una compagnia petrolifera. Se a Imperia un magistrato ha aiutato un
pregiudicato a evitare la “sorveglianza speciale” dietro lauto compenso, due
mesi fa un giudice di pace di Udine, Pietro Volpe, è stato messo ai domiciliari
perché (insieme a un ex sottufficiale della Finanza e un avvocato) firmava
falsi decreti di dissequestro in favore di furgoni con targa ucraina bloccati
dalla polizia mentre trasportavano merce illegale sulla Venezia-Trieste. Il
giro d’affari dei viaggi abusivi protetti dal giudice era di oltre 10 milioni
di euro al mese.

Raffaele Cantone, da pochi giorni nominato da Matteo Renzi presidente
dell’Autorità nazionale anticorruzione, evidenzia come l’aumento dei crimini
nei palazzi della legge può essere spiegato, in primis, «dall’enorme numero di
processi che si fanno in Italia: una giustizia dei grandi numeri comporta,
inevitabilmente, meno trasparenza, più opacità e maggiore difficoltà di
controllo». I dati snocciolati tre mesi fa dal presidente della Cassazione
Giorgio Santacroce mostrano che le liti penali giacenti sono ancora 3,2
milioni, mentre le cause civili arretrate (calate del 4 per cento rispetto a un
anno fa) superano la cifra-monstre di 5,2 milioni. «Anche la farraginosità
delle procedure può incoraggiare i malintenzionati» aggiunge Rossi. «Per non
parlare del senso di impunità dovuto a leggi che – sulla corruzione come
sull’evasione fiscale – sono meno severe rispetto a Paesi come Germania,
Inghilterra e Stati Uniti: difficile che, alla fine dei processi, giudici e
avvocati condannati scontino la pena in carcere».

QUANTE TENTAZIONI Tutto si muove attorno ai
soldi. E di denaro, nei tribunali italiani, ne gira sempre di più. «Noi giudici
della sezione Grandi Cause siamo un piccolo, solitario, malfermo scoglio sul
quale piombano da tutte le parti ondate immense, spaventose, vere schiumose
montagne. E cioè interessi implacabili, ricchezze sterminate, uomini
tremendi… insomma forze veramente selvagge il cui urto, poveri noi meschini,
è qualcosa di selvaggio, di affascinante, di feroce. Io vorrei vedere il signor
ministro al nostro posto!», si difendeva Glauco Mauri mentre impersonava uno
dei giudici protagonisti di “Corruzione a palazzo di giustizia”, pièce teatrale
scritta dal magistrato Ugo Betti settant’anni fa.

Da allora l’importanza delle toghe nella nostra vita è cresciuta a dismisura.
«Tutto, oggi, rischia di avere strascichi giudiziari: un appalto, un concorso,
una concessione, sono milioni ogni anno i contenziosi che finiscono davanti a
un giudice», ragiona Rossi. I mafiosi nelle maglie larghe ne approfittano
appena possono, e in qualche caso sono riusciti a comprare – pagando persino in
prostitute – giudici compiacenti. In Calabria il gip di Palmi Giancarlo Giusti
è stato arrestato dalla Dda di Milano per corruzione aggravata dalle finalità
mafiose («Io dovevo fare il mafioso, non il giudice!», dice ironico Giusti al
boss Giulio Lampada senza sapere di essere intercettato), mentre accuse simili
hanno distrutto le carriere del pm Vincenzo Giglio e del finanziere Luigi
Mongelli.

A gennaio la procura di Catanzaro ha indagato un simbolo calabrese
dell’antimafia, l’ex sostituto procuratore di Reggio Calabria Francesco
Mollace, che avrebbe “aiutato” la potente ’ndrina dei Lo Giudice attraverso
presunte omissioni nelle sue indagini. Sorprende che in quasi tutte le grandi
istruttorie degli ultimi anni insieme a politici e faccendieri siano spesso
spuntati nomi di funzionari di giustizia e poliziotti.

Nell’inchiesta sulla cricca del G8 finirono triturati consiglieri della Corte
dei Conti, presidenti di Tar e pm di fama (il procuratore romano Achille Toro
ha patteggiato otto mesi), mentre nell’inchiesta P3 si scoprì che erano molti i
togati in contatto con l’organizzazione creata da Pasquale Lombardi e Flavio
Carboni per aggiustare processi. Anche il lobbista Luigi Bisignani, insieme al
magistrato Alfonso Papa, aveva intuito gli enormi vantaggi che potevano venire
dal commercio di informazioni segrete: la
P4, oltre che di nomine nella pubblica amministrazione,
secondo il pubblico ministero Henry Woodcock aveva la sua ragion d’essere
proprio nell’«illecita acquisizione di notizie e di informazioni» di processi penali
in corso.

COME IN UN NIDO DI VESPE Secondo Cantone «nel
settore giudiziario, e in particolare nei Tar e nella Fallimentare, si
determinano vicende che dal punto di vista economico sono rilevantissime: che
ci siano episodi di corruzione, davanti a una massa così ingente di denaro, è
quasi fisiologico». I casi, in proporzione, sono ancora pochi, ma l’allarme
c’è. Se i Tar di mezza Italia sono stati travolti da scandali di ogni tipo (al
Tar Lazio è finito nei guai il giudice Franco Maria Bernardi; nelle Marche il
presidente Luigi Passanisi è stato condannato in primo grado per aver accettato
la promessa di ricevere 200 mila euro per favorire l’imprenditore Amedeo
Matacena, mentre a Torino è stato aperto un procedimento per corruzione contro
l’ex presidente del Tar Piemonte Franco Bianchi), una delle vicende più
emblematiche è quella della Fallimentare di Roma.

«Lì non ci sono solo spartizioni di denaro, ma anche viaggi e regali: di tutto
di più. Una nomina a commissario giudiziale vale 150 mila euro, pagati al
magistrato dal professionista incaricato. Tutti sanno tutto, ma nessuno fa
niente», ha attaccato i colleghi il giudice Chiara Schettini, considerata dai
pm di Perugia il dominus della cricca che mercanteggiava le sentenze del
Tribunale della Capitale. Dinamiche simili anche a Bari, dove l’inchiesta
“Gibbanza” ha messo nel mirino la sezione Fallimentare della città mandando a
processo una quarantina tra giudici, commercialisti, avvocati e cancellieri.
«Non bisogna stupirsi: il nostro sistema giudiziario soffre degli stessi
problemi di cui soffre la pubblica amministrazione», spiega Daniela Marchesi,
esperta di corruzione e collaboratrice della “Voce.info”.

Episodi endemici, in pratica, visto che anche Eurostat segnala che il 97 per
cento degli italiani considera la corruzione un fenomeno “dilagante” nel Paese.
«Mai visto una città così corrotta», protesta uno dei magistrati protagonisti
del dramma di Betti davanti all’ispettore mandato dal ministro: «Il delitto dei
giudici, in conclusione, sarebbe quello di assomigliare un pochino ai
cittadini!». Come dargli torto?
E.Fittipaldi

Pubblicato da rosanna
carpentieri
il 17/09/15
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