Sul neofascismo italiano l’ombra di Giuda

Sul neofascismo italiano l’ombra di Giuda

Giorgio Almirante e Pino Rauti
Nell’ultima edizione della sua TRILOGIA DELLA CELTICA (febbraio
2014), Nicola Rao ha scritto:
“C’è
poi un tema che pochi hanno approfondito. Il rapporto tra il neofascismo e
Israele, tra la destra più o meno estrema e l’antisemitismo …”[1].
Bene, da parte nostra vogliamo fornire un piccolo contributo
in tal senso proponendo ai lettori due interventi, cronologicamente coevi
(parliamo di una quindicina di anni fa, più o meno), rispettivamente di Giano Accame e di Vincenzo
Vinciguerra
. Nel suo articolo del 1999, Vinciguerra cita espressamente
Accame come colui che aveva rivelato i contatti tra le due enclave dell’ultra
destra: quella neofascista italiana e quella sionista. Non so a quale articolo
di Accame si riferisse Vinciguerra; in rete, c’è quello ripubblicato nel 2007da
Antonio Caracciolo, Alle origini del
sionismo
:
So però che Accame ne aveva scritto anche un altro: “Anche i figli di Davide accesero la fiamma.
Tricolore
, uscito nel 1998, ma non
disponibile su internet. Ne ho trovato però traccia in una delle vecchie
rassegne stampa di Sodalitium, che
ripropongo a seguire. I due pezzi sono entrambi molto interessanti: all’epoca,
mi erano sembrati antitetici (a cominciare dalla “pia fraus” di Accame a
proposito della “innocuità” degli insegnamenti impartiti dagli israeliani agli
italiani), oggi invece mi sembrano curiosamente complementari, pur provenienti
da due autori agli antipodi, sia sotto il profilo ideologico che umano.
 
Giano Accame

GIANO ACCAME, 1998
Anche i figli di Davide accesero la fiamma.
Tricolore
[2].
È
il titolo di un articolo di Giano Accame su Lo
Stato (9/6/98, pp. 90-94), pubblicato
a fianco di un altro articolo di Sergio Di Cori (Noi ebrei perseguitati dalla
sinistra italiana
). Accame cita Malaparte: “Gli ebrei italiani sono stati, fino al 1938, ferventi fascisti nella
quasi totalità. Nella lista dei martiri fascisti (…) i nomi degli ebrei sono
frequenti. Certi aspetti, del resto, del fascismo, hanno un tipico carattere
ebraico
…”. Accame prosegue ricordando che Almirante fu salvato da un
ebreo, e che nella RSI militarono Enrico Fano (caduto nel 1944), Giulio Segre,
Mario Coen Belinfanti (tra i fondatori della Fondazione Evola), Gianfranco
Finaldi (di madre ebrea)… Tra i missini delle prime armi, lo stesso Coen,
Finaldi, Vanni Angeli (cattolico), Luciano Segre… Di possibili origini
ebraiche, per Accame, Marzio Modena, Vita Finzi, Silvio Vitale, Ruggero
Ravenna, Ciccio Franco, Lello Graziani, Gastone e Riccardo Romani, Mario
Tedeschi… e tra i recenti, Enzo Palmesano. Nomi anche ebraici ricordati da
Accame: Tedeschi, Alemanno, Romano, Veneziani, Calabresi, Franco, Franchi,
Francia, Gallo, Gallico, Pace, de Angelis… E racconta: “Qualcuno di loro, dai ‘fascisti’ ebrei dell’lrgun Zwei Leumì imparò a
fare il bombarolo. Nel dopoguerra s’incontravano a Roma in Galleria (…)
simpatizzando su comuni sentimenti antibritannici; i terroristi
dell’ultra¬destra sionista (oggi al governo in Israele) fecero letteralmente
saltare l’ambasciata inglese a Porta Pia, riducendola
in macerie, mentre ai neofascisti romani insegnarono l’uso
scoppiettante e incruento delle bombe carta. Giochi propagandistici e
innocui”
[Che ne direbbe Preziosi?].
Fonte: SODALITIUM Rassegna Stampa n°5
Maggio-ottobre 1998, pp. 23-24.
 
Mario Tedeschi con Gianna Preda
 
VINCENZO VINCIGUERRA
L’ombra di Giuda, 1999[3]
Pochi
articoli, inseriti nelle ultime pagine di cronaca nera, scarsi di parole e
poveri di contenuti, hanno informato i lettori meno distratti che il Ministero
degli Interni non si era costituito parte civile a carico degli imputati nel
processo per la strage di via Fatebenefratelli del 17 maggio 1973. Morirono
anche due poliziotti in quella strage, ma lo Stato non si costituisce parte
civile, non chiede la condanna dei colpevoli e nemmeno il risarcimento del
danno subìto.
