Speciale caso Priebke: La Stanza di Montanelli del 22 marzo 1998

Speciale caso Priebke: La Stanza di Montanelli del 22 marzo 1998

STRAGE
DI VIA RASELLA: RITORNO AL PASSATO (La Stanza di Montanelli del 22 marzo 1998):
Caro
Montanelli, Sulla polemica che si e’ sviluppata a seguito dell’articolo di Enzo
Forcella sull’attentato di via Rasella vorrei, da semplice cittadino e da ex
militante ed attivista del Pci, dire qualcosa. Ho sempre difeso, nei confronti
di quei miei amici che la deploravano, l’azione di via Rasella. Col tempo ho
cominciato a riflettere, spinto dalla pervicace giustificazione che in ogni
occasione veniva addotta dai principali protagonisti dell’attentato, quella
cioe’ che si era trattato di una “azione di guerra, nata dalle indicazioni
pervenute dalla Giunta militare del Cln di stanza a Roma, conseguenti a quelle
dei comandi alleati”. Cercando di capirne di piu’ mi sono messo a leggere
qualcosa: gli atti del processo del 1948 con relativa sentenza, la sentenza del
Tribunale civile del 1954, “Lettere a Milano” di Giorgio Amendola,
“Morte a Roma” di R. Katz, “Operazione via Rasella” di
Roberto Bentivegna, “Storia della Resistenza italiana” di Romano
Battaglia, “L’Italia della guerra civile” di Indro Montanelli e Mario
Cervi, e ne ho ricavato che non si e’ trattato affatto di una “azione di
guerra”. Si e’ trattato di un’azione messa in atto come alternativa a
quella naufragata di attaccare manifestazione e corteo fascista in occasione
del 25o anniversario della fondazione dei Fasci di combattimento. La Giunta
militare, eccetto Amendola, non ne sapeva nulla. Il Cln meno che mai e non lo
volle avallare neanche dopo. Amendola, dopo qualche anno, espresse
consapevolezza di quanto successo. “I fatti sono la cosa piu’ ostinata del
mondo” dice il diavolo Woland ne “Il maestro e Margherita” di
Michail Bulgakov. Desidererei avere su questi avvenimenti una sua opinione
definitiva. Sergio Sbaraglia, Frascati (Roma)
Caro Sbaraglia, La mia opinione e’ quella
che Cervi ed io formulammo, venticinque anni fa, nella nostra “L’Italia
della guerra civile”, prima edizione. Dico “prima edizione”
perche’, su querela degli attentatori di via Rasella, che noi avevamo indicato
come i veri responsabili della rappresaglia delle Ardeatine, si trovo’ un
giudice disposto a ordinarne il sequestro che causo’ un gravissimo danno
all’editore e costrinse noi a riscrivere il capitolo eludendo la questione
della responsabilita’. Mi sia consentito aggiungere, di passaggio, che sono
rimasto un po’ sorpreso nel leggere, gli scorsi giorni, che alcuni storici
considerano un gesto di “coraggiosa revisione” il fatto di
riconoscere che la Resistenza fu soprattutto una guerra civile. Cervi ed io lo
dicemmo venticinque anni fa, e ci buscammo gli anatemi di tutti. Ma lasciamo
andare. Quale sia la mia opinione su quell’attentato e’ quindi implicito in
cio’ che dissi allora, e che giorni fa ho visto confermato proprio su questo
giornale da Enzo Forcella, attentissimo e informatissimo cronista di questi
episodi: un gesto assolutamente privo di rilevanza militare di cui gli autori
non potevano ignorare le conseguenze su tanti innocenti, e che infatti provoco’
una tempesta in seno al Comitato di liberazione nazionale che non voleva
avallarlo. Cio’ posto, caro Sbaraglia, e pur compiacendomi del fatto che le
attuali rivelazioni danno completamente ragione a Cervi e a me, mi dichiaro
contrario alla riapertura di questo caso, se e’ vero che si vuole riproporre in
Tribunale. Per il semplice motivo che non possiamo continuare a disseppellire i
cadaveri e a tenere aperti i conti di oltre cinquant’anni or sono, chiamando a
risponderne uomini che certamente non sono piu’ quelli di allora e a cui il
castigo e’ inapplicabile per ragioni di eta’. Purtroppo questa tesi, che mi
sembra non diro’ la piu’ giusta, ma la piu’ ragionevole, non e’ piu’
perseguibile dopo l’ergastolo a Priebke. Se si condanna Priebke, non si puo’
fare a meno di riaprire tutto il dossier Rasella – Ardeatine, e quindi anche di
richiamare in causa Bentivegna e la sua medaglia d’oro. Ecco gli effetti di
quel processo insensato concluso da una sentenza inapplicabile, dettata
soltanto dall’opportunismo e dalla codardia dei giudici (di cui non capisco
cosa aspettino, dopo tante volte che lo ripeto, a denunciarmi per calunnie e
vilipendio. Hanno paura anche di me?). Giusto o ingiusto, caro Sbaraglia, i
conti, a un certo punto, bisogna chiuderli. Altrimenti se ne aprono degli
altri.
Pagina 36

(22 marzo 1998) – Corriere della Sera

 

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