Joseph Smith: fondatore dei mormoni, “profeta” della religione americana, e cabalista

Joseph Smith: fondatore dei mormoni, “profeta” della religione americana, e cabalista

Joseph Smith

Pubblico a seguire il profilo di Joseph Smith tracciato a suo
tempo da Harold Bloom nel suo libro
LA RELIGIONE
AMERICANAL’avvento della nazione postcristiana[1].
Il testo corrisponde alle pagine 111-126
tratte dal capitolo 5:
L’immaginazione religiosa di Joseph Smith: creazione
di una religione. Il saggio di Bloom,
oltre che di grande interesse in sé, mi sembra tale anche perché in grado di
fornire spunti di riflessione su uno snodo tanto trascurato quanto importante
del ‘900: la presa di contatto di Vladimir Jabotinski proprio con i mormoni, e relativo
viaggio di studio a Salt Lake City[2]
 

Con mia grande soddisfazione i ricercatori non hanno
ancora stabilito esattamente fino a che punto Joseph il
Profeta conoscesse la tradizione esoterica ebraica, ossia la Cabala, e le eresie
gnostiche della religione cristiana. Sarebbe interessante anche sapere
quale sia stata l’influenza di tali fonti su Brigham Young,
poiché certe sue speculazioni su Dio e Adamo hanno un’impressionante
somiglianza con antiche suggestioni. Quel
che è chiaro è che Smith e i suoi apostoli ripristinarono quel che
Moshe Idel, il più eminente studioso vivente della Cabala, mi
dice essere stata la religione arcaica e originaria degli
ebrei, un giudaismo addirittura anteriore allo yahwista, l’autore
delle storie più antiche di quelli che oggi chiamiamo i Cinque Libri
di Mosè. Fare una simile affermazione significa non
esprimere alcun giudizio, né positivo né negativo, sull’autenticità del Libro di Mormon o della Perla di gran valore.
L’osservazione, tuttavia, trova sicura conferma nella ripresa creativa attuata
da Smith rispetto a elementi
cruciali della religione ebraica arcaica, elementi omessi dal giudaismo
normativo e dalla Chiesa dopo di lui. Il Dio di Joseph Smith è un’audace riappropriazione
del Dio di certi gnostici e cabalisti, saggi pro­feti
che, al pari dello stesso Smith,
asserivano di essere tornati alla vera religione di Yahweh
o Geova. Se Smith si è sbagliato, lo stesso vale per loro, ma non capisco
proprio quale importanza possa avere  affermare che i cabalisti o
Joseph Smith erano in errore. Il Dio del giudaismo normativo e delle
Chiese tradizionali, al giorno d’oggi, è alquanto più remoto del Dio dei testi
più antichi della Bibbia, ovvero dei testi dello Yahwista, di quanto lo sia il
Dio a tutta prima sorprendente di Joseph Smith. 

La teologia non ha nessun ruolo nella Bibbia ebraica, ed è stata
inventata da Filone e da altri ebrei alessandrini allo sco­po di giustificare
sul piano teorico l’abbandono del presunto antropomorfismo attribuito a Dio nella
visione più antica dello Yahwista. L’antropomorfismo, ossia l’idea che Dio
possa essere umano, troppo umano, è in ogni caso una concezione primitiva e
semplicistica, come intuitivamente comprese Jo­seph Smith. Noi siamo uomini e
donne, non alberi; presumi­bilmente il Dio degli alberi è dendromorfo. Quel che
ai teologi spiace in uno Yahweh antropomorfo è in realtà la visione bi­blica,
ad essa necessariamente correlata, di uomini e donni teomorfi:
Abramo, Giacobbe, Giuseppe, Tamar, Davide. La genialità religiosa di Joseph
Smith, profondamente americana, è stata l’unica capace di riprendere e fare
proprio il senso biblico del teomorfismo, un atto che ha
inevitabilmente portato il profeta alla più audace delle sue restaurazioni,
quella della poligamia patriarcale.
Dell’audacia di questa scelta per il momento non parlerò; dato che
Smith, nel corso della sua attività, ne differì la non facile realizzazione
pratica fino alla compiuta messa a punto dei suoi fondamenti religiosi, mentre
noi siamo solo agli inizi della ricostruzione della visione teologica globale
di Smith. Egli era  perseguitato dalla
figura di Enoc, che nei testi ebraici antichi era stato
trasformato d’incanto nell’angelo Metatron, talvolta definito lo Yahweh minore.
Di statura gigantesca, raggiante di luce, questo angelo-patriarca era noto per
la sua perfetta conoscenza dei segreti di Dio. Se la distinzione tra Dio e I’uomo
sfuma i suoi contorni un po’ ovunque nella Cabala, questo vacillare è
senz’altro costante nella doppia figura di Enoc-Metatron. Enoc, che camminò con
Dio, è chiamato da Dio al cielo e pertanto non muore. I cabalisti
interpretavano I’ascesa al cielo di Enoc come la restaurazione dello stato
adamitico: non quello di Adamo nel Paradiso terrestre, bensì quello di un
preesistente antropos cosmico, Dio angelo e uomo allo stesso
tempo. 