Neanche
una parola, un rigo, un commento è stato invece dedicato ad un altro processo
che si è svolto a Venezia, o è ancora in corso di svolgimento (il silenzio
stampa impedisce di saperlo) dedicato, in questo caso, alla strage del 22
novembre 1973 quando ignoti fecero esplodere, con una bomba, un aereo dei
servizi segreti militari, l’”Argo 16″, sul cielo di Mestre uccidendo
i quattro uomini dell’equipaggio. Ma la strage poteva avere proporzioni
spaventose vista la densità della popolazione.
Fortunatamente
si è riusciti a sapere che il ministero della Difesa, competente perché i morti
appartenevano all’Aeronautica Militare distaccati al SID, non si è costituito
parte civile.
Qualche
timido belato di protesta si è levato nei confronti del Ministro degli Interni
Rosa Russo Jervolino, per la mancata costituzione di parte civile nel processo
di Milano. Un silenzio pressoché assoluto ha coperto il medesimo gesto
ignominioso compiuto dal Ministro della Difesa, Carlo Scognamiglio, nel
processo di Venezia. Lo Stato italiano sputa sui suoi morti, rifiuta di
perseguire coloro che sono accusati di averli uccisi, sottolineando che la
verità non gli interessa.
In
fondo, lo Stato terrorista è coerente. Dopo aver consentito agli stragisti di
agire per anni (1969-1980), averli protetti in tutti i modi per mezzo dei suoi
apparati di sicurezza e di polizia, affida oggi alle fidate procure della
repubblica di Venezia e Milano il compito di chiudere i casi con una richiesta
di assoluzione per tutti gli imputati. A Venezia l’hanno già presentata. A
Milano la presenteranno.
In
questi due processi, a Venezia e a Milano, esiste un unico comun denominatore:
imputati sono i servizi segreti israeliani. Per la strage dell’Argo 16,
compiuta con totale disprezzo verso gli effetti terribili che poteva avere
sulla popolazione civile, sono imputati il direttore del Mossad dell’epoca e il
suo subalterno, responsabile del servizio in Italia.
A
Milano, compaiono sul banco degli imputati i «nazisti» del Mossad. I Carlo
Maria Maggi, i Giancarlo Rognoni, i Carlo Digilio che, sotto la bandiera del
III Reich esibita come propria occultavano l’emblema della stella di David. Non
nemici prevenuti, non cattivi nazifascisti hanno accertato, certamente con
costernazione, che lo stragismo italico derivava da un’azione di penetrazione
compiuta dai servizi segreti israeliani negli anni Cinquanta e Sessanta negli
ambienti del neofascismo, quello che rivendicava l’onore di rappresentare
l’eredità della Repubblica Sociale Italiana e del Reich germanico. Quello che
con Pino Rauti ricordava la battaglia di Berlino scrivendo «noi restiamo ancora
in piedi».
E,
invece, era in ginocchio, insieme ai suoi fidi, dinnanzi all’onnipotente
Mossad.
A
scoprire questa realtà sono stati magistrati antifascisti, educati al rispetto
di Israele, memori dell’olocausto, e, quindi, dell’intoccabilità di un mondo
ebraico che si ritiene esente da ogni critica proprio in forza di quanto ha
subìto, poco importa se nelle dimensioni che propaganda quotidianamente o
inferiori ad esse.
L’olocausto
c’è stato. Non lo neghiamo (Questa affermazione è pensiero dell’autore e non
coinvolge la posizione politico-culturale della Comunità Politica di
Avanguardia in merito al cosiddetto olocausto ebraico, durante il secondo
conflitto mondiale). Ma è anche giunto il momento di parlare di tanti olocausti
imputabili allo stato di Israele e che non possono essere giustificati
dall’alibi dei massacri subìti oltre mezzo secolo fa.
L’ombra
di Giuda ha sempre aleggiato sul cosiddetto terrorismo italiano. Se ne parlava
a destra come a sinistra. E negli stessi termini: cioè che l’interesse dello
stato di Israele a destabilizzare l’Italia derivava dalla sua esigenza di porsi
dinanzi agli Stati Uniti come l’unico paese veramente affidabile nel bacino del
Mediterraneo. Non era vero. Ma lo sappiamo solo oggi.
