Altalex: Negazionismo: in gazzetta la nuova legge

Altalex: Negazionismo: in gazzetta la nuova legge

Dal sito altalex.com:

http://www.altalex.com/documents/news/2016/06/30/negazionismo-in-gazzetta-la-nuova-legge

Negazionismo: in Gazzetta la nuova legge

Legge, 16/06/2016 n° 115, G.U. 28/06/2016
 

Negare la Shoah, un crimine di genocidio, un crimine contro l’umanità
o un crimine di guerra, come sono definiti dallo Statuto di Roma della
Corte penale internazionale, è circostanza aggravante dei delitti di
propaganda razzista e di istigazione o incitamento alla commissione di
atti razzisti, puniti dalla l. 13 ottobre 1975, n. 654.

La legge 16 giugno 2016, n. 115

Il 28 giugno 2016, sulla GU n. 149,
è stata pubblicata la legge 16 giugno 2016, n. 115 con la quale si
attribuisce rilevanza penale alle affermazioni negazioniste della Shoah,
dei fatti di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di
guerra, come definiti rispettivamente dagli artt. 6, 7 e 8 dello Statuto
di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale. Il legislatore
interno, dando attuazione alla dec. quadro 2008/913/GAI, ha optato per
una scelta moderata di incriminazione, prevedendo che tali affermazioni
possano integrare (come meglio si dirà infra) non un autonomo fatto di
reato, bensì una circostanza aggravante dei delitti di propaganda
razzista, di istigazione e di incitamento di atti di discriminazione
commessi per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, puniti
dall’art. 3, l. 13 ottobre 1975, n. 654, come modificato dapprima dal
d.l. 26 aprile 1993, n. 122, conv. con modif. dalla l. 25 giugno 1993,
n. 205 (“decreto Mancino”) e, più di recente, dalla l. 24 febbraio 2006,
n. 85 (legge sui reati di opinione).

La discussione in Parlamento sull’opportunità di punire
penalmente il negazionismo – conclusasi un po’ in sordina, mentre
l’opinione pubblica era più interessata ad altre questioni, quali le
unioni civili, le elezioni amministrative e la riforma costituzionale –
non risale, per la verità, agli ultimi tempi: per limitarsi ai lavori
della XVII Legislatura, si deve ricordare che la proposta di legge in
materia (d.d.l. S.54) era stata presentata al Senato ben tre anni fa,
nel marzo 2013. Pochi mesi dopo, quando, il 16 ottobre 2013, la
Commissione Giustizia di Palazzo Madama trasmetteva all’Assemblea il
testo del d.d.l. S.54-A, in concomitanza con la morte di Erich Priebke
(11 ottobre 2013) e con la celebrazione del 70° anniversario del
rastrellamento del ghetto di Roma (16 ottobre 1943), si apriva in Italia
un vivace dibattito in materia, durante il quale emergeva, accanto ad
una ferrea condanna morale di chi nega l’Olocausto, la preoccupazione
che il legislatore potesse limitare indebitamente il diritto alla libera
manifestazione del pensiero su temi di interesse pubblico. In
quell’occasione, non mancava di intervenire, in senso critico rispetto
all’incriminazione del negazionismo, l’Unione delle Camere penali
italiane con il comunicato Al negazionismo si risponde con le armi della
cultura non con quelle del diritto penale (16 ottobre 2013) e con
l’appello Contro il reato di negazionismo (13 novembre 2013).

Di recente, il problema della repressione del negazionismo è
stato portato alla ribalta nel panorama europeo anche da due importanti
sentenze della Corte EDU. Si tratta del caso Perinçek, relativo ad
affermazioni negazioniste sul genocidio armeno, deciso dalla Grande
Camera di Strasburgo il 15 ottobre 2015 e del caso M’Bala M’Bala, deciso
dalla Sez. V, il successivo 20 ottobre. Tale ultima vicenda ha
coinvolto l’attore satirico camerunense Dieudonné M’Bala M’Bala e,
seppur indirettamente, l’intellettuale francese Robert Faurisson, noto
esponente del negazionismo olocaustico d’Oltralpe.

Sotto un profilo prettamente procedurale, l’iter di
approvazione del d.d.l. C.2874-B si è caratterizzato per una non lieve
tensione tra i due rami del Parlamento, che ha reso necessaria una
doppia lettura sia al Senato che alla Camera; il testo approvato dal
Senato l’11 febbraio 2015 (d.d.l. S.54) è stato, infatti, dapprima
modificato dalla Camera il 13 ottobre 2015, poi nuovamente emendato dal
Senato il 3 maggio 2016. L’elemento di divergenza più significativo ha
riguardato la clausola limitativa di responsabilità – non prevista nel
testo originario del d.d.l. S.54, inserita dalla Camera e, poi,
nuovamente espunta dal Senato – tale per cui avrebbe rilevato penalmente
solo la negazione di «fatti accertati con sentenza passata in
giudicato, pronunciata da un organo di giustizia internazionale, ovvero
da atti di organismi internazionali e sovranazionali dei quali l’Italia è
membro» (v. d.d.l. S.54-B, approvato dalla Camera il 13 ottobre 2015).

Il testo dell’art. 3, co. 3-bis, l. 13 ottobre 1975, n. 654,
così come approvato l’8 giugno scorso, non prevede più tale limite
all’applicazione della circostanza.

