Carlo Mattogno: Jan Karski e l’Associazione Italia-Israele

Carlo Mattogno: Jan Karski e l’Associazione Italia-Israele

Jan Karski

L’Associazione
Italia-Israele di Torino promuove «una giornata di studio dedicata alla figura
di Jan Karski»
 

Di
Carlo Mattogno
 

In
data 20 novembre, “Informazione corretta” (che senso della comicità!) in
rete ha presentato un articolo di Ugo Volli intitolato “Ricordare Karski[1]:
«Oggi si tiene a Torino, presso la fondazione Camis De
Fonseca, in Via Pietro Micca 15, a cura dell’Associazione Italia-Israele di
Torino, una giornata di studio dedicata alla figura di Jan Karski»,
e
Volli non ha voluto perdere l’occasione per elargirvi le sue perle di sapienza
olocaustica. Egli ci informa dunque che Karski,
«catturato prima dai russi, poi dalle SS, torturato, evaso,
diventato corriere per i vertici della Resistenza, fu spedito nel ’43 in
Inghilterra e poi negli Stati Uniti a comunicare al governo in esilio e agli
alleati quanto aveva visto e saputo durante il suo lavoro clandestino. Costretto
a rimanere negli Stati Uniti dalle vicende della guerra, nel ’44 pubblicò un
libro destinato a spiegare ed esaltare la Resistenza, “Story of a secret
state
”, tradotto quest’anno in italiano da Adelphi col titolo “La mia
testimonianza davanti al mondo”».
Premesso
che Karski si recò a Londra nel 1942, la traduzione in italiano di un tale
olo-polpettone testimonia soltanto la superficialità e il provincialismo degli
ambienti olocaustici italiani, come spiegherò sotto.
«Quel che rende il libro assolutamente unico,  però, continua Volli, sono due capitoli (il
numero 29 e il 30), quasi alla fine del volume: una quarantina di pagine che
sono una presentazione straordinariamente vivida della Shoà, una delle più impressionanti
che si possano leggere. Karski, in preparazione del suo viaggio in Inghilterra
e negli Stati Uniti, viene invitato a incontrare due rappresentanti del
movimento clandestino ebraico. [..].
Accetta di entrare clandestinamente nel ghetto [di Varsavia],
lo fa due volte, lo descrive in una maniera sconvolgente, proprio perché lui è
un testimone, non è coinvolto fra le vittime. Poi accetta anche di fare un
viaggio ancora più rischioso a Oriente per entrare in un campo di sterminio
dove gli ebrei sono ammazzati a migliaia ficcandoli a forza in centinaia dentro
carri bestiame col pavimento coperto da calce viva, dove muoiono bruciati vivi,
avvelenati, soffocati. Assiste a un’esecuzione di massa di questo tipo
travestito da guardia ucraina, ne esce malato e sconvolto, parte per il mondo
libero, dove cerca di raccontare quel che ha visto».
Sulla
“missione” e sulla “testimonianza oculare” del nostro eroe mi soffermerò sotto.
Volli scrive poi:
«Ci sono analisi storiche dettagliate che mostrano la
sistematica sottovalutazione anzi l’occultamento che il maggior giornale
americano, di proprietà ebraica [il New York Times], espressione in un
certo senso degli ambienti culturali ebraici di New York, fece volontariamente
della Shoà, mentre si svolgeva, per non imbarazzare Roosevelt».
Sarà,
ma nel mio studio sul campo di  Bełżec,
presuntamente visitato da Karski, ho citato due articoli proprio riguardo a
questo campo pubblicati  nel New York
Times
:
–   20 dicembre  1942: “Allies
describe outrages on Jews
.”
–  12 febbraio 1944, p. 6: “Nazi
Execution Mill Reported in Poland. FugitiveTells of Mass Killings in
Electrically Charged Vats.

E Arthur R. Butz cita 21 articoli di questo
giornale tra il 14 gennaio 1942 e il 25 aprile 1943 nei quali venivano riferite
storie di crimini tedeschi contro gli Ebrei[2].