Oggi,
che alcuni uomini di punta dell’area stragista sono sul banco degli imputati
rispondere delle stragi di piazza Fontana e di via Fatebenefratelli, mentre
sono ancora allo stato di indiziati per quella di Brescia.
Vediamone
uno, di questi imputati. Il principale per la sua posizione nell’area
lombardo-veneta in Ordine Nuovo. Uomo fidatissimo di Pino Rauti e subalterno a
Paolo Signorelli, di Paolo Andriani, di Giulio Maceratini: Carlo Maria Maggi.
È
stata una sorpresa scoprire che il nazista, ferocissimo, Carlo Maria Maggi è
coniugato alla figlia di un influente esponente della comunità ebraica di
Venezia. Non pare che abbia convertito il suocero all’ideologia
nazionalsocialista o, più modestamente, a quella fascista, ma tutto prova che è
stato convertito lui alla causa di Israele. E con lui tutti coloro che dello stragismo
hanno fatto arma di lotta politica, come Giancarlo Rognoni.
Due
corpi e un’anima sola, Maggi e Rognoni. Oggi si ritrovano insieme a rispondere
di due stragi, forse di una terza, ma certamente non hanno interrotto i loro
collegamenti, se è vero che il primo ha trovato perfino il modo di andarlo a
trovare in carcere dove stava espiando, si fa per dire, la condanna per una
quarta strage fortunatamente fallita, quella del 7 aprile 1973 sul treno
Torino-Roma.
Stragisti
impuniti e ferreamente protetti che, a quanto pare, non intendono dismettere le
vesti dei nazisti sotto le quali hanno operato massacro dopo massacro.
Erano
stati individuati i fini dello stragismo italiano: la destabilizzazione
dell’ordine pubblico, la stabilizzazione del regime antifascista e
democristiano, il tentativo di creare le condizioni per la proclamazione dello
stato d’emergenza da parte dei vertici politici e militari. Ne mancava uno,
quello che restava come un punto interrogativo per quanti, pochi, si occupavano
dello stragismo cercando di comprenderne le ragioni: la rivendicazione, a
destra, meglio fascista, delle stragi; l’esibire lo stragismo come arma
legittima favorendo così la propaganda di quanti nel fascismo e nel
nazionalsocialismo -e nei loro eredi- vedevano soltanto massacratori spietati e
senza scrupoli da sradicare dal consesso civile.
Oggi,
questa azione suicida sul piano etico, ideologico e politico trova la sua
logica perché, tra i fini dello stragismo italiano, c’era anche quello di
seppellire definitivamente l’antisemitismo (il termine è poco corretto; la
definizione politicamente e culturalmente idonea è antiebraismo, o
antigiudaismo, riferendosi al progetto di sinarchia universale, di
subordinazione ai dettami talmudici del pianeta, di sradicamento del mito di
Roma, dottrina propria dell’ebraismo internazionale, N.d.R.) di origine fascista
e cattolica. Da qui l’esigenza che le stragi fossero rivendicate come fasciste,
che lo stragismo apparisse come l’arma del neofascismo e del neonazismo, i
documenti che lo esaltavano, le ciarle sulla bomba come l’aereo dei poveri.
È
evidente l’interesse di Israele e delle comunità ebraiche a che tutto ciò che
potesse provocare orrore e disgusto comparisse sotto il segno del fascio
littorio e della svastica. E [se] è [anche] legittimo che gli israeliani si
siano prefissi di sradicare l’antisemitismo, non sono leciti i metodi
impiegati.
Non
deve essere stato, poi, difficile per il Mossad, spalleggiato dai servizi
segreti statunitensi e NATO, penetrar nel mondo neofascista italiano e, nella
più assoluta segretezza, fare di gruppi come Ordine Nuovo la massa operativa
per le proprie azioni occulte.
Prima
ancora che Giano Accame, altro pseudo-nazista, rivelasse i contatti avuti con
gli israeliani, ovviamente nella più assoluta segretezza, è sufficiente
ricordare che Giorgio Almirante, dopo il 25 aprile 1945, si nascose sotto il
nome ebraico di Giorgio Alloni, ospite a casa di un ebreo che egli si vantava
di aver ospitato, insieme alla famiglia, nella foresteria del ministero della
Cultura Popolare durante la RSI per sottrarli ad una eventuale deportazione in
Germania.
Il
Fascismo non è mai stato antisemita. Le correnti interne erano di estrazione
cattolica. Non a caso l’esponente maggiore dell’antisemitismo italiano fu
Giovanni Preziosi che era un ex-sacerdote. Il suo nome è stato cancellato dalla
storia del neofascismo italiano. E se lo ricordano, i pseudo fascisti, è per
parlarne male.