Tra i mormoni è una verità insieme arcinota e importantissima che
Joseph Smith abbia annullato la distinzione tra Antico e Nuovo Testamento, ed
eliminato tutta Ia storia ecclesiastica che si frapponeva tra lui e i testi biblici.
Volendo usare un termine strettamente retorico-letterario per definire l’attività
del profeta in quanto creatore di una religione, potremmo dire che Joseph Smith
ha realizzato una transunzione, accomunando i suoi Santi dell’Ultimo giorno
alla condizione perennemente originaria dei grandi patriarchi e di Enoc in
particolare. In una transunzione si verifica un’inversione tra stato iniziale e
stato successivo o finale, e tutto ciò che sta nel mezzo viene annullato. Non è
certo che Joseph Smith avesse letto una versione
dell’apocalittico Libro di Enoc, ma non sono propenso a credere che
dietro a tante creazioni dell’immaginazione di Joseph Smith debbano
necessariamente stare delle fonti scritte. Semmai è stato Enoc a scegliere
Joseph Smith, perché le tradizioni esoteriche lo avevano sempre
celebrato come l’archetipo dell’uomo che si fa angelo, e addirittura Dio.  

La rivelazione di Enoc è giunta a Joseph il Profeta esattamente come
era giunta ai cabalisti, cioè per dare a noi un Dio più umano e
un uomo più divino. Ma se l’Enoc della Cabala era una figura solitaria, salita
al cielo per divenire Metatron, una versione dell’arcangelo
Michele, è invece caratteristico di Smith che il suo Enoc abbia fondato una
città, Sion, e qui abbia raccolto e unito un popolo, per poi
portare città e popolo con sé in cielo. Al compiersi del tempo, profetizzò
Joseph, Enoc e la sua città sarebbero ridiscesi in terra per fon­dersi
con la Sion di Joseph Smith, la Nuova Gerusalemme dei mormoni,
dove i Santi dell’Ultimo giorno sarebbero giunti a raccolta da ogni parte del
mondo. Il compiersi di questa profezia avrebbe reso chiara la
stretta relazione – o forse addirittura l’identità virtuale – tra Enoc e Joseph.
Se la religione di Joseph è una storia sacra, in cui parole,
eventi e cose sono tutt’uno, così come era per gli antichi
ebrei, allora l’esistenza concreta di Joseph Smith deve necessariamente
adeguarsi al modello fornito da Enoc, e la storia laica americana ricorderà
Smith, e con lui Brigham Young, come un fondatore di città.
Tuttavia sul piano pratico la differenza fondamentale tra i gentili e i Santi
dell’Ultimo giorno consiste nel fatto che la storia di questi ultimi è storia sacra, il che ci riporta di
nuovo alla scelta di Enoc, caduta su Joseph il Profeta. 

Il genio religioso di Smith si manifestò sempre in quella che potremmo
definire la sua perfezione carismatica, il suo istinto sicuro della coerenza
intrinseca ai parallelismi tra Bibbia e i mormoni. Posso attribuire solo al suo
genio, o demone, il portentoso recupero di elementi della teurgia ebraica
antica che
avevano cessato di far parte del repertorio tanto del giudaismo
normativo che del cristianesimo, sopravvivendo solo nelle tradizioni
esoteriche, alle quali è improbabile che Smith abbia avuto accesso diretto. La
teurgia consiste di una serie di azioni volte a influenzare Dio non solo nella
sua natura dinamica ma anche nelle sue relazioni con gli uomini. Il Dio di
Joseph Smith, come giustamente ci dicono i teologi mormoni, era un Dio finito,
essendo soggetto sia allo spazio sia al tempo, come necessariamente si dà per
ogni essere materiale, e a maggior ragione per un essere dinamico e mosso dalle
passioni. Essendo una persona di tal fatta, il Dio di Smith si scontra con tutta una serie di limiti e ha un grande bisogno che
altre intelligenze cooperino con la sua. Smith non ha mai narrato le fatiche
teurgiche che per Dio si sono addossati gli altri dei, gli angeli o i credenti
mormoni, ma la sua visione di Dio suggerisce proprio le linee essenziali di una
simile teurgia. Il Dio di Smith, dopo tutto, agli inizi era un uomo e ha
combattuto eroicamente contro e dentro il tempo e lo spazio, in modo non dissimile
da quello dei coloni e dei rivoluzionari americani. E anche ora, pur essendo
asceso in gloria al cielo, Dio resta necessariamente soggetto alla contingenza
spazio-temporale. Mi viene spontaneo pensare per analogia al Dio di Joseph il
Profeta ogni volta che leggo il testo dello Yahwista, o autore J, che ha scritto le narrazioni più
antiche del Pentateuco: quello Yahweh che sceglie con le proprie mani l’arca di
Noè, che scende sulla terra per fare un’ispezione sul luogo di Babele e di
Sodoma, che consuma un pasto insieme a due angeli sotto i terebinti della tenda
di Abramo a Mamre, è molto vicino, per personalità e per la dinamica passionale
del suo agire, al Dio di Joseph Smith: molto più vicino a lui che alla divinità
platonico-aristotelica di sant’Agostino e di Mosè Maimonide. 