Segue
una fiera invettiva contro Hannah Arendt, rea, per il Volli, «di buttare la
colpa addosso ai capi delle comunità locali, quegli Judenraete che Arendt si
permise di indicare come corresponsabili del genocidio», tirando in ballo un
altro “testimone oculare” (questa volta del campo di Treblinka) perfettamente
degno di Karski:
«Arendt si permise anche di teorizzare la “banalità del male”,
quando testimonianze come quella di Karski, pubblicata in America nel ’44 (e
anche quella di Yankel Wiernik, evaso da Treblinka – la potete
leggere qui: http://www.zchor.org/wiernik.htm ), chiarivano fino al livello
dell’incubo la spaventosa violenza diretta e sadica dei nazisti nei campi. Tutti
sapevano, i leader politici e quelli ebraici, anche il pubblico generale,
perché il libro di Karski fu un best seller nel ’44, quando Auschwitz lavorava
a pieno ritmo. Si chiusero tutti gli occhi apposta per non “digiunare”, per non
compromettere la loro “politica”, come oggi si chiudono gli occhi di fronte
all’Iran che pianifica il genocidio».
Tralascio
il riferimento, particolarmente ridicolo, al brutale Iran, che «pianifica il
genocidio» di uno Stato indifeso che possiede 200 o 300 testate nucleari, e mi
volgo brevemente a Jankiel Wiernik. Il sito cui rimanda Volli presenta una
bella pianta del campo di Treblinka pubblicata nell’opuscolo di Wiernik A
year in Treblinka
(1944), ma con il taglio inspiegabile del secondo
presunto edificio di gasazione con 10 “camere a gas”, talché resta solo il
primo con  3 camere.
Aggiungo
che la pianta in questione fu letteralmente copiata da quella che era stata
allegata al rapporto del 15 novembre 1942, che descriveva esattamente gli
stessi edifici di sterminio (quello con 10 e quello con 3 camere, designati con
gli stessi numeri), ma come edifici di uccisione  mediante vapore acqueo prodotto
in  apposite “sale caldaie”! I correttamente
informati
possono chiedere lumi ai corretti informatori, che
profonderanno a piene mani la loro scienza olocaustica.
Quanto
agli altri, per ora rimando allo studio redatto da Jürgen Graf e da me su
Treblinka[3],
ma preannuncio approfondimenti a dir poco indigesti per la storiografia
olocaustica. Ogni cosa a suo tempo.
Veniamo
ora a Jan Karski. Si tratta di un olo-impostore o, se si preferisce,
olo-visionario,  nel senso che tale risulta
dal punto di vista della storiografia olocaustica.  Di questo “testimone oculare” mi sono
occupato dettagliatamente nel mio studio sul campo di Bełżec, al quale rimando[4].
La prima versione della sua “testimonianza oculare”,  risalente al novembre 1942 (il rapporto che
fu trascritto col titolo “News is reaching the Polish Government in London
about the liquidation of the Jewish ghetto in Warsaw
” fu consegnato da
Karski al Governo polacco in esilio a Londra il 25 novembre 1942) menzionava sì
i treni della morte (col pavimento dei vagoni «coperto di uno spesso strato di
calce e cloro imbevuto d’acqua»), ma soltanto come strumenti di tortura per
portare gli Ebrei del ghetto di Varsavia «in campi speciali a Treblinka, Bełżec
e Sobibor», dove venivano uccisi. Per quanto riguarda Bełżec, egli non solo non
pretendeva ancora di aver visitato questo campo, ma gli attribuiva il metodo di
sterminio allora in voga della folgorazione. 
Ma già nel  dicembre 1942 Karski
aveva inventato la storia  della sua
fantomatica visita – in divisa da poliziotto polacco – ad un “campo di
smistamento” a cinquanta chilometri da Bełżec, rielaborando il tema letterario
dei treni della morte, che ora diventavano essi stessi strumento e metodo di
sterminio, mentre a Bełżec egli affibiava ancora i metodi di uccisione dei gas
letali e della corrente elettrica. Nel marzo 1943  il giornale “Voice of Unconquered
pubblicò il rapporto in questione col titolo “Testimonianza oculare di un
corriere segreto appena giunto dalla Polonia
”, che faceva  riferimento a un corriere che «è giunto a
Londra all’inizio di dicembre del 1942».

Nella
fase finale dell’elaborazione letteraria della sua storia, nel 1944,  Karski trasformò il “campo di smistamento”
nel campo stesso di Bełżec, che ora pretendeva di aver visitato in divisa da
guardia estone! Ciò, appunto, nel suo libro 
Story of a Secret State”, decantato da Volli.

