Vincenzo Vinciguerra: Il mistificatore (ancora su Julius Evola)

Vincenzo Vinciguerra: Il mistificatore (ancora su Julius Evola)

 

Julius Evola

 

Dal sito marilenagrill.org:
Il mistificatore
Dopo le elezioni del 18 aprile 1948, quando i sei parlamentari eletti nelle liste del Msi si collocarono nei posti alla destra dell’aula di Montecitorio, la base missina insorse e chiese conto all’allora segretario nazionale del partito, Giorgio Almirante.
Costui si giustificò affermando che i comunisti si erano collocati all’estrema sinistra dell’aula e, pertanto, ai missini non era rimasto altro da fare che sedersi dalla parte opposta.
A tre anni dalla fine della guerra, per quanti si rifacevano al fascismo essere di destra, addirittura collocarsi alla
destra dell’aula parlamentare era offensivo.
Dopo, lentamente, un poco alla volta, la dirigenza del Msi riuscì a far accettare agli iscritti la necessità di collocarsi a destra dello schieramento politico accanto ai monarchici di Lauro e di Covelli.
Rivelatasi inutile la resistenza all’interno del partito che pretendeva di rifarsi, sul piano ideologico, al fascismo repubblicano, tanti se n’erano andarono, giustamente nauseati e disgustati, sinceramente schifati dai Michelini, dagli Almirante, dai De Marsanich, dai Servello e dai loro sodali.
Un poco alla volta, quindi, già alla metà degli anni Cinquanta la definizione del Msi come partito di destra non suscitava più alcuna reazione negativa negli iscritti e nei simpatizzanti, molti dei quali giovani e giovanissimi che poco o nulla sapevano dell’ideologia fascista.
A dare un mano ad Arturo Michelini e compari, dal 1948 si era prodigato Julius Evola che nascondeva la ideologia conservatrice e reazionaria e che predicava che dell’esperienza fascista la sola cosa da salvare era lo “spirito
legionario”.
Il resto, specie se riferito alla dottrina sociale del fascismo e in special modo del fascismo repubblicano era, a suo avviso, ciarpame ideologico e marxisteggiante, se non propriamente leninista e bolscevico.
Ancora nel 1971, Evola scriveva testualmente: “Pertanto, chi oggi volesse far valere come una consegna non inattuale il retaggio del ‘secondo fascismo’, è proprio sull’elemento legionario e combattentistico, per così dire,
allo stato puro, che dovrebbe puntare, e preoccuparsi di una continuità di formazione interiore, vocazionale ed esistenziale, dal lato esterno considerando eventualmente una linea non dissimile da quella dei paras e perfino dell’OAS di ieri”.
E, per essere esplicito, prosegue: “E che la controparte ideologica, allora, non potrebbe essere che di Destra nel senso più ampio e superiore, lasciando da parte ogni riesumazione peregrina delle idee socializzanti del fascismo di Salò….”
In altre parole, dell’esperienza e dell’ideologia del fascismo si salva solo lo spirito combattentistico che deve essere posto al servizio della “Destra” che, evidentemente, Evola considera come un’ideologia, meglio la rappresentazione della Tradizione.
Non è soltanto un’epoca di estrema volgarità, quella in cui viviamo, ma anche quella di radicale e capillare imbecillità perchè la Tradizione, l’Impero, le monarchie assolute, gli ordini cavallereschi, Sparta ed Atene e così via nessuno può classificarle di destra, di centro o di sinistra.
Julius Evola, però, ha ben misurato la pochezza intellettiva dei suoi allievi ai quali ha scodellato una “Destra” (che lui scrive con la maiuscola) che dovrebbe rappresentare l’Ordine, l’Autorità, la Gerarchia.
Mah!
Una mistificazione totale e sempliciotta, buona ad ingannare quella plebe di cui Julius Evola si è fatto maestro ed ideologo.
La destra politica, in Italia, nel secondo dopoguerra non ha avuto nulla da spartire con valori e principi tradizionali, ma solo con banche, capitalisti, baciapile, servizi segreti, mafie varie, ipocrisia, perbenismo formale, rinuncia alla dignità ed alla indipendenza nazionale, morale pubblica ed immoralità privata.
Julius Evola sa bene che la destra non può essere identificata con la Tradizione e non può esserne considerata espressione, quindi consapevolmente partecipa ad un’operazione politica che ha il fine di cancellare il fascismo come ideologia, mistificando storia, cultura, tradizioni.
Sia pure su un piano diverso, insieme a Evola si collocano Valerio Borghese, Arturo Michelini, Giorgio Almirante ed altri ancora che non possono, per ragioni elettoralistiche, proclamarsi, antifacisti ma sono ben decisi a circoscrivere il fascismo alle sua capacità di chiamare al combattimento migliaia di uomini per “l’onore d’Italia”.
Mentono anche in questo, perchè i combattenti della Repubblica sociale identificavano, giustamente, il fascismo con l’Italia e, pertanto, l’onore del primo con quello nazionale.
Non a caso, Alessandro Pavolini sottolineò come sulla bandiera italiana, nel bianco privato dello stemma sabaudo, la Repubblica fascista aveva iscritto la parola “Onore”.
Un piccolo borghese, mai processato per collaborazionismo perchè nulla aveva avuto a che vedere con il fascismo, Julius Evola viene utilizzato, con la sua consapevole adesione, per favorire l’integrazione dei reduci fascisti nello Stato antifascista e, quindi, come vedremo in seguito, l’arruolamento come confidenti e bombardi dei giovani neofascisti nelle strutture segrete dello Stato.
Si passa così dalla storia onorevole di quanti hanno combattuto per un’Idea e per una Patria, alla storia disonorata di spioni, stragisti, bombaroli e stupratori scritta dagli allievi di Julius Evola.
Un maestro d’infamia, Julius Evola.
Quando ci si imbatte in figure nefaste ed ignobili come quella di Julius Evola, viene spontaneo convenire con Hermann Goering; che quando sentiva parlare di cultura metteva mano alla pistola.
Forse, per Evola sarebbe stata la conclusione onorevole di una vita non onorata, ma per i suoi allievi basterà una secchiata di letame.
Vincenzo Vinciguerra, Opera, 1 novembre
2009
Evola con Gianfranco De Turris

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