Il Dio di Smith non dichiarerebbe mai che può essere presente in
ogni luogo e in ogni momento, a suo piacere, pur avendo assai poco in comune
con la numinosità assente della teologia negativa. Più semplicemente, il Dio
del  profeta americano non può essere in
ogni luogo nello stesso tempo benché i suoi poteri siano, al pari dei nostri,
continuamente perfettibili. In nessun altro momento il genio di Joseph è così
profondamente americano come quando dichiara che Dio ha organizzato noi e il nostro
mondo, pur non avendo creato né gli uni né l’altro, dal momento che sia per
antichità di origini sia per pe­culiarità noi siamo pari a lui. Emerson ha
acutamente anticipato David Brion Davis nell’intuire che il mormonismo era
l’ultima espressione del puritanesimo, l’ultima filiazione della discendenza di
Abramo. La differenza tra Smith e i suoi pre­decessori puritani ed ebrei sta
esattamente nel punto di maggiore affinità che un Emerson giovane avrebbe
sentito nei suoi confronti sul piano dell’immaginazione, vale a dire nel fatto
di avere creato l’immagine di un Dio dentro di noi, che
opera infaticabilmente per dare maggior forza all’Uomo elevato al regno ­dei
cieli. Quel che Whitman cantava si fa concretezza in Joseph
Smith: essere Adamo allo spuntare del giorno, al co­spetto di
un Dio che non lo ha creato e che ha bisogno di lui per
divenire dio egli stesso. 

Ci addentriamo ulteriormente nel mistero del genio religioso di Smith
quando cerchiamo di intuire il meccanismo attraverso il quale
egli giunse a scoprire in Enoc i segni rivelatori del proprio carisma. D.
Michael Quinn, nel suo eccezionale Early Mormonism and the Magic World View [Il
mormonismo primitivo e la visione del mondo magica] (1987), collega la ri­velazione
del sacerdozio avuta da Smith nel 1832 alle
tradizioni esoteriche invece che a quelle
cristiane ufficiali, passando poi ad analizzare gli
insegnamenti impartiti da Smith tra il 1842 e il 1844, di cruciale importanza per la dotazione spirituale
del tempio. Che si sia basato su William Warburton e George S. Faber o, come è
più probabile, abbia operato una rielaborazione autonoma, è evidente che Smith
era lucidamente consapevole di effettuare una vera e propria restaurazione
degli antichi misteri associati a Enoc. Per una sorta di geniale
intuizione, Joseph il Profeta faceva proprio, recuperandolo,
quello che Moshe Idel definisce il mistero centrale della
Cabala, generalmente espresso nella formula criptica «Enoc è
Metatron»: un’identificazione grazie alla quale l’ascesa al cielo di Enoc è
anche un ritorno all’Adamo originale, assai difficilmente distinguibile dallo
stesso Yahweh. Solo i mormoni sono nella posizione di definire l’essenza della
loro religione, ma per un osservatore esterno come me nessuna rivelazione è più
importante e centrale di questa identificazione stabilita dal profeta tra sé e
l’Enoc cabalistico. L’unione di patriarca e angelo in Enoc è uno dei tropi
fondamentali della Cabala per significare l’estasi dell’unione con il principio
divino, della fusione completa di Dio e uomo. Penso che Smith avrebbe capito
immediatamente la grande sentenza dell’antico rabbino cabalista Isacco di
Accra, secondo la quale «Enoc è Metatron» poteva tradursi anche nella formula
«fuoco che divora fuoco». Metatron, talvolta detto dai cabalisti il principe di
questo mondo, un tempo era Enoc, un uomo che camminava su questa terra, e non a
caso Enoc è stato assunto da Joseph Smith a paradigma del suo Dio finito,
progredito da Adamo a Yeowah dall’umanità alla divinità. 

Quella che chiamo Religione Americana è un fenomeno assai più
ampio e diffuso di quanto non sia la Chiesa di Gelò Cristo dei Santi
dell’Ultimo giorno, e in quanto tale ritengo le si possano attribuire tre
principi fondamentali. Il primo è che ciò che di più antico e più nobile esiste
in noi risale a un tempo di gran lunga anteriore alla Creazione, con la quale
pertanto non ha nulla da spartire. Il secondo è che ciò che ci rende liberi è
la conoscenza, intesa come storia di fatti e avvenimenti piuttosto che come
accettazione supina di una fede. Il terzo è che questa libertà contiene in sé
un elemento di solitudine, un elemento cioè impregnato della solitudine
derivante dal ritardo storico del tempo americano, nonché dall’esperienza americana
dell’abissalità degli spazi. Fattore cementante di questi principi è la
persuasione (anch’essa americana, pur nel variare o velarsi delle sue forme)
che noi siamo divinità mortali destinate a ritrovarci un giorno in mondi ancora
da scoprire. Nessuno di questi tre principi è assimilabile, per intero o parzialmente,
alla religione mormone, così come non lo è questa bellissima
e terribile persuasione; tuttavia sia i principi sia la persuasione hanno più
di un collegamento con la personalità carismatica di Joseph Smith il Profeta. 