La disciplina del nuovo art. 3, co. 3-bis, l. 13 ottobre 1975, n. 654

Venendo a un breve esame della nuova disciplina, si osservi che
il negazionismo è oggi divenuto penalmente rilevante in virtù della
modifica dell’art. 3, l. n. 654/1975, cui è apposto un co. 3-bis, che
commina «la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda
ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi
concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla
negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro
l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7, 8
dello statuto della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi
della legge 12 luglio 1999, n. 232».

Diversamente dall’art. 3, d.l. 26 aprile 1993, n. 122 conv.,
che prevede come aggravante comune la circostanza che il fatto di reato
sia commesso per finalità di discriminazione o di odio etnico,
nazionale, razziale o religioso, la novella introduce un’aggravante
speciale, che si applica, cioè, solo alle fattispecie di propaganda,
istigazione o incitamento previste dall’art. 3 della legge contro il
razzismo del 1975. Si tratta, per l’appunto, dei delitti di propaganda
di idee razziste e di istigazione alla commissione di atti di
discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi
 (art. 3, 1° co., lett. a); dei delitti di istigazione alla commissione
di atti di violenza o di provocazione alla violenza per motivi razziali,
etnici, nazionali o religiosi (art. 3, 1° co., lett. b); dei delitti di
partecipazione, assistenza, promozione, direzione di un’organizzazione,
un’associazione, un movimento o un gruppo avente tra i propri scopi
l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali,
etnici, nazionali o religiosi (art. 3, 3° co.).

Si osservi che i delitti cui può applicarsi l’aggravante in
parola, in termini differenti da quanto previsto nelle precedenti
versioni del d.d.l., non sono tutti quelli contemplati dall’art. 3, l.
n. 654/1975, bensì solo quelli che si estrinsecano in una forma di
manifestazione del pensiero (propaganda, istigazione, incitamento). La
circostanza – che comporta l’irrogazione della pena della reclusione da 2
a 6 anni – non è, dunque, applicabile agli atti di discriminazione
violenta o non, mentre lo è alle condotte associative dell’art. 3, 3°
co.

Venendo ai profili strettamente attinenti la tipizzazione della
condotta punibile, la littera legis stabilisce che il quid pluris di
offesa che giustifica l’aggravio sanzionatorio, si realizzi nel momento
in cui la propaganda di idee razziste, l’istigazione o l’incitamento
alla discriminazione «si fondano in tutto o in parte sulla negazione
della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e
dei crimini di guerra…». Alla luce di ciò, è da ritenersi che sia
penalmente apprezzabile non qualsiasi discorso negazionista, ma solo
quello che “si innesta” su di una comunicazione che già manifesti i
tratti caratterizzanti del c.d. hate speech, ponendo in pericolo la
pacifica convivenza sociale. È questo, peraltro, un criterio
interpretativo che può desumersi dalla stessa sentenza Perinçek della
Grande Camera della Corte EDU che richiama la giurisprudenza consolidata
di Strasburgo sui limiti tollerabili alla libertà del pensiero in caso
di “discorso d’odio” (art. 10 CEDU).

Profili critici

La modifica della legge del 1975 solleva non poche perplessità
sia sul piano dell’opportunità della scelta politico-criminale sia sul
piano tecnico-formale.

Sotto il primo profilo non possono sfuggire, anche considerato
che il pensiero negazionista in Italia è espressione, secondo gli
studiosi, di una sparuta minoranza (v. Germinario, Negazionismo in
Italia, in Dizionario dell’Olocausto, Torino, 2004, 503-507), i rischi
di contrasto con le libertà di manifestazione del pensiero (art. 21
Cost.) e di ricerca scientifica (art. 33 Cost.), stante, in particolare,
la difficoltà di distinguere con sufficiente rigore tra negazione e
revisione di un fatto storico.

Passando al secondo profilo, quello tecnico-formale, occorre
segnalare che la norma penale contro il negazionismo poteva essere
scritta meglio, al fine di evitare tensioni, invero assai marcate nel
testo vigente, con il principio di precisione descrittiva e di pregnanza
del fatto, parte irrinunciabile del nullun crimen sine lege e strumento
di garanzia sostanziale dai rischi dell’arbitrio giudiziario. A
proposito, è assai discutibile, in particolare, la scelta del
legislatore che, forse preoccupato dall’esigenza, in sé lodevole, di
tutelare le vittime di tutti i crimini internazionali (e non solo di
quelli riconosciuti), ha, infine, espunto la clausola limitativa di
responsabilità che richiedeva il previo riconoscimento internazionale
del fatto storico oggetto di negazione. Se è vero che tale previsione
poteva ingenerare attriti con il principio di pari tutela dei gruppi
umani, è altresì incontrovertibile che la stessa avrebbe sortito
l’effetto positivo di delimitare in modo più nitido lo spazio di
rilevanza penale delle condotte punibili.

In secondo luogo, e sempre con riferimento agli aspetti
tecnico-formali, la scelta di punire il negazionismo poteva essere più
opportunamente declinata prevedendo semmai, così come aveva chiaramente
indicato la stessa Corte EDU in Perinçek, in adesione con la sentenza
Varela Geis della Tribunal Constitucional de España del 2007, che non
sia rilevante qualsiasi discorso negazionista, ma esclusivamente quello
che persegue il fine di giustificare un genocidio, un crimine contro
l’umanità o un crimine di guerra. Tale criterio, ancorché disatteso dal
legislatore nostrano, si auspica possa essere adottato dagli interpreti,
quale requisito irrinunciabile per l’applicazione del nuovo art. 3, co.
3-bis, l. n. 654/1975. Pena la sua illegittimità costituzionale, per
violazione dell’art. 21 Cost.

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