Sull’inversione di significato del termine “riformismo”

Sull’inversione di significato del termine “riformismo”

 

Dall’intervista di Federico Dal
Cortivo
a Marco Della Luna
(http://europeanphoenix.it/component/content/article/18-interviste/585-italia-sotto-attacco-le-quinte-colonne-della-finanza-internazionale-presenti-nel-governo-intervista-a-m-della-luna
):

D: E
veniamo alla cura proposta dalle teste d’uovo di Bruxelles, del FMI e dalla
BCE: pareggio di bilancio, privatizzazioni, tagli alla sanità, alla scuola,
alle pensioni, riforma del lavoro ecc. Queste cose dove sono state messe in
pratica non hanno certo portato prosperità per i popoli, ma bensì solo per i
cosiddetti mercati, che non sono di certo un entità aliena. Ce ne può parlare?

R: La parola
“riformismo”, di cui tutti si riempiono oggi la bocca, ha avuto, dopo la metà
degli anni ’70, un’inversione di significato:
Dapprima,
dalla seconda rivoluzione industriale, e anche nella Carta Costituzionale del
1948, e ancora nello Statuto dei Lavoratori, “riformismo” significava riforma
della proprietà agraria per por fine allo sfruttamento dei contadini da parte
dei latifondisti; significava diritti sindacali, previdenziali e di sciopero
per por fine allo sfruttamento degli operai da parte dei grandi imprenditori;
significava contrastare le sperequazioni di reddito, diritti e opportunità tra
lavoratori e capitale finanziario; significava consapevolezza del crescente
strapotere delle corporations e del capitalismo rispetto ai cittadini, ai
lavoratori, agli elettori, ai risparmiatori, ai piccoli proprietari, degli
invalidi (uno strapotere che oggi è moltiplicato dalla globalizzazione e dal
carattere apolide della grande finanza). Era un riformismo per la solidarietà,
l’equa distribuzione delle opportunità e del reddito, l’accessibilità al lavoro
e alla proprietà privata. Da tutto ciò l’art. 1 con la Repubblica fondata sul
lavoro; l’art. 3 con la parità dei cittadini e l’obbligo di rimuovere gli
ostacoli anche economici che, di fatto, limitano questa parità; gli artt. 35-40
con la tutela del lavoro; l’art. 41, che vieta l’iniziativa economica che sia
contro l’interesse sociale o la sicurezza e dignità umane, stabilendo che la
legge possa indirizzarla ai fini collettivi; l’art. 42 che assicura le funzioni
sociali della proprietà; l’art. 43 che prevede l’esproprio nel pubblico
interesse; etc.; fino all’art. 47, che tutela il risparmio, e non le maxifrodi
ai danni dei risparmiatori, e i bonus e le cariche pubbliche in favore di chi
le ordisce.
Dalla
fine degli anni ’70, “riformismo” ha preso a significare esattamente
l’inverso, ossia la demolizione di tutto quanto sopra al fine, dichiarato, di
togliere ogni limitazione alla possibilità di azione e profitto del capitale
finanziario, della proprietà privata, della privatizzazione di beni e compiti
pubblici, sul presupposto che ciò genererà più ricchezza, più equità, più
produzione, più occupazione, più libertà, più stabilità, più razionale
allocazione delle risorse. Con i risultati che vediamo: crescente estrazione
della ricchezza prodotta dalla società da parte di cartelli e oligopoli
multinazionali, anzi soprannazionali.
E’
la linea, come dicevo, della scuola economica di Chicago, del Washington
Consensus, della CIA, di Thatcher, Reagan, etc. E dell’europeismo. Ma
nonostante questi risultati i vari Monti, Draghi, Rehn, Merkel e
compagnia bella non fanno che ripetere che bisogna continuare sulla via delle
riforme, altrimenti non c’è speranza, e se qualcosa non funziona, è appunto
perché le riforme non sono state abbastanza risolute e complete. In realtà
personaggi come la Merkel non sono tanto ottusi da non capire che il modello è
radicalmente sbagliato e devastatore, ma alcuni paesi, Germania in testa,
traggono vantaggio da esso in quanto la sua applicazione colpisce in modi
diversi quei medesimi paesi e altri, come l’Italia; e l’effetto di tale
diversità è che esso, come già detto, spinge capitali, imprese e lavoratori
qualificati a trasferirsi nei paesi più forti, depauperando i più deboli ed
eliminandoli come concorrenti.
Se
vi prendete qualche minuto e leggete attentamente i suddetti articoli della
Costituzione, che regolano la sovranità e i rapporti e valori socio-economici,
noterete, forse con stupore, che tutto il percorso di riforme in materia di
moneta, finanza, lavoro, Banca d’Italia, sistema monetario europeo
(Maastricht), globalizzazioni, privatizzazioni, liberalizzazioni,
cartolarizzazioni, finanziarizzazione dell’economia – tutto, dico, è
costituzionalmente illegittimo perché va esattamente, intenzionalmente e
organicamente contro quelle norme costituzionali e contro lo stesso impianto
sociale e valoriale e teleologico della Costituzione, che è appunto teso
all’esclusione dell’attività imprenditoriale contraria all’interesse della
società e alla realizzazione di una parità anche sostanziale dei cittadini in
un quadro di solidarietà e di sicurezza in fatto di lavoro, reddito, servizi,
pensioni. E non di casinò speculativo che comanda al Paese da piattaforme
finanziarie estere attraverso il potere del rating e della manipolazione dei
mercati, decidendo irresponsabilmente e insindacabilmente come si debba vivere
e morire e governare. E’ un disegno eversivo della Costituzione. Illecito. A
esso hanno collaborato attivamente quasi tutti i “rappresentanti” del popolo, soprattutto la sinistra
parlamentare.
Senza farlo capire al popolo, ovviamente. Qui
sta il conflitto di interessi vero. L’incompatibilità assoluta con le cariche
pubbliche.
Quindi
i veri e primi in candidabili, ineleggibili, portatori di conflitto di
interessi sono proprio i leaders della sinistra, assieme a Monti e Draghi: tra
i vivi, Prodi, Bersani, Amato…
Per un
approfondimento, oltre al libro di Marco Della Luna TRADITORI AL GOVERNO?,
il saggio di Marino Badiale e Massimo Bontempelli IL MISTERO DELLA
SINISTRA
: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=1143

 

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