Non
esistevano, quindi, soverchie difficoltà in un ambiente che già guardava ad
Israele come un baluardo nel Mediterraneo anticomunista ma anche anti-arabo, in
una contrapposizione di civiltà, per i servizi segreti israeliani spalleggiati
da quelli americani che allo scopo hanno impiegato tutti ufficiali di origine
ebraica, arruolare i nazisti di Ordine Nuovo perché completassero, nel modo più
ignobile possibile, quell’opera di discredito sul Fascismo ed il
Nazionalsocialismo che il tempo avrebbe potuto rivalutare, sia sotto il profilo
dottrinario che storico. Ad impedirlo erano i Rauti, i Maggi, i Rognoni, gli
stracci dello stragismo italiano. Straccetti non potentissimi ma, bisogna
convenire, protettissimi.
Ha
confessato il grande amico di Giancarlo Rognoni, ex-latitante in Spagna,
Francesco Zaffoni che loro avevano libero accesso presso gli ufficiali dei
carabinieri della divisione “Pastrengo” a Milano, perché il loro non
era un rapporto saltuario, bensì organico, gerarchico: i carabinieri
comandavano e i nazisti alla Rognoni obbedivano; i primi difendevano lo Stato
antifascista, i secondi fingevano di aggredirlo. A coordinare al più alto
livello queste attività vi era il capo di Stato maggiore dell’Arma dei
carabinieri, generale Arnaldo Ferrara, ebreo di razza e di religione. Nessuno
ha mai voluto spiegare come abbia fatto quest’uomo a restare in carica per
dieci anni, dal 1967 al 1977, come capo di Stato maggiore dell’Arma dei
carabinieri, quando la normalità esige un avvicendamento ogni due anni.
Lui,
invece, c’è rimasto per dieci anni. Non desta quindi meraviglia che il Mossad
abbia potuto arruolare i Maggi e i Rognoni, i Rauti e i suoi tirapiedi per
operazioni inconfessabili che erano volte non contro lo Stato ma contro la
popolazione e che avevano, come fine ultimo, non la riaffermazione delle idee
fasciste ma il loro definitivo discredito.
Sarà
bene informare gli ignari amici spagnoli del Rognoni che credono a tutte le leggende
che costui e Delle Chiaie gli propinano, che il primo è stato impiegato alla
Banca Commerciale di Milano, come cassiere, nel dicembre del 1969 quando vi
deposero una bomba, poi non esplosa per motivi tecnici, il 12 dicembre,
contemporaneamente a quella, esplosa, nella Banca dell’Agricoltura.
Risulta
che la questura di Milano interrogò un impiegato della Banca commerciale di cui
però, singolarmente, non volle rivelare il nome escludendo che il sospettato
fosse di sinistra. Alla protezione della questura di Milano, che si affianca a
quella offerta dai carabinieri, si aggiunge quella della Procura della
Repubblica di Milano.
Quest’ultima
non indagò sul conto di Giancarlo Rognoni e sui suoi collegamenti con i già
individuati stragisti padovani e, più in generale, veneti (Maggi) nemmeno
quando Nico Azzi, altro grande nazista e camerata di Giancarlo Rognoni, si fece
prendere mentre si apprestava a far saltare un treno passeggeri. Azzi chiamò in
correità Rognoni, lo accusò di essere il mandante della mancata strage e
giustificò la sua delazione con il fatto che il Rognoni aveva riservato solo
per sé quelle protezioni poliziesche e giudiziarie di cui, invece, lui era
stato indebitamente privato.
Fango,
come si vede. Nessuno ha mai, nell’ambiente neofascista, isolato Nico Azzi a
conferma che tutti sapevano e trovavano, in fondo, logico che egli avesse
voluto salvarsi chiamando in causa il suo capo, così infame da mandare lui allo
sbaraglio e tenersi le protezioni per conto proprio.
Oggi,
in molti hanno parlato: fra i degni camerati di Rognoni, ricordiamo Francesco
Zaffoni, Piero Battiston, Carlo Digilio e altri ancora, tutti hanno ricostruito
un mosaico nel quale spiccano i rapporti con i servizi segreti italiani,
israeliani e americani. Come fa lo Stato italiano a costituirsi parte civile
contro gli stragisti propri e del Mossad? Non può farlo, e difatti non lo fa.
