Fabio Falchi sul 25 aprile

Fabio Falchi sul 25 aprile



Paolo Caccia Dominioni
Condivido qui, da Facebook, una riflessione non comune e non
banale sul 25 aprile di Fabio Falchi.
Col
passare del tempo, mi sono distaccato sempre più dal passato del mio Paese. Il
25 aprile è una di quelle giornate però che richiede un “esercizio di memoria”,
anche se non facile sia dal punto vista politico sia dal punto di vista etico.
 L’Italia fascista non voleva entrare in guerra
(almeno nel 1940) ma poi, per una serie di circostanze, decise di parteciparvi.
E fu una catastrofe. Il regime fascista messo alla prova dei fatti crollò
ignominiosamente nel giro di un anno: l’Italia – bastonata in Grecia, ove
sperava di raccogliere una facile vittoria contro un popolo deciso a difendere
la propria terra, persa in un batter d’occhio l’Africa Orientale, umiliata in
Africa Settentrionale da un piccolo ma efficiente esercito britannico, e
sconfitta sul mare a Matapan e prima ancora a Taranto – era già vinta nella
primavera del 1941. Fu salvata dalla Germania e da allora diventò una sorta di
vassallo del III Reich, nonostante un certo margine d’azione riservato a
Mussolini, che, non contento del colpo di testa della guerra contro la Grecia,
volle, perfino contro la volontà di Hitler, inviare un Corpo d’Armata (poi
un’Armata, l’VIII) in terra di Russia, il che costò all’Italia circa 100000
morti e la perdita del suo migliore e più solido Corpo d’Armata, il Corpo
d’Armata Alpino. E dopo la resa della I Armata (che si batté con onore) in
Tunisia, l’Italia era in ginocchio, totalmente dipendente dalla Germania.

Sicché,
la caduta del fascismo era inevitabile, come prova la stessa seduta del Gran
Consiglio del fascismo del 24 luglio del 1943. Tuttavia, in quell’estate del
1943, ogni scelleratezza e ogni tradimento furono compiuti da parte della
vecchia classe dirigente, che aveva accettato il fascismo solo in funzione del
proprio interesse. Si arrivò così all’8 settembre, allorché lo Stato crollò e
ci fu il si salvi chi può, lasciando il Paese e le Forze Armate senza guida e
senza ordini (non fu dato neppure l’ordine di rendere operativa la direttiva Op
44 che prevedeva di reagire contro i tedeschi).
Fuggiti il re (il che lo si può capire, dato
che era il Capo dello Stato) e Badoglio (e questo fu tradimento, dato che doveva
dirigere la battaglia di Roma, essendo Capo del Governo e anche Maresciallo
d’Italia), i soldati italiani allo sbando, furono in gran parte (poco meno di
un milione) catturati dai tedeschi.

Da
qui le scelte difficili: alcuni con il re, altri con il Duce, che per volere
dei tedeschi fondò la Rsi, altri in montagna. Certo non molti. La maggior parte
rimase ad osservare secondo il vecchio vergognoso detto: Franza o Spagna basta
che se magna. I fascisti si batterono (bene) ad Anzio e altrove contro gli angloamericani,
ma erano pochi battaglioni. Le 4 divisioni della Rsi entrarono in azione tardi,
furono afflitte da molte diserzioni ed ebbero un ruolo marginale; maggiore fu
il ruolo, poco noto, dell’aviazione della Rsi, ma, comunque sia, le Forze
Armate della Rsi non ebbero alcuna influenza sull’andamento sulla campagna
d’Italia. Lo stesso si può dire del regio esercito, che era perfino in
condizioni peggiori di quello della Rsi, perlomeno sino alla primavera del
1945, allorché presero parte all’ultima fase della guerra in Italia alcuni
gruppi di combattimento del “nuovo esercito italiano”. Questo ruolo
secondario fu voluto dagli angloamericani, che non volevano che gli italiani
potessero attribuirsi particolari meriti per la “liberazione”
dell’Italia. I partigiani invece erano pochi all’inizio, ma nel 1944-45 erano
una forza in grado di creare parecchi problemi ai tedeschi, specialmente sotto
il profilo logistico (lo stesso Kesserling ammette che i tedeschi persero oltre
10000 uomini a causa delle azioni partigiane). Efficienti erano soprattutto
alcune brigate Garibaldi (e si deve ricordare che una brigata Garibaldi fu
comandata proprio dal leggendario architetto Paolo Caccia Dominioni, comandante
di un valoroso reparto guastatori in Africa Settentrionale, che dopo la II
Guerra Mondiale ideò e costruì il noto Sacrario ad El Alamein). In generale,
però si deve riconoscere che anche i partigiani incisero poco sull’andamento
delle operazioni militari nel nostro Paese. D’altra parte, non si devono
dimenticare nemmeno le centinaia di migliaia di soldati italiani portati nei
campi di concentramento tedeschi né la tragedia delle divisioni italiane in
Grecia e in Iugoslavia (ove fu formata la divisione Garibaldi, che non ebbe
però, come si sa, molta fortuna in una guerra spietata come quella che si
combatteva in Iugoslavia).

 In ogni caso, inutile negarlo, per noi
italiani fu la guerra tra partigiani e nazifascisti che caratterizzò quegli
anni. E fu terribile come tutte le guerre civili, anche se gli sciocchi (e sono
tanti) pensano che sia stata una guerra tra buoni e cattivi; e ovviamente chi
parteggia per i fascisti dimentica le stragi compiute dai nazifascisti, mentre
chi parteggia per i partigiani dimentica quelle compiute dai partigiani. Resta
però il fatto che il Paese nel baratro della disfatta lo aveva portato il
regime fascista e che l’Italia già prima del 25 luglio de 1943 era di fatto una
sorta di Protettorato del III Reich.
Si
può dire quindi che l’Italia fu liberata dagli angloamericani, dato che fu
cacciato l’occupante tedesco? In verità, l’occupante tedesco fu cacciato, ma il
Paese non fu liberato (ecco l’inghippo!), dato che ad un occupante straniero se
ne sostituì un altro, che ancora occupa la Penisola, con il consenso di quegli
italiani che sono i badogliani di sempre: fascisti ieri, antifascisti oggi.
Anti-americani ieri, filo-americani oggi. Sempre pronti ad anteporre il loro
interesse a quello generale, ma con il consenso (giova ripeterlo) del “popolo
bue”, che si crede furbo e che invece le busca sempre. Ieri come oggi.

Pertanto,
se l’Italia è una colonia degli Usa ciò dipende ormai in buona misura dagli
italiani stessi, e non solo dalla classe dirigente italiana. Non risulta a
nessuno che gli italiani, tranne una minoranza, si impegnino seriamente, vogliano
lottare o siano disposti a rischiare qualcosa per l’indipendenza del proprio
Paese. E sono molti invece coloro che vengono pagati in denaro o con benefici
vari, per interpretare il ruolo del fascista o dell’antifascista, di modo che
il sistema possa sempre giocare la carta dell’antifascismo per legittimarsi.
Poi si deve pur tener conto dei “servi sciocchi”, che sono sempre
tanti, ma che naturalmente non c’è bisogno di pagarli o di premiarli perché
siano tali. Tuttavia, adesso che il Paese sta precipitando nuovamente nel
baratro, è possibile che non siamo in pochi ad augurarci che sedicenti fascisti
e antifascisti spariscano per sempre, di modo che si possa evitare un’altra e
forse addirittura peggiore catastrofe..



Badogliani di ieri e di oggi
 

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