Sull’uso del termine “negazionismo” e sul concetto di reputazione presso gli storici accademici

Sull’uso del termine “negazionismo” e sul concetto di reputazione presso gli storici accademici

Andrea Giacobazzi (a sinistra)

Ha suscitato qualche polemica nei giorni scorsi l’articolo
(poi rimosso per minacce di querela) Ecco come negare l’olocausto con i soldi
dello Stato
:

Tra i bersagli del pezzo, lo storico Andrea Giacobazzi, che anche i lettori di questo blog ormai
dovrebbero conoscere. Giacobazzi ne ha parlato anche sulla sua bacheca
Facebook, in cui ho letto un commento che mi ha colpito e che è il seguente:

“Il fatto che egli [l’autore del pezzo] ti accomuni a
nazisti e a negazionisti costituisce una lesione grave dell’onore e della
reputazione. Inoltre se tu volessi fare lo storico di professione ti danneggia
gravemente come carriera, penso che 70 mila euro li puoi prendere …”.

Ricordo che sull’ (ab)uso del termine “negazionismo” ho già scritto, tra gli altri, i seguenti post:

  1. Adriana Goldstaub e l’uso del termine “negazionista”: https://www.andreacarancini.it/2010/07/adriana-goldstaub-e-luso-del-termine/;
  2. “Negazionismo: la Treccani in rete smentita da Ernst Nolte: https://www.andreacarancini.it/2011/06/negazionismo-la-treccani-in-rete/;
  3. La calunnia della negazionista Anna Foa contro Mons. Williamson: https://www.andreacarancini.it/2011/06/la-calunnia-della-negazionista-anna-foa/

Mentre leggevo i detti commenti, mi sono però imbattuto in un
testo di Jürgen
Graf
[1] che ancora non conoscevo, e da
cui mi sembra importante riportare – sulla condizione degli storici accademici
relativamente all’Olocausto, e sul
concetto di reputazione che ne deriva
– la seguente considerazione[2]:

“Si
capisce facilmente che questi universitari […] non sono molto propensi all’idea
di un dibattito aperto e obbiettivo sull’argomento Auschwitz. La compiacenza
con la quale ci si rende disponibili a essere degli storici di corte, creature
sprovviste di etica e di probità intellettuale, garantisce a costoro una carriera
invidiabile nella misura in cui approvano la tesi ufficiale. Queste persone
possono quindi dire qualsiasi cosa, il favore dei media resta garantito, e
nessuno studente rischierà di sottoporre loro domande troppo pungenti. Gli
storici che hanno ancora un minimo di coscienza e di etica professionale
evitano per quanto possibile questo soggetto scabroso; il fatto che in Svizzera
le università non propongano praticamente nessun corso o seminario
sull’”Olocausto”, ne è indice eloquente. Abbiamo della comprensione per questi
storici. In fin dei conti, vogliono conservare il loro posto e continuare ad
onorare le loro fatture. Non hanno molta voglia di essere gettati in pasto agli
sciacalli dei media, di essere trattati come criminali dalla stampa e dalla
televisione e, infine, di incorrere in condanne severe e in pene di prigione
per “discriminazione razziale”. Fin quando bisognerà subire questa atmosfera di
caccia alle streghe e di terrorismo intellettuale, è prematuro prendere in
considerazione una discussione pubblica e obbiettiva su questo tema”.

 
[1] Le Contre Rapport Bergier – Anatomie d’une
falsification de l’Histoire
(Il contro rapporto Bergier – anatomia di una
falsificazione storica): http://www.radioislam.org/suisse/bergier/1intro.htm
[2] Dal capitolo
conclusivo del testo suddetto, quinto capoverso: http://www.radioislam.org/suisse/bergier/5silence.htm

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