Può solo confidare sulla Procura di Milano affinché, alla conclusione del
processo, tutti escano assolti e comunque, che siano seppelliti i collegamenti
coi servizi segreti israeliani emersi nel corso dell’istruttoria. Non è
difficile fare questo nel più assoluto silenzio stampa che circonda il processo
per favorire l’azione di insabbiamento.
I
nazifascisti del Mossad, nel loro infinito squallore, rappresentano solo un
dettaglio dell’azione sviluppata in Europa, in Italia in particolare, dai
fautori della vendetta ebraica che si staglia, con fini politici precisi,
perfino dietro la morte di Aldo Moro, ucciso non perché
“filocomunista” (accusa del tutto infondata) quanto perché troppo
legato a Giovanni Battista Montini, Paolo VI, colpevole agli occhi di Israele
di aver diretto insieme a monsignor Domenico Tardini la politica estera
vaticana, quindi direttamente coinvolto nel silenzio con il quale la Chiesa di
Roma seguì le deportazioni degli ebrei europei e la eliminazione di gran parte
di loro.
E
mentre la stella di David compare in trasparenza dietro le vicende più
sanguinose della storia italiana, da Ustica a Moro, da piazza Fontana a
Bologna, più pressante si fa l’esigenza di seppellire tutto, di chiudere
definitivamente un capitolo di storia che è -e rimane- ancora in gran parte
inedito. Ex-democristiani, ex-comunisti, ex-di tutto perché tutto hanno
rinnegato ritengono, oggi, di aver un solo dovere: proteggere Israele e negare
le sue responsabilità. Hanno tutti i mezzi per farlo: stampa, televisione,
polizia e carabinieri, servizi segreti militari e civili, servizi segreti NATO
e americane, comunità ebraiche, le stesse che in Italia hanno sempre coperto Pino
Rauti ed i suoi camerati, lasciando che si spacciassero come nazisti senza mai
criticarli, senza chiederne la rimozione dagli incarichi pubblici, anzi
lasciando che la stampa li presentasse come autentici rivoluzionari, romantici
ribelli del fascismo di Salò. Servitori del ministero degli Interni erano, e di
quanti altri li comandavano dall’alto delle loro pubbliche funzioni.
Che
dicono oggi i nazisti del Mossad? Delle Chiaie, accusato da un funzionario
della divisione Affari Riservati di essere stato un confidente di polizia,
tace, non smentisce, non querela, anche perché il funzionario non è rimasto
isolato, altri hanno parlato. Rognoni tace in Italia e parla in Spagna,
vendendo merce avariata che altri in loco acquistano e fanno propria senza
nulla conoscere né verificare. Specula sui morti, come Pierluigi Pagliai, che
nessun poliziotto ha mai cercato (tantomeno Delle Chiaie) e che è stato ucciso
solo perché si era convinto di poter indagare sul traffico di droga. Il capo
della DEA statunitense a La Paz era corrotto e lo fece platealmente eliminare
con la complicità del capitano di polizia che lo ospitava nella sua abitazione.
Tutto
qui. Il resto è fantasia, serve soltanto ad alimentare quella immagine di
oppositori, di perseguitati, di nazifascisti che, invece, confessioni e
documenti hanno smentito in maniera inequivocabile. L’ombra che da sempre
accompagna le vicende italiane, in particolare quelle dell’italico neofascismo,
dei suoi rapporti internazionali (ma in Spagna i collegamenti con chi erano, se
non con i soliti esponenti dei servizi di sicurezza? Altro che oppositori
politici, i Mariano Sanchez Covisa e Josè Luis Riesco!), delle sue operazioni
stragiste è stata infine individuata in quella di Giuda che, nella tradizione
ebraica, è retaggio rispettabile, ma in quella occidentale è sinonimo del
tradimento più abietto.
E
all’ombra di Giuda lasciamo i Pino Rauti, i Stefano Delle Chiaie, i Carlo Maria
Maggi e i Giancarlo Rognoni, noi restiamo come sempre, più che mai oggi che il
tradimento subìto in quegli anni lontani appare in tutta la sua tragica
evidenza, dalla parte dell’Europa appartata dalle chiese e della sinagoghe,
dalle banche e dalle televisioni, alla luce degli ultimi raggi del sole al
tramonto.
Vincenzo
Vinciguerra
Opera,
11 ottobre 1999

[1] Nicola
Rao, TRILOGIA DELLA CELTICA, Milano
2014, p. 1038.
[2] Il
commento tra parentesi quadre è della redazione di Sodalitium.
[3] Le
inserzioni tra parentesi tonde sono opera del redattore di “Avanguardia”,
quelle tra parentesi quadre sono mie.

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