Israele: l’inferno dello schiavismo sessuale

Israele: l’inferno dello schiavismo sessuale

UN INFERNO VIVENTE[1]
Migliaia di schiave del sesso comprate e vendute ogni anno sottoposte a pericoli, minacce e violenze; le fuggitive ci fanno presto i conti: una casa in Moldavia attaccata con bombe incendiarie; la mostra di Tel Aviv esplora le “donne oggetto”.

Di Miri Chason, 18.03.05
TEL AVIV – Diverse dozzine di donne sono fuggite dalle grinfie dei papponi che avevano trasformato le loro vite in un inferno vivente. Queste donne vivono in un rifugio segreto a Tel Aviv fino a quando testimonieranno contro i loro ex papponi, poi verranno rimpatriate nei loro paesi d’origine.

Giovedì, alcune di loro sono uscite allo scoperto nell’ambito di una nuova mostra alla Stazione Centrale dei bus di Tel Aviv, condividendo gli aspri dettagli della loro vita.
La mostra, intitolata “Over the Road”, si concentra sull’approccio della gente alle donne come oggetto. Vuole essere una dura protesta contro i bordelli clandestini che continuano a prosperare nonostante la legge che li proibisce.
Migliaia vendute ogni anno

Le donne dicono che la mostra vuole principalmente rivolgersi ai clienti dei loro ex boss: gli individui che fanno andare avanti il business.
Nel mondo, centinaia di migliaia di donne, uomini e bambini vengono venduti ogni anno. In Israele, dalle 1.000 alle 3.000 donne vengono vendute annualmente[2], tutte per l’industria del sesso.

I volontari del Center to Help Foreign Workers[3] e del Clinic for the Fight Against Women Trafficking[4] della Hebrew University hanno raccolto molte testimonianze di donne vittime del traffico e hanno documentato il modo in cui sono state portate in Israele.
Testimonianze
K., proveniente dalla Russia, lavorava sulla Erlinger Street di Tel Aviv. Sostiene che il suo boss “multava” le sue lavoranti “per qualunque cosa: se chiedevo di poter fare una doccia tra un cliente e l’altro, se uscivo senza permesso. All’inizio, avevamo abbastanza cibo ma dopo un po’ dissero che era troppo caro. A malapena avevamo abbastanza minestra, e questo durante il periodo più orribile della mia vita”.
N. sostiene che il suo pappone usava le donne come merce di scambio. “Se voleva verdure al supermercato avrebbe “dato” una delle sue donne ad un dipendente in cambio delle verdure. Ci barattava con il cibo, i gioielli e altre cose”.

Y., proveniente dalla Moldavia, sostiene che veniva costretta alle pratiche sado-maso. “I clienti ci picchiavano. Avevano strumenti speciali. Mi facevano gocciolare cera bollente su tutto il corpo e mi costringevano a fare cose dolorose e degradanti. Naturalmente, ne godevano: pagavano un extra per questo”.
Una donna, anch’essa proveniente dalla Moldavia, ha detto di non aver mai guadagnato dai suoi servizi. “(Il mio boss) mi diceva che mi aveva comprato per 50.000 shekel e che dovevo “restituire” i soldi (lavorando gratis) prima di iniziare a guadagnare. Mi facevano anche pagare 50 shekel al giorno per il cibo e i preservativi.

Porte sprangate

N., proveniente dall’Ucraina – lavorava sulla Peretz Street a Tel Aviv – spiega perché le donne non scappano. “Tutte noi sognavamo di scappare, ma loro sono riusciti anche a rubarci questo sogno dopo che una se n’era andata. Una settimana dopo che era scomparsa, la casa della sua famiglia in Moldavia è stata attaccata con bombe incendiarie.

Ella sostiene che veniva dato loro un giorno libero al mese: il primo giorno del loro periodo. “Il primo giorno potevamo staccare. Il resto del tempo avevo il mio periodo. Dovevo usare un diaframma per impedire le emorragie. Ma dovevo continuare a prendere clienti”.

Nessun posto dove fuggire
“Non avevamo nessun posto dove fuggire”, sostiene H. dall’Ucraina. “La porta era sempre chiusa a chiave, con le sbarre alle finestre, e c’era una telecamera in ogni stanza. E anche se riuscivi a fuggire, dove saresti andata? Cosa avresti fatto? Diversi clienti erano poliziotti, e altri poliziotti avrebbero controllato i nostri visti e la nostra fuga. Così a chi ci saremmo rivolti per aiuto?”.

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3060127,00.html . Le note a piè di pagina sono del traduttore.
[3] Centro di aiuto per i lavoratori stranieri.
[4] Consultorio per la lotta contro il traffico delle donne.

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