Ted Pike e la “maledizione di Cam” (e le sue propaggini in ambito cattolico)

Ted Pike e la “maledizione di Cam” (e le sue propaggini in ambito cattolico)

Il pastore protestante Ted Pike e consorte

IL MIDRASH[1] DI
TED PIKE[2]

Di Michael Hoffman,
20 settembre 2012

Nel suo editoriale del 19 settembre su “Obama and Bible
prophecy” [Obama e la profezia della Bibbia] il reverendo Ted Pike scrive:

Qual’ è l’argilla e quale il ferro?

“Di
questi due gruppi razziali, qual è l’”argilla” e quale il “ferro”?

“Per
rispondere a questo, dobbiamo tornare al tempo di Noè, proprio dopo il Diluvio.
Noè si ubriacò e giacque nudo nella sua tenda. Se consideriamo la dura reazione
di Dio, Cam deve aver fatto qualcosa di
più che aver semplicemente guardato suo padre – forse, potrebbe addirittura
averlo sodomizzato.

“Svegliatosi
poi Noè dall’ebbrezza, “avendo saputo che
cosa gli aveva fatto il figlio minore” (Gen. 9:24), Noè pronunciò una
maledizione perpetua sui discendenti di Cam, incentrata su Canaan, il figlio
innocente di Cam.

“Fu
ingiusta questa punizione collettiva? Così potrebbe sembrare. Ma, proprio come
tutto il genere umano e la natura stessa sono sotto la “maledizione” a causa
del peccato di Adamo ed Eva, così i discendenti di Cam portano le conseguenze
della trasgressione del loro antenato. Dio non condanna mai eternamente le
anime innocenti per i peccati dei loro genitori. Ma noi viviamo in un mondo
basato sulle cause e sugli effetti, e spesso risentiamo delle decisioni morali
dei nostri avi, nel bene o nel male. Oggi,
i discendenti di Cam sono costituiti soprattutto da neri”.
(Fine
della citazione; i grassetti sono redazionali).
 
Luigi Trécourt, La maledizione di Cam, 1837
 
Michael Hoffman
commenta:

L’idea che Cam “forse” sodomizzò Noè, e che oggi i
discendenti di Cam sono le persone di colore, è una dottrina dei rabbini (vedi Midrash Rabbah, vol. 1 [Soncino 1983],
p. 293).

Le asserzioni del reverendo Pike non si trovano in nessun
punto della Bibbia.

“Non si può negare che il Talmud babilonese fu la prima
fonte per vedere nell’episodio (di Cam, Noè e Canaan) un contenuto negro
fobico”. – Harold Brackman PhD.

Questa “Maledizione di Cam”, così come viene insegnata dai
rabbini  (e da Ted Pike) è ciò che
Abraham Melamed definisce: il “locus
classicus
” dell’odio storico del giudaismo verso le persone di colore, e la
fonte esegetica del suo insegnamento razzista, dall’Amorah’im babilonese a Mosè Maimonide. -Melamed, The Image of
the Black in Jewish Culture[3]
[New
York 2003], pp. 22 e 55.

Nel corso della storia, questi miti rabbinici sono stati
usati per giustificare la schiavizzazione e la brutalizzazione delle persone di
colore.

È estremamente increscioso vedere un ministro cristiano
associare il cristianesimo al disprezzo pornografico per Noè e alle menzogne
razziste sulla razza nera.

Pike, una presunta autorità di destra sul Talmud, promuove i
miti rabbinici sul patriarca Noè, sulla discendenza di Noè e sulla razza nera.

Nei suoi articoli, il reverendo Pike continua a seminare
confusione e indicazioni erronee mescolando una certa quantità di grottesca
mitologia con una certa quantità di verità. Perché?
 
Un mito rabbinico e le sue conseguenze: la tratta degli schiavi
 
Andrea Carancini
commenta:

Il giudizio di Michael Hoffman sulla cosiddetta “Maledizione
di Cam”[4] è
confermato da una fonte cattolica di grande autorevolezza, e cioè Mons.
Francesco Spadafora, che nel DIZIONARIO
BIBLICO[5]
da
lui diretto, a conclusione della voce CAM,
così scrive:

Non
ha fondamento alcuno la teoria che ritiene che i negriti (identificati
indebitamente con i Cainiti) siano stati ridotti a uno stato inferiore per la
maledizione divina.
 
Mons. Francesco Spadafora
 
D’altra parte, è vero che, come è scritto nella corrispondente
voce di Wikipedia[6],

“Nelle bibbie cattoliche degli anni ’50, tuttavia,
l’interpretazione del verso incriminato, Genesi 9:27, che compare a piè di
pagina nelle glosse esplicative, sembra avvalorare la tesi della inferiorità
etnica della stirpe di Cam, identificata con i contemporanei popoli africani”.

Nell’edizione della Bibbia curata da Giuseppe Ricciotti che ho di fronte[7],
alla nota 25 (p. 45) del detto capitolo 9 del Genesi, infatti si scrive:

Invece di Caam è
maledetto Canaan, figlio di lui (cfr. v. 22), perché col popolo di Canaan
vennero in continua relazione gli Ebrei quando entrarono in Palestina, e dalla
loro idolatria e scostumatezza ricevettero incessanti istigazioni di male.
Tutti i Camiti, del resto, furono una razza scadente.

Anche in ambito cattolico, l’abate Ricciotti non fu il solo a pensarla così (l’argomento è tanto scabroso quanto interessante, e meritevole di ulteriore
approfondimento). E però è anche vero, mi sembra, che giudizi del genere non
sono mai stati ripresi dal magistero: in ogni caso, l’argomento discriminatorio come pretesto per la tratta degli schiavi venne
condannato nel 1839 da Papa Gregorio XVI nel breve In Supremo
Apostolatus[8]
.

A questo punto, mi chiedo, è possibile che la detta tesi, anche in ambito cattolico (che, ripeto, riguarda persino grandi esegeti e teologi come Ricciotti
e, nell’800, come Mons. Gaume[9])
sia nata da subdole infiltrazioni ebraiche? 
 
L’abate Giuseppe Ricciotti

 

[2]
Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo:
http://revisionistreview.blogspot.it/2012/09/ted-pikes-midrash.html
[3]
L’immagine del nero nella cultura ebraica.
[5] EDITRICE
STUDIUM, Roma , 1963.
[6] Vedi
nota 4.
[7] Salani
Editore, 1991, ristampata da Fratelli Melita Editore.
[8] http://www.totustuustools.net/magistero/g16insup.htm
. Su questo testo papale ha scritto un interessante saggio Jeremy Watt, The Incongruous Bull: In Supremo Apostolatus (La bolla incongrua: In Supremo Apostolatus): https://scholarworks.iu.edu/dspace/bitstream/handle/2022/3341/Final%20Draft%20Jeremy%20Watt%20Essay.pdf?sequence=1
[9] Nel suo CATECHISMO DI PERSEVERANZA, Torino 1858,
volume I, il famoso prelato controrivoluzionario sostiene non solo l’esistenza
accertata di tre razze umane (la Caucasica, la Mongola e l’Etiope) ma, anche, l’altrettanto
“manifesta” superiorità delle prime
due sulla terza (pp. 202-203).

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