Che
valore ha questa “testimonianza oculare”? È noto che Raul Hilberg, al quale
tutti si richiamano, ma che quasi nessuno ha letto,  in una intervista concessa a Emie Meyer e
pubblicata nel  Jerusalem Post il  28 giugno 1986 dichiarò: «Non lo metterei
neppure in una nota in un mio libro». E bisogna dargli atto che nel suo opus
magnum
La distruzione degli Ebrei d’Europa[5]
Karski, in effetti, non appare neppure in una nota.
In
un’altra opera, “Carnefici e vittime[6],
Hilberg dedicò invece  a Karski qualche
pagina; dopo aver riassunto le sue affermazioni, commentò:
« [1] In realtà gli ebrei deportati da Varsavia venivano
condotti a Treblinka e non a Belzec,
[2] nessun convoglio partì da Varsavia a ottobre,
[3] le guardie del campo erano prevalentemente ucraine, anche
se tra loro poteva esserci qualche baltico,
[4] e lo stesso vale per la forza di sorveglianza di
Treblinka.
[5] Ma soprattutto non c’era nessun treno che partiva da
Belzec o Treblinka, sicché non era possibile che gli ebrei fossero morti nei
vagoni.
[6] Belzec e Treblinka erano campi di sterminio dotati di
camere a gas, che non compaiono nel racconto di Karski» (pp. 215-216).
Perciò,
secondo Raul Hilberg, Karski era, come ho scritto sopra, un olo-impostore o un
olo-visionario.
Per
quanto riguarda l’obiezione [6] di Hilberg, Walter Laqueur riferisce questa
gustosa informazione:
«Karski dice che seppe soltanto in anni successivi che Belzec
non era un campo di transito ma un campo della morte e che la maggior parte
delle vittime veniva uccisa in camere a gas. Egli non aveva potuto vedere le
camere a gas durante la sua visita perché certamente erano circondate da mura e
per avvicinarsi occorreva un permesso speciale»[7].
Che
sciocca ipocrisia! Ma quale “muro”? Da dove lo ha tratto, Karski? Da “Informazione
corretta”?
Che
pensare allora di gente che ritiene indispensabile una traduzione italiana del
suo olo-polpettone  o una «giornata di
studio» dedicata a questa gloriosa figura?

più, né meno di ciò che ha detto Odifreddi: è gente che non conosce neppure
l’abc della letteratura olocaustica e che basa le sue relative conoscenze
«principalmente su film, romanzi, serial televisivi e simili». 

                                                                                                     
Carlo Mattogno

[2]
A.R. Butz, The Hoax of the Twentieth Century. Historical Review Press,
1977, pp. 73-79.
[3]
Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp? Theses &
Dissertations Press, Chicago, 2004, pp. 51-57 (traduzione del rapporto) e 316,
318 (piante del campo).
[4]
 Bełżec nella propaganda, nelle
testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia
. Effepi, Genova,
2006, cap. I.3, “Dalla folgorazione ai “treni della morte”, pp. 30-44.
[5]
Einaudi, Torino, 1995.
[6]
Mondadori, Milano, 1994.
[7]
W. Laqueur,  Il terribile segreto. La
congiura del silenzio sulla “soluzione finale”
. Giuntina, Firenze, 1983, p.
281
3 Comments
    • Anonimo
    • 22 Novembre 2013

    Carlo Mattogno= Aria Pulita nella storiografia dell'eccido ebraico della II Guerra mondiale.
    Marius miles

    Rispondi
    • Anonimo
    • 23 Novembre 2013

    Ci sono sue gustose notizie su wiki
    http://it.wikipedia.org/wiki/Jan_Karski#Biografia
    1) che evase da un ospedale (ma non li fulminavano, avvelenavano, etc ?)
    2) Signor Karski, un uomo come me che parla con un uomo come lei deve essere del tutto sincero. Così io devo ammettere: non riesco proprio a crederle.

    arturo

    Rispondi
    • Anonimo
    • 24 Novembre 2013

    Leggendo il secondo capitolo di "Treblinka" (http://codoh.com/library/chapter/1786#ftnref127) viene riferito alla nota 127 che nel rapporto del 15 novembre 1942 era allegato anche una bozza della struttura del campo non riportata, però, nell'articolo del Biuletyn (1) del 1951. Vorrei far notare che, forse, essa è stata riproposta qualche giorno fa qui: http://www.jhi.pl/en/blog/108.
    A quanto pare il rapporto sarà ristampato nel tomo 11 dell'Archiwum Ringelbluma. Il 9° tomo è uscito nel 2012 (http://www.worldcat.org/title/archiwum-ringelbluma-konspiracyjne-archiwum-getta-warszawy-9-tereny-wcielone-do-rzeszy-kraj-warty/oclc/828790484).

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