David Brion Davis, lo storico americano che mi ha aiutato a
chiarire tanti aspetti del mormonismo, ha sottolineato che il fatto più
importante della nostra storia religiosa delle origini è la tendenza tutta americana
ad allontanarsi dall’idea di una Chiesa nazionale. Nella Fucina della
Spiritualità della regione settentrionale dello stato di New York il
proliferare dei revivalisti ebbe l’effetto di diffondere inquietudini e dubbi
tra i nuovi abitanti del New England che, come gli Smith, si
trovavano di fronte a una mescolanza incomprensibile di dottrine e di predicatori,
mentre il loro desiderio era quello di una chiesa legittimata dalla discendenza
da un’autorità consolidata nel tempo. Un Dio personale,
una storia punteggiata da interventi della provvidenza,
una teocrazia di santi: questa era l’eredità puritana. In una
sorta di anacronistico ritorno al puritanesimo, due secoli dopo i mormoni sono
divenuti dei convinti as­sertori del monismo,
nonché un gruppo culturale contraddi­stinto da un’idolatria
del lavoro senza pari in tutta la storia delle religioni. Come fa notare Davis, il loro vangelo del lavoro aveva
valore collettivo più che individuale, ed essi partirono per la frontiera
portandosi dietro un’organizzazione e un modo di pensare che dovevano alienare
loro qualunque simpatia da parte degli
individualisti violenti ed egoisti che li avrebbero circondati.
Se voi vi dirigeste verso ovest al seguito di un nuovo Enoc per
erigere una nuova Sion, non potreste fare a meno di vivere il vostro impegno a costruire una nazione in modo completamente
diverso da quello delle popolazioni limitrofe, che consiste
nel puro e semplice ampliamento dei confini della repubblica. Una
volta garantite la lealtà di gruppo e l’autodisciplina mormoni,
le vostre potenzialità economiche e politiche diventerebbero
abbastanza grandi da suscitare negli altri un certo allarme. Ma
se il vostro Enoc nella sua veste di Profeta, Veggente  e Rivelatore ripristinasse anche le
antiche usanze matrimoniali dei patriarchi, allora il vostro potenziale di
disturbo rispetto all’ordine stabilito diventerebbe davvero straordinario. 

L’innovazione, o per meglio dire la restaurazione più notevole
attuata da Joseph Smith, quella del matrimonio poligamo, dovette essere abbandonata
dai Santi dell’Ultimo giorno come prezzo da pagare in cambio dell’ammissione dello Utah all’unione federale.  Si sente dire
a volte che i mormoni avrebbero comunque scelto di
abbandonare, prima o poi, la poligamia, ma chi abbia letto
i racconti dell’eroismo mai celebrato del presidente John
Taylor e di altri Santi, martirizzati dalla legge federale per essere
rimasti fedeli a Joseph Smith, non si lascerà facilmente convincere
da queste affermazioni. In quest’opera di restaurazione
il genio di Smith si è dimostrato decisamente superiore a quello
di Maometto, e la sincerità e la necessità religiosa della sua visione sono al
di sopra di qualsiasi dubbio. Troviamo le formulazioni fondamentali della creatività
religiosa di Smith nella straordinaria sequenza della dottrina e delle alleanze
che inizia con il battesimo per i morti nelle sezioni 127 e 128, per passare
quindi alla resurrezione del cor­po nella sezione 129, e di qui alla
tangibilità dei corpi del Pa­dre e del Figlio nella sezione 130. Immediatamente
dopo, nella sezione 131, viene stabilita la perenne alleanza del matrimo­nio, a
cui fa seguito la più straordinaria tra tutte le rivelazioni del profeta, la
famosa sezione 132 nella quale i principi essenziali per l’acquisizione della natura
divina sfociano direttamente nella pluralità delle mogli. Gli storici, tanto mormoni
che gentili, hanno ricostruito la lunga e quasi impercettibile evoluzione del
principio del matrimonio poligamo in Smith collocandola nel periodo che
intercorre tra il 1831 e il 12 luglio 1843, quando cioè venne completata la
sezione 132. Questa evoluzione contiene al suo interno il corpo più originale
delle speculazioni di Smith, che nemmeno lui osò formulare in modo esplicito.
Se il Dio di Smith era un uomo in carne e ossa elevatosi al
cielo, padre di Gesù in senso letterale e generatore delle intelligenze nelle
varie sfere, non era anch’egli poligamo? Il problema non è tanto quello di
distinguere il Dio dei mormoni da Adamo (una distinzione, peraltro, non del
tutto chiara in Brigham Young), ma piuttosto quello di distinguere Dio da ciò
che un leader teomorfo come Young avrebbe potuto progressivamente giungere a
essere. È tipico dell’audacia del genio di Smith non aver mai stabilito con
chiarezza questa distinzione. L’infuocata retorica di Smith comunica all’intera
sezione 132, come anche alla sezione 37, un’intensità tutta
particolare, addirittura un’estasi mistica:

Abramo prese le concubine ed esse
gli partorirono dei figli e questa fu reputata una cosa giusta, poiché esse gli
erano state mandate ed egli seguiva la mia legge; così anche Isacco e Giacobbe,
poiché non altro fecero che quel che era loro comandato di fare, sono giunti alla loro elevazione al cielo, secondo la promessa,
e siedono sul trono e non sono angeli, ma dei.

Ciò che qui Joseph implica è palese: ricevere Ie concubine ha la
funzione di far trascendere lo stato angelico per elevarsi a quello divino. Se
Joseph ha dedicato tutta sua esistenza alla lunga e difficile opera di restaurazione
della religione arcaica, nella quale spirito e materia, Dio e uomo, potevano
differire per grado ma non per qualità, il culmine di questo poderoso sforzo
non poteva essere che il matrimonio poligamo. Ma si può andare anche oltre: il
disegno di Joseph era di una radicaIità al limite della
tolleranza nella storia della religione. Il suo intento profetico
era nientemeno che una modificazione della natura umana nella
sua totalità, ovvero l’attuazione nella sfera spirituale di ciò che la
Rivoluzione Americana aveva inaugurato nella sfera del sociale e del politico.
L’importanza di re e nobili per gli americani era totalmente decaduta; il
vecchio ordine gerarchico era stato abolito.
Joseph Smith nell’ultima fase abolì concretamente la
più intoccabile delle gerarchie del cristianesimo ufficiale: il
matrimonio poligamo doveva essere la chiave segreta
per aprire il cancello che separava il divino dall’umano. 

Vorrei sottolineare
di nuovo la profonda affinità che lega Smith alla Cabala,
poiché in entrambi la funzione del rapporto sessuale
sacralizzato è essenzialmente teurgica. A questo proposito, o l’influenza
della Cabala su Smith è stata molto più diretta di quanto noi sappiamo,
o, cosa assai più probabile, il suo genio ha reinventato
la Cabala durante la faticosa opera di restaurazione del giudaismo arcaico.
Prendiamo ad esempio questo passo, tratto da Moshe Idel, ove ho
sostituito «mormonismo» o «mormone» a «Cabala» e «cabalistico»,
lasciando inalterato il resto:
Al centro della prospettiva della teurgia mormone vi è Dio,
non l’uomo; a quest’ultimo sono attribuiti poteri inimmaginabili allo
scopo di restituire splendore alla gloria divina o all’immagine
divina; solo la sua iniziativa può rendere migliore la divinità… Il
mormonismo teurgico fa propria una caratteristica basilare della religione
ebraica in generale: dal momento che si concentra più sull’azione che sul
pensiero, l’ebreo è responsabile di ogni cosa, Dio compreso, essendo il suo
operato di cruciale importanza per il bene del cosmo in generale. 

La rilevanza data da Joseph Smith ai poteri umani raggiunse necessariamente l’apoteosi
nella sua celebrazione del matrimonio poligamo, che per lui diventò la nuova e
perenne alleanza tra Dio e i Santi dell’ Ultimo giorno. Gli storici, mormoni o
gentili, hanno documentato che Smith si spinse tanto avanti da riconoscere una
sorta di poliandria alle mogli di parecchi mormoni che ricoprivano alte
cariche. Anche qui esistono dei precedenti nella religione arcaica, tra i quali
per esempio la complessa storia di Shabbetaj Zevì, il Messia cabalisti­co.
Joseph Smith, a un livello molto più alto di qualsiasi altro innovatore
religioso del suo secolo, ha veramente provocato una nuova e originale rottura
dei vasi. Sottovaluteremmo il suo genio se non gli dessimo atto del desiderio
di provocare nei suoi seguaci un cambiamento ontologico, un modo di essere
interamente nuovo, per alto che fosse il prezzo da pagare. Il mormonismo di
questo secolo e di oggi non è oggetto di questo mio studio, ma è palese che
esso rappresenta solo un compro­messo con l’America dei gentili, e non certo la
visione autenti­ca di Joseph Smith. La sacralità della sessualità umana, per
Smith, era inseparabile dal sacro mistero dell’incarnazione,
senza il quale non sarebbe possibile la condizione divina. Dio e Gesù sono
uomini in carne e ossa, e coloro che si perfezioneranno al punto da eguagliarli
non dovranno rinunciare al loro corpo. La teurgia di Smith, come quella dei
cabalisti, è essenzialmente sessuale, e in quanto tale esige la piena
soddisfazione dei desideri del profeta.
Uno studioso, Mark Leone, ha posto l’accento sulla «complessità
virtualmente impenetrabile che le prime formulazioni e le prime attuazioni
pratiche del matrimonio poligamo hanno in Joseph Smith». Certamente questa
complessità è immensamente intricata, né più né meno dell’andamento tortuoso delle
dottrine e della vita di Shabbetaj Zevì, cosi come ce lo descrive Gershom
Scholem. Ma il Messia della Cabala aveva aderito alla modalità gnostica
dell’antitetico; il suo profeta, il geniale Nathan di Gaza, sosteneva che
Shabbetaj doveva compiere una discesa fino agli involucri rotti per liberare le
scintille, secondo una modalità che Scholem definisce «redenzione attraverso il
peccato». L’ascesa di Smith al matrimonio poligamo non ha nulla di antitetico: è
un’esaltazione della vita, e addirittura un’esaltazione di Dio. In parole più
semplici, tutto ciò si può tradurre nella nozione che Joseph il Profeta cercava
di seguire il modello ebraico, nel quale una religione si fa popolo. Segnati
dalla gloria e dallo stigma del matrimonio poligamo, tra il 1850 e il 1892 i
mormoni diventarono davvero un popolo a sé stante, una nazione vera e propria.
Quest’ultima espressione tuttavia è riduttiva e inadeguata; il desiderio di
Joseph Smith non era semplicemente di fare dei suoi Santi un gruppo a sé. Il
suo desiderio era che diventassero dei, e stabilì che per una simile apoteosi
la poligamia era una necessità. Il mistero più profondo di quella che oserei
definire la Cabala o tradizio­ne segreta di Joseph
Smith risiede nel perché e nel come egli già giunto a
stabilire un nesso tra natura divina e matrimonio poligamo. Qual era il
contenuto immaginativo di quel nesso?

Per gli antropologi Totem e tabù di
Freud non merita maggior considerazione del Libro di Mormon, e né i freudiani né i mormoni
gradirebbero vedere le due opere accomunate l’una all’al­tra.
Ma Totem e tabù è un esempio di immaginazione poietica
anti-religiosa, così come il Libro di Mormon è un
esempio di immaginazione poietica religiosa. Nei suoi primi scritti Smith rigetta
la poligamia, pur accennando al fatto che una successiva rivelazione
avrebbe potuto imporne l’adozione. L’identificazione proposta da
Freud tra Dio e il capo dell’orda tribale e cannibalizzato,
assassinato dai suoi stessi figli perché monopolizzava tutte le donne,
può essere letta come il riflesso, in uno specchio scuro, della successiva rivelazione giunta a Smith
sulla poligamia. Il testo che i padri della Chiesa
posero in chiusura del loro Antico Testamento,
l’ammonizione finale del profeta Malachia sulla conversione del cuore dei
padri verso i figli e del cuore dei figli verso i padri, era per Joseph
Smith una vera e propria ossessione. La visione di Smith
del matrimonio poligamo è generativa di molti miti contemporaneamente. I Santi
dell’Ultimo giorno che hanno l’autorità necessaria per sostenere la poligamia
diventeranno dei, e i figli di quegli dei convertiranno i cuori ai loro padri,
diventando dei a loro volta. Credo sia stato Orson Hyde, uno dei primi capi a
teorizzare che Gesù avesse sposato Maria, Marta e l’altra Maria,
il che non è poi molto lontano dall’associare Dio
stesso alla pratica del matrimonio poligamo. 

Si può presumere che Joseph Smith avesse pensato alla pratica del
matrimonio poligamo già molto prima del 1831, dato che la sua immaginazione è
del tipo che dispiega a poco a poco un contenuto già formato, anziché procedere
per accumulazione e nuovi sviluppi. Le particolari circostanze in cui versava
la nazione, e insieme a queste la natura umana, fecero sì che l’audacia della
visione di Joseph Smith fosse oscurata nella sua grandezza quando la sua chiesa
prese le distanze da lui, nel secolo che separa il 1890 dal 1990. Il
mormonismo, nato dal puritanesimo, è oggi ritornato al puritanesimo e ha dovuto
dimenticare che Smith aveva in mente una rottura religiosa radicale quanto la
nascita dell’IsIam. Le dottrine più originali di Smith hanno con il
protestantesimo lo stesso rapporto che la Cabala ha con il Talmud. Ma quale
posizione occupano nel mormonismo odierno queste sue dottrine? Prima di subire
il martirio, nel 1844, Joseph Smith si era fatto sicuramente inco­ronare re del
Regno di Dio, e la Chiesa dei Santi dell’Ultimo giorno nasconde questo momento
cruciale della sua storia, così come sottace la tradizione che vuole Brigham
Young emulo di Smith nella replica finale di questo atto di sublime audacia.
Eppure tacere momenti così sublimi per i mormoni significa rinunciare, almeno
per il momento, a un’affermazione di grandiosa potenza immaginativa, cioè presentarle
come la vera Religione Americana, l’incarnazione spirituale del Sublime americano. 

«Joseph il Profeta voleva veramente tutte le mogli degli uomini a
cui le chiedeva?» è la domanda retorica che durante un sermone pose Jedediah
Grant nel 1844. A questa domanda Grant dava una risposta negativa, affermando
che in quel modo Smith intendeva solo mettere alla prova il suo popolo, ma
nessuno al giorno d’oggi dovrebbe considerare quell’interrogativo come un
problema ancora aperto. Joseph Smith e Brigham Young condividevano una visione
dell’autorità molto lontana da quella che sarebbe ritenuta accettabile dai loro
discendenti. Gli studiosi, non importa se mormoni o gentili, possono solo
offrire un’interpretazione erronea della visione di Smith, sia che il contenuto
dei suoi scritti sia travisato in senso debole o in senso forte. Il
travisamento in senso più forte, e proprio perciò la migliore interpretazione,
è necessariamente quello fatto da Brigham Young, il quale fondò il suo regno
sulle aspirazioni al matrimonio poligamo di Joseph il Profeta. Per trent’anni
Young fu a capo della Chiesa, e quasi sempre nell’accezione letterale del
termine. Benché l’intera sua eredità sia stata svuotata di senso tredici anni
dopo la sua morte, egli visse abbastanza a lungo da vedere realizzata almeno
una parte del sogno di Smith. Il matrimonio celeste e il battesimo per i morti
sono oggi teorie astratte, essendo elementi di differenziazione ormai svuotati
di significato, nel momento in cui non vi è più un sistema di matrimonio
poligamo. Visionario e pragmatico al medesimo tempo, Joseph il Profeta
condivideva la preoccupazione tutta americana per il paradiso terrestre, sicché
insegnò a Young quanto meno attraverso l’esempio, che i misteri del Regno
andavano tradotti in pratica qui e subito, in privato quando erano malvisti dai
gentili, e in pubblico – anche se mai in termini accessibili a tutti – quando
finalmente una nuova Sion fosse stata fondata. 

Che le mogli di Brigham Young siano state ventisette oppure
cinquantacinque è uno di quegli interrogativi che fanno il paio con le
speculazioni degli studiosi quando si chiedono se Joseph Smith abbia veramente
contratto ottantaquattro matrimoni nei tre anni precedenti la sua uccisione.
Divertimento più o meno puro, questo affanno contabile degli eruditi testimonia
comunque della serietà di una ricerca, profondamente sentita da entrambi gli
uomini, ugualmente certi che nel matrimonio celeste e nella progressiva
elevazione alla divinità che ne conseguiva consistesse la vera essenza del
Santo dell’Ultimo giorno, nonché il centro propulsivo della religione mormone
nel suo farsi. Senza il matrimonio poligamo, inteso come modalità strumentale
del matrimonio celeste, entrambi i veggenti avrebbero
percepito la loro ricerca ideale come un Amleto senza principe. La
vera e propria epifania del mormonismo non ha avuto luogo
quando il profeta era ancora in vita, e va identificata con la
proclamazione ufficiale del matrimonio poligamico da parte della
Chiesa, avvenuta nell’agosto del 1852: indubbiamente
l’atto spirituale di sfida più coraggioso di tutta la storia americana.
Il bellissimo discorso tenuto da Orson Pratt
in quell’occasione ovviamente non è incorporato nelle
scritture ufficiali dei mormoni, ma forse un giorno lo sarà, poiché vi
aleggia lo spirito di Joseph Smith.

Il presupposto sincero dal quale muove Orson Pratt è che la
differenza tra un gentile nel suo pieno vigore, dotato di talento, di
intelligenza e di potere, e un Santo dell’Ultimo giorno sta nel fatto che il
gentile è un ipocrita e un adultero, mentre il Santo non ha bisogno di esserlo
e non lo è. Essendo la poligamia intrinseca alla natura maschile, la
restaurazione di tutti i caratteri antichi richiedeva la santificazione della
poligamia, non il rinnegamento di una natura impossibile da correggere. Joseph
Smith aveva scoperto in se stesso una natura poligama, ed evidentemente era
arrivato a pensare che le sue doti profetiche sarebbero venute meno se quella
natura fosse stata contrastata o addirittura soffocata. Quei mormoni che oggi
sostengono che Smith istituì il matrimonio poligamo contro la sua volontà, solo
perché un angelo mandato dal cielo lo minacciava con la spada sguainata, pena
la cessazione del suo dono profetico, non colgono ciò che realmente si cela in
questa metafora. Orson Pratt capì e disse a chiare lettere quel che la metafora
stava a significare. O i nostri corpi, come il corpo di Joseph il Profeta,
erano tabernacoli dedicati all’edificazione del Regno Celeste, oppure
diventavano necessaria­mente sepolcri per l’adulterio. L’America dei gentili si
rifiutò di vedere in questo insieme di enunciati una religione, protetta in ciò
dalla costituzione, ma l’America dei gentili, oggi più di allora, è diventata
un paese nel quale la profezia ha cessato di esistere. Quando William Blake
diceva che una legge identica per il bue e per il leone è sinonimo di
ingiustizia, si faceva profeta delle lotte che avrebbe dovuto sostenere Brigham
Young e dell’esilio non ufficiale che avrebbe subito John Taylor. 

In America ci sono state tante altre creazioni religiose, prima, durante
e dopo quella di Joseph Smith, ma nessuna può eguagliare la sua per coraggio, vitalità o
globalità della visione, né tantomeno per l’onestà intellettuale con cui sono state
affrontate le conseguenze derivanti dal possesso di doti carismatiche. Retrospettivamente,
appare abbastanza chiaro il motivo per cui Smith, Parley Pratt e tanti altri
mormoni furono assassinati, e i Santi sospinti sempre più a ovest, di stato in
stato, di territorio in territorio, dall’incessante violenza persecutoria della
canaglia inferocita. Se davvero Joseph Smith era un profeta e la sua parola era
autorevole, l’America non poteva essere che

un’immensa
Sodoma lanciata in folle corsa verso una distruzione inevitabile, in esilio da
Dio e dalla discesa di

Cristo
sul suolo americano. Il mormonismo oggi è uno dei pilastri del sistema politico-economico
americano, un’ulteriore celebrazione dello stato delle cose nella migliore
delle società possibili. Ma Joseph Smith, proprio in virtù di quella sua natura
geniale e autorevole, profetizzava contro lo stato delle cose in una società
caduta nel peccato e ingiusta. Quella dei profeti biblici è una professione tra
le più pericolose, e la loro vita trascorre nell’attesa di un martirio
tutt’altro che impossibile. Joseph Smith, il più autentico e il più ricco di
doti tra tutti i profeti americani, aveva un senso dell’umorismo troppo
americano e troppo spiccato per non cogliere, se solo potesse tornare su questa
terra, tutta l’ironia insita nella mutazione subita dalla sua eredità
spirituale. 

Se la profezia è un’opzione difficile, la fondazione di una re­ligione
è un’impresa tanto ardua e terribile che nessuno dovrebbe illudersi di poterla ancorare a parametri fissi. Misurato sulla scala
gigantesca dell’immaginazione di Maometto, Smith parrebbe un
nano; dopotutto nel Libro di Mormon è la
voce di un angelo che parla, mentre la sola
voce che udiamo nel Corano è quella di Allah in persona. I Santi di Smith sono sopravvissuti e prosperano, però costituiscono
il due per cento dell’intera nazione, e una frazione minuscola della popo­lazione
mondiale. Parlo da una posizione egualmente distante dal cristianesimo e dall’islamismo quando dico che senza dubbio l’Islam
è più fedele all’insegnamento di Maometto di quanto si possa dire del mormonismo attuale rispetto alla visione di Joseph
Smith nella sua integrità. La storia, nel nostro paese, non si
colloca né a un’origine né a una fine. La continuità materiale del prodotto dell’immaginazione di Smith è assicurata, e la sua durata coinciderà, più o meno, con la durata della nazione. Ma Joseph il Profeta ha assegnato un posto centrale alla legge
della consacrazione: spirito e temporalità dovevano dimorare insieme. In
virtù di ciò il mormonismo è una rivelazione a sé stante e originale, né più né meno di quanto lo furono il giudaismo, il cristianesimo e l’islamismo, e una rivelazione
totalizzante è sempre una sorta di ammasso
gigantesco le cui dimensioni tendono a
sfuggire alle nostre facoltà di discernimento. Al pari delle rivelazioni che l’hanno preceduta, la religione dei
Santi dell’Ultimo giorno è nel suo procedere talvolta visibile e talvolta invisibile, e di certo finirà per contraddire tutte le nostre aspettative.

Ad eccezione
di taluni visionari come i mistici
cristiani, i ca­balisti ebrei e i sufi islamici, nella religione occidentale si contano ben pochi precedenti rispetto
a un’impresa eroica come quella di Joseph Smith, volta ad abbreviare la distanza tra Dio e uomo. Ciò nonostante Smith
scelse, saggiamente, di non vivere una continua  estasi. La
consacrazione del tempio di Kirtland, avvenuta nel marzo
del 1836, nella storia di Joseph e dei Santi fu un episodio eccezionale, e il
profeta non inseguì mai una replica dei rapimenti estatici e della grazia di allora. Si direbbe quasi che
preferisse confidare più sulla propria autorità di rivelatore che su
esperienze-limite, collettive o per­sonali che fossero. Non accettando il dogma
del peccato origi­nale, Smith poteva considerarsi non corrotto dalla storia e
pie­namente degno di essere re del regno di Dio in terra. 

Personalmente ho il sospetto che sia Joseph Smith la fonte di
Brigham Young quando quest’ultimo stabilisce un’identità quasi assoluta tra
Dio, Adamo e Michele: quell’identità che nelle pagine precedenti ho ricondotto
alle stesse tradizioni dell’ebraismo arcaico da cui la Cabala trasse la formula
di Enoc uguale a Metatron o a Michele. Nell’immaginazione di Joseph Smith
probabilmente cinque figure si sono mescolate a formare un insieme composito:
il Dio dei tempi remoti, Adamo, Michele, Enoc e Smith stesso. Sebbene molti
mormoni provino oggi un senso di disagio verso questo loro Dio così umano, il
profeta ha sempre ribadito con forza che Dio agli inizi era un uomo su questa
nostra terra, elevatosi poi alla condizione divinità grazie ai suoi sforzi. Un
Dio che si modifica e progredisce attraverso successive crisi ha molte cose in
comuni con lo Yahweh arcaico dello Yahwista o autore J, ma assai poche con la potenza
trascendente e infinita di cui parla l’ortodossia, tanto ebraica che cristiana
o islamica. È certo che in Israele iI monoteismo ha avuto origine
dall’evoluzione del culto di uno Yahweh circondato da molti altri dei a lui
inferiori, al culto di Yahweh come solo e unico Dio. Smith, che studiando la
Bibbia aveva acutamente intuito questo tipo di sviluppo, desiderava restaurare
il politeismo arcaico, e ciò all’unico scopo di far divenire anche noi, noi
americani, pari agli dei. 

I Santi dell’Ultimo giorno, per grande che sia stata la deviazione
della loro chiesa dalla via tracciata da Joseph Smith, non sono stati i soli a
comprenderne la grandezza: un secolo intero è trascorso dal ripudio del
matrimonio poligamo da parte dei mormoni, e la grandezza del loro profeta è
ancora misconosciuta dalla maggior parte dei suoi connazionali. Ma se è vero
che esiste una Religione Americana diffusa quasi universalmente tra noi, al di
là delle nostre professioni di fede, è ancor più vero che Smith ne è stato in
larga misura il precursore, benché misconosciuto. La sua immaginazione ha
creato una religione particolare, ma i contorni della sua immaginazione delimitano
il confine generale della spiritualità post-cristiana in America. 

“Sarete come Dio”…

[1] Garzanti, Milano, 1994.
[2] Vedi il post Il viaggio di studio di Jabotinski a Salt
Lake City
: https://www.andreacarancini.it/2011/05/il-viaggio-di-studio-di-jabotinsky-